La
grande sbandata
Perché
a volte nei momenti più impensati, per strada, puoi sentire
l’anima
lacerarsi, catturata dalla storia di qualcuno che ti è
appena
passato accanto – David Grossman
Ben
nascosto sotto il Mantello dell’Invisibilità,
Sirius rovistava tra
le scorte di Gazza in cerca di Whisky Incendiario. Fuori dal piccolo
sgabuzzino in cui era rintanato, lo raggiunse e poi superò
un
frenetico scalpiccio che lasciò dietro di sé una
scia di
singhiozzi.
Spinto
dalla curiosità, seguì l’eco delle
lamentele proferite dagli
personaggi dei quadri fino a un corridoio poco illuminato. Prima che
potesse venir soffocato dal buio, un debole luccichio attirò
la sua
attenzione. È entrata
nel bagno di Mirtilla
Malcontenta. Sorrise rapace
stropicciandosi le mani, già
pregustando la nuova preda.
Con
cautela, scostò l’uscio per poi scivolare dentro
silenziosamente.
Trattenendo il respiro e beandosi degli scoppi improvvisi dei
singhiozzi, sporse la testa oltre il bordo dell’ultimo
cubicolo a
sinistra per rimanere folgorato dalla figura della Evans accasciata a
terra. In un groviglio stretto di braccia e gambe spuntava il capo
della ragazza che ripetutamente cozzava dolcemente contro il muro.
Ma
ciò che sconvolse maggiormente il cuore del Malandrino fu
specchiarsi nella disperazione stagnante degli occhi verdi di Lily.
«Come
ha potuto?» bisbigliava contrita la ragazza mentre grosse
gocce le
solcavano le gote arrossate.
A
quella vista, una fitta lancinante gli strappò il cuore dal
petto
facendoglielo schizzare in gola. Per un secondo, ebbe
l’illusione
che sarebbe morto soffocato lì, nascondo dal mantello di
James,
intento a spiare l’amore della vita del suo migliore amico.
Invece,
di colpo, il cuore riprese a battere furioso, assordandogli le
orecchie e rendendolo cosciente come non mai di essere vivo.
Ubriaco
per colpa di quelle nuove sensazioni, scivolò lungo il muro
nel
cubicolo di fronte e rimase fermo come un ladro a spiare la
sofferenza di Lily. Incapace di intervenire per fedeltà
all’amico,
si abbeverò dello strazio di lei.
Involontariamente,
si lasciò sfuggire un sorriso di scherno quando un pensiero
gli
attraversò il cervello. Credo ci si
senta così a
essere baciati da un Dissennatore,
sospirò piano
dal suo angolino contro il muro, arpionato fin dentro
l’anima
per essere frugato e spogliato di ogni volontà, di
ogni
libero arbitrio.
Lily
rimase quasi tutta la notte a piangere mentre il verde liquido dei
suoi occhi dissanguava l’anima di Sirius. Alla fine,
visibilmente
stremata, si appisolò col capo appoggiato al lavandino
sbeccato. Le
palpebre calate si muovevano irrequiete.
Mentre
il primo raggio dell’alba lo lambiva, Sirius fece scivolare
lentamente dalla testa lo strato impalpabile del mantello. Incantato,
stese le braccia con la struggente intenzione di abbracciare quella
creatura stanca. Invece, dopo aver indugiato ad ammirare il suo
volto, inspirando forte l’odore selvatico dei fiori di campo,
allungò il collo per sfiorare le labbra della ragazza in un
bacio
abbozzato.
Inorridito
dal gesto incauto, si ritirò prontamente e, con un movimento
secco,
si rinfilò sotto il mantello. Il cuore gli batteva
così forte nel
petto che, timoroso che lei lo avvertisse, strinse le braccia intorno
al busto. James non lo deve sapere. James non lo deve sapere.
James non lo deve sapere, ripeteva ossessivamente, sudando
freddo
all’idea di avere commesso uno sgarbo nei confronti
dell’amico.
Nel
frattempo, Lily si destò di soprassalto, scuotendo la testa
un paio
di volte, come a scrollarsi di dosso le ultime lacrime di quella
notte. Si alzò sulle gambe snelle, un po’
impacciata dalla
prolungata rigidità, e uscì dal bagno.
Sirius
si stava per l’appunto chiedendo se fosse il caso di seguirla
quando un oggetto catturò la sua attenzione. Un giglio
bianco dal
gambo corto e viola giaceva abbandonato sulle piastrelle sbeccate del
pavimento. Catatonico, si piegò e colse il fiore tra i
polpastrelli
ingialliti dalla nicotina. L’avvicinò al suo
sguardo grigio e,
ormai certo di cosa si trattasse, impossessato da una furia omicida,
lo stritolò.
«Mocciosus!»
sibilò infuriato, sbuffando fiato dalle narici come un
drago. «È
suo, lo riconosco! Io stesso l’ho incantato per far diventare
viola
il gambo quando l’ho beccato dietro le serre a raccogliere
fiori.
Pensavo servisse a qualche suo strano intruglio. Chi si aspettava
invece che fosse per una ragazza!? Quindi è per lui che si
strugge
Lily,» ringhiò mentre si passava veloce le mani
tra i capelli. «È
lui che ama!»
Al
solo pensiero, una fitta di qualcosa a cui non sapeva dare un nome
gli contorse le budella, riversandogli in gola un sapore acre.
Furioso
con il mondo, percorse a grandi falcate i corridoi fino a giungere
davanti alla Sala Grande. Era ancora troppo presto per fare
colazione, così deviò verso il portone uscendo
all’aria aperta
per schiarirsi le idee.
In
un vortice sempre più veloce, mille e più
immagini si
aggrovigliavano nella sua testa: Lily e Mocciosus
che si
baciavano; Lily che piangeva nascosta in un cubicolo; James che
brindava con il succo di zucca perché finalmente Lily gli
aveva
sorriso; Lily e i suoi occhi limpidi come un lago montano; Lily, Lily
e sempre Lily che, alla fine, sceglie Piton.
L’aria
del mattino era decisamente frizzante, i piccoli sbuffi di fiato
intorno alle narici lo facevano sembrare un Nundu inferocito.
A
testa bassa, le mani poco dignitosamente sprofondate nelle tasche dei
pantaloni d’alta sartoria, le lunghe gambe nervose lanciate a
passo
veloce, Sirius si intrufolò tra i grossi tronchi di un
boschetto sul
versante opposto al sentiero che conduceva a Hogsmeade. Una volta
raggiunta l’estremità del querceto,
inforcò il viottolo in terra
battuta rossa fino a giungere ai piedi di un grosso spuntone di
roccia dove si lasciò cadere sull’erba soffice.
Poco più in là,
attraverso le fronde, l’acqua del Lago Nero era uno specchio
piatto.
Tremando
appena, castò un paio di incantesimi riscaldanti mentre
portava le
ginocchia ossute al petto. Sempre più confuso, chiuse gli
occhi e
appoggiò la testa alla pietra fredda.
Era
imbarazzato; per la prima volta nella sua vita, non aveva idea di
cosa fare.
«Per
i baffi della mia pro-pro-zia Ursula! Che nottata!»
esclamò a voce
alta il Grifone, disturbando il cinguettare allegro di un nutrito
gruppo di uccellini.
Nonostante
la sua mente fosse ancora in subbuglio, archiviò
elegantemente il
bacio dato a Lily nello scomparto degli errori da Snaso con il
raffreddore. Quindi costrinse se stesso a concentrarsi unicamente su
Ramoso e il suo folle interesse verso la Evans.
«Ci
sarà un modo per sbarazzarmi di quella piaga,»
disse pensieroso
mentre le lunghe dita della mano pettinavano in un gesto distratto i
folti capelli neri. «Potrei fargli esplodere il calderone.
Certo,
sarebbe una cosa temporanea ma... no, non è fattibile: le
sue
abilità manderebbero in fumo qualsiasi mio tentativo di
alterare la
sua pozione,» sospirò mordendosi il labbro
inferiore.
«Potrei
incantare la sua scopa e aspettare che… No, questo scherzo
l’ho
già usato al terzo anno,» sghignazzò
con le iridi offuscate dallo
scherno: vederlo sofferente in infermeria per un’intera
settimana
aveva ripagato dei punti tolti ai Grifondoro.
«Potrei,
potrei...» snocciolò socchiudendo gli occhi grigi,
battendo
pensieroso un dito sulle labbra, non pago delle poche idee che gli
frullavano in testa.
Dopo
vari minuti spesi ad osservare uno scoiattolo nascondere il proprio
bottino dentro un albero cavo, Sirius si stiracchiò la
schiena
allungando le braccia sopra la testa, sbuffando come un treno con la
polmonite. Poi, memore del volto severo della McGranitt che lo
rimbrottava per i suoi perenni ritardi, si alzò di
malavoglia con
l’intenzione di tornare alla Torre per darsi una ripulita,
prima di
raggiungere l’aula di Trasfigurazione.
Sovrappensiero,
quando raggiunse la scalinata che portava al quadro della Signora
Grassa, venne sfiorato dal profumo di fiori di campo.
«Lily,»
sbottò trasognato. Poi, accortosi dell’espressione
accigliata
della ragazza si corresse immediatamente. «Evans,»
disse con
sussiego inchinandosi leggermente, «perso
qualcosa?» Si finse
interessato mentre guardava la ragazza scrutare gli angoli nascosti.
«Niente
che ti riguardi,» rispose un po’ acida.
«Se non ti spiace, sarei
in ritardo per la lezione.» E lo superò senza
degnarlo di un
secondo sguardo.
Sirius,
al centro del corridoio, la guardò andare via con i pugni
chiusi e
il cuore in fiamme. La rabbia che cresceva a ondate lo sopraffaceva
riducendo la sua volontà a un ammasso informe di gelatina.
«Deve
assolutamente uscire dalla sua vita così che smetta di
pensare a
lui,» digrignò tra i denti, ancora più
determinato. «Altrimenti,
chi lo reggerà un Ramoso melanconico?»
La
tavolata dei Grifondoro era sempre stata la più chiassosa.
Eppure,
quella mattina, quasi di comune accordo, se ne stavano tutti quieti e
composti. Sirius, completamente estraniato, rimescolava
distrattamente la forchetta nel piatto, la frangia a coprire gli
occhi chiari.
Poco
distante, incastrata tra due amiche, Lily controllava un libro che
teneva in bilico tra le gambe snelle, una ruga a spezzarle la fronte,
segno della sua profonda concentrazione. Peter, invece, seduto di
fronte a James, parlottava quasi senza trarre respiro, scuotendo le
braccia come fossero rami investiti dalla tempesta.
«Ehi,
Lupin!» urlò Codaliscia, interrompendo per un
attimo il proprio
monologo, mentre salutava il nuovo arrivato. «Che brutta
cera,
rimasto sveglio tutta la notte a pensare alla luna?»
ghignò al suo
indirizzo. Ramoso, gli occhi che lanciavano bagliori sinistri,
rifilò
un calcio negli stinchi di Minus che, preso alla sprovvista, si
rovesciò addosso il bicchiere colmo di succo di zucca.
«Ciao,
Felpato. Cosa potrà mai renderti così silenzioso?
La notte appena
passata in bianco a sognare Juditte, Charlotte,
Margaret…» Remus
elencò i nomi di sue ipotetiche conquiste sulla punta delle
dita,
mentre guardava con poco entusiasmo l’abbondante colazione
servita
sui tavoli.
«Ti
sembro uno che ha problemi con le donne?» Sirius, gonfiato il
petto
e buttato indietro la frangia, sbatacchiò le ciglia
lanciando un
paio di baci all’indirizzo di una ragazza mora seduta tra i
Tassorosso. Quella, diventata rossa sulle gote in un battere di
bacchetta, lanciò un gridolino voltandosi verso le amiche,
eccitate
al pari di lei. «Visto?» sorrise sardonico
all’amico. «Tu
piuttosto, come ti senti?» chiese preoccupato notando il
pallore del
licantropo.
«Che
vuoi che ti dica?» gli rispose stanco. «Domani sera
ci sarà la
luna piena. Tocca a te, vero?» Lo guardò
supplichevole, facendo
scorrere gli occhi tra lui e Codaliscia. Sirius negò con la
testa,
già perso in altre faccende.
Uno
scoppio di risa improvviso, riscosse Felpato che, nell’esatto
momento in cui alzò gli occhi, sorprese la Evans fissare il
tavolo
dei Serpeverde. Lo sguardo di lei era ferito, assente. La ruga che le
campeggiava in fronte era accentuata mentre un sorriso amaro le
piegava le labbra. Per un attimo, a Sirius, parve di essere tornato
nel bagno di Mirtilla. Scosse nervoso la testa e, dopo aver dato
un’occhiata intorno, lanciò una piccola fattura
all’indirizzo
del piatto di Lily, così da distrarla perché
smettesse di fissare
Piton.
Per
fortuna che James è concentrato su Remus!
pensò frustrato.
«Forza
andiamo, è ora!» li incitò alzandosi di
scatto, voltando le spalle
alla Grifondoro. Tutti lo guardarono meravigliati. «Suvvia,
non fate
quelle facce da Schiopodo Sparacoda in calore. Alla prima ora abbiamo
il mastino di…»
«Signor
Black! Spero proprio per lei che non si stesse riferendo a me,
vero?»
sondò glaciale la professoressa di Trasfigurazione. Il suo
volto era
una maschera granitica; teneva la bocca stretta in un’unica
linea e
gli occhi fermi e insondabili. «Venti punti in meno e domani
mattina
mi porterà una pergamena sull’utilità
di trasfigurare un chiodo
in una finta bacchetta da applicare durante un duello
magico.» Poi
si voltò, non prima di lasciare una busta tra le mani di
Remus.
Sirius sbuffò contrariato ai sorrisi di scherno degli amici,
ma non
replicò.
Era
avvenuto più tardi, davanti al fuoco che languiva nella Sala
Comune,
mentre era intendo a graffiare con stizza la pergamena destinata alla
McGranitt, che un’idea geniale gli si palesò in
testa. Al suo
fianco, Lunastorta era crollato sui libri da tempo, un leggero ronzio
fuoriusciva dalla sua bocca semiaperta.
Eccitato,
si batté il palmo della mano sulla fronte. «Ma
certo! Come ho fatto
a non pensarci prima!?» esclamò mentre, con un
gesto affettuoso,
copriva le spalle di Remus con il proprio mantello. «Domani
sera mi
sarai di grande aiuto, amico mio. Sarai il lasciapassare
affinché
James abbia campo libero con Lily.»
L’indomani,
nei sotterranei, il fumo denso che saliva del suo paiolo cominciava a
irritare gli occhi chiari di Sirius. La pozione che vi sobbolliva non
era verde come richiedeva il procedimento ma a lui non importava.
Attraverso la foschia che aleggiava nell’aula, non perdeva di
vista
un solo movimento di Piton.
Ogni
volta che il Serpeverde si girava infastidito, per via del suo
sguardo insistente, Sirius gli sorrideva strafottente, mimando con le
labbra insulti vari. Poi, chinandosi leggermente verso il compagno di
banco, intavolava una finta discussione in cui faceva credere che il
soggetto fosse proprio lui.
Questa
pantomima si spostò anche nell’aula di Storia
della Magia. Proprio
fuori da essa, alla fine della lezione, finalmente Sirius
gettò la
sua esca.
La
fiumana degli studenti si dirigeva chiassosa e affamata verso il
portone della Sala Grande sbucando dai molteplici corridoi che
attraversavano il castello. Sirius, bacchetta ben salda in mano, si
fermò nello spazio tra due corsie indugiando un attimo,
giusto il
tempo di dipingersi addosso una finta espressione entusiasta. Ci
siamo, pensò eccitato. Speriamo
solo che Piton ci
caschi e non si accorga che qui
ci siamo solo
noi due.
«Sei
un grande, James!» esclamò. «Lo sapevo
che potevamo contare su di
te. Questa sera Remus avrà una bella sorpresa. Ma ne sei
certo?»
chiese improvvisamente dubbioso mentre rovistava nella propria borsa
a tracolla. Mentre allungava il capo di lato, mettendosi fintamente
in ascolto della risposta dell’amico, con la coda
dell’occhio
cercava il rivale.
Sirius
sorrise mordace, il cuore che batteva incalzante nel petto. Mocciosus
si nascondeva dietro una statua, attento alla conversazione che si
svolgeva a pochi passi da lui.
«Quindi,
Peter sarà alle nove al Platano Picchiatore,»
diceva entusiasta,
«e, dopo che si sarà accertato che non ci sia
nessuno, ci verrà a
chiamare e, uno alla volta, noi lo seguiremo…»
Trovato
ciò che stava cercando nella borsa, Sirius fece un passo
verso
l’imboccatura del corridoio, fuori dalla visuale del
Serpeverde.
Con finta casualità, muovendo il capo, spinse indietro una
ciocca di
capelli scuri come la pece e, in quel preciso istante, finse di
riconoscere Piton sgranando gli occhi come una Pluffa.
«Mocciosus!
Lurido spione!» sibilò indignato. Poi, lesto,
lanciò un incanto
verso di lui facendogli franare addosso l’armatura a cui era
appoggiato. Nemmeno il clangore della ferraglia coprì la
risata
canina che invase il corridoio inforcato dal Grifondoro.
Verso
sera, il quadro posto a guarda della torre dei Grifondoro si
aprì di
scatto permettendo a un paio di studenti del quarto anno, intenti a
bisticciare tra loro, di entrare. James Potter li seguì a
ruota.
La
stanza che li accolse era calda, disordinata come conveniva a dei
bravi Grifondoro, e rischiarata da candele incantate al profumo di
gelsomino. L’idea era stata copiata a Madama Piediburro due
mesi
prima da una ragazza del settimo anno.
James,
capelli umidi e la cravatta di traverso, si guardò intorno
spazientito finché non individuò la figura snella
e scomposta di
Sirius seduta di traverso sulla poltrona più lontana dal
camino. Il
Grifone aggrottò le ciglia sospettoso.
«Ecco
dove ti eri cacciato,» disse cauto all’indirizzo
dell’amico. «Ti
ho aspettato per una buona mezz’ora giù
nell’atrio. Avevamo
l’allenamento, ricordi? La partita con i Corvi è
tra due giorni.»
Sbuffò irritato dall’immobilità di
Sirius.
James
si accostò alla poltrona e strinse gli occhi alla vista del
braccio
mollemente adagiato sul volto di Felpato.
«Cosa
hai combinato stavolta?» sbottò mentre spingeva di
lato una gamba,
facendola scivolare dal bracciolo, per prenderne il posto.
«Su,
forza, confida a paparino i tuoi
misfatti.»
Sirius
non si mosse, strinse gli occhi in due fessure e girò il
capo verso
la finestra dove la pece della notte sembrava deriderlo. Si sentiva
frustato. Ho agito d’impulso, come avrebbe fatto un
buon amico.
Dunque, perché sento
ancora il cuore battere
all’impazzata?
Inconsapevole, si passò una mano
sul viso stropicciandolo in una vacua carezza. Che
incantesimo mi
ha lanciato quella strega per farmi stare così male?
«Sirius
Black!» strepitò sempre più impaziente,
Ramoso. «Quanto è vero
che mi chiamo James Potter, ora mi dirai cosa ti turba!»
Il
Grifone fece scivolare dalle spalle snelle il mantello e lo
lanciò
su una pila di libri accatastati più in là. Poi,
constatato il
perdurare dello stato catatonico dell’amico, dopo aver preso
un
grosso respiro, evocò un secchio d’acqua
ghiacciata che gli
rovesciò in testa.
Sirius
scattò in piedi imprecando malamente, scuotendo la testa
come
avrebbe fatto un cane. Mille gocce fredde scolarono dai capelli neri
lambendo la pelle del collo, facendolo gemere di disappunto.
«Ma
che!?» esclamò, per poi guardare torvo James,
già intento ad
asciugarlo. «Bell’amico che sei, se finisco in
infermeria, dopo,
come farai senza di me?» gli disse canzonatorio.
Sbuffò sonoramente
e si girò, inforcando veloce le scale che portavano alla
loro
stanza.
Mentre
saliva i gradini due a due, l’immagine di un volto dagli
occhi
profondamente verdi gli fece quasi perdere il passo, mentre una fitta
dolorosa gli partiva dal cuore per schiantarsi dritta nel cervello.
Non deve sapere, non deve sapere! si ripeteva come
un mantra.
James, non deve sapere.
«Sei
ancora vivo?» La voce preoccupata di James lo
riportò nella loro
camera, sul letto a baldacchino dove stava rigido con gli occhi
puntati in alto.
Non
era abituato a tutto quel rimescolamento di emozioni, agli spasmi nel
petto, all’inspiegabile desiderio di vedere, toccare, baciare
una
singola persona.
Inoltre,
non riusciva a capire come quel farfugliare dello stomaco si fosse
esteso fino al cervello. Sono sotto Imperio?
pensò stupito
alzandosi di scatto. Un secondo dopo scrollò le spalle e si
diede
dello gnomo da giardino.
«Credo
di essere in un mare di cacca di Troll,» si lasciò
sfuggire
voltando le spalle a James. Dentro di lui si scatenò una
piccola
guerra sulla necessità di confidarsi o meno, che mise a
tacere
storcendo il naso, spazientito.
«Adesso
basta!» sbottò Ramoso scuotendo le spalle di
Sirius. «Non ti
riconosco più! È da qualche giorno che sei
distratto e ciondoli da
una lezione all’altra con un’espressione torva.
Merlino! Hai
fatto scappare a gambe levate Daisy, capisci!? Daisy! La strega per
la quale abbiamo passato svegli una notte intera mentre tu ne
decantavi le virtù.»
James,
serrata la presa, lo scaraventò su una panca sotto la
finestra.
«Non
costringermi a lanciarti una Fattura Pungente! Ora stai seduto qui e
mi dici cosa c’è o, sta pur certo, che domani
andrai in giro con
delle pustole su tutto il corpo!»
Sirius
guardò negli occhi l’amico e capì di
non avere scampo. Quando
James perdeva il perenne sorriso sghembo sulle labbra sottili era
capace di fare qualsiasi cosa, anche ai suoi danni.
Rassegnato,
chinò il capo e fece un drammatico respiro. Sotto la
minaccia della
bacchetta dell’amico, rialzò la testa
altezzosamente, fissò un
punto oltre il vetro della finestra e raccontò dello
straordinario
scherzo fatto ai danni di Piton.
Un
secondo dopo, Ramoso uscì di corsa dal dormitorio, incurante
di aver
travolto sulle scale un paio di Grifoni.
Alle
nove precise, Severus Piton osserva Minus caracollare verso il
Platano, pigiare una radice per fermare i suoi rami e imbucarsi in
uno stretto passaggio. Trepidante, attese pochi minuti prima che il
nascondiglio venisse riaperto. Soddisfatto, sicuro di aver la
vittoria in pugno, ripetuti i gesti del Grifone, scese nel
sottosuolo, incontro al proprio glorioso destino.
Poco
dopo, nel momento in cui un trafelato James raggiungeva il rifugio,
un urlo terrificante invase la notte.
Due
ore dopo, una volta rientrato in dormitorio, James cominciò
a
inveire contro di lui.
«Dovrei
cruciarti, stupido cane pulcioso! Hai sostituito il poco cervello in
tuo possesso con caccole di Troll?» James camminava infuriato
per la
stanza, gesticolando come un ossesso. Dietro le lenti i suoi occhi
erano sgranati, l’abituale malizia sostituita da una patina
di
terrore. «Spera solo che il preside non espella Remus
perché
altrimenti ti accompagno personalmente a calci fino sulla soglia di
Azkaban.»
«Vedrai
che non lo farà,» motteggiò con
sufficienza Sirius, la spalla
mollemente appoggiata alla colonna del baldacchino, mentre con
indifferenza scrutava le unghie della mano. «Troppa
pubblicità e la
scuola rischierebbe di chiudere. Credi a me, ci saranno tolti una
valanga di punti, saremo in punizione da qui ai M.A.G.O. e la
faccenda si chiuderà in una bolla di sapone. Il solito,
insomma.»
«Tu
non vuoi proprio capire, emerito cretino.» James lo raggiunse
e
l’agguantò per il colletto della camicia.
«Se non fossi arrivato
in tempo Lunastorta avrebbe ucciso Mocciosus,» gli
sibilò in
faccia, gli occhi stretti in due fessure e le narici dilatate dalla
furia.
Sirius
scrollò le spalle obiettando che si trattava solo di Piton,
come se,
pronunciando quel nome, ogni azione fatta perdesse di rilevanza.
James si allontanò interdetto, scuotendo il capo. Lo
fissò ancora
per qualche istante prima di voltarsi; raggiunse il suo letto e vi si
accasciò sopra, rilasciando un lungo sospiro frustato.
Allungò le
braccia ancora lievemente tremanti dietro il capo e chiuse gli occhi.
Pensando
di aver superato indenne l’ennesima tempesta, Sirius
raggiunse
l’amico pronto a ridere con lui del brillante scherzo fatto
al
Serpeverde. Invece, Ramoso sguainò la bacchetta e chiuse con
un
gesto secco le tende, inchiodando Felpato nell’atto di salire
sul
materasso. Da dietro il tessuto James borbottò:
«Spero che passare
una notte all’addiaccio, bloccato in questa assurda
posizione, ti
aiuti a comprendere meglio la gravità della situazione. In
caso
contrario, prendilo come uno scherzo ai tuoi danni andato a buon
fine. Buona notte.»
L’indomani,
l’afa nelle serre, costrinse Sirius ad allentare la cravatta
mentre
un rivolo di sudore gli appiccicava la camicia alla schiena. Era
decisamente stanco e gli occhi arrossati denunciavano la mancanza di
sonno.
Quella
mattina, quando il dormitorio si era svegliato, lui era ancora
imprigionato nella pastoia infertagli da James. Per tutta la notte
non aveva fatto altro che rimuginare su quello che era successo la
sera prima e su dove avesse sbagliato. Non si era pentito affatto,
anzi, se non fosse stato per l’effetto sorpresa ormai
evaporato,
avrebbe tentato di nuovo di far incontrare Lunastorta con Mocciosus.
Due
ore dopo, accolse con entusiasmo la fine della lezione di Erbologia
e, costringendo le lunghe gambe a dolorosi passi, si accinse verso la
Sala Grande.
«Hai
un attimo, James?» Lily, la frangia a coprire gli occhi
verdi, si
mordicchiava nervosamente la pellicina dell’indice sinistro
mentre
aspettava la risposta dell’altro ragazzo.
Ramoso,
dato uno sguardo veloce ai compagni, le indicò un sentiero
acciottolato che risaliva verso il castello. Più in
là, protetta da
un salice piangente, c’era una panchina in ferro battuto. Una
volta
giunti lì, Lily, seppure in evidente imbarazzo, non perse
tempo.
«Ben
sapendo che Severus non lo farà mai, io ti ringrazio a nome
suo,»
gli disse arrossendo. Poi, visto l’espressione guardinga del
ragazzo, si affrettò ad aggiungere: «Ieri sera ero
in infermeria e
ti ho visto portarlo lì in condizioni pessime. Guardando le
ferite
ho immaginato a cosa era andato incontro e… sei stato
coraggioso ad
affrontare Lupin tutto da solo.»
«Ma
come?» l’interruppe agitato James. Di rimando, Lily
sorrise, uno
di quei sorrisi caldi che ti ricordano l’estate con le
rondini che
solcano i cieli tersi.
Il
cuore di Sirius, che spiava impunemente la scena insieme a Minus,
perse dei battiti e si contrasse fino a farlo gemere sommessamente.
Il ragazzo si portò un pugno al petto per calcarlo sullo
sterno, nel
vano tentativo di calmarne il ritmo agitato. Sudava freddo e un forte
risentimento verso l’amico gli incendiò le vene.
Perplesso, fece
un paio di passi indietro, mantenendo gli occhi chiari fissi sulla
figura snella della ragazza.
«Sì,
so anche io cosa affligge Remus,» rivelò.
«Lo scoprii per puro
caso una sera del nostro secondo anno e, da allora, sono io che
preparo la sua pozione per Madama Chips,» gli sorrise
raggiante.
James, preso alla sprovvista, si grattò distrattamente
dietro la
nuca, ondeggiando lievemente il corpo avanti e indietro. Per un
infinito momento si guardarono negli occhi, quasi avessero interi
anni di parole non dette da recuperare.
Sirius,
stizzito, non attese oltre e discese il sentiero fino a raggiungere
uno spiazzo erboso. Turbato, diede qualche calcio ai fili
d’erba
borbottando come una pozione impazzita.
«Dovrei
essere contento,» sibilò al vento.
«James è riuscito nel suo
intento. E io dovrei essere con lui a festeggiare e a prenderlo in
giro! Non qui a mordermi le mani per non urlare dalla
rabbia,»
grugnì. «Cosa c’è di
sbagliato in me?»
Con
gli occhi stretti in due fessure, osservò il gruppetto
risalire la
china verso il castello. Sembravano tutti contenti mentre
parlottavano fra loro e non gli piacque per nulla notare come, quei
due, si lanciassero fugaci occhiate. Dalla gola stretta
risalì
un latrato che sfogò premendo i pugni contro le tempie
ripetendo
come una litania: «Stupido! Stupido! Stupido!»
Un
piccolo gufo dalle morbide ali marroni stridette nell’aria.
Aveva
appena consegnato a Sirius una pergamena dove era scritto che avrebbe
dovuto recarsi immediatamente in presidenza. Il Malandrino scosse
piano la testa e, rassegnato, si accinse a fare come richiesto.
Ignorando lo stomaco che borbottava e seppellendo il rancore in fondo
alla gola, affrettò il passo verso gli amici ormai prossimi
all’entrata del castello.
«Lo
sai che hai degli occhi stupendi?» Dal prato antistante la
casa del
custode risalivano la china i due Prefetti di Corvonero, mano nella
mano, espressioni ebeti sui volti.
Sirius,
schifato, rallentò il passo per non doverli affiancare. Pazienza,
il preside aspetterà,
pensò già
notevolmente infastidito per il colloquio che avrebbe dovuto
sostenere da lì a cinque minuti.
«Dici
sul serio?» rispose con voce zuccherosa la ragazza mentre
sfarfallava le ciglia e chinava il volto arrossito.
Ma
guardateli! pensò sdegnoso tra
sé. Spero di non avere
anch’io gli
occhi a cuoricino o, innamorato o
meno, mi butto nel Lago Nero e bacio la Piovra Gigante.
Sirius
si pietrificò con un piede alzato nell’atto di
poggiarlo sul primo
gradone antistante il portone d’ingresso quando nella sua
testa si
propagò un enorme ‘sbam’.
Da
qualche parte, nell’universo, un sole era certamente entrato
in
collisione con un pianeta e aveva creato un immenso vortice a
spirale che aveva colpito incautamente il povero Malandrino.
«E
questa da dove è uscita?» quasi urlò,
troppo sconvolto per tenere
a bada le proprie emozioni.
«Tutto
bene?» gli chiese apprensivo James mentre gli si avvicinava
con
cautela. «Sembra che tu abbia bevuto un barile di pozione
repellente
per le lumache carnivore.»
Sirius,
grugnendo un paio di imprecazioni, lo rassicurò che era solo
stanchezza, visto che, grazie a lui, aveva passato tutto la notte
pietrificato. James gli sorrise con affetto, passò un
braccio
intorno al suo collo e, tutti insieme, entrarono nell’atrio.
«Andate
pure avanti,» li incitò ad entrare in Sala Grande,
«vi raggiungo
più tardi. Ah, Minus, tienimi da parte un po’
d’arrosto.
L’ultima volta ti sei così ingozzato che poi non
ce n’è stato
più per nessuno.» Rassegnato si
affrettò a raggiungere il preside.
Era
seduto da almeno cinque minuti e già si era pentito di aver
varcato
da solo la soglia. Era James quello che sapeva affrontare ogni
situazione. Lui era soltanto una testa calda, un rivoluzionario
arrabbiato e rabbioso.
In
silenzio guardava con odio la cenere che pochi istanti prima era
stata una Strilettera a lui indirizzata. Sua madre, con grande
godimento, lo avvertiva che, alla fine di quell’anno
accademico,
avrebbe trovato l’uscio di casa sbarrato. Come se a lui
facesse
piacere varcare la soglia di quel mausoleo, inno indecoroso alla
Magia Oscura.
Però,
ciò che più lo tormentava erano le somiglianze
che aveva con la sua
famiglia d’origine. Usava gli stessi metodi, le stesse
angherie,
solo rivolte alle persone sbagliate, come si era
premurata di
sottolineare la ‘deliziosa’ voce della madre.
Sirius
serrò i denti e la bocca prese una piega amara. Ciò
che mi
distingue da voi, cara madre,
pensò con scherno, è
che io ci tengo agli amici. Loro sono la mia casa, la mia famiglia.
E, a differenza vostra, io so come proteggerli perché li amo
e li
stimo. A dispetto di tutto ciò che
rappresentano di
sbagliato per voi.
Chiuso
in quello studio, con le voce gentile del preside e le dure parole
della sua Capo Casa a fare da sfondo, giurò a se stesso che
avrebbe
fatto tutto ciò che era in suo potere per proteggere gli
amici.
Avrebbe rinnegato se stesso, violentato la sua anima, perso la
propria dignità e la vita stessa pur di renderli fieri di
lui.
Per
amore di James, avrebbe cercato di soffocare quel piccolo germoglio
che il suo cuore si ostinava ad abbeverare. L’avrebbe
nascosto nei
recessi più bui della sua mente, in un luogo così
oscuro che solo
la fame dei Dissennatori sarebbe riuscita a riportare a galla.
Note
autrice: Devo
ammettere che non è stato facile scrivere di Sirius,
soprattutto in
un contesto così delicato. Ho
cercato di mantenerlo il più IC possibile e di farlo muovere
in
coerenza con i tempi della trama originale dei libri di Harry Potter.
Il
tutto si svolge verso la fine del suo quinto anno a Hogwarts. Forse
la decisione si abbandonare la propria famiglia è stata
presa in po’
in anticipo ma sono certa che il motivo da me evidenziato potrebbe
essere plausibile.
In
caso di dubbi o scorrettezze fate sapere.
Buona
lettura e sono graditi i commenti.
Ecco
il link: https://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3761918&i=1
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