Solo un pensierino per la mia 3 preferita che NON mi ha
chiesto un sequel di “As if we were brothers” e che,
perciò, se lo ritrova qui con un finale speciale tutto per lei.
Non chiedete, e vi sarà dato!!!
I Jonas Brothers non mi appartengono e la storia non è
scritta a fini di lucro.
Temperance
Ancora
una notte
Insieme
Sapete, a volte il tempo quassù passa senza che uno nemmeno
se ne accorga e ci sono dei giorni in cui desideriamo solo che ai nostri parenti
e amici laggiù sia dato qualche anno in più, perché la vita non è come la morte
e anche lo scorrere dei minuti si percepisce con sconcertante chiarezza.
Sono convinto che nessuno laggiù direbbe che sono morto da
venticinque anni... e nemmeno io lo direi, ad essere del tutto sincero.
È che qui è diverso, appunto... e quando uno rimane un
ventenne per tutta l’eternità gli risulta davvero difficile tenere il conto
degli anni.
Se non fosse per i miei fratelli, credo l’avrei già perso da
un pezzo... e invece io ho tre teste calde, lì sulla Terra, da tenere d’occhio.
Due fratelli naturali e uno, per così dire, adottivo le cui
vite occupano tutte le mie giornate... e a cui qualcosa di davvero speciale sta
per succedere perché, più difficile è dire addio ad una persone e più bello,
infinite volte più bello è ritrovarla quando si pensava di non vederla mai più.
Devo andare via e porterò con me solo l’essenziale
Perché il mio progetto costruisce tutto sotto un altro sole
Se uno parte è perché non può più stare qui
Ma c’è ancora una notte insieme
Per poter dare ai fatti un nome che non sia fine
Joe si sedette sul letto di Nicholas, raccogliendo in una
mano il morbido orsetto di peluche azzurro con cui suo figlio aveva giocato
così tante volte e che altrettanto spesso lo aveva aiutato ad addormentarsi.
Davanti all’armadio vuoto giacevano, perfettamente chiuse e
già pronte per essere gettate nella stiva dell’aereo, due grosse valigie rosse
su cui spiccavano i cartellini bianchi con la scritta Nicholas Jerry Jonas II e
il nuovo indirizzo a cui sarebbe andato ad abitare il mio primo nipote.
Quando Nick aveva annunciato a Joe e Liz, il giorno del suo
ventesimo compleanno, di volersi arruolare in marina, i suoi genitori quasi non
ci avevano creduto.
Poi era stata la volta delle domande, dei perché, dei per
come e dei sei sicuro e il ragazzo aveva risposto a tutte egregiamente,
spiegando ogni risvolto della sua decisione.
Voleva andare via per fare qualcosa al mondo, il mio
nipotino, perché rimanere a Princeton e lavorare in un negozio o recitare per
qualche regista famoso non gli sembrava abbastanza.
Voleva fare qualcosa, sì, qualcosa di concreto e per questo
aveva deciso di partire, portando con sé solo quelle due valigie colore
dell’amore e del sangue, nonostante tutti avessero fatto di tutto per fargli
cambiare idea.
“Parto perché qui non c’è posto per me, perché voglio essere
grande ed esserlo lontano da qui.” Aveva spiegato a Kevin, ravviandosi i
capelli ricci e nemmeno lui lo aveva capito, in quel primo momento, ma non
aveva ribattuto, perché la vita gli aveva insegnato fin troppo bene che capire
tutto è impossibile e a volte bisogna semplicemente lasciarsi trasportare,
senza farsi troppe domande, perché, prima o poi, le risposte arrivano anche da
sole. “Papà e mamma non capiscono... non capiscono che io qui non posso fare
niente di buono e che c’è un mare là che mi aspetta e dove sarò davvero in
grado di combinare qualcosa. Ma lo vedranno, un giorno. Lo vedranno e saranno
fieri di me.”
E forse Joe ed Eliza davvero non vedevano che loro figlio
aveva deciso di cambiare il mondo e di farlo un passo alla volta, ma io credo
che anche Nick non vedesse ciò che la sua decisione comportava.
Come l’insicurezza e la paura, perché la marina è sempre un
corpo militare ed è estremamente facile rimanere feriti o peggio.
Oppure, più semplicemente, come la malinconia di vedere il
proprio figlio, una parte della propria vita, una parte di se stessi, lasciare il
nido e volare via verso posti e persone che nessuno conoscerà fino a che non
saranno entrati a far parte della sua vita in modo completo e definitivo.
Facendolo sorridere e soffrire, come sempre avviene e come è
giusto che sia.
E poi era cieco anche di fronte ad un’altra cosa, il giovane
Nick.
Qualcosa che forse non si sarebbe mai aspettato, dai suoi
genitori.
Eppure c’era, io lo so, perché nessuno conosce il vecchio
Danger meglio di me e quello che leggevo nei suoi occhi ogni volta che spiegava
a qualcuno la strada che il suo bambino aveva deciso di intraprendere non era
altro che puro e semplice orgoglio.
Per questo Joe era seduto sul suo letto, quella sera, alla
vigilia della sua partenza, con un orsacchiotto di peluche in mano e un grande
sorriso in volto, per dirglielo, per fargli sapere quanto incredibilmente fiero
fosse di lui e quanto quella notte, la loro notte, fosse importante per lui.
E anche un po’per dirgli che gli sarebbe mancato.
Beh... forse anche più di un po’.
Devo andare via senza avere niente da dimenticare
Perché nei ricordi abitano amori ed amicizie vere
Questa vita si arrotola e il tempo ci dà il potere di non
sbagliare
Perché il tempo ci insegna quando
E da chi tornare
Christian scattò un’altra foto -forse la quinta, quella
sera- al battello che, placidamente, accompagnava turisti di ogni nazionalità
lungo tutto il corso di quella Senna costellata di luci colorate.
Amava l’estate parigina e, dopo vent’anni trascorsi lì, gli
sembrava quasi innaturale pensare che il giugno successivo non sarebbe più
stato sulla sponda a guardare quel barcone bianco che, oramai, faceva parte
delle sue giornate quasi quanto la scuola e la sua famiglia.
“Hai già riempito quasi un Giga di memoria con quelle
immagini... quante ancora ne vuoi scattare, prima di partire?” Domandò una
Monique dai capelli insolitamente corti, stretta in uno scialle leggero a causa
della temperatura insolitamente fresca di quei mesi.
Chris si strinse nelle spalle, raddrizzandosi gli occhiali
sul naso.
“Non voglio rischiare
che Parigi sbiadisca nei miei ricordi. Questa è sempre casa mia, dopotutto.”
“Hai talmente tante case sparse per il mondo che io, al tuo
posto, avrei già perso il conto.”
“Dove attacco i miei
vestiti quella è casa mia...*” Canticchiò l’uomo in italiano, ravviandosi i
capelli che, ormai, iniziavano a virare verso il bianco.
Christian con i capelli bianchi... se me lo raccontassero, forse non ci
crederei, considerato che è mille volte più giovane di tante, tante persone che
hanno meno anni di lui.
È strano il mondo...
“Che cosa vuol dire?” Chiese lei, appoggiando il mento alla
sua spalla e stringendogli una mano tra le proprie.
“Vuol dire che casa mia non è dove
vivo, ma dove ci sono le cose a cui tengo di più e Luciane resterà qui e il
piccolo Maurice con lei, quindi Parigi avrà sempre un posto speciale nel mio
cuore ed è casa mia più di qualsiasi altro posto.”
“Ma vuoi tornare a Princeton.”
Chris annuì con un sorriso a metà.
“Ma voglio tornare a Princeton.” Pausa.
“Anche se non ne sono sicuro.” Ammise, spostando lo sguardo dalla Senna agli
occhi scuri di quella che ormai da vent’anni era la sua compagna e la sua
migliore amica.
“Perché mi sembra che ne abbiamo
già parlato?”
Christian ridacchiò, voltandosi e stringendola
a sé.
“Perché è così. Non sono certo di
voler lasciare qui mia figlia.”
“Lulù ha George e Maurice e loro
sono la sua famiglia molto più di quanto non lo siamo noi, ora. E poi Jonathan
è così esaltato all’idea di andare in America.”
Christian inclinò leggermente il
capo, guardandola al di sopra degli occhiali.
“Tuo figlio vuole andare in America solo perché ha ereditato quella
tua ridicola passione per le macchine e pensa che lì potrà averne una più
potente.”
“Ma Jonathan sarà tuo figlio quando bisognerà dirgli che
non l’avrà affatto.”
“Sempre io il cattivo, eh?”
“Sempre, mon tresor, sempre.”
Monique sorrise, affondando una
mano tra i capelli di lui ed alzandosi in punta di piedi per baciarlo, non
prima di aver biascicato qualcosa riguardante il fatto che la sua passione non
era affatto ridicola.
A volte penso che quei due non
invecchieranno mai... d’altronde, com’è che era quella frase, quella che Kev
aveva segnato sul suo diario l’ultimo anno di liceo?
Ah, sì.... chi mantiene la capacità
di vedere la bellezza non invecchia mai. Potrà morire di vecchiaia, forse, ma
morirà comunque giovane.
Beh, più o meno... non ho mai avuto
una gran memoria per queste cose.
“E tu sei felice di partire,
Christiàn?”
“Li rivedrò...”
“Lo so.”
“Li rivedrò e dovrò spiegare a
Kevin il perché di vent’anni di silenzio, un perché che forse nemmeno esiste.”
Silenzio.
Le note di una tradizionale canzone
d’amore francese si alzarono dal battello.
“E sì, ne sono immensamente felice.
Devo andare via perché il mio cuore sta battendo
lentamente
E se cerco Dio dentro la libertà ci trovo
poco o niente
E non fa solo male ma molto di più ma c’è
ancora una notte insieme
Per poter dare ai fatti un nome che non sia
fine
“Che cosa stai facendo?” Domandò
Jaqueline, avvicinandosi al divano sul quale, circa un mese prima, sua figlia
si era accampata senza nemmeno darle la possibilità di capire bene il perché e,
tanto meno, di rispedirla a casa da quel marito che, a detta sua, non voleva
più vedere.
Martha alzò appena gli occhi dal
borsone che stava riempiendo alla rinfusa con i suoi vestiti e rivolse alla
madre un sorriso radioso.
“Torno a casa... certo, sempre che
Kevin mi voglia ancora.”
La donna più anziana si avvicinò alla
figlia, iniziando a togliere gli abiti dalla valigia e a ripiegarli prima di
rimetterli dentro.
“Beh?” Domandò Martha, dopo un po’.
“Beh che cosa, tesoro?”
Martha inarcò un sopracciglio.
“Allora, arrivo a casa tua, occupo
il tuo salotto per un mese rifiutandomi di vedere Kevin, non ti spiego quello
che è successo e ora decido di tornare dalla mia famiglia e tu non dici niente?
Niente di niente?”
Jaqueline si strinse nelle spalle,
riponendo nella borsa un paio di shorts.
“Non ricordavo che li avessi tu,
questi.”
“Mamma...”
“Tesoro, io non dico niente perché
sapevo che sarebbe andata così. Tu e Kevin avete lottato come leoni per stare
insieme e una lite non vi può separare. Senza contare che senza di lui e senza
le ragazze tu non sai vivere. Diciamo che hai avuto...beh, una crisi di mezza
età leggermente anticipata, ma nessuno ne farà un dramma, credimi. Ti sei
fidanzata a diciotto anni e sentivi la mancanza di un po’di libertà. Ora l’hai
provata e...”
“...e so che non fa per me, sì.
Pensavo di essere triste perché con Kevin non funzionava più, pensavo che
stando lontana da casa per un po’avrei trovato... oh, non so nemmeno io che
cosa. Invece da quando non sono con lui è un po’come se il mio cuore avesse
deciso di non battere più.”
“Martha, queste cose non le devi
dire a me.”
La donna annuì, ravviandosi i ricci
chiari.
“Dici che rischio di essere
sbattuta fuori se mi ripresento a casa?”
Jaqueline ridacchiò, chiudendo la
lampo del borsone.
“Io dico che sarà meglio che le tue
figlie non siano in casa.”
“Perché ho idea che il tuo Kevin
non solo non ti sbatterà fuori, ma vorrà passare una bella notte insieme per
darti il bentornata!”
***
L’istituto T.A. Edison
di Princeton
Invita tutti gli alunni
e gli insegnanti della classe di diplomati
2012
Al raduno che si terrà
a scuola
Sabato 23 giugno
Alle ore 20.30
Per festeggiare i
vent’anni dal diploma
***
E si vincerà e si perderà,
siamo e restiamo sempre noi
come fiumi ed affluenti al mare!
“Dovevamo restare a casa...” Mormorò Martha, scivolando sulle
note di uno dei primi lenti della serata, appoggiata alla spalla di Kevin.
“Voglio dire, tua moglie che ti aveva lasciato torna da te e tu che fai? Vai
alla festa della scuola?”
“Mia moglie che mi aveva lasciato dovrebbe solo essere
contenta di aver trovato la porta ancora aperta, non trovi?” Ribatté lui,
sorridendo appena ed assaporando il profumo dei capelli chiari e morbidi di
lei.
“Trovo che sembriamo due adolescenti al ballo del diploma.”
“Io non ero esattamente un adolescente al tuo ballo del diploma....”
“Bene bene, coppiette,
guardate un po’qui cosa ho in mano? Esatto, ragazzi, sono loro: le corone di re
e reginetta del ballo di quest’anno! Volete sapere a chi andranno questi
gioiellini?”
In risposta alla
domanda del dj, si levò un coro di assensi che avrebbe probabilmente fatto una
figura di tutto rispetto anche allo stadio.
“Perfetto e allora
tutti fermi e vediamo per chi avete votato! Professoressa Blanchett, mi porta
le buste per favore?”
E c’era tensione e
voglia di primeggiare un’ultima volta... o una prima, in quel liceo che per
alcuni era stato una reggia e per altri una giungla.
Una competizione
sciocca ed importante, quella dell’ultima notte di scuola superiore.
Una competizione dai
vincitori totalmente inaspettati.
“Uo-hoo!” Esclamò il
dj, strabuzzando gli occhi di fronte agli inaspettati verdetti. “Ma prof, è
possibile un risultato del genere?”
La donna si strinse
nelle spalle, mormorando qualche cosa che suonava molto come “Li avete votati
voi.”
“Benissimo, allora!
Signore e signori, stanotte si fa la storia! Per la prima volta il re del ballo
di fine anno è un professore! Kevin Jonas, vieni a prenderti la corona, insieme
alla tua bella regina, Martha Shepherd! A voi il primo ballo della serata... ma
prima un bel bacio!”
Ed era stato un
po’come un anticipo del loro matrimonio, quel trovarsi lì, in piedi insieme di
fronte a tutti con una piccola folla unita al grido di “bacio, bacio, bacio!”
Accontentarli,
dopotutto, non era stato poi tanto difficile.
Martha si separò lentamente dalle labbra di Kevin,
deponendovi prima un ultimo, minuscolo bacio, e voltandosi infastidita, verso
chi aveva richiamato la sua attenzione.
“Joe...” Mormorò, confusa. “Ma non avevo lasciato da te tre
delle mie figlie?”
Joe sorrise, stringendosi nelle spalle e rivolgendo un gesto
di saluto al fratello.
“Liz è con loro. Io ho ricevuto questo...” Spiegò, mostrando
l’invito al ballo. “Anche se non so perché, considerato che non sono né alunno
né insegnante. Ne sapete qualcosa?”
Kevin prese tra le mani il foglio, leggermente spiegazzato e
gli gettò un’occhiata veloce, prima di restituirlo al fratello.
“Ti è arrivato per posta?”
“Sì, in una busta senza mittente. E insieme c’era questo.”
Il biglietto era stato ottenuto strappando un foglio di
carta da lettera rosa, da bambina e la calligrafia in cui erano scarabocchiate
le poche parole “Spero con tutto il cuore di potervi vedere. Vi aspetto
all’ingresso.” era elegante e perfettamente regolare, nonché fin troppo nota a
Kevin.
“Ma come fanno a
leggere?”
Kevin si voltò, leggermente
scocciato, infilandosi la penna rossa dietro all’orecchio.
“No, la domanda giusta
è come faccio io leggere la loro calligrafia.”
Christian si strinse
nelle spalle, sedendosi sul tavolo e sulle verifiche che il suo collega stava
correggendo.
“Tu sei il professore:
è la tua fatica quotidiana. Ma loro i tuoi commenti dovrebbero capirli al volo,
non decifrarli con un dizionario di geroglifici. Sai com’è, i ragazzi tendono a
perdere interessi se non colgono al volo il concetto.”
“Vediamo, signor esimio
professore, vediamo i suoi commenti scritti a regola d...”
Non fece in tempo a
terminare la frase che si trovò un foglio a quadretti appiccicato al naso.
Sotto ad una quantità
esorbitante di termini informatici che nemmeno si sforzava di capire, faceva bella
mostra di sé una riga vergata in inchiostro arancione e in una calligrafia a
dir poco perfetta.
“Va bene, ho capito,
Mr Prato è una stampante d’alta precisione. E dimmi, avevi finito l’inchiostro
rosso oppure c’è qualche motivo che mi sfugge per cui scrivi in arancione e non
come tutti gli insegnanti di tutto questo bellissimo pazzo mondo?”
Chris scosse il capo,
facendogli l’occhiolino.
“Per essere
insostituibili bisogna essere unici. È il mio motto.”
“E chi l’ha detto? Tu?”
“No, la cara zia Coco.” Esclamò il biondo,
saltando giù dal tavolo.
“Coco?”
“Chanel, Mr Jonas.”
Concluse, uscendo dalla sala professori e chiudendosi la porta alle spalle.
Kevin rimase ancora per un paio di secondi a fissare il
biglietto con espressione incredula, poi le sue labbra si piegarono in un
sorriso che ben presto contagiò anche gli occhi.
“Joe, io lo so chi te l’ha mandato!”
Il mondo è una città e
anche se non vuoi
Ci ritroviamo prima o poi
Christian aspettava.
Monique, seduta su un muretto a pochi passi da lui, osservandolo
come se lo vedesse in quel momento per la prima volta. In Francia, vent’anni
prima, aveva conosciuto un uomo ironico e scanzonato che la vita aveva voluto
prendere in giro e che a quelle prese in giro aveva risposto per le rime.
L’aveva fatta, arrabbiare e anche un po’piangere, ma così
non lo aveva visto mai.
Sembrava impaurito, impaurito di non ritrovare in quel posto
ciò che vi aveva lasciato.
Ci aveva provato mille volte, Monique, a farsi spiegare
perché non avesse più voluto tenere i contatti con i suoi amici americani, ma
non ci era...
“Avevo paura.” Giunse la spiegazione di Christian, nemmeno
le avesse letto nel pensiero.
“Come?”
“Non ho più scritto a Kevin perché avevo paura che tutto...
tutto il veleno che l’America aveva iniettato
nella mia vita potesse infettare anche quel nostro piccolo paradiso in Francia.
Non potevo permetterlo... lo capisci, Monique?”
No, non lo capiva.
Dubitava seriamente che qualcun altro avrebbe potuto capire
quello che Chris pensava, ci era abituata, oramai, e questo lato di lui, ancora
dopo vent’anni, non cessava di affascinarla.
“No, Chris... non capisco, ma...”
“Ma rispetti. Lo so. Rispetti sempre ciò che penso. Per
questo ti amo.”
La donna sorrise e fece per rispondere, ma proprio in quel
momento tre figure sgusciarono fuori dall’edificio della scuola, e lei capì che
erano loro anche senza averli mai visti.
Capì che era il momento.
“Christian!” Esclamò Kevin, dando all’amico a malapena il
tempo di voltarsi, prima di gettargli le braccia al collo.
Joe si unì all’abbraccio di slancio, facendoli capitombolare
a terra tutti e tre in un coro di risate gioiose.
“Big, accidenti a te, non ho più vent’anni!” Esclamò
Christian, senza smettere di ridere, guardando negli occhi scuri dell’uomo
accanto a lui. Finché era stato lontano, non si era reso conto di quanto gli
fossero mancati, così come anche quelli verdissimi di quell’altro, che si stava
mettendo in ginocchio di fronte a loro.
“No, ma è da vent’anni che non ti vediamo! Dove eri finito,
brutto deficiente di un italiano?” Domandò Kevin, mentre anche Chris
riguadagnava la posizione seduta.
“È una storia lunga, ma prometto che ve la racconterò.”
Rispose, ravviandosi i capelli, mentre le risate di tutti si spegnevano in
semplici sorrisi accompagnati da un po’ di fiato corto.
Joe gli si avvicinò un po’di più, scrutando con attenzione i
suoi capelli, fino a farlo scostare leggermente, incuriosito.
“Che c’è, ho i pidocchi?”
“No ma... sono bianchi.”
Chris si strinse nelle spalle.
“Sì... ho cinquantatré anni e i capelli bianchi. La cosa
strana è che tu e tuo fratello non ne abbiate nemmeno uno.”
“Fortuna e buoni geni.” Rispose semplicemente Kevin. “Mi sei
mancato, sai?”
Christian annuì, sorridendo.
“Anche tu...anche voi. Tutti voi.” Sottolineò, facendo un
cenno in direzione di Martha, che si era tenuta in disparte. “Ho tante di
quelle cose da raccontarvi... come sta il piccolo Nicholas?”
Joe abbassò lo sguardo, rabbuiandosi un poco, ma con una
piccola scintilla d’orgoglio ben visibile negli occhi color caramello.
“Ha ventun’anni, il piccolo Nicholas... ed è partito ieri
sera. Marine.”
“Caspita...” Replicò il professore di informatica,
sinceramente ammirato. “Scommetto che anche i tuoi figli sono ragazzi così
speciali... e anche tanti, considerato che non ti sei mai risparmiato.” Kevin
ridacchiò sommessamente, immaginando, a ragione, il rossore spuntare sulle
guance di sua moglie. “Non come il mio... donne, macchine, discoteca e poco
altro.”
“Ora dice così, ma in realtà lo adora, credetemi.” Si
intromise Monique, passando tra Kevin e Joe e andando a sedersi sulle gambe di
Chris, attirando tre paia d’occhi increduli e curiosi. “È un papà e un nonno
meraviglioso.”
“E lei è solo un souvenir che hai portato da Parigi o hai
qualcosa da spiegarci?” Domandò Kevin, tendendo la destra verso Monique, che la
strinse, decisa.
“Sono Monique Lemoin, sua moglie... più o meno.”
“Kevin Jonas, suo migliore amico, appena tornato in
servizio.”
“No, no, aspettate un secondo, tutti quanti!” Esclamò Joe,
scattando in piedi ed alzando le mani come un direttore d’orchestra che
richiama l’attenzione dei suoi musicisti. “Tu sei sposato? Con una donna?”
Christian ridacchiò.
“Si cambia, sai?”
“Oui.” Asserì,
convinta, Monique, sporgendosi a dargli un bacio sulla punta del naso. “E certi
cambiamenti sono tutto guadagno.” Concluse, mordicchiando appena il punto
appena baciato.
Christian rispose con una linguaccia.
“Ma dai, ragazzi, ditemi qualcosa di voi, racc...”
“Christiàn, hai tutto il tempo che vuoi...godetevi questa
serata.”
“Vuol dire che resti... prof?” Domandò Martha, avvicinandosi
al gruppo ed appoggiandosi alle spalle del cognato.
“Se Princeton ha ancora un po’di posto per un vecchio
professore che ha ancora qualcosa da insegnare sì, resto.”
“Ci sarà sempre posto per te... vedrai quando lo saprà
Morghana!”
Chris sgranò gli occhi dietro alle lenti trasparenti.
“È ancora preside?”
Kevin replicò con un lungo fischio.
“Ci seppellirà tutti, quella.”
“Eccoli che ripartono... mi aiuti tu, Martha?” Domandò
Monique, facendo sorridere tutti i presenti con il suo dolce accento francese.
“Certo! Tutti a casa, bimbi! Telefono a Emma per chiederle
di ordinare una pizza e dico a Liz di portare anche le gemelle e la piccola:
questa notte si sta tutti insieme.”
“Le gemelle, la piccola ed Emma... Quattro? Hai quattro
figlie, Kevin? Quattro femmine?”
Chiese Christian, incredulo.
“Che con Martha fanno le cinque donne della mia vita.”
“Ti ammiro, amico mio.” Mormorò, passandogli un braccio
intorno alle spalle ed avviandosi con lui verso la macchina. Puntuale, però,
arrivò uno scappellotto di Monique a premurarsi di chiarire che lo aveva
sentito benissimo.
Ridendo come dei matti, i due si allontanarono di corsa,
mentre le rispettivi donne li seguivano, altrettanto allegre.
Solo Joe rimase un poco indietro, concedendosi di ammirare
quel piccolo quadro di rinnovata amicizia in una notte nuova, una notte che, in
fondo, lui, Kevin, Christian e anche io sognavamo da vent’anni e che qualcuno,
quassù, alla fine aveva deciso di concederci.
Una notte... ancora una.
Ancora insieme.
E se il tempo è prepotente e ci spreme
Ci regala un orizzonte
E ancora una notte insieme
-i Pooh, Ancora una notte insieme-
E questa volta ci siamo, Karin, piccola mia.
Questa volta è davvero la fine.
Non so se ancora ti ricordi di me, dopo tanto tempo, ma io di
te non ho dimenticato nulla e ancora ti amo, ancora come il primo giorno.
Vedo le vite dei miei fratelli e non riesco a non pensare
che, se c’è qualcosa che rimpiango, è non averne avuta una simile con te
accanto.
Come Liz.
Come Martha.
Come Monique.
Donne fortunate di uomini meravigliosi.
Non oso mettermi al loro livello... sono solo un ragazzo,
dopotutto... ma mi sento di poter dedicare a te questo piccolo fotogramma di
vita che ho voluto raccontare.
Perché questa sia anche la nostra notte insieme.
*da “Se nasco un’altra volta”, Pooh