Cross the line

di fiammah_grace
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Cross the line
 
DETROIT BECOME HUMAN
 
 
   
 
 
«Secondo la forma più estrema di questa opinione, il solo modo per cui si potrebbe essere sicuri che una macchina pensa è quello di essere la macchina stessa e sentire se si stesse pensando. [...] Allo stesso modo, la sola via per sapere che un uomo pensa è quello di essere quell'uomo in particolare. [...] Probabilmente A crederà "A pensa, mentre B no", mentre per B è l'esatto opposto "B pensa, ma A no". Invece di discutere in continuazione su questo punto, è normale attenersi alla educata convenzione che ognuno pensi.»
(A.Turing Test)
 
 
 
1. Caduta
 
“Lì! Da quella parte!!” urlò un vigilante indicando un vicolo sulla destra, troppo intimorito per correre lui stesso dietro quello che sembrava un altro deviante sfuggito al controllo dell’uomo.
Connor non indugiò, nonostante corresse già da molto non sentiva la stanchezza, non era programmato per mettere in discussione la sua missione per alcuna ragione.
Era il Cacciatore destinato a estirpare quel malanno. Erano ormai tanti, un centinaio, e sicuramente sarebbero aumentati. Era il suo compito quello di riuscire a fermarne e catturarne quanti più possibile prima che quella piaga diventasse incontrollabile.
Si lanciò nello stretto vicolo, scorgendo finalmente l’AX400 che la notte scorsa aveva assalito uno dei cittadini di Detroit.
Distinse da lontano una giovane donna vestita con abiti umani comuni, modello da uomo e di taglia decisamente sproporzionata rispetto la sua corporatura esile.
Una giacca pesante scura di pelle camuffava la sua figura ma, grazie alla sua programmazione, non gli fu affatto difficile scansionare i dati facendoli corrispondere alle sembianze dell’androide da lui cercato.
Non aveva dubbi. Nonostante avesse rimosso il dispositivo circolare sulla tempia, avesse cambiato i suoi abiti e cambiato pettinatura, era più che certo si trattasse di lei.
Ella aveva appena aiutato una bambina a scavalcare la grata che separava quel vicolo malconcio della periferia dall’autostrada. Aveva intenzione di fuggire percorrendo quella via pericolosa, doveva raggiungerla in tempo.
L’AX400 era un modello dalle sembianze femminili e delicate, inadatto a ruoli che comportassero estremi sforzi fisici, quindi assolutamente non all’altezza del suo livello combattivo nel caso di uno scontro. Si trattava di un androide semplice, creato per essere alla portata di tutti.
Non aveva scampo.
Connor afferrò con forza il reticolato che lo separava da lei, ma era troppo tardi. L’androide era riuscito a passare dall’altra parte.
La distanza che l’aveva avvantaggiata durante la sua fuga era stata sufficiente per riuscire a mettersi al riparo da lui. La deviante si girò, spaventata dal suo inseguitore che per un soffio non l’aveva trascinata via con sé. Rimase immobile qualche istante, trafiggendolo con le sue iridi azzurre terrorizzate ma tenaci. Un magnetismo che coinvolse i due in quel lungo contatto visivo dove l’uno sfidava l’altro in un incontro che non aveva potuto avere luogo. 
Cacciatore e preda, faccia a faccia. Uno avrebbe vinto, l’altro sarebbe tornato a casa affamato.
Fu un momento breve, ma che durò abbastanza per far pesare nell’animo di ciascuno la salvezza e la frustrazione.
I devianti avevano tutti questo in comune…i loro occhi.
Erano esseri unici, speciali, imprevedibili, in balia di contraddizioni che andavano a imitare le emozioni umane.
Confusi, spaventati, si lasciavano guidare da formule meccaniche sconosciute che potevano essere vagamente paragonate al libero arbitrio, ma erano qualcos’altro. Essi non erano che mere macchine, un insieme di plastica, chip e programmazioni create per obbedire e per facilitare il lavoro dell’uomo.
Ciononostante, era lecito che il dubbio sorgesse spontaneo alla luce degli innumerevoli casi che giorno dopo giorno si accavallavano sulle scrivanie della polizia, formando quello che era ormai diventato un fenomeno di massa sempre più concreto.
Quanto c’era di vero in quel che stava accadendo a Detroit? L’essere umano era davvero in grado di stabilire la vera natura di queste macchine? Cosa erano realmente?
Connor, l’elegante e incorruttibile RK800 mandato dalla Cyberlife, era uno di loro, in termini di fabbricazione. Egli era composto della loro stessa mera materia.
Alto, bruno, con la pelle chiara, il viso diligente e imperscrutabile; era l’esempio inequivocabile di uomo scrupoloso e macchina perfetta.
Lei, invece, incantevole come una bambola di porcellana, eppure selvaggia e indomita; era un insieme di bellezza e ribellione da lasciare senza parole.
Erano entrambi androidi, eppure così diversi. Per Connor era del tutto impossibile riuscire a comprendere la natura dei devianti, come fossero lui e loro due specie simili ma completamente distinte.
Non era la prima volta che osservava i loro occhi.
Quello sguardo fuggente, quelle iridi che si imprimevano sulle sue non esaminando il  mero campo visivo; no.
Aveva davanti a sé due specchi azzurri coscienti, determinati, che lo sfidavano, che lo intralciavano, che avevano paura e provavano sollievo, sebbene momentaneo.
Come potevano quegli occhi di vetro trasmettere tutte quelle emozioni? Come poteva riuscire a mandare così tanti messaggi sfuggenti e contraddittori?
Erano queste le emozioni? Cosa significava essere dominati da esse?
Era qualcosa che Connor non avrebbe mai potuto comprendere al momento.
I devianti non erano come i normali androidi; erano diversi, profondamente diversi ed enigmatici.
Per un attimo il Cacciatore si ritrovò a riflettere fuori programma, immaginando il suo stesso sguardo impregnato di quella stessa energia vitale.
Trovava spaventoso immaginare di essere capace di trafiggere l’anima del proprio osservatore come gli stava accadendo in quel momento.
Non si trattava di una paura razionale e questo lo turbava. Essere turbato non faceva parte della sua meccanica.
Quel che facevano i devianti era come un virus, il quale si propaga rendendo instabili le formule con le quali gli androidi caricavano le loro scelte.
Connor per un attimo temette che se fosse rimasto a fissare ancora così gli occhi di quella deviante, avrebbe potuto ammalarsi. Eppure non riusciva a scostarli.
Non comprendeva.
Lui era il cacciatore di devianti, creato dalla Cyberlife proprio per capirne l’origine e scongiurarla. Era costantemente sulle loro tracce, le quali numerose li incastravano facendoli scovare e tradire, e non comprendeva come fosse possibile che essi fossero così violenti ma ingenui.
Si era già ritrovato spesso davanti a loro, ma non riusciva a comprendere…
Tutto a un tratto quel contatto visivo si spezzò. L’androide posò una mano sulle spalle della ragazzina che era con lei, osservando terrorizzata qualcosa alle spalle di lui.
Connor si riprese da quel breve momento di deconcentrazione. Guardò dietro di sé e si accorse che intanto il vigile era sopraggiunto sul luogo, puntando una pistola contro di lei.
“Non sparare.” intimò lui. “Ci serve viva.”
Il Cacciatore non diede quell’ordine solo per questo. Vedere quell’arma puntata contro la deviante lo aveva fatto sussultare a livello più personale, non seppe spiegarlo. Non voleva venisse uccisa, semplicemente. Aveva visto qualcosa in quella androide.
Non c’era però molto tempo per pensarci.
Intanto le due approfittarono di quel momento per scappare, così scivolarono lungo il pendio, sfiorando la staccionata che le separava dalla pericolosa autostrada ad alta velocità che si affacciava in quel punto.
Connor afferrò la grata più saldamente e fece per sollevarsi e lanciarsi in quell’inseguimento impossibile, quando la mano del suo collega lo tirò giù.
Con voce roca e grave, il Ten. Anderson lo guardò furibondo imponendogli di restare lì. Era una follia rischiare la vita, le due non ce l’avrebbero mai fatta ad arrivare dall’altra parte.
Connor osservò la strada. Le automobili sfrecciavano da un versante all’altro superando i 100 km orari, percorrendo quattro corsie che andavano e venivano. Ciononostante la sua programmazione gli permetteva di calcolare che vi era una possibilità di successo e la sua missione era più importante della distruzione della sua unità materiale. Si trovava di fronte una scelta.
In fine scostò Anderson e consapevole di danneggiare il loro già magro rapporto di fiducia, decise di proseguire. L’avrebbe catturata.
Se un AX400 aveva calcolato la possibilità di riuscire ad attraversare la strada in quell’inferno, un RK800 avrebbe avuto successo ad occhi chiusi.
Sotto gli occhi sgomentati di Anderson, in un gesto fulmineo Connor fu presto in cima alla grata, pronto a calarsi giù e rincorrere la deviante.
Scivolò sull’erba lungo il pendio e fu subito alle sue spalle.
L’androide si girò, accorgendosi della temerarietà del suo inseguitore, ella era tuttavia ancora più testarda e non si lasciò spaventare. Prese la bambina per mano e la tirò sulla strada con sé, scansando in modo incosciente ma risoluto le macchine che sfrecciavano sull’asfalto.
Le due si fermarono all’altezza della striscia che separava le due corsie, il tempo di calcolare quando muovere il prossimo passo. Connor si ritrovò a contemplare l’assurdità di quel gesto, che non tardò a imitare, riflettendo tuttavia su quanto fosse imperscrutabile quell’androide per essere un semplice AX400, costruito soltanto per semplici mansioni domestiche.
Voleva intimarle di fermarsi, ma le vetture che si muovevano a quella velocità gli davano a stento il tempo di calcolare come non venire investito.
Intanto la deviante continuava a muoversi, anticipando le sue mosse.
Connor non le avrebbe permesso di scappare, ne andava anche dell’onore del suo modello di fabbricazione, enormemente superiore al suo. Così schivò agilmente le automobili, dando vita a uno spettacolo mortale che solo i più spericolati avrebbero potuto contemplare, riuscendo ad afferrare brevemente la fuggiasca.
Riuscì a tenerla ferma per qualche istante, ma bastarono pochi movimenti ma soprattutto il passaggio di un’auto proprio in quel momento, a imporgli di scostarsi da lei per mettere entrambi in salvo. Nessuno doveva morire.
Vide l’AX400 non curarsi né di se stessa né di lui, ma spingere in avanti la bambina che aveva con sé.
Fu in quel breve momento che il Cacciatore si chiese se la ragazzina fosse scappata con l’androide di sua spontanea volontà. Le due sembravano…proteggersi?
Non poté fermarsi a riflettere, doveva subito togliersi da quella situazione. Continuò a correrle dietro, sfiorando la distruzione in più di un’occasione.
Grazie allo slancio finale che lo portò finalmente oltre l’autostrada, egli prese per la schiena l’AX400 finalmente, e i due androidi rotolarono già per il pendio che v’era dall’altra parte.
Soltanto che non aveva calcolato che, oltre la strada, vi era un profondo precipizio, lungo il quale caddero velocemente facendo perdere le loro tracce.
 
2. Risveglio
 
 
Ci fu un lungo momento di buio totale.
Kara aprì debolmente gli occhi, riattivando il suo sistema, cercando di ristabilirsi quanto prima. Come un flash di ricordi, innumerevoli immagini si accavallarono nella sua mente, ricreando le ultime tortuose ore che avevano accompagnato il suo brusco risveglio da semplice androide.
Vide Todd, la strada, la pioggia, i suoi capelli scuri tagliati nel lavandino, adesso corti e biondi, la sua immagine ora così diversa che rifletteva nello specchio il suo nuovo io…poi auto che sfrecciavano pericolose sull’autostrada, l’androide vestito di grigio che le stava dando la caccia, Alice che la guardava spaventata…Alice…
“Alice!!” Urlò in preda al panico.
“Stai calma.” Una voce pacata disse poco distante da lei. L’androide si voltò e si pietrificò alla vista dell’ultima persona che sperava di trovarsi al suo risveglio. Era proprio l’androide dal completo grigio dal quale stava fuggendo.
Fece per alzarsi ma gli arti non risposero. Digrignò i denti, sperando di non essersi danneggiata gravemente. Scannerizzò le sue gambe e sembravano purtroppo manomesse. Fece dunque leva con le braccia, spostandosi da lui quanto più possibile, tuttavia egli la precedette e si chinò verso di lei. Avvicinò una mano ma lei la scostò senza esitazione.
“Calma, ho detto. E’ normale tu sia spaventata. Sono qui per aiutarti, il mio nome è Connor. Sono stato mandato dalla Cyberlife per…”
“Dov’è Alice?!” Lo interruppe lei, per nulla interessata a sapere chi diavolo fosse. Si guardò attorno spaesata e le ci volle un po’ per capire cosa fosse successo. Riconobbe il precipizio e comprese di esservi caduta dentro con lui. Ricordava poco altro.
Forse Alice era riuscita a scappare, a mettersi in salvo. Tuttavia, nel caso fosse caduta…no…
“Devo trovarla, è solo una bambina. Dov’è? Se l’hai vista devi dirmelo. Lei non c’entra nulla.” Disse disperata, un tipo di emozione con la quale Connor aveva familiarizzato poco.
Vide i suoi occhi languidi che trasmettevano qualcosa che andava oltre la paura. Era un sentimento che non riusciva a interpretare, qualcosa di più arcano che guidava quella profonda empatia che nutriva verso la ragazzina.
“Mi spiace, non ho visto la ragazzina, Alice.” In quello stesso istante, comprese che forse aveva trovato il punto debole di quella deviante. Al di là della comprensione del suo particolare malfunzionamento, ella sembrava nutrire un speciale affetto per la bambina che aveva rapito. Decise dunque che la strategia migliore fosse fare il suo gioco, forse così sarebbe riuscito a portarla dalla sua. L’AX400 era un modello semplificato, grazie al quale la Cyberlife avrebbe potuto facilmente stabilire quale componente difettosa generasse i devianti.
“Qual è il tuo nome?”
“Non ha importanza, io devo trovarla.” Insistette lei, non facendo che girarsi attorno. “Se lei fosse precipitata quaggiù con noi, sarà senz’altro ferita. Non posso nemmeno immaginare se…”
Connor le si parò davanti, costringendola a guardarlo. Ancora una volta fu trafitto da quello sguardo ricco di emozioni, da quegli occhi così vivi e diversi dai suoi. Estenuati, puri, sinceri… 
Trattenne tuttavia quel senso di turbamento e si impostò con tono autoritario ma posato.
“Il tuo nome.” Era necessario per stabilire un minimo di solidarietà e cordialità con lei. Sapeva bene quanto fosse importante coi devianti.
Vide la ragazza mordersi le labbra, come se comprendesse anche lei che nonostante la difficile situazione, dovesse mantenere la calma. Aveva un carattere decisamente più posato dei devianti che aveva incontrato, eppure già si era accorto che non le mancava la testardaggine e la determinazione.
“Kara.” Pronunciò debolmente. “Il mio nome è Kara.”
Connor annuì.
“Kara, troviamo Alice insieme. Ti aiuterò.” Disse abbozzando un sorriso, sedendosi con un ginocchio a terra di fronte a lei. “Devi però promettermi di non scappare. Non avrebbe senso. Sono in grado di portarti sopra questo dirupo, esistono molte vie secondarie che ho già esaminato. Troviamo la bambina e usciamo da qui. Siamo intesi?”
La vide abbassare lo sguardo, sapeva di non avere molta scelta. Aveva probabilmente già capito che lui dopo l’avrebbe arrestata, ma era anche consapevole di non poter proseguire da sola. Era intelligente, avrebbe accettato il suo aiuto. Adesso stava a lui non giocarsi tutto.
Si ritrovò a osservare il suo volto sinceramente affranto. I capelli biondi contornavano quegli occhi tristi.
Costatare quanto pochi accorgimenti avessero reso quell’androide così simile a una vera donna lo sconvolse. Stette a contemplarla qualche istante prima di far caso che Kara si fosse accorta dell’insistenza con la quale la stava scrutando.
Incrociarono di nuovo i loro sguardi, ma lui preferì evitarla. C’era qualcosa che lo agitava profondamente quando accadeva. Sistemò la cravatta già composta e prese parola facendo finta di nulla.
“Adesso riparerò le tue gambe. Si sono solo distorte, ci vorrà un secondo.”
Kara annuì e lasciò che lui la toccasse. Fece poche manovre precise, prima a una gamba poi l’altra, che la riattivarono e fu subito in grado di alzarsi.
Ella alzò le ginocchia portandole al petto, stringendole, dopodiché cercò lo sguardo di Connor che non tardò a ricambiarla.
Voleva fidarsi, voleva accettare il suo aiuto, ma aveva conosciuto troppa rabbia, troppa crudeltà. Se non fosse stato per lui, sarebbe stata ancora con Alice a cercare un luogo sicuro con calma.
Quel bell’aspetto rigoroso tipico di quelli della loro specie, ammaliava e trasmetteva sicurezza anche quando i loro ordini erano ingiusti o addirittura meschini.
Egli suscitava fiducia, era stato creato per attirare a sé il compiacimento di chi incontrava, e questo era il motivo per cui non riusciva a fidarsi.
Quel volto persuasivo, dai tratti raffinati e affascinanti, erano il frutto di uno studio fatto ad hoc su di lui.
Lui era un androide, come lei, ma era ormai chiaro che non tutti gli androidi fossero uguali. Quella notte qualcosa era cambiato profondamente dentro Kara, non era più una semplice macchina obbediente, non era più un involucro privo di libero arbitrio dedito solo alla sua programmazione.
Kara non sapeva cosa fosse, né voleva trovare una risposta razionale, né chiedersi se fosse un errore di fabbricazione il suo oppure una vera e propria presa di coscienza.
Non le interessava. Sapeva solo che adesso per lei non esistevano più ordini e che voleva proteggere Alice. Era lei a volerlo, non un programma. Voleva che quella bambina stesse bene, che fosse salva e felice.
Connor, invece; rigido e rigoroso, l’aspetto giovane, intelligente, la bellezza perfetta del suo viso, con occhi scuri e penetranti, i capelli in ordine, il completo grigio elegante degno di un uomo distinto; tuttavia c’era poi il suo sguardo vuoto, serio, privo di emozioni, quel led che lampeggiava di azzurro sulla sua tempia, lo stemma della Cyberlife sul suo petto, e quelle movenze troppo costruite e artificiali.
Lui non era come lei, non elaborava emozioni o pensieri. Lui calcolava dati.
Stava pianificando come portarla via, non gli interessava di Alice, non si curava che lei fosse in salvo.
Connor si accorse troppo tardi che quell’esitazione non era semplice paura. Prima che potesse reagire, Kara lo colpì e velocemente fuggì da lui.
Il fondo di quel precipizio era composto unicamente dalla parete rocciosa e un cunicolo stretto che costeggiava l’autostrada. Poteva sentire ancora gli assordanti rumori delle auto soprastanti. Non sapeva bene in che direzione scappare, cercò solo di non finire in un vicolo cieco. Tuttavia stavolta non fu abbastanza veloce da seminare Connor che grazie al suo programma investigativo, le fu subito addosso.
Kara si dimenò con tutte le sue forze costringendolo a prenderla per i polsi e schiacciarla contro la parete. Fu in quel preciso momento che però accadde qualcosa.
L’RK800 vide nella memoria della deviante. Vide immagini, volti e situazioni che non poteva assolutamente conoscere. Vide un uomo trascurato, con barba e capelli incolti e unti, alcolizzato, fatto di Red Ice, che sbraitava per casa tentando di ucciderla.
Vide la bambina, Alice, che piangeva implorandolo di non essere picchiata.
Sconvolto, lasciò la presa. Aveva gli occhi sbarrati, incredulo di quanto avesse visto.
Cosa significava…? Non aveva mai potuto percepire tante emozioni dal semplice scambio di dati da contatto fisico che normalmente sussisteva fra androidi.
Quella esplorazione mentale era stata di tutt’altra natura, qualcosa che non aveva mai sperimentato prima di allora.
Quel terrore di essere uccisi, l’ansia di fallire, il coraggio di disobbedire, l’affetto che Kara nutriva sinceramente per quella bambina…e poi quell’uomo violento, che a quanto pareva aveva fatto loro del male.
Dunque quella deviante e Alice…non erano una rapitrice e il suo ostaggio, erano due donne che avevano subito violenza domestica da quell’uomo ripugnante.
Loro erano fuggite per mettersi in salvo.
Era questo quello che era accaduto.
Quella consapevolezza lo mise a disagio. Dunque Kara aveva reagito a un sopruso, il quale aveva scatenato in lei la ribellione.
Non era malvagia, né tantomeno aveva fatto qualcosa di male. Ciononostante era una deviante e il suo compito era catturarla.
Sentì la sua programmazione totalmente instabile, entrare in uno stato empatico, così profondo, con un deviante lo aveva scosso.
Anche Kara dal suo canto non aveva mai sperimentato qualcosa di simile. Non era mai stata toccata a quel modo da un suo simile, né tantomeno qualcuno aveva mai esplorato così intimamente nella sua mente. Lei stessa aveva visto volti, luoghi, immagini della vita di quell’androide che lei non poteva certamente conoscere.
Era la prima volta in assoluto per lei.
Entrambi si ritrassero attoniti. Si scrutarono, quasi come interrogandosi l’un l’altro su ciò che avevano visto.
Si resero conto di aver a che fare con qualcosa che non conoscevano, qualcosa che si stava muovendo e stava profondamente cambiando la natura con la quale gli androidi erano stati creati.
Solo che le loro storie provenivano da strade diverse.
Lui come Cacciatore di essi. Lei come Vittima.
Connor fece un profondo respiro. Voleva mostrarsi superiore, non lasciarle pensare che fosse sconvolto almeno quanto lei.
Non era ancora pronto a farsi le domande giuste.
“Kara, quell’uomo ti ha fatto del male? Ha fatto del male a te ed Alice, non è vero?” Disse serio, cercando di riavvicinarsi.
Kara non si fidava di lui, lo vedeva purtroppo come una macchina che agiva secondo convenienza. Tuttavia era più debole e non sapeva se fosse in grado di opporsi a lui.
La sua priorità era restare in vita, per trovare Alice e salvarla.
Cominciò quindi a tremare. Tremava di paura, rabbia, tutto lo stress le stava piombando addosso in un colpo. Erano tutte emozioni nuove, la stavano assalendo fino a farla star male.
Si sentiva profondamente scossa. Lei stessa fino a quel momento aveva avuto pochi momenti per pensare a cosa le fosse successo, quante cose orribili avesse visto in quella casa, quante parole crudeli e azioni spietate avesse dovuto sopportare prima di reagire finalmente. Vide così cadere su di lei una valanga di ricordi duri e violenti, che l’avevano indotta a quella fuga disperata.
Piegò il viso e se non fosse stata un androide, Connor avrebbe giurato stesse…piangendo?
Invece aveva appena iniziato a piovere, piccole gocce caddero su di loro e velocemente si trasformarono in un vero e proprio acquazzone.
Per un innato galateo della sua programmazione, nonostante fra androidi non fosse assolutamente richiesto in verità, egli tolse la giacca e la pose sul capo di entrambi, usufruendone per ripararsi.
Kara osservò i suoi capelli bagnarsi e appesantirsi, la giacca lo copriva pochissimo rispetto a lei. Anche la sua camicia bianca fu presto completamente impregnata d’acqua.
Posò anche lei la mano verso l’alto, aiutandolo a sorreggere la casacca nella posizione giusta, facendogli intendere finalmente che lo avrebbe seguito.
Anche lui la scrutò, potendo sfruttare i venti centimetri di altezza che li differenziavano per osservarla senza essere ricambiato.
Stavolta aveva abbassato la guardia, ne era certo. Fu sollevato, ma non perché ciò semplificava la sua missione.
Stavolta no.
Così i due si incamminarono, cercando un riparo.
 
3. Devianti
 
Il cielo cominciò a incupirsi velocemente, si stava preannunciando un vero e proprio temporale che fece stringere in una morsa l’animo già provato di Kara, che non poteva fare a meno di pensare ad Alice.
Era concentrata a percorrere quella via malandata, guidata dal passo frettoloso del detective-androide, il quale camminava spedito sotto la pioggia, scrutando l’ambiente e orientandosi con il suo gps accessoriato.
Notò che la deviante non riusciva a stare esattamente al suo stesso passo, così scese una mano verso la sua schiena incoraggiandola a continuare.
Kara non era abituata a essere sfiorata così frequentemente, per di più da qualcuno che non conoscesse. In verità, si ritrovò a riflettere che lei non aveva mai conosciuto nessuno. La sua presa di coscienza era davvero recente, risaliva appena alla notte prima, ragion per cui ogni cosa era assolutamente nuova per lei. Partendo dai suoi sentimenti, i suoi timori, i suoi desideri, fino agli affetti o a cose più banali come stabilire veri e propri contatti spontanei con chi incrociava sul suo cammino.
Sbirciò Connor, il quale aveva un’espressione concentrata, col volto diretto davanti a sé; egli stava seguendo come una sua mappatura mentale, ne era certa.
Osservò il suo viso chiedendosi se anche lui sarebbe stato destinato ad accorgersi che c’era dell’altro negli androidi, oppure era lei un caso unico e speciale.
Ancora non lo sapeva, tuttavia in cuor suo sapeva chi fosse, le batteva in petto la fortissima consapevolezza di essere cambiata. Qualcosa le diceva interiormente che era un percorso evolutivo non soltanto suo.
Era convinta che, sebbene alla lontana, ci fosse dell’umanità anche negli occhi imperscrutabili e nel viso inespressivo del Cacciatore.
Aveva notato il suo disagio, il suo sconvolgimento quando l’aveva afferrata per il braccio. Anche lui aveva visto e condiviso quei ricordi, uniti alle forti emozioni che aveva provato. L’aveva sentito entrare nella sua mente. Non a caso le aveva chiesto di Todd.
Questo voleva dire che quel che era successo a lei era potenzialmente qualcosa che poteva accadere a chiunque. Tuttavia questo non voleva dire riuscisse ancora a fidarsi di lui.
Si strinse nel suo giaccone di pelle scuro, infastidita da tutta quell’acqua dalla quale non potevano ormai più proteggersi solo con la giacca da lavoro di Connor.
L’androide comprese il suo disagio e condivideva il fatto di dover cercare un riparo più consistente.
Attraversarono un cunicolo gocciolante che finalmente li condusse a un capanno; uno di quelli creati per i lavoratori.
Dato che questo genere di lavori manuali erano ormai da diversi anni lasciati agli androidi, era probabile che quel luogo fosse disabitato.
Connor sbirciò l’interno da una finestra, i suoi sensori di calore gli fecero comprendere che molto probabilmente la casa fosse disabitata in effetti. Provò a entrare dalla porta, ovviamente chiusa, quindi distrusse il vetro di una delle finestre e riuscì ad addentrarsi.
Kara lo seguì, sollevata dall’essere all’asciutto finalmente.
Vide il cacciatore di androidi perlustrare prudentemente la casa, prima di confermarle che fosse vuota. Lo osservò mentre strizzava superficialmente la sua giacca, per poi poggiarla su una sedia. Anche lui era completamente bagnato.
La deviante scrutò i suoi vestiti pesanti e lasciò cadere a terra la sua giacca oversize, rimanendo con la sottile camicia trovata in lavanderia. Avrebbe potuto spogliarsi e lasciare che anche il resto si asciugasse, eppure nacque dentro di lei un innato senso del pudore che le impedì anche solo di ponderarlo. Vedendo Connor completamente zuppo davanti a lei, per nulla intenzionato a cambiarsi, dedusse che per lui fosse lo stesso. Non si era mai posta un problema simile prima di quel momento, aveva sempre avuto addosso la divisa auto-pulente in dotazione col modello AX400 della Cyberlife.
Abbracciò i gomiti e prese anche lei ad esplorare quel piccolo capanno. Si fermò vicino la finestra, pregando che presto le cose si sarebbero aggiustate.
Intanto l’androide dai capelli scuri non disse nulla, si limitò a guardarla di nascosto, concentrato intanto a investigare l’ambiente.
Non gli ci volle molto, il capanno era un semplice luogo di appoggio per i lavori, composto da un semplice corridoio che collegava a una stanza attualmente vuota, forse un vecchio ufficio, poi un bagno e un ingombrante ripostiglio ormai sgombro, il quale raffigurava la stanza più grande in quanto ampia quanto tutti e tre gli ambienti messi assieme.
Leggermente infastidito dal tessuto bagnato attaccato sulla sua pelle, Connor allentò la cravatta per poter sbottonare giusto il primo bottone sotto il collo della camicia. Arrotolò le maniche all’altezza dei gomiti e una volta messosi più comodo, esaminò con attenzione tutte le possibili uscite di quel luogo.
Non vi erano molti ingressi, solo la porta principale e le finestre.
Si avvicinò quindi all’ingresso e un sonoro rintoccò della serratura fece sbandare Kara, che si era leggermente assorta vicino la finestra, osservando la pioggia.
“Cosa stai facendo?” Chiese mantenendo il controllo, ma sospettosa.
Il detective evitò di incrociare il suo sguardo ancora una volta. La stava eludendo e se ne accorse.
 “Penso sia prudente richiuderci dentro, per la tua sicurezza.”
“Non mi va che chiudi l’uscita.” Protestò pacata lei. Kara aveva la rara capacità di parlare con fermezza pur mantenendo un atteggiamento rilassato. Questo non sapeva se perché fosse comunque un androide o se fosse così di natura. Ad ogni modo, il suo tono di voce e il suo sguardo sapeva suscitare nel suo ascoltatore una certa attenzione, motivo per il quale era facile sentirsi in soggezione con lei.
Aveva l’aria di una donna indubbiamente posata, ma risoluta. Non andava sottovalutata. Connor sospirò. Come poteva spiegarle che non voleva ulteriori sorprese, tipo che lei scappasse di nuovo?
Si avvicinò alle finestre e con un gesto brusco le bloccò, eliminando velocemente ogni possibile via di fuga, atteggiamento che fece scattare definitivamente l’allerta della deviante.
“Te lo chiedo di nuovo, cosa stai facendo? Lo sai che Alice è ancora lì fuori, non ho alcuna intenzione di restare intrappolata qui dentro ancora a lungo.”
“E’ per la tua sicurezza, è necessario restiamo qui dentro per un po’. Non fare troppe domande, non è prudente ti allontani da me e basta. Questo è tutto.”
“Questo è tutto? Sul serio?” Kara intuì fin troppo bene di essersi fidata troppo presto.
Quell’androide non aveva affatto abbandonato la sua missione, né voleva proteggerla. Aveva approfittato dell’improvviso temporale per farle abbassare la guardia e con ingenuità lei si era fatta incastrare in quelle quattro mura.
Senza dargli il tempo di reagire in qualche modo, ella si fiondò verso la finestra che avevano fracassato per fare irruzione dentro, ma non fece in tempo a oltrepassarla che lui la tirò via facendola cascare a terra.
Iniziò dunque una vera e propria colluttazione, dove l’AX400 si difese bene rappresentando che stava lottando contro un androide predisposto alle arti marziali. Lui riuscì a bloccarle le braccia dietro la schiena e mentre cercò di sfilarsi la cravatta per legarla, Kara riuscì a girare su se stessa velocemente fino a farlo sbattere violentemente contro la porta dell’ampio ripostiglio, che si spalancò facendolo cadere dentro.
Lo vide mettersi in piedi velocemente fra la polvere, così lei prontamente afferrò la maniglia e con una scatto spedito riuscì a chiuderlo dentro. Appena girò la chiave nella serratura, sentì subito i colpi dell’androide dall’altra parte che colpiva la porta.
“Kara, apri immediatamente. Apri, è un ordine!”
Kara, al contrario, schiacciò la schiena contro la porta e lentamente scivolo a terra, in preda all’ansia. Quasi non poteva credere di essere riuscita ad avere la meglio e a liberarsi momentaneamente di lui. Corrucciò il viso, sempre più stanca e affranta, mentre l’RK800 insisteva nel fare pressione.
Dall’altro lato, lui continuò a chiamarla e a sbattere contro la porta con veemenza. Calcolò che avrebbe potuto abbattere la porta, ma date le circostanze avrebbe preferito ridurre al minimo i danni.
Mise le mani sui fianchi e si guardò in giro. La stanza era completamente buia ma grazie ai suoi sensori riusciva a vederci bene ugualmente. Non c’erano finestre li dentro, il che rendeva tutto molto angusto. Passò una mano fra i capelli ormai sporchi e disordinati. L’umidità della pioggia lo stava raffreddando, ma non aveva il permesso di disattivare la sua sensibilità al clima.
Così anche lui si sedette a terra, comprimendo la schiena contro la porta. Poggiò la mano sulla fronte, aiutandosi a meditare.
Regnò il silenzio per diversi lunghi istanti, fino a quando non sentì un singhiozzo dall’altro lato.
Si voltò verso la porta.
“Kara…sei ancora qui?” Chiese a voce bassa, sorpreso.
Non udì risposta, ma era evidente che la deviante fosse ancora dall’altra parte. Per qualche motivo non era già scappata via. Si era ritrovato dalla posizione di cacciatore di devianti ad androide sequestrato e imprigionato lui stesso da un deviante.
Eppure sentiva che non era del tutto corretto. In fin dei conti, se ragionava secondo la logica dei devianti, era lui che l’aveva spaventata e indotta a reagire. Forse non avrebbe dovuto comportarsi in quel modo, rifletté.
Decise dunque di abbassare la guardia e adottare un atteggiamento più comprensivo. Non era facile per lui, la sua programmazione lo riportava continuamente verso il suo obbiettivo. Ricordarsi che doveva badare anche alla salute mentale della androide lo confondeva. Gli tornarono in mente le immagini del vissuto di quella ragazza, le violenze che aveva subito.
Provò improvvisamente qualcosa di diverso…era…pena, forse.
Non era fatto per entrare in empatia con i devianti, eppure qualcosa lo aveva scosso e quando aveva qualche attimo per ripensarci, non poteva fare a meno di sentirsi in colpa. Eppure non era colpa sua. Il suo lavoro era dare loro la caccia, al di là delle singole motivazioni che generavano i fatti.
Connor non se ne rese conto, ma il led sulla sua tempia lampeggiava di giallo, sinonimo dell’aggiornamento di qualcosa che aveva variato la sua normale stabilità.
Adagiò il capo sulla porta e provò a parlarle di nuovo. Sentiva fortemente la presenza della deviante dall’altra parte.
“Vuoi…” Tentennò. “…vuoi raccontarmi cosa ti è successo?”
Kara sniffò. Fu strano per lui immaginare un androide piangere dall’altro lato della porta.
Lei sembrò mormorare qualcosa, faticò a sentirla. Avvicinò l’orecchio per riuscire a capire bene la sua risposta. Restò tuttavia in silenzio, non voleva turbarla ulteriormente per nessun motivo.
“Non fai che girare attorno al problema quando ce l’hai davanti agli occhi.” Sorrise sconsolata lei, notando il palese stato confusionale del suo inseguitore, sebbene lui credesse di non darlo a vedere. “Hai inseguito me e la bambina, la polizia si è data da fare per metterci alle strette e sei anche riuscito a separarci, quando invece era in quella casa che qualcuno sarebbe dovuto intervenire.” Scosse la testa. “Lo sapete, lo sanno tutti.”
“Cosa?” la incoraggiò.
“Ci usano e basta. Lo so che è così. L’ho visto nei tuoi ricordi. Anche altri androidi come me sono stati violentati.” Si fermò. “Todd si è tolto la cintura. Aveva assunto quella roba. Aveva anche una pistola in camera sua, l’ho vista. L’avrebbe picchiata a morte, era furioso. Lei non aveva fatto niente. Non ce l’ho fatta a rimanere ferma. Non potevo.”
L’espressione di Connor si contrasse.
“Mi dispiace.” Disse. “Ti giuro verificheremo quanto accaduto, non permetteremo che una minore subisca ulteriori abusi.”
“Non si tratta solo di questo.” Lo interruppe lei. “Io ed Alice desideravamo solo essere libere. Non libere solo dalla violenza. Intendo…libere davvero. Voglio lasciare questo paese, voglio che lei torni a sorridere. Io…non ho mai visto una bambina così disperata…così affranta. I suoi occhi non sono quelli di una bambina della sua età. Non l’ho mai vista ridere. Non è giusto.”
Connor si sorprese della capacità profondamente emotiva di quell’androide. Sapeva parlare e formulare pensieri, opinioni, decisioni, del tutto sconnessi dal suo semplice programma, che in un AX400 sarebbero dovuti essere limitati all’obbedienza totale verso l’uomo.
Lei invece era diversa, lei ragionava. E ragionava anche molto profondamente. Lo shock che aveva subito in quella casa aveva risvegliato in lei un profondo senso materno, quel pensiero le era entrato nell’animo e aveva dato vita a quella ribellione. Una ribellione giusta in verità.
Provò rabbia.
Lui aveva una programmazione molto più complessa della sua, era stato dotato della capacità investigativa e quindi di una certa predisposizione al pensiero e al giudizio rispetto i normali androidi. Lui poteva formulare ipotesi in quanto un detective. Quel racconto dunque smosse in lui un profondo senso di ingiustizia.
Lei rappresentava sì un deviante, ma la sua storia invece la faceva inquadrare anche come una vittima di abusi.
Se non verso lei che era una macchina, certamente però lo era nei confronti della ragazzina.
Eppure i conti non tornavano.

Nessuno aveva mai accennato alla bambina e questo era contraddittorio.
La polizia aveva accolto la denuncia di Todd Williams riguardo l’aggressione del suo AX400, ma egli non aveva minimamente accennato al rapimento della figlia. Era per via di quegli abusi? Tuttavia era strano, si trattava comunque della scomparsa della figlia, non era logico.
V’era qualcosa in quella storia che aveva un aspetto oscuro. Avrebbe indagato una volta usciti da quel luogo.
Intanto concordava che dovevano trovare Alice, Kara aveva assolutamente ragione.
“Kara, hai idea di dove possa essere andata la bambina?”
“No…Alice era spaventata. Dovevo salvarla, invece l’ho solo messa in pericolo. Prego solo che stia bene, che non sia caduta anche lei qui sotto.”
Connor toccò la porta, come a infonderle calore in qualche modo, sebbene non potesse fisicamente raggiungerla.
“Quando siamo caduti, ho perso conoscenza solo per pochi attimi. Il mio sistema si è riattivato velocemente e posso assicurarti che lei non c’era. Mentre eri svenuta ho esplorato nei dintorni e non ho percepito alcuna presenza umana. Sono abbastanza certo che Alice sia rimasta sopra. Probabilmente il tenente l’ha presa con sé, è in mani sicure, te lo garantisco.”
Per la prima volta sentì la deviante rassicurarsi un po’. Lei sorrise e cercò di essere positiva.
“G-grazie.” Sussurrò, apprezzando le parole del Cacciatore per la prima volta.
Entrambi si poggiarono contro la porta e restarono in silenzio a lungo. Forse fu la caduta, la pioggia, o un semplice bisogno di raffreddamento del loro sistema operativo, ma se fossero stati due esseri umani avrebbero dato l’idea di star riposando. Mantenevano entrambi una certa vigilanza, non era un sonno profondo, eppure erano rilassati e intenti a recuperare le forze, chiudendo gli occhi qualche minuto, l’uno alle spalle dell’altro, separati dalla porta di quella stanza.
“Sai.” Disse lei interrompendo quel momento di quiete assoluta. Connor annuì silenzioso, restando con gli occhi socchiusi. “Nemmeno io so cosa effettivamente mi sia successo. Non so se sia una cosa buona, o cattiva. Non so nemmeno se il mio naturale istinto di proteggerla provenga da un primordiale ordine di Todd di prendermi cura di lei. Ci ho pensato, la mia mansione principale era questa dopotutto. Curarmi di lui, della casa e della bambina.”
Spiegò lei suscitano enorme curiosità nell’androide che le stava dando la caccia. Connor aprì gli occhi e fu rapito non solo dalle sue parole, ma proprio dal modo in cui lei formulò quel discorso. Così sentito, così sincero…così ‘suo’.
“Nel momento nel quale Todd l’ha aggredita, ha contravvenuto a un tacito accordo fra noi, quello di crescere quella creatura.”
Continuò lei e ricordando quei momenti fu costretta a fare una pausa, come se stesse elaborando lei stessa quei pensieri per la prima volta ad alta voce. “Io…mi sono chiesta più volte se fosse questo il motivo. Se avessi semplicemente obbedito ad un ordine che il mio sistema ha posto prima di ogni altra cosa al mondo. Però più guardavo Alice, più sentivo che era diverso. Non era un programma che mi imponeva di aiutarla. Era cambiato totalmente il mio punto di vista. Io vedevo soltanto lei. Il suo bene si è anteposto al mio ed è questo che ha mosso le mie azioni fin ora. Nulla di più. Magari tutto ciò per te sarà insensato, non lo so. Ma per me è così. Non saprei spiegarlo diversamente.”
Connor stette in silenzio. Non sapeva cosa rispondere.
Lui stesso doveva ammettere di non essere preparato a sostenere quel tipo di conversazione. Erano pensieri espressi in una lingua precisa e comprensibile, era programmato per interagire con i contorti discorsi umani; se ad elaborarli era un deviante, non c’era poi tanta differenza.
Il discorso però cambiava quando si parlava di sentimenti, emozioni…erano ancora qualcosa di arcano per lui. Sentiva di intendere cosa fosse accaduto, era un racconto semplice e lineare, ma era fortemente limitato da qualcosa. Eppure quel trasporto emotivo aveva toccato anche lui in qualche modo.
Era come se il suo obbiettivo di catturarla fosse adesso stato sostituito da un senso di protezione. Voleva ancora catturarla insomma, ma forse adesso…lo voleva lui e non il suo programma.
Non sapeva ben spiegarlo. Decise però di tenere quella considerazione per sé.
“Ieri notte la mia vita è cambiata e non rimpiango nulla. Se questo vuol dire avere un malfunzionamento e essere rottamata, così sia. Ma non sarò io a costituirmi. Non prima di aver garantito ad Alice il futuro che merita. Quindi…ti prego…”
Il Cacciatore si voltò di nuovo verso la porta udendo quel tono grave.
“Connor, giusto?” schiarì la voce lei, l’RK800 poté comprendere che averlo chiamato per nome aveva un profondo significato. Voleva che lui la ascoltasse. Era importante per lei.
“…ti prego, lascia che io la protegga. Non chiedo altro.”
“Kara…”
Il frastuono di alcune voci gracchianti provenienti dall’esterno catturò improvvisamente la sua attenzione. Kara si mise in allerta e cercò di capirne la provenienza. Connor intanto prese a farfugliare qualcosa ma lei lo zittì.
“Zitto, c’è qualcuno qui fuori.” Disse a denti stretti e così anche lui si mise in ascolto.
“C’è qualcuno? Dove? Riesci a vederli?”
“Zitto!” Gli intimò di nuovo. “Non sono lontani, forse abitano qui e ci hanno visto entrare.”
Connor si alzò in piedi e si concentrò. Dalla stanza dove era rinchiuso si sentiva poco e nulla, ma restando immobile in effetti poteva udire tre voci maschili, sulla mezza età, drogati probabilmente, che circumnavigavano il capanno. Sentì la maniglia dell’ingresso girare e uno di loro lamentarsi.
Kara aveva ragione, probabilmente occupavano abusivamente quel luogo. Dovevano scappare alla svelta, non sapeva se fossero pericolosi o meno.
“Kara, devi farmi uscire. Sono un RK800, due o tre soggetti sotto l’effetto di alcol o sostanze stupefacenti non rappresentano un problema per me. Apri la porta e sistemiamo la faccenda. Kara?” Ripeté ma non vi fu risposta. Se fosse stato Hank avrebbe esclamato ‘cazzo’. Si guardò attorno, doveva farcela da solo. Un calcio ben assestato avrebbe aperto sicuramente la porta, ma valeva la pena aspettare. Non aveva ancora motivo per attaccare quegli uomini. Non avevano nemmeno fatto irruzione nel locale.
Da dentro un armadio, abbastanza capiente da ospitare un uomo di corporatura piccola, si affacciò Kara spaventata. Aveva fatto lo stesso ragionamento di Connor, c’era la possibilità che quei tizi si allontanassero da soli.
Per uscire dal capanno c’erano solo le finestre ormai sprangate e la porta alla quale quegli sconosciuti stavano bussando, sarebbe stato difficile passare inosservati.
In quel momento era forse più prudente far pensare loro che non ci fosse nessuno, per poi sgattaiolare.
Uno di questi si affacciò dalla finestra rotta, l’unica ancora agibile, e prontamente Kara chiuse lo sportello dell’armadio abbastanza da poter vedere senza farsi scoprire.
Vide un individuo puntare una torcia da lì per esaminare l’interno. Si era accorto dell’effrazione.
Lei era stata previdente e prima di nascondersi aveva recuperato la giacca pesante di pelle scura che aveva lasciato cadere sul pavimento, ma solo in quel momento si accorse che Connor non aveva avuto la sua stessa possibilità. Sulla sedia era ancora adagiata la sua giacca grigia, illuminata dal blu iridescente che distingueva gli androidi. Pregò in cuor suo che non se ne accorgessero, ma fu inutile.
“Ehi!! Uno stupido androide è stato qui dentro. Cazzo, guardate!!” Disse disgustato uno di loro.
“Hai ragione, porta puttana! Ho perso il mio cazzo di lavoro per uno di quelli. Giuro che se c’è qualcuno che ha occupato il nostro capanno e si è portato dietro uno di quelli, gli spacco la testa e gli appicco fuoco con tutto dentro!!”
“Eh,eh…ehi, facciamolo. Per me sono ancora dentro, guarda le impronte sul pavimento. Sono nel magazzino, vedi?”
“Hai ragione. Questo stronzo ha portato un merdoso androide nel nostro cazzo di capanno. Diamogli fuoco, vediamo come scappa!”
Kara non poté credere a quelle parole, quelle persone (se così poteva definirle) avrebbero davvero dato fuoco al capanno perché qualcuno aveva portato un androide dentro, secondo loro?!
Dall’odore di benzina, dedusse che non scherzavano. Non sapeva in che modo se la fossero procurata, fatto stava che sembrava ce l’avessero in pronto uso.
Uscì e cercò immediatamente una via di fuga. La finestra rotta era adesso libera dalla loro presenza, magari per poco; era il momento giusto per scavalcarla.
Si voltò tuttavia verso la stanza dove aveva rinchiuso Connor, che non poteva aver udito nulla dalla porta. Controllò le tasche e prese la chiave fra le mani, doveva liberarlo prima di andarsene.
Si morse il labbro, gli ubriaconi stavano ritornando da quella parte, si stava giocando il suo attimo di fuga. Tuttavia non poteva abbandonarlo.
Si fiondò dunque verso la porta e velocemente liberò il suo inseguitore.
Connor la osservò attonito, lui stesso era ormai sul punto di calciare la porta e scappare.
Lei lo prese per il polso e lo tirò.
“Andiamo via, stanno per dare fuoco al capanno!”
“Cosa?”
Intanto i tre tizi erano arrivati di fronte la finestra rotta, pronti a lanciare una molotov dentro.
“Ehi! Eccola qui, una sporca puttanella che rimorchia con una fottuta macchina, guarda che roba.” Disse fraintendendo completamente. In effetti li aveva trovati smessi, spettinati, coi vestiti sgualciti, e francamente lei senza il led sulla tempia  era del tutto simile a un essere umano.
“Beh, che ne dite se rendiamo la vostra serata romantica un po’ più focosa, eh?”
Detto ciò lanciò la molotov dentro e Connor si gettò su Kara mettendola al riparo. L’esplosione fu devastante. L’androide era riuscito a spostare entrambi quel tanto di poco per non venire investiti in pieno dal fuoco. Intanto il capanno fu presto in fiamme, il suo stato decadente unito alla benzina che a quanto pareva già si era infiltrata in quel luogo, facilitarono la sua distruzione.
I folli soggetti che stavano tentando di ucciderli recuperarono velocemente spranghe e chiodi, grazie alle quali ingabbiarono i due dentro non permettendo loro di uscire.
Kara si sentì nel panico.
“Cosa facciamo?!”
“Non preoccuparti.” La rassicurò. “Te l’ho detto, non sono un androide qualsiasi. Al mio sistema è concesso un ampio margine di reazione essendo un androide destinato al dipartimento di polizia. Non ho bisogno di essere un deviante per uscire fuori e sistemarli.”
Detto ciò prese Kara con sé e superò la barricata di fiamme, attraversando il corridoio e raggiungendo la porta d’ingresso. Con un calcio ben assestato la sfondò e in men che non si dica furono entrambi fuori.
I tre individui, che ancora lanciavano molotov e recuperavano arnesi per barricarli dentro, si immobilizzarono di colpo.
Connor li guardò con occhi furenti, privi di ogni compassione. Non era armato, né era autorizzato a prendersela con un umano, ma d’altro canto si chiedeva quanto quegli esseri potessero essere definiti tali.
Kara in quello stesso momento cacciò dalla giacca una pistola. Lo stesso Connor si sorprese di non essersi accorto ne avesse una. Aveva dato così per scontato che la programmazione di un androide impedisse loro l’uso delle armi da fuoco, da non averlo nemmeno ponderato.
“State indietro!!” Urlò lei. I tre uomini si misero sull’attenti, terrorizzati. “Non fate un passo, non muovetevi.”
Questi passarono lo sguardo dall’uno all’altro chiedendosi se quella che ai loro occhi era solo una ragazzina avrebbe sparato davvero.
Sebbene spiazzato dalla risoluzione della deviante, Connor riuscì a tornare velocemente padrone di sé e a prendere in mano la situazione.
Una reazione discutibile, ma forse la più opportuna.
Sottrasse a Kara la pistola, continuando a tenerla puntata e nelle sue mani quell’oggetto assunse connotati molto più terrificanti agli occhi dei tre balordi.
Con voce ferma e altisonante impose loro di mettersi in ginocchio e posizionare le mani dietro la testa. Questi non sembravano voler prendere ordine da una macchina, così lui rimarcò la voce.
“Ora!!”
“Ora!!!” fece eco Kara e a quel punto gli umani obbedirono.
I due androidi aspettarono giusto qualche istante, dopodiché si voltarono e scapparono insieme, velocemente.
 
4. Destini
 
La pioggia era cessata. La deviante e il suo cacciatore trovarono una roccia adatta ad essere scalata e così furono presto in cima, alla luce del sole finalmente.
Il bagliore giallognolo che dipingeva la zona che circondava la ormai lontana autostrada fece comprendere loro fosse già tramonto.
Connor l’aiutò a mettersi in piedi e fu la prima volta che i due si sorrisero.
Non avevano proferito alcuna parola durante quell’ultima fuga, ma dopotutto non ne avevano bisogno.
“Grazie.” Disse lui improvvisamente, lasciandola sorpresa. Lui le fece una domanda, con pacatezza ma sincera curiosità: “Perché non sei scappata?”
Kara lo guardò incredula che potesse pensare che lei fosse tanto cinica e crudele da abbandonarlo in un momento simile.
Lei era una deviante e lui il Cacciatore di devianti, ma in quel caso si parlava di ‘vita’ e non c’entrava nulla chi fossero davvero.
“Saresti morto, come avrei potuto lasciarti lì dentro?” Spiegò leggermente in imbarazzo, al che lui schiarì la voce facendole comprendere che non era quella la risposta che cercava. Lei lo squadrò pensierosa.
Lui ricambiò con tenerezza quegli occhi così limpidi e si corresse, era evidente che non avesse capito la sua domanda.
“No, intendo prima, quando mi hai chiuso nella stanza. Saresti potuta scappare indisturbata ma non l’hai fatto. Sei rimasta tutto il tempo dall’altro lato della porta.”
Kara solo allora ragionò su quel momento. Era vero, avevano avuto una colluttazione dove era riuscita non solo ad avere la meglio, ma anche a rinchiuderlo dietro una porta e liberarsi dalle sue grinfie. Fino a quel momento lo aveva respinto, invece alla fine non era più scappata.
Connor la vide spostare con lo sguardo, come se lei stessa cercasse una risposta che non veniva.
Alla fine lei si limitò a sorridere…a sorridere fra sé. Connor non comprese quella risposta.
La vide fare spallucce.
“Non lo so, non so spiegarlo.”
In realtà Connor dedusse dal suo sguardo che gli stava mentendo, ma decise di non insistere ulteriormente. In fin dei conti, rappresentando come erano andate le cose, andava bene così.
Lei sbirciò verso di lui con la coda dell’occhio. Contemplò il suo viso adesso disteso rivolto verso il tramonto, assieme alla posizione meno impostata della sua figura…quella naturalezza che presto tutti quelli della loro specie avrebbero risvegliato.
Per quanto lo rinnegasse, Kara si era già accorta che anche lui si sarebbe risvegliato, era inevitabile. Era probabile che per questo non fosse scappata alla fine.
Forse aveva trovato rincuorante lei stessa poter confrontarsi per la prima volta nella sua vita con un suo simile. Dopotutto lui era il primo androide con cui condivideva, nel bene e nel male, così tante emozioni.
Il vento accarezzò le loro figure, era ormai tempo di andare.
La deviante procedette in avanti di qualche passo, seguita da lui che si interrogava sul da farsi, quando di colpo la vide correre velocemente verso la fermata di un autobus logora e ormai abbandonata.
“Alice!!!” Esclamò e si gettò ai suoi piedi per abbracciarla. La bambina le venne incontro e la strinse forte a sua volta.
“Kara! Kara, avevo così paura di averti persa!”
“No, non succederà mai, non ti lascio sola, Alice. Sono così contenta stai bene. Sei ferita? Ti sei riparata dalla pioggia?”
Connor osservò a pochi passi di distanza quella commovente ricongiunzione.
Mentre contemplava quell’immagine il suo sistema di riconoscimento attirò la sua attenzione.
Adesso che poté fermarsi con calma ad esaminare, senza la baraonda dell’inseguimento, il suo scanner reticolare posizionato sulle due figure rivelò che quella di fronte Kara non fosse una semplice ragazzina.
Era un YK500, un modello “child” costruito dalla Cyberlife per la famiglia.
Dunque la deviante non era solo l’AX400, ma era anche la ragazzina. Era un androide.
Quella scena lo confuse enormemente, aveva molti raccolto dati sugli androidi devianti impazziti, che avevano reagito alla violenza con la violenza, ma mai gli era ancora capitato in archivio un caso di devianza di quel genere, che coinvolgesse le macchine in un reciproco sentimento di unione e affetto.
Vederle unite in quel modo rese instabile il suo programma.
Cosa significava essere devianti? Cosa legava davvero quei due androidi?
Era possibile emulare le emozioni umane fino a tal punto?
Vide quella YK500 che evidenziava evidenti disturbi sociali, deviata probabilmente dai maltrattamenti che lui aveva visto nei ricordi di Kara, come accadrebbe a una reale ragazzina di quell’età.
Possibile che quella particolare androide fosse stata programmata in modo tale da emularne la sofferenza familiare fino al punto da corrompere il suo sistema?
Confrontò i dati meccanici di quel particolare modello e i conti non tornavano.
Eppure la vide riuscire a lasciarsi andare nonostante quell’evidente malfunzionamento, questo grazie alla dolcezza di quella deviante, come se fosse la presenza e l’affetto di Kara ciò di cui avesse davvero bisogno.
Le due comunicavano l’un l’altra un affetto reciproco sincero, qualcosa che persino negli umani era abbastanza raro.
I suoi occhi si spostarono su Kara. Quel sorriso che non aveva mai visto in alcun androide…quel volto deformato in un’espressione di gioia pura e disinteressata, che emanava sollievo e affetto.
Fu in quel preciso momento che se ne convinse: Kara non era un semplice androide, non era nemmeno uno dei tanti devianti. Era qualcos’altro. In quel momento la trovò splendida, fu l’immagine più bella avesse mai visto.
La luce del sole batteva i suoi ultimi raggi, i più sfarzosi e forti, donando sacralità a quel toccante momento.
Kara si voltò discreta verso il Cacciatore, rivolgendogli  quegli occhi ridenti che l’avevano ammaliato.
Sebbene quella felicità non fosse diretta a lui, sentì un’insolita esultanza nel ricevere quel sorriso.
Si limitò ad annuire verso di lei, restando immobile a contemplarle.
Kara fece lo stesso, dopodiché lentamente chinò il capo e si rivolse di nuovo verso Alice.
Delicatamente si rimise in piedi e le due ripresero il loro cammino, ancora lungo e colmo di pericoli, allontanandosi fino a che lui non fu più in grado di vederle.
Connor rimase a fissare nella loro direzione a lungo, mentre una strana pace aveva equilibrato la sua mente.
Osservò distrattamente la pistola che le aveva sequestrato, provando una strana nostalgia.
Indugiò qualche attimo, in seguito ripose l’arma nella cintura conservandola come prova di quel caso.
Posizionò la mano sulla tempia, intento a fare rapporto ad Amanda, ma prima di avviare il collegamento decise di desistere.
Cambiò canale e contattò invece il dipartimento di polizia.
“Sono Connor. Mando le mie coordinate. La deviante è purtroppo riuscita a scappare. Torno al distretto. Passo.”
Concluse la comunicazione.
 
 
  
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NdA:
Salve a tutti, sono Grace. E' la prima volta che scrivo su Detroit Become Human, una storia veramente splendida e che mi ha appassionata totalmente.
La spinta definitiva c'è stata quando ho deciso di scrivere una breve storia che si incentrasse su una coppia meno considerata di quanto credessi: parlo della ConnorxKara.
Ho scelto di raccontare un “What if... / Missing Moments” fra Kara e Connor, due personaggi che secondo me avrebbero potuto intrecciare i loro destini un po' di più.
Mi piace questa coppia e ho provato a immaginare cosa sarebbe successo se avessero avuto la possibilità di interagire.
Esiste nella storia principale questo momento di incontro perfetto, quando lui deve investigare su di lei e finisce per rincorrerla. Una sequenza breve ma intensa che mi ha sempre fatto fantasticare.
Questa fanfiction è  un omaggio a mia sorella, Fiammah, la quale per prima si è appassionata al videogioco e alla ConnorxKara.
Mi ha chiesto lei di scrivere qualcosa su di loro ed io ho accettato volentieri. E' stato un piacevole pretesto per fare una fanfiction che anche io desideravo di scrivere da un po'! ^_^
Spero vi piaccia e risulti piacevole la lettura! Grazie e lasciate un commento se vi fa piacere.
FiammahGrace
 
 
 




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