Il ballo
La
pioggia battente aveva imperversato per tutta la durata della partita
di rugby, riversando acqua fredda sui giovani giocatori, che entrarono
nello spogliatoio bagnati e infangati, ma felici, perché avevano
vinto la partita contro la squadra favorita alla vittoria del
campionato studentesco.
“Li abbiamo
annientati!” Urlò Patrick Forbes, il capitano della
squadra, sovrastando le grida degli altri ragazzi.
“Credevano di venire qui
e vincere facilmente, ma non avevano fatto i conti con il nostro
piccolo e guizzante Omega!” Rise Mark Alcott.
“Voi Alfa pensate sempre
che noi Omega siamo degli oggetti fragili e delicati, da maneggiare con
cura per evitare di romperci, così noi Omega ne approfittiamo
per beffare voi potenti Alfa. Quando vi accorgete che siamo più
abili di voi, vi abbiamo già giocato,” ghignò John,
soddisfatto. Aveva disputato un’ottima partita ed era molto
orgoglioso di avere contribuito in modo determinante alla vittoria
della sua squadra. Quando aveva iniziato a giocare, molti dei suoi
compagni non si erano dimostrati entusiasti. Pensavano che un gioco
rude come il rugby non fosse adatto a un Omega, ma erano stati
costretti ad accettarlo, per non essere accusati di discriminazione di
genere. John li aveva fatti ricredere tutti. Si era impegnato, senza
lamentarsi e stringendo i denti, quando i suoi compagni di squadra gli
rinfacciavano il suo genere, per giustificare i suoi errori. Aveva
dimostrato a tutti di essere abile come un Alfa. A volte persino
migliore. Come unico Omega della squadra, John ne era diventato la
mascotte. I compagni lo apprezzavano e raramente si ricordavano del
fatto che fosse un Omega. Per i ragazzi della squadra, John era un loro
eguale.
Almeno fino a quel giorno.
Il ballo
L’ingresso nello
spogliatoio fu accompagnato da un vociare chiassoso ed entusiasta. I
ragazzi si davano grandi pacche sulle spalle, sul sedere e sulla pancia
o si scompigliavano i capelli a vicenda, incuranti del fatto che
fossero tutti ricoperti di fango e bagnati fradici. John era quello
più festeggiato, come eroe della partita. La presenza
dell’allenatore Frank Sommers nello spogliatoio era più
che giustificata. I ragazzi pensarono che volesse festeggiare con loro.
Nessuno aveva notato la strana espressione presente sul suo volto:
“Va bene, ragazzi. Ora datevi una calmata e andate sotto le
docce. Abbiamo vinto una partita, non il campionato,”
cercò di placarli, con un sorriso condiscendente.
“Coach! Abbiamo battuto
i favoriti! Potremmo vincere noi, il campionato. Non sarebbe
fantastico?” Patrick Forbes urlò per sovrastare il
frastuono provocato dai suoi compagni di squadra.
“Certo, Pat, sarebbe
fantastico, ma rimaniamo con i piedi per terra, va bene?”
Ridacchiò Sommers. Passò lo sguardo sui ragazzi festanti
e si fermò ad osservare John, che scherzava e rideva con i suoi
compagni. Sommers aveva avuto delle riserve, quando aveva accettato un
Omega nella sua squadra. Sapeva quanto potesse essere difficile
integrarsi in un team di esuberanti maschi Alfa per un piccolo Omega,
ma John si era dimostrato all’altezza della situazione. Sommers
lo aveva tenuto d’occhio in modo discreto, senza che il giovane
Watson se ne accorgesse. Lo aveva visto stringere i denti nelle
difficoltà e rimettere al proprio posto prima un paio di
compagni poi alcuni avversari, che pensavano di poter approfittare
della situazione per allungare le mani. John non aveva chiesto
l’aiuto di nessuno. Aveva chiaramente fatto capire che avrebbe
reagito a ogni molestia o proposta indesiderata. Un occhio nero aiutava
sempre a comprendere che John Watson non fosse un Omega debole e
indifeso. Sommers non avrebbe mai voluto affrontare quel discorso con
John, ma non poteva nemmeno soprassedere. Ne andava della reputazione
del giovane Omega, della squadra e della scuola: “Watson,
potresti venire nel mio ufficio? Ho bisogno di parlarti.”
“Subito, coach,”
rispose John, sottraendosi alle scherzose attenzione dei compagni e
seguendo l’allenatore. Entrarono in una piccola stanza, arredata
con una scrivania, tre sedie e un mobiletto basso, senza ante e pieno
di carte. Sommers chiuse la porta e fece cenno a John di sedersi. Solo
in quel momento Watson si accorse dell’espressione seria
dell’allenatore.
“Ho fatto qualcosa di
sbagliato?” Domandò preoccupato, cercando di ricordare se
avesse fatto qualcosa che non doveva.
“No, John. Non hai fatto
nulla di sbagliato. Anzi. Oggi hai giocato una splendida
partita,” lo rassicurò Sommers. L’Omega
corrugò la fronte, sempre più confuso. L’allenatore
gli sorrise tristemente: “Un genitore mi ha portato
questo,” disse, porgendo a John una piccola brochure. Un brivido
freddo corse lungo la spina dorsale di John. Non aveva bisogno di
aprirla per capire che cosa fosse: “Si tratta solo di un
ballo,” sibilò, incrociando le braccia sul petto.
“Il genitore non ha
contestato l’evento in sé. Si tratta di quello che
c’è scritto sotto la tua fotografia,” ribatté
l’allenatore, con un certo imbarazzo nella voce.
John afferrò la
brochure e cercò rapidamente la propria fotografia.
Faticò a riconoscere se stesso in quel ragazzo truccato e
vestito in modo così ricercato. Lesse rapidamente le righe che
accompagnavano la sua immagine e sbiancò:
“Mi
chiamo John Hamish Watson. Adoro leggere libri di poesia e romanzi
d’amore, cucinare e andare al cinema a vedere film romantici. Per
il mio futuro cerco un Alfa che si prenda cura di me, che mi supporti e
con cui formare una famiglia numerosa. Per il mio Alfa alleverò
amorevolmente i nostri figli e terrò in ordine e pulita la
nostra casa, aiutandolo a realizzare i suoi sogni e le sue
aspirazioni.”
John rilesse la frase ancora
un paio di volte, incredulo: “Io… io… io non ho mai
scritto una stupidaggine come questa!” Sbottò infine,
allibito.
L’allenatore
sospirò: “Non lo dubito. Ti conosco abbastanza bene per
sapere che quelle parole non sono certo uscite dalla tua penna.
Purtroppo non posso dire lo stesso dei genitori dei tuoi compagni di
squadra. Il padre che mi ha portato questa brochure mi ha fatto notare
che un qualsiasi Alfa dovesse essere interessato a te, potrebbe creare
tantissimi problemi alla squadra, insinuando che succeda chissà
che cosa all’interno dello spogliatoio. Mi ha chiesto di metterti
fuori dalla squadra.”
John scattò in piedi, furioso: “Lei non può cacciarmi dalla squadra!”
“Non ti voglio cacciare,
ma devo almeno prendere in considerazione la richiesta fatta dal padre
del tuo compagno. Per il tuo bene, John. Se al ballo di stasera ti
fidanzi, il tuo Alfa potrebbe contestare qualsiasi azione tu faccia,
rendendo la tua vita un inferno. Io devo pensare a proteggere te e la
squadra. Mi dispiace, John…” Sommers non terminò la
frase. Il giovane Omega fuggì dal suo ufficio, spalancando la
porta e correndo fuori come se fosse inseguito dal peggiore dei suoi
incubi.
John girovagò per la
città, senza una meta precisa. Stringeva in mano la brochure e
camminava, incurante della pioggia e degli sguardi curiosi dei
passanti. Non aveva fatto la doccia. Non si era cambiato. Camminava con
lo sguardo fisso davanti a sé, con ancora indosso pantaloncini e
maglietta da gioco, coperto di fango dalla testa alle scarpe. Era
furioso con Wilkins, perché aveva completamente cambiato la
frase che John aveva scritto per la brochure. Da quella pubblicata, ne
usciva il ritratto di un Omega sottomesso e debole, senza ambizioni e
sogni. Quello non era lui. John aveva delle ambizioni. Aveva dei sogni.
E non vi avrebbe mai rinunciato. L’Alfa che lo avrebbe sposato,
doveva accettarlo per quello che era. Lui non si sarebbe mai
trasformato nel mollusco descritto dalla brochure. Anche a costo di
rimanere solo per sempre. John sapeva che stava per dare un dispiacere
al suo papà, ma era anche consapevole del fatto che Paul lo
avrebbe compreso. Con un sorriso sfrontato sulle labbra, si
avviò verso la sua meta. Avrebbe dimostrato a Sebastian Wilkins
III che non tutti gli Omega volevano una vita solo casa e famiglia.
La sala da ballo della Casa
delle Anime Gemelle Wilkins & Sons era gremita di persone
abbigliate in modo elegante. Gli adulti chiacchieravano amabilmente,
mentre i ragazzi si scambiavano occhiate di sottecchi. Secondo il
copione secolare previsto dal ballo, i ragazzi Alfa e Omega non
potevano parlare fra di loro, fino a quando non fossero stati
autorizzati dall’accompagnatore dell’Omega a ballare
insieme. Non potevano nemmeno appartarsi, se non erano sorvegliati da
un adulto Alfa parente dell’Omega.
Sherlock Holmes era alto, per
i suoi sedici anni. Avvolto in un elegante abito nero, era molto magro.
La madre non era riuscita a redimere i suoi ricci neri e ribelli. Il
giovane Alfa si stava annoiando e non perdeva occasione per farlo
capire a chiunque avesse il coraggio o l’imprudenza di appoggiare
il proprio sguardo su di lui. Non si contavano i sospiri e gli sbuffi
di un’insofferenza sempre più infastidita verso
l’inutile evento. I genitori avevano trascinato al ballo anche il
figlio maggiore Mycroft con il marito, un Omega dai capelli castani e
con gli occhi nocciola di nome Gregory Lestrade. I due erano sposati da
un paio d’anni ed erano in attesa del loro primogenito, anche se
i segni della gravidanza non erano ancora visibili sul corpo
dell’Omega. Il compito principale di Mycroft e Greg era
controllare e arginare Sherlock, in modo che non facesse commenti
offensivi rivolti agli altri ospiti della serata. Nessuno voleva che il
giovane Alfa scatenasse una rissa per dispetto, perché i
genitori lo avevano trascinato al ballo, mentre stava svolgendo un
importante esperimento di chimica. Gli occhi azzurri del giovane Alfa
sezionavano gli invitati e scartavano ogni possibile candidato, con
commenti acidi e taglienti: “Questo ballo è solo una
perdita di tempo. Non ho visto un Omega che sia anche solo lontanamente
interessante. Sono tutti noiosi e banali ragazzi sottomessi, pronti a
obbedire a ogni ordine che venga loro impartito. Vogliono essere
accuditi e ingravidati. Io non ho tempo per un tipo del genere. Io
voglio un Omega che sappia prendersi cura di se stesso e che sia capace
di usare il cervello. Nei limiti della funzionalità e delle
limitate capacità intellettive di un normale e banale essere
umano,” concluse, con una smorfia di disgusto.
“Non puoi giudicarli
solo guardandoli. Potresti dare una possibilità a qualcuno di
loro,” lo incoraggiò Greg.
“Stai scherzando, vero?
Sai benissimo che io…” Sherlock si interruppe. Nella
stanza era calato un silenzio sbigottito. Il giovane Holmes
cercò con lo sguardo chi avesse causato un tale scandalo da
zittire la sala. Gli occhi di tutti erano puntati su un ragazzo della
sua età, basso e magro, probabilmente biondo, con incredibili
occhi di un azzurro inteso. Indossava una divisa da rugby ed era
coperto di fango dalla testa ai piedi, oltre a essere bagnato fradicio,
motivo per cui era difficile stabilire esattamente il colore dei suoi
capelli. Il ragazzo osservava i presenti con uno strano sguardo di
risoluta sfida. Dalla destra di Sherlock si levò un grido
soffocato: “John!”
Il ragazzo, sicuramente un
Omega, si diresse verso l’uomo che aveva parlato:
“Papà, mi dispiace molto darti questa delusione, ma non
posso sottostare e partecipare a questa barbarie,” esordì,
in tono risoluto e per nulla dispiaciuto.
“Barbarie?! Come osi
definire barbarie il mio ballo, piccolo ingrato che non sei altro? Ho
tentato di trasformarti in un Omega almeno desiderabile e presentabile
e tu mi ringrazi in questo modo?” Si intromise Sebastian Wilkins
III, furioso.
“Io mi sto mostrando per
ciò che sono. Io voglio un Alfa che sia veramente interessato a
me, non al fantoccio che ha creato per la sua brochure!”
Ringhiò John, per nulla impressionato o intimidito dalla rabbia
dell’Alfa adulto.
“John, spiegati,” intervenne Richard, in tono severo.
“Il signor Wilkins mi ha
chiesto di scrivere la didascalia per la mia fotografia, spiegando
quali fossero i miei interessi, i miei sogni e le mie aspirazioni. Io,
ovviamente, ho scritto che gioco a rugby, che voglio diventare medico
ed entrare nell’esercito, per aiutare più persone
possibili. Ho consegnato il foglio al signor Wilkins alcuni giorni fa.
Potrai immaginare il mio disappunto, padre, quando il coach Sommers mi
ha fatto leggere questo,” concluse con calma, porgendo a Richard
la brochure, che la prese e cercò la fotografia del figlio. Paul
si posizionò in modo da potere leggere insieme al marito. Scorse
le poche righe, Richard alzò un sopracciglio e si rivolse a
Wilkins: “Che fine ha fatto ciò che ha scritto mio
figlio?”
“Oh, andiamo! Stiamo
scherzando? Chi prenderebbe mai in considerazione di fidanzarsi con un
Omega così grezzo e selvaggio. Sono stato costretto a
ingentilire la didascalia o nessun Alfa si sarebbe seriamente
interessato a un Omega primitivo come…” Wilkins non
terminò la frase. Finì lungo disteso sul pavimento,
colpito al volto da un pugno di Richard: “Considerati fortunato
perché ti ho colpito io e non mio marito. E non lo ho fatto per
salvaguardare il tuo onore di Alfa. No. L’ho fatto perché
mio marito è un medico e con le sue mani cura e salva le
persone. Non volevo che si facesse male a un mano colpendo una testa
dura come la tua. Sei anche fortunato che non ti faccio causa per
offese personali e danni morali. Lo farei volentieri, ma voglio che mio
figlio si metta dietro alle spalle questa storia il più in
fretta possibile. Voglio che John dimentichi che esistono Alfa come te.
Ora ce ne andiamo. Non farti più sentire né vedere. Con
te, signorino, faremo i conti a casa. Guarda come vai in giro. Se ti
prendi anche solo un raffreddore, ti faccio saltare due settimane di
allenamenti e le prossime partite,” concluse, prendendo il marito
sotto braccio e avvolgendo con l’altro le spalle di John.
“Sai che ti amo, vero
Richard? – domandò Paul, dolcemente – E voglio bene
anche a te, piccolo scavezzacollo. Mi fai dannare, ma sono orgoglioso
di te,” terminò, scompigliando i capelli del figlio. John
sorrise, felice. A Sherlock sembrò che, per un attimo, la stanza
fosse più luminosa. I Watson lasciarono il ballo, seguiti dagli
sguardi sbigottiti degli altri inviati.
Sul viso di Sherlock si
formò un sorriso divertito e intrigato: “Quello sì
che è un ragazzo interessante,” mormorò fra
sé e sé.
Elisabeth si ricordò
del ragazzo biondo, che aveva incontrato alcuni giorni prima.
Notò l’espressione del figlio minore e le labbra si
incresparono in un lieve sorriso soddisfatto. Prese il marito sotto
braccio e lo guardò negli occhi: “Credo che questo ballo
abbia perso il suo interesse. Che ne dici di andare a cena? Sono
affamata. Ho sentito parlare di un nuovo ristorante, che hanno appena
aperto vicino a Piccadilly Circus. Dicono che si mangi molto bene. Ti
va di provarlo?”
“Sì, certo. Me lo
ha consigliato anche Arthur. Direi che sia l’occasione giusta per
andarci, visto che siamo tutti insieme,” concordò Phillip
Holmes, mentre si avviavano vero la porta. Sherlock si accodò ai
genitori, raccogliendo una brochure. Mycroft estrasse da una tasca una
agendina nera e vi segnò qualcosa, con una biro.
“Che cosa stai scrivendo?” Domandò Greg, incuriosito.
“Il nome di quel ragazzo
Omega. Credo che ne sentiremo ancora parlare,” sorrise, riponendo
l’agendina in una tasca e circondando le spalle del marito con un
braccio.
“Penso che tu abbia
ragione. Anche a me piace quel John. Deciso, sicuro e indipendente.
Sarebbe proprio l’Omega ideale per un certo Holmes di mia
conoscenza.”
“Esatto. Non è
stata una serata così infruttuosa come pensavo. Persino alla
Casa delle Anime Gemelle di Sebastian Wilkins III si può trovare
un vero diamante.”
Greg fissò il marito,
fra lo stupito e il malizioso. “Mycroft Holmes! Mi stai
diventando romantico e sdolcinato!”
“Tutta colpa della tua pessima influenza,” Mycroft fece l’occhiolino al marito e lasciarono il ballo.
Sherlock e John non si erano
parlati. Non si erano nemmeno sfiorati con lo sguardo. Eppure, quella
sera era stato piantato un seme che sarebbe lentamente e dolorosamente
sbocciato in un grande amore.
Angolo dell’autrice
Un primo contatto diverso dal
solito, che spero incontri il vostro gusto. L’ispirazione del
capitolo mi è venuta da un episodio di “Lady Oscar”,
quando lei si presenta al ballo, organizzato dal padre per trovarle un
fidanzato, vestita con la divisa di comandante della Guardia Nazionale.
Grazie a chi stia leggendo la serie.
Grazie a emerenziano per il commento allo scorso capitolo.
Grazie a chi stia segnando i racconti in qualsiasi categoria.
Alla prossima settimana con un nuovo racconto.
Ciao!
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