1.
Il viso triste contemplava ancora quella fotografia: era inutile, non riusciva a pensare ad altro.
Nemmeno
il debole scricchiolio della porta che si apriva riuscì a
distoglierla da quei due volti sorridenti e dai residui delle righe
scritte in corsivo e con la penna cancellabile. Tanto che quando si
ritrovò Arima accanto a lei, non si spaventò minimamente.
Come se fosse normale ritrovarselo in ogni dove, e anche nel bagno
delle donne.
E soltanto dopo un po', si accorse del riflesso del viso dell'uomo, accanto al suo nello specchio.
Così, si girò a guardarlo con gli occhi spenti di chi ha appena perso una persona cara.
"Pensi ancora a quella?"-chiese l'albino, facendo un cenno col capo e indicando la foto che la bionda stringeva tra le mani.
A quella domanda, Akira sorrise: come poteva pensare ancora alla storia di quel mostro?
"È
una storia triste."-ammise l'investigatore, per poi ricambiare quel
gesto e incurvare debolmente le labbra. La donna annuì.
"Perdere
la persona con la quale si ha scelto di condividere la propria vita, e
giurare di impedire a chiunque altro di provare lo stesso sentimento."
Mentre
parlava, l'investigatrice scorse negli occhi del suo capo un velo di
malinconia. Poi, prese a specchiarsi nuovamente nello specchio e
continuò a osservare il suo viso grazie a quello strumento.
Ma, ad un tratto, qualcosa nel tono dell'albino cambiò e un'espressione seria prese il posto di una più sincera.
"Ma non pensarci troppo. Dopotutto, era soltanto un egoista."-proferì,
prima di incamminarsi verso l'uscita di un luogo in cui, in una
situazione diversa, non avrebbe potuto recarsi.
Per svariati minuti, il suono dei suoi passi spezzò il silenzio creatosi.
"In fondo, questo la rende un po' più simile a noi.
Giusto?"-disse la bionda di rimando, con un sorriso a trentadue denti,
ma colmo di tristezza: gli occhi socchiusi gli conferivano un aspetto
ancora più sconsolato.
E nemmeno Akira sapeva più cosa stava dicendo.
Una lacrima gli aveva persino rigato la guancia, e lei non si era preoccupata di trattenerla per non sembrare una sciocca.
~•~
Minuscoli fiocchi di neve continuavano a cadere sulla città e a tingerla di un bianco puro e immacolato.
Sotto l'ombrello, un po' meno candida, passeggiava lei.
Era
appena uscita dal suo studio, e aveva deciso di spendere un po' del suo
tempo fuori, al gelo: erano passati quattro mesi dalla discussione meno
piacevole che avevano mai avuto.
Quattro mesi, e ancora quell'idiota non si era fatto vedere.
Aveva promesso, giurato di ucciderla.
Eppure, non aveva ancora portato a termine la sua prima mossa.
Ma non aveva importanza: lei lo avrebbe aspettato.
Avrebbe
atteso con ansia il momento in cui sarebbe tornato per ucciderla e
mettere fine alla monotonia in cui oramai si era trasformata la sua
immeritatamente longeva esistenza: combattere i Ghoul, fare carriera
non gli erano mai importati.
L'unica cosa che la rendeva felice di essere stata costretta a scegliere la vita alla CCG erano i suoi colleghi.
Anche essi, spariti per sempre.
Tutto: aveva perso tutto.
Prima sua madre, poi suo padre e, infine, Amon.
Era stata davvero così crudele da meritarsi la solitudine in cui viveva?
Forse, lo era stata senza accorgersene.
Ma non aveva importanza.
Nulla aveva più importanza.
E proprio per questo, tutto doveva finire.
La sua flaccida vita doveva giungere al termine.
Ecco, perché l'avrebbe aspettato.
In fondo, lei voleva tutto di lui; il suo corpo e la sua mente.
Lui, invece, voleva soltanto la sua testa.
Insomma, se lo erano detto apertamente.
Mentendosi, per l'ennesima volta.
E lo avrebbe aspettato tutta la vita, se ce ne fosse stato bisogno.
Lo avrebbe aspettato con la foto che lui stesso aveva scippato alla vittima del loro complotto.
La
foto dei due giovani con le gote rosse, gli occhi lucidi e i nasi
così vicini da lambirsi; le labbra desiderose di quelle
dell'altro.
La foto di due giovani incappucciati per bene, avvolti da sciarpe di lana colorate e indumenti caldi.
"Ti
amo. E semmai dovessi perderti, perderei me stessa e il controllo.
Tradirei i miei principi e tutti, pur di ritrovare il brivido che
provavo con te."
Queste
erano le parole che costituivano la dedica riportata sul retro della
foto, custodita nella tasca del giubbotto di pelle della donna che
aveva cercato di ucciderli, scambiandoli per una vera coppia.
Eppure,
erano così dannatamente incatenati, da fili invisibili ma spessi
e inestricabili, quei due che, dopotutto, quel Ghoul non si era
sbagliato più di tanto nel definirli un qualcosa che esiste soltanto se esistono entrambi.
Infondo, nella vita si commettono tanti errori. Delle volte, si ha persino ragione nel difendersi a spada tratta.
Durante gli anni in cui respirano con le proprie narici, le persone collezionano più sbagli che esalano respiri.
Questo perché siamo tutti così impulsivi e forti; tutti, con una ragione per vivere e un obbiettivo da raggiungere, prima di morire.
Tutti così convinti di essere diversi, speciali, quando invece siamo così dannatamente simili.
Viviamo ed esistiamo per un motivo che è soltanto nostro, e dimora nel cuore lontano e all'oscuro da tutto e da tutti. Ma
mille altri lottano per soddisfare le loro intenzioni, esattamente come
ci apprestiamo a farlo noi, tentando il tutto per tutto.
Mille
altri, proprio come noi, si aggrappano ad una realtà; terrena o
trascendente che sia. E ciascuno di noi crede ciecamente in qualcosa o
in qualcuno, di cui ha necessariamente bisogno per andare avanti.
E mettersi nei panni degli altri è estremamente difficile, nonostante la somiglianza che ci lega sia irrimediabilmente evidente. Rinunciare al proprio orgoglio, per ascoltare cosa narra quello del prossimo è così irreparabilmente lontano dalla realtà umana. E noi stessi siamo così stolti e sbagliati da non poter giudicare chi ci sta vicino.
Eppure, se esistiamo, ci sarà un motivo.
La nostra stessa presenza vorrà pur dire qualcosa; dovrà pur possedere un briciolo di importanza o valore.
E
così come noi, anche i nostri sbagli, le bugie e i frammenti di
verità che decidiamo di condividere con chi ci sta accanto
significheranno pur qualcosa per gli altri e per noi stessi.
Questo perché è tutto così poco sobrio e giusto.
Questo mondo così complesso, e noi così sciocchi; inermi pedine che i sentimenti sono in grado di manovrare a proprio piacimento, senza troppa difficoltà.
Pedine
che decidono di impegnarsi in innumerevoli fatiche presenti, ma che,
con una facilità impressionante, vengono distratte da sconfinati
pezzi di un passato vissuto e di un futuro ancora sconosciuto che fa,
comunque, tanta paura.
|