New Orleans
Note dell'autrice:
Bene bene. Chi non muore si rivede. E grazie a dio non è morto ancora nessuno da queste parti.
Dunque. Ci siamo un po' tutti resi conto di recente che ho una
irrimediabile e un po' inquietante fissa per New Orleans e dintorni, e
così, al posto di scimunirmi su altre possibili ambientazioni,
ho adottato la filosofia let it be
e tanti cari saluti. E ho deciso di cominciare un'altra storia
ambientata da quelle parti. Diciamo che medito a una raccolta di
storie, ma come sappiamo che i miei progetti megalomani approdano come
il Titanic sempre sani e salvi, ignoreremo quest'ultima affermazione e
cercheremo solo di sperare che questa duri.
Quando una storia mi piace lo sento: con House Of The Rising Sun, che
ho postato, cancellato, e che a breve riposterò come storia
parallela a questa, è stato amore. Con quest'altra che vi
apprestate a leggere altrettanto.
Solo, non vi aspettate ordine e chiarezza. Francamente, non credo di
esserne capace. Ed ecco, le storie si distingueranno in parti: questa
ad esempio è la seconda perchè la prima è un'altra
storia - quella a cui mi riferivo sopra - che posterò forse il
prossimo capitolo forse i prossimi tre forse mai ma spero di no.
Spero vi piaccia, ragazzi.
Buona lettura.
New Orleans - part two
Chapter 1
"Era ora che ci venissi a trovare. Sai quanto tempo è che non ti vedevo?"
La sabbia fresca accarezza i piedi; il mare, quasi bianco, bacia l'alba sulla linea dell'orizzonte.
"No, effettivamente no. Ha importanza?"
"Potrei offendermi per questo."
Santiago ride piano, a bassa voce, e scuote un poco la testa. E Isabel
lo guarda, e il sole le schiarisce gli occhi neri.
"Come vanno le cose qui?"
"Come al solito. New Orleans è quasi la stessa da trecento anni."
"I ragazzi?"
"Tutti contenti che è arrivato zio Santi. Il piccolo vuole che
gli insegni a suonare quel coso che ti porti dietro. E ha intenzione di
corromperti con dei biscotti."
"Quel coso sarebbe il violoncello?"
"Si. Il coso. La chitarra strana."
Stavolta Santiago ride davvero, e la voce arriva fonda, densa, e si sparge nell'aria.
"Almeno sono biscotti fatti in casa?"
"Certo che no. Non ho intenzione di mettermi a fare biscotti per te, razza di disgraziato."
"Mio dio quanto ti sei inacidita. Cos'è, la menopausa?"
Isabèl sospira e guarda il cielo, e lo vede sciogliersi,
impallidire. Abbassa gli occhi, e guarda la sabbia bianca dove cammina.
"Quanto hai intenzione di rimanere?"
"Non lo so. Mi caccerai?"
"Come minimo."
"E' bella New Orleans. E' davvero bella. Sai, mi piacerebbe rimanerci."
"E perchè non rimani?"
La voce s'incrina, si fa buia; Isabèl alza la testa e lo guarda
coi suoi occhi neri che il sole non schiarisce più.
Ma Santiago non sa cosa rispondere. Non davvero. Ci sono mille cose che
lo portano per il mondo. E nessuna è la vera ragione. Potrebbe
essere che ce l'ha nel sangue, che è una questione di
inclinazione. Anni fa ne era certo. Eppure l'odore di mare appanna la
mente, e non c'è più chiarezza, non ci sono più
motivazioni valide.
Santiago viaggia perchè non ha una casa. Non tutti sono capaci
di costruirsela. Santiago la cerca perchè non è capace di
costruirne una da solo.
E' arrivato ieri notte da Damasco, ha portato con se le sue foto e il
violoncello, e qualche brandello di maglia ridotta da far impressione.
Ha chiamato sua sorella e le ha detto ' Ti vengo a trovare domani ' e
ha dormito fino all'alba.
Isabèl lo sapeva che sarebbe arrivato presto perché certe
cose non cambiano mai, e i biscotti li aveva già preparati prima
che glielo chiedesse suo figlio.
Anche Gabriel è spaventosamente mattiniero, e li aveva impastati
con lei; e anche lui adora i biscotti al cioccolato, e metà
impasto l'ha mangiato prima che Isabèl l'infornasse.
E qualche volta, nei suoi occhi, c'è quella luce dolceamara,
quell'arancione ardente che aveva da bambino suo fratello. Ed è
confortante, a volte, ritrovare in quel viso i suoi tratti. E a volte
fa paura.
"Quanti anni ha Gabriel?"
"Cinque"
"E vuole che gli insegni a suonare il violoncello? Stai scherzando? Sa almeno dirlo, 'violoncello'?"
"Si cretino. Suona già la chitarra e i suoi insegnanti sono
tutti molto impressionati. Te l'ho detto che ha cominciato a parlare a
nove mesi?"
"Non ci credo."
"E non crederci."
"E gli altri ragazzi?"
"Jaime è la solita testa calda. Come tuo padre."
"E come te."
"..e Federico si è innamorato dei libri. E' impressionante la
velocità con cui li legge. Quasi quanto il caos che c'è
in camera sua."
"Povero ragazzo.." Santiago ride, al ricordo della sua di stanza, e una sorta di solidarietà lo scalda.
"E Remedios beh, continua a fare sogni strani. Sai, credo che abbia ereditato le doti della mamma, te lo ricordi?"
"Mi ricordo le saliere che camminavano sul tavolo. Le tue saliere come stanno di recente?"
"Ogni tanto tremano. Dici che devo preoccuparmi?"
"No. La mamma diceva che non c'era da aver paura."
"La mamma sapeva gestirle, certe cose."
"Imparerà anche lei. E' bella proprio come la mamma, Remedios. Ha anche i suoi occhi."
"Già, gli occhi gialli come quelli dei gatti."
La casa di Isabèl è vicina al mare. Da lontano sembra
quasi uscita da un fotoromanzo. E' cobalto, come il cielo di Valparaiso
d'autunno, ed è piccola, accogliente, dolce. C'è Gabriel
nel lettino che finge di dormire. C'è Remedios che tra un
po' lo accoglierà nel suo. Ci sono Jaime e Federico che dormono
davvero, e che di Santiago non ricordano che il nome. E c'è
Carlos, fra le lenzuola, che ha sentito Isabèl alzarsi alle
cinque e andare a preparare biscotti e ha sorriso perchè
Santiago non lo vede da una vita. E gli è mancato.
"Che ore sono?"
"Sono le sette e mezza. I ragazzi dormono ancora, e chi li sveglia.
Gabriel però dovrebbe già essere in piedi. E anche
Remedios, probabilmente. Andiamo."
Sotto al pergolato un gelsomino si arrampica per le colonnine. Sonja,
la gatta, guarda Santiago da sotto le palpebre semiaperte, tranquilla
ma attenta ai movimenti dell'estraneo.
Gabiel lo trovano sulla soglia della cucina, con un bicchiere di latte in mano e due biscotti nell'altra.
"Zio Santi!"
"Eccolo quà. Quante volte te l'ho detto che non mi va che prendi i bicchieri da solo?"
"Me lo ha preso Fede."
"E dov'è Fede?"
"Si sta vestendo. Papà ci porta a fare il bagno. Zio Santi, tu vieni con noi, vero?"
"Che dici, mamma, posso?"
Isabèl lo guarda con dolcezza e sospira. E pensa a quando erano
bambini e Santiago aveva i capelli più chiari e le mani piene di
cicatrici.
E intanto c'è Jaime sulle scale che si è fermato: ha
addosso ancora la maglietta bianca con cui ha dormito ed è
impastato di sonno. E guarda Santiago senza riconoscerlo, chiedendosi
chi diavolo sia quel tipo in casa sua alle sette di mattina.
"Dio, ragazzo, come sei cresciuto."
E capisce. La sua voce. La sua voce e i suoi occhi. E i capelli lunghi raccolti in una coda.
"Zio."
Ed è assurdo scoprire che quell'uomo è li, davanti a lui, dopo tutti questi anni. Che è vivo
tanto per cominciare, che non si è fatto sbranare dai leoni o
roba del genere. Chissà se suona ancora. Chissà se ha
portato anche qualche foto.
Chissà se stavolta resterà abbastanza da potergli lasciare il tempo di fissare il suo viso nella mente.
"Sei la fotocopia di Carlos." E sorride Santiago, perchè il suo
primo nipote l'ha visto nascere e l'ha visto camminare, parlare, l'ha
visto fragile e indifeso e ha visto come la sua pelle s'induriva e i
capelli si scurivano, le gambe farsi solide e la voce perdere
limpidezza.
L'ha lasciato bambino e l'ha ritrovato quasi uomo, quel ragazzo.
"Quanti anni hai?"
"Quindici. Tra due mesi."
"Te ne avrei dati almeno diciassette. Sono contento che tu non sia
così vecchio. Vuol dire che non mi sono perso poi così
tanto tempo."
"Ne hai perso parecchio."
"Ce n'è tanto ancora."
Jaime vorrebbe sorridergli. E vorrebbe essere ancora così
piccolo da potergli saltare in braccio per farsi portare sulle spalle.
Per un momento, un istante, desidera ritornare un bambino. Poi passa.
Passa quando muove il primo passo per ricominciare a scendere i
gradini.
E arriva Carlos, finalmente, e Federico, mezzo addormentato, e
sorridono, Federico lo riconosce subito, e Carlos scende di corsa le
scale per abbracciarlo.
"Dove diavolo sei stato, maledetto zingaro?"
"Sono stato in Medio Oriente., Siria, Palestina, Turchia. Un po' anche in Iran. Ti sarebbero piaciuti quei posti."
"Hai portato qualche scatto?"
"Certo, ma la metà devo ancora stamparle. Mi servirebbe una camera oscura. Avete uno scantinato per caso?"
"Certo. Dovremo darci una pulita però."
"Non vi preoccupate. Me la sbrigo io."
Jaime continua a guardarlo, incredulo. Un po' per il sonno, un po' per
la sorpresa. E gli guarda il viso, per scoprire i segni del tempo: sono
pochi, sottili, ma ci sono. Un velo appena di striature sottili,
incisioni di penna d'oca.
Santiago sente il suo sguardo, e lo lascia fare. E scopre un certo
divertimento nel lasciarsi studiare da suo nipote, a lasciargli
scoprire come può cambiarti la vita.
Ha lo stesso viso di Carlos; ha i suoi occhi di caramello, i suoi
lineamenti felini, la sua pelle scura. Diventerà alto, si
vede già. Ha le spalle robuste, il fisico resistente.
Esattamente come suo padre alla sua età.
Federico invece è una bella mescolanza di Carlos e
Isabèl. Ha la forza e la dolcezza di entrambi. E una bellezza
strana, particolare, che ne suo padre ne sua madre possiedono, una cosa
che è solo sua e lo distingue dai suoi fratelli.
Ha gli occhi verdi, stranamente. Chissà da chi li avrà presi.
Remedios scende per ultima, con la sua aria da sonnambula. E quando lo
saluta - con naturalezza, baciandolo sulla guancia - da l'impressione
di essersi aspettata di trovarlo lì.
"Vieni con noi al mare?"
Gabriel gli tira la camicia, con ancora il bicchiere di latte in mano
"Beh.."
Santiago cerca con gli occhi Carlos. Lui sorride.
"Mi presteresti un costume?"
"Certo."
Il mare cammina lento, calmo.
Lascia sulla sabbia impronte scure che sembrano morsi.
Gabriel si avvicina al bagnasciuga, e le onde fredde gli accarezzano le caviglie.
"Aspetta, è ancora fredda l'acqua.."
"No, non è fredda!"
Lancia un gridolino quando l'acqua gli sfiora i polpacci, ma non si tira indietro.
"Ha fegato il tuo ragazzo."
"Come suo padre."
"Come sua madre, vorrai dire. Mi ricorda Jaime alla sua età. Quanto sono mancato?"
Carlos si volta a guardarlo: anche sul volto di Santi ci sono nuove
rughe, anche i suoi occhi si sono fatti di un nero più pesante.
"Non così tanti. Il problema è che rimani sempre troppo poco. A Jaime sei mancato tanto."
"Ce l'ha con me?"
"Un poco, credo. E' una testa calda."
"Chissà da chi avrà preso."
Quando la sente per la prima volta dopo così tanti anni, la
risata di Carlos è sempre la stessa; è dolce, sensuale, e
sa di ruhm e porto. Esce dal torace, dal cuore e dallo stomaco, e ti fa
venir voglia di accarezzarlo. Non è cambiato da quando
Isabél lo aveva portato a casa per la prima volta. Non è
cambiata la sua bellezza creola e la sua forza, la sua grazia da
torero, il suo fascino. E non è cambiato il morso allo stomaco
che quella risata gli causa.
Una piccola vertigine, un leggero vuoto d'aria.
E qualche volta ha pensato che si, gli sarebbe piaciuto averlo conosciuto prima di Isabèl. Solo per provarlo, niente di più.
Perchè Carlos era per sua sorella e nessun'altra, per mille
piccoli dettagli che sembra siano stati modellati apposta per
incastrarsi e completarsi. Del resto, Isabèl l'aveva preteso con
tutta la testardaggine del suo sangue e si era impuntata mille volte,
prima che arrivasse, per aspettarlo ancora, ancora e ancora.
Sapeva della sua esistenza come lui era certo della sua.
Carlos sognava di Isabèl da quando viveva ancora all'Avana e
studiava lettere moderne, e l'aveva amata per tutto il viaggio di
profugo che lo aveva portato a fare l'imbianchino a New Orleans. E lei
lo aveva aspettato da quando a New Orleans aveva sentito l'odore della
sua pelle nell'aria.
In quel periodo viveva ancora con Santiago.
E scriveva poesie: la prosa, venne dopo. Un po' perchè la
giovinezza è il periodo della poesia, un po' perchè i
figli acuizzano il tuo lato pratico. Anche se lei pensa comunque di
star perdendo ogni parvenza di pratico, nei suoi lavori.
E se li ricorda, Santiago, gli occhi con cui Carlos guardava
Isabèl, e quanto forte gli battesse il cuore, tanto forte che
poteva quasi sentirlo.
Ed era bello, era bello e dolce sapere che Isabèl poteva avere
finalmente qualcosa di suo. Amore, stabilità. Tante cose che lui
non le poteva dare.
"Come mai sei tornato?"
Questa domanda doveva fargliela Isabèl. Era quasi sicuro che
gliel'avrebbe fatta lei. Che gliela facesse lui era un tiro basso,
perchè è disarmante la sincerità con cui ti pone
le domande.
Normalmente, le persone pongono domande con l'intenzione di sapere tutt'altro: Carlos è l'eccezione.
Crede davvero nell'onestà, e questo è sconcertante.
"Perchè è tanto che non tornavo, mi mancava questo posto."
"Tutto qui?"
"Che vuol dire tutto qui?"
"Andiamo. Non è mai così facile con voi due. Quando
Isabèl non passa le ore a pensare ad una risposta, sta mentendo."
Davvero. E' sempre sconcertante, trovarsi così nudi davanti a lui.
"Io. Beh. Ecco. Hm, non credo ti potrebbe interessare. Sono le mie solite paranoie."
"Cioè?"
"Non lo so. Ero a Persepolis qualche tempo fa. Mi sono svegliato, e ho
sentito l'odore di casa. L'odore di Isabèl e dei ragazzi, della
vecchia casa.. di New Orleans. E ho preso il primo aereo."
Carlos lo guarda senza parlare. Aspetta, semplicemente, che Santiago
raccapezzi le idee. Ci si sta quasi abituando, a
quell'incapacità di arrivare al dunque: ancora una decina
d'anni, e riuscirà a sopportare un intero discorso.
"Non so cosa sia di preciso: se sia nostalgia, paura. Incertezza. Forse è che sto diventando vecchio."
"Chi sta diventando vecchio?"
Federico è arrivato dal mare: è questa l'idea che suggeriscono i capelli bagnati e le ciglia umide.
Ha addosso l'odore dell'oceano, e li guarda entrambi con i suoi occhi alieni, verde cupo.
Carlos gli sorride, perchè ha imparato a conoscere gli occhi di
suo figlio e sa che non c'è minaccia dietro quegli occhi. Gli
posa una mano sulla spalla, e gli sorride. E in quel gesto c'è
una familiarità che Santiago ha smarrito nei suoi viaggi, e che
è strano ritrovare così facilmente.
In quel gesto c'è un mistero che la gente si porta dentro da quando nasce fino a quando muore.
C'è l'odore di casa.
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