San
Giovanni d'Acri
Giugno
1225
Uno
straniero che per la prima volta avesse posato lo sguardo su Acri non
avrebbe potuto trattenere un commento di ammirazione. Il gioiello
della corona brillava come una perla rara nel diadema del regno di
Gerusalemme, e il suo palazzo reale non poteva essere da meno,
concepito per essere quanto di più lussuoso si potesse
immaginare.
Immenso e magnificamente decorato: i giardini curati fin nei minimi
dettagli, i frutteti traboccanti di deliziosa frutta variopinta, i
colonnati costruiti secondo la moda araba, i mosaici colorati e le
fontane zampillanti erano solo alcune delle meraviglie che colpivano
lo sguardo. Non a tutti era dato di ammirare anche i lussi che si
celavano all'interno del palazzo, come gli hamam
- le
grandi stanze con enormi vasche in cui si riversava acqua calda per
mezzo di fontanelle a forma di animali, piastrellate con mosaici
dagli intricati disegni e circondate da colonnati di marmo.
Ed
era qui che Yolande aveva trascorso il tempo in attesa del matrimonio
con l'imperatore. In vista di questo importante avvenimento erano
arrivati a corte nuovi maestri incaricati di insegnare alla regina il
volgare di Germania e quello di Sicilia, perché era del
tutto
probabile che il suo futuro marito la portasse con sé
durante i suoi
spostamenti tra i suoi due regni. Yolande aveva saputo che Federico
aveva una predilezione per il suo regno siciliano, che amava le
meraviglie di quel regno così simile al suo; questo l'aveva
rincuorata un poco, perché come lui era abituato a vivere in
un
regno in cui si era a stretto contatto con i saraceni, così
lo era
lei; come lui era innamorato di una terra dal clima caldo e ricco di
delizie per la vista e il palato, così lo era lei. Poteva
darsi
davvero che il loro matrimonio sarebbe iniziato con il piede giusto.
Jean
di Brienne non era più tornato a Gerusalemme dalla sua
ultima
visita, due anni prima. Era stato in Francia, e poi in Inghilterra,
fino a spingersi, qualche mese dopo, fino a Santiago di Compostela,
dove il re Alfonso IX di Leon gli aveva offerto in moglie sua figlia
minore Berenguela. Yolande non lo avrebbe mai creduto possibile, ma
alla non più verde età di cinquantaquattro anni
suo padre si era
risposato con una principessa di appena vent'anni. Aveva scritto una
lettera alla figlia per annunciarle personalmente la notizia, e con
l'occasione le aveva inviato un dono di nozze: un pendente a forma di
croce e un paio di orecchini d'oro con tante piccole ametiste e
perle, nel tipico stile della moda bizantina. Si andarono ad
aggiungere al suo corredo, che le serve avevano già
cominciato a
preparare, insieme alle lenzuola di lino ricamate e ai servizi di
piatti in oro e argento. Anche Federico le aveva inviato diversi
gioielli, e ammirandone la bellezza Yolande non aveva potuto
scacciare la sensazione di venire comprata. Il suo regno per un
mucchio di pietre luccicanti.
Nell’ottobre
di quell’anno la piccola regina avrebbe compiuto quattordici
anni
ed erano dunque iniziate le lunghe trattative per fissare una data
per le nozze e la minuziosa organizzazione del viaggio che
l’avrebbe
infine portata in Italia. Dopo un lungo tira e molla fu decisa la
data del 25 agosto per la cerimonia per procura; dopodiché
la regina
e neo imperatrice sarebbe salpata per il regno siciliano del suo
sposo. Se le correnti fossero state propizie sarebbero giunti a
destinazione nei primi giorni di novembre. E cioè in tempo
per
evitare l’inizio dell’inverno, stagione niente
affatto favorevole
alla navigazione.
Era
un giugno già molto caldo e assolato, e quella mattina la
regina era
uscita dal palazzo con un piccolo seguito: Anais, Mariam e due
guardie di scorta. Si era diretta alla cattedrale di San Giovanni
Battista godendosi il sole che scomparve non appena varcò la
soglia
del portale di pietra. L'interno della chiesa era fresco e in
penombra, ma ancora sufficientemente luminoso grazie ai grandi archi
e alla cupola in stile romanico.
Yolande
fece cenno alla sua scorta di aspettarla fuori ed entrò solo
con
Anais e Mariam. La chiesa era semideserta a quell'ora del mattino, e
i pochi fedeli assorti in preghiera si alzarono per un breve inchino
alla regina che sia avviava lungo la navata centrale. Alcuni
sacerdoti la notarono e in pochi secondi un cerimonioso Jacques de
Vitry le andò incontro pieno di ossequi. Yolande
lanciò un'occhiata
al vescovo di Acri, suo confessore, che le porgeva la mano e, senza
dire una parola, si chinò a baciargli l'anello.
Dopodiché il
vescovo si inchinò alla sua regina. Era così: il
potere
ecclesiastico veniva prima di quello temporale. Per tutti i principi
della cristianità, tranne forse il suo fidanzato. Yolande si
chiese
cosa il vescovo pensasse realmente di Federico, noto per sfidare
spesso l'autorità papale.
“Venite
da questa parte, mia regina. Il confessionale è a vostra
disposizione.”
“Vi
ringrazio, vostra eccellenza.”
Il
confessionale era una struttura ancora più adombrata del
resto
della cattedrale, e il legno di cui era fatta emanava un buon odore
di cera appena passata.
Il
vescovo si accomodò e tracciò nell'aria il segno
della croce,
mormorando le parole di rito.
“Potete
parlare liberamente con me, mia signora. So che sono dieci giorni che
non vi confessate. Quali peccati avete commesso? Quali ombre gravano
sul vostro cuore?”
“Ombre,
dite bene eccellenza”, mormorò Yolande,
aggiustandosi il velo che
le copriva i capelli.
“Sapete
che il mio matrimonio con l’Imperatore si avvicina, ed
io… temo
per la riuscita di questa unione.”
“E
perché mai mia regina? Questa unione è voluta da
Dio, da Sua
Santità e anche di vostro padre. E Dio ci ha comandato di
onorare il
padre e la madre, non scordatelo. Dunque voi state compiendo la
volontà del Signore e obbedendo a vostro padre. State
facendo ciò
che il vostro ruolo vi impone e ciò che una brava figlia
farebbe.”
“Questo
è vero, vescovo de Vitry, ma sono preoccupata per
ciò che si dice
del mio fidanzato, della sua… mancanza di fede. Sapete che
anche
Sua Santità si è scontrato con lui su
questo.”
Il
Vescovo sospirò. “Siete perspicace mia signora.
Più di quanto ci
si potrebbe aspettare da una giovane della vostra età. Ma
avete
ragione: la fede dell’Imperatore è traballante, lo
è sempre
stata. E la vicinanza degli infedeli di cui si circonda non lo aiuta.
Ma forse è proprio per questo che il Signore lo ha messo
sulla
vostra strada. Voi potete riportarlo sulla retta via.”
“E
come potrei mai, eccellenza?” esclamò Yolande,
attonita, quasi
scandalizzata a quella prospettiva.
“Con
l’esempio della vostra fede naturalmente! La vostra devozione
non
può non ispirarne altrettante nel vostro sposo.”
Yolande
si chiese come il Vescovo potesse pensare possibile una cosa del
genere, soprattutto conoscendo l’indole di Federico. E
soprattutto
come poteva pensare che lei, che aveva la metà dei suoi anni
potesse
avere una qualche influenza sul marito, quando non sembrava esserci
riuscita neppure la sua prima moglie Costanza, che di anni ne aveva
il doppio di lui.
Ma
De Vitry non sembrò notarlo, mentre la esortava a
confessarle altri
peccati e lei diligentemente eseguiva. Ascoltò
distrattamente anche
le penitenze che le venivano assegnate e mentre si congedava dal
religioso e tornava dove le sue dame e la sua scorta l'attendevano,
continuò a rimuginare sul fatto che, oltre alla riconquista
di
Gerusalemme con l'inizio della nuova crociata, il Papa potesse
aspettarsi da questo matrimonio anche un riavvicinamento di Federico
alla Chiesa.
Il
25 agosto, la data che Yolande aveva atteso e temuto allo stesso
tempo, infine giunse. La popolazione di Acri si era riversata nelle
strade per godersi lo spettacolo senza precedenti, e il suo vociare
era udibile perfino attraverso le finestre del palazzo reale. Una
folla festante in attesa che gridava il suo nome. Yolande si
sentì
stringere lo stomaco.
La
sua cameriera Philippa le stava finendo di spazzolare i capelli
davanti allo specchio.
“Siete
emozionata, bambina mia?” le chiese l’anziana
donna, con un
sorriso che le illuminò il volto rugoso.
Yolande
deglutì visibilmente, annuendo.
“Forse
voi non lo sapete, ma sono stata io a preparare vostra nonna, per
tutte e quattro le sue nozze, molti anni fa.”
“Davvero?”
“E’
così. E lasciatemi dire che voi le assomigliate moltissimo.
Non
portate solo il suo nome, avete anche i suoi stessi capelli, la sua
bellissima chioma dorata, e il vostro viso mi ricorda così
tanto il
suo. Lei era emozionata come lo siete voi ora quando sposò
il suo
primo marito; e anche se non avrebbe dovuto lasciare la sua casa,
come state per fare voi, l’attendeva lo stesso il gravoso
compito
di regnare. Era così giovane e così inesperta,
proprio come lo
siete voi. Ma è stata un’ottima sovrana ed ha
assolto il suo
compito con devozione e abilità. E voi farete esattamente lo
stesso,
fidatevi di me.”
Yolande
si voltò, facendo bloccare Philippa con la spazzola a
mezz’aria.
La giovane regina aveva gli occhi lucidi e afferrò il
fragile
braccio dell’anziana cameriera.
“Oh
Philippa, come vorrei che potessi venire con me in Italia.”
La
donna sorrise commossa. “Lo vorrei tanto anch’io
bambina mia. Ma
guardatemi: il mio volto porta i segni del tempo come nessuna delle
vostre cameriere e ho visto più inverni di quanti possa
contarne. Ho
avuto cura di vostra nonna e di vostra madre dopo di lei; erano care
al mio cuore come lo siete voi, e a entrambe sono sopravvissuta. Sono
troppo anziana per affrontare un viaggio simile. Ci sarà
Eufemie a
vegliare su di voi in vece mia. E vostra cugina sarà al
vostro
fianco, non siete contenta?”
“Certo
che lo sono”, rispose la regina voltandosi di nuovo verso lo
specchio. “E’ solo che vorrei tutta la mia corte
con me. O meglio
ancora… vorrei non dover lasciare Gerusalemme.”
La
brezza leggera e calda che veniva dal mare scuoteva delicatamente la
chioma dorata di Yolande, che brillava al sole come oro filato.
Ancora per poco l'avrebbe lasciata sciolta: una volta che avesse
pronunciato i voti nuziali, la pudicizia imponeva che li intrecciasse
o li annodasse sul capo. Il velo candido che li copriva vibrava con
la brezza gentile, tenuto fermo solo dal soggolo e dal cerchio d'oro
e rubini che le cingeva la fronte. L'abito leggero di seta e mussola
era intessuto con fili d'oro, e il lungo e pesante mantello di
ermellino era trapunto di pietre preziose. Le dame di Yolande,
dispiegate intorno a lei come un prolungamento del suo corpo, erano
vestite con altrettanto sfarzo ed eleganza, ma non c'era da dubitare
su chi fosse la sovrana tra di loro. Il sole che, in quel torrido
giorno di agosto, si rifletteva sul mare cristallino lo faceva
risplendere come un diamante dalle mille sfaccettature.
Le
quattordici galee inviate dal suo fidanzato per portarla in Italia
avevano gettato l’ancora due giorni prima, tra la
curiosità della
folla che riempiva il porto. La flotta, il cui comando era stato
affidato al Conte Enrico di Malta, era qualcosa che nella sua
imponenza i suoi sudditi non vedevano dai tempi dell’ultima
crociata. A bordo della nave ammiraglia aveva viaggiato
l’Arcivescovo
Giacomo di Capua, che avrebbe rappresentato Federico nello sposalizio
per procura. Il corteo reale procedeva tra le grida festose della
folla, assiepate ai lati del lungo tappeto di fiori che era stato
sparso sul cammino della regina. La porta della chiesa era ancora
chiusa e sotto l’arco del grande portale di bronzo intagliato
stavano il Vescovo de Vitry con un gran sorriso sul volto magro e un
uomo di mezza età che Yolande immaginò essere
l’Arcivescovo di
Capua. La folla che avrebbe assistito quel giorno alle nozze non
aveva mai assistito ad un matrimonio per procura, una pratica comune
in occidente, ma del tutto inusuale a Gerusalemme. Anzi, la maggior
parte di loro si chiedeva come potesse una coppia separata da mezzo
Mar Mediterraneo a venire unita in matrimonio.
Yolande
percorse gli ultimi metri che la separavano dalla chiesa con il cuore
in gola e si fermò accanto all’ecclesiastico. Le
sue dame posarono
delicatamente a terra il velo che avevano sorretto durante il
percorso e rimasero in piedi dietro di lei.
De
Vitry pronunciò le formule di rito, chiedendo il consenso
degli
sposi, dopodiché l’Arcivescovo mise
l’anello al dito di Yolande.
Quando il celebrante dichiarò la coppia unita in matrimonio,
si
levarono grida di giubilo dalla folla.
Yolande
stentò a credere che fosse fatta: era una donna sposata
senza
neppure aver mai visto in volto suo marito.
Tuttavia
non ci fu molto tempo per elaborare quel cambiamento, perché
il rito
doveva proseguire. I due ecclesiastici si fecero da parte,
lasciandola al centro della scena. Yolande salì ancora due
gradini,
poi batté sull’imponente portone intagliato che la
sovrastava.
Una
voce si levò dall’interno: “Chi chiede
di essere ammesso nella
casa del Signore?”
“La
tua serva, Isabella”, rispose lei, con voce alta e ferma,
come mai
avrebbe creduto di essere capace.
Alle
sue parole i pesanti cardini girarono e i due battenti di ferro
battuto lentamente si aprirono, mentre sembrava che tutti intorno
stessero trattenendo il fiato. Marie e Anais si avvicinarono a lei e
con pochi gesti esperti le tolsero il velo con il soggolo e il
cerchio d’oro. Più nulla rimase sul suo giovane
capo pronto ad
accogliere la corona. Yolande prese un profondo respiro e
entrò
nella chiesa gremita di nobili e dignitari seduti ai loro posti.
Tutti si voltarono a guardare la sua sagoma che si stagliava sullo
sfondo della luce accecante che proveniva dall’esterno. I
suoi
occhi impiegarono qualche secondo ad abituarsi a quella penombra.
Seguita dalle sue dame, dall’Arcivescovo di Capua e dal
Vescovo de
Vitry, la futura regina si avvicinò all’altare con
passo misurato,
avvolta da un religioso silenzio. Se avesse chiuso gli occhi avrebbe
anche potuto immaginare la chiesa deserta e le panche vuote.
Riuscì
a lanciare qualche occhiata distratta intorno a sé e
riconobbe tra
le prime file suo cugino Baliano Conte di Sidone, il padre di Marie,
Boemondo principe di Antiochia e il Conte di Tripoli Raimondo.
E
anche un paio di file di volti a lei completamente sconosciuti:
dovevano essere i dignitari siciliani mandati da Federico con le
galee per assistere all’incoronazione.
Dopo
non vide più nulla se non il volto sorridente di Simone di
Maugastel, l’Arcivescovo di Tiro, nonché
cancelliere del regno,
che le tese la mano perché baciasse l’anello.
Yolande si
inginocchiò, mentre le dame sistemavano il mantello lungo la
navata.
La giovane regina pronunciò la formula del giuramento che
aveva
imparato a memoria. Giurò di difendere e proteggere il regno
di
Gerusalemme da ogni nemico, interno ed esterno; di votare la sua vita
a questo compito che Dio aveva voluto affidarle. Giurò di
essere
sempre fedele alla sua corona e di mettere sempre il bene del regno e
del suo popolo prima della sua stessa vita. Cosa che – non
poté
evitare di pensare con una certa ironia – stava
già facendo.
Uno
dei ministranti porse quindi la corona all’Arcivescovo di
Tiro.
Yolande la riconobbe alla prima occhiata: era la corona indossata da
sua madre e da sua nonna prima di lei.
D'oro,
traboccante di gemme – rubini, ametiste, ambra, granato e
smeraldi
- e con quattro croci, anch'esse in oro e gemme, che svettavano alte
su ciascun lato. Le venne posta sul
capo e lei ne saggiò la pesantezza. Seguirono lo scettro e
l’orbe
terracqueo, che tenne sollevati con mani appena tremanti. Infine si
alzò in piedi e si voltò verso la folla,
mostrando i simboli del
suo potere. Era qualcosa che non si sarebbe aspettata, ma
un’emozione
improvvisa ed intensa la invase. Gli occhi le si riempirono di
lacrime e un sorriso radioso le illuminò il volto, mentre le
grida e
le acclamazioni della nobiltà del suo regno le risuonavano
nelle
orecchie come riverberi di gloria.
Yolande
poteva vedere sui loro volti la sincera felicità che
provavano
nell’avere di nuovo una sovrana incoronata; una sovrana che
stava
per legare gli interessi del regno di Gerusalemme a quelli
dell’uomo
più potente del mondo, qualcosa che nessun re dei regni
d’oltremare
aveva mai realizzato. Riponevano davvero in lei le loro speranze.
Le
acclamazioni festose dei suoi sudditi, accalcati sul molo e nelle
strade circostanti il porto alla partenza della flotta si erano
lentamente assiepate, mentre le persone diventavano sempre
più
lontane, fino a diventare piccoli puntini variopinti e sfocati. La
sagoma di Acri, i suoi tetti, i campanili delle chiese, con le
campane che non avevano smesso di suonare a festa da quando era stata
incoronata, tutto scomparve all’orizzonte mentre le galee
solcavano
le acque prendendo il largo. Yolande stava appoggiata al parapetto di
poppa, avvolta in un mantello perché il vento era forte,
nonostante
il sole non fosse ancora del tutto calato. Anais osservava anche lei
Acri sparire all’orizzonte, gli occhi arrossati, i lunghi
capelli
neri che le sbattevano sul viso. Teneva protettivamente un braccio
intorno alle spalle della più giovane cugina. Entrambe
stavano dando
il loro silenzioso addio alla terra che le aveva viste crescere.
Nota
dell'autrice: Grazie
a tutti coloro che hanno letto e recensito fin'ora e spero che questo
nuovo capitolo sia di vostro gradimento ^_^
Una
piccola curiosità: non avendo indizi su come potesse
presentarsi la
corona del regno di Gerusalemme ho preso spunto da una famosa corona
più o meno contemporanea, quella del Sacro Romano Impero,
modificandola un po'.
Alla
prossima
Eilan
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