Pride

di Badboy116
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Capitolo 1

Eravamo in terza elementare, quando un giorno di fine Ottobre il bidello entrò in aula e con mezza voce si rivolse al maestro dicendo:

“Salve Maestro Brandi, le affido questa giovane ragazza. Il suo nome è Elena Esposito e da oggi in poi prenderà lezioni in questa classe”

Il maestro, un uomo sulla quarantina, con capelli bianchi brizzolati e vestito in modo molto elegante, giacca e cravatta, la invitò ad accomodarsi vicino a me. Lei, con lo sguardo basso e le spalle larghe, si avvicinò, prese il suo quaderno a righe e iniziò a scrivere e ad appuntare ciò che diceva il maestro. La osservai attentamente: i gesti, lo sguardo, i modi di fare. Era un po' più bassa di me, capelli scuri legati in due trecce e pelle olivastra. Portava l'apparecchio ai denti e vestiva sempre in modo molto sciatto. Emanava un cattivo odore: o di sigaretta, poiché i suoi genitori fumavano entrambi in casa, o di cibo. Non fece molta amicizia con gli altri compagni di classe. D'altro canto nemmeno io avevo mai avuto un buon rapporto con loro. Appartenevano tutti a famiglie illustri del Vomero: chi era figlio di medici, chi, invece, di importanti avvocati, chi di celebri letterati. Io, spesso, mi vergognavo quando mi chiedevano quale fosse il mestiere dei miei genitori. Rispondevo sempre che entrambi facevano lavori importanti, spesso inventavo. Ma non era così: mia madre era casalinga mentre mio padre era un pescivendolo nel mercato rionale. Tutti sapevano che mentivo e frequentemente mi prendevano in giro oppure mi escludevano dalle loro chiacchierate. Ciò andò avanti fino alla quinta elementare. Ma quando arrivò Elena, tutto cambiò. Anche lei aveva umili origini come me.

Nei primi giorni non ci rivolgevamo nemmeno il saluto. Era molto dispettosa. Ricordo ancora quando si impose che voleva sedersi al lato del muro per appoggiarci la schiena e restare più nascosta dal Maestro Brandi. Mi opposi. Così un giorno spalmò cioccolata sulla mia sedia e quando mi sedei disse divertita:

“Guardate, Giovanni si è fatto cacca sotto”

Provai molta vergogna in quel momento e la odiai con tutto me stesso. La spinsi e corsi subito in bagno a piangere. Oppure quella volta in cui, senza alcuna motivazione, mi buttò la merenda per terra e disse con disprezzo:

“Adesso mangiatelo”

Non capivo se lo faceva per farsi accettare dagli altri oppure perché era proprio lei cattiva. Sopportai queste cose per molto tempo fino a quando lei un giorno mi chiese scusa. Si pentì dicendo:

“Scusami Giovà, sono stata cattiva con te. Vogliamo essere amici della pelle?”

Il mio non-reagire alle sue cattiverie la stancarono e quindi voleva diventare mia amica. Quando eravamo bambini esisteva un grado di amicizia: amici, amicizia distaccata, quasi conoscenti, amici della pelle, amicizia di cui ci si poteva fidare e amici del cuore, ovvero i migliori amici. Ero contento di quella tregua, di quel trattato di pace che avrebbe placato l'astio che provavo nei suoi confronti e il desiderio di prendermi in giro suo. Inizialmente riuscii a dire soltanto “ci penserò”, ma poi, dopo qualche giorno, le dissi di sì. Così, durante l'ora di matematica, strappammo un foglietto di carta e scrivemmo: Giovanni e Elena giurano di non litigarsi mai più e che devono essere amici per sempre.

Da lì iniziò la nostra amicizia, ricca di alti e bassi, solida e duratura ma anche fragile.





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