A
Elena,
la mia Italia Veneziano parecchio romana.
Grandine
estiva
Era
iniziato tutto come un imprevisto temporale di metà luglio.
Quando Ludwig si era visto convocato nell’ufficio del capo
dipartimento aveva passato tutto il percorso preso in un mulinello di
pensieri che cercava di catalogare eventuali sbagli fatti durante il
tirocinio o qualche danno all'ambiente lavorativo, senza
però trovarlo.
Invece era stato trasferito in Italia. Aveva cercato di argomentare, o
almeno di capire la motivazione di quella decisione così
radicale, ma il suo superiore non sembrava capire la sua
preoccupazione. Era stato lui stesso a raccomandarlo, lodando le sue
capacità e commentando sul quanto fosse disposto a farlo
avanzare con la carriera. Ludwig non poteva che essergliene grato, ma
un simile imprevisto sembrava far deragliare ogni suo piano di una vita
a Berlino. Tutto sommato si era scoperto a non protestare apertamente e
si era ritrovato a fare le valigie con un biglietto per Roma. Gilbert
aveva speso i suoi ultimi giorni a casa a prenderlo in giro sulla sua
futura italianizzazione, ma l'ultima sera lo aveva portato fuori a bere
insieme e lo aveva rassicurato sul fatto che se la sarebbe egregiamente
cavato a vivere da solo. Lui non ne era molto convinto, ma aveva
lasciato correre la cosa a favore della birra che non avrebbe avuto
occasione di bere per un po'.
Nonostante i suoi foschi pensieri, però, si era sbagliato.
Si era innamorato.
Roma era un'antica signora che non ci aveva impiegato molto a
conquistarlo. Nel giro di tre anni era riuscito ad ambientarsi ai suoi
ritmi, ad apprezzarne le qualità e a riconoscerne i difetti.
Il suo lavoro gli dava molta più soddisfazione ora che si
trovava lì, e lentamente aveva lasciato morire i suoi timori
in braccio alla vita romana che conduceva. Aveva trovato un
appartamento non troppo lontano dall’ambasciata, un piccolo
condominio infilato in un vialetto quasi anonimo e escluso dal caos
cittadino che si consumava a pochi passi da lì. La
tranquillità era stato il primo requisito che aveva
concordato con l’agente immobiliare quando si erano
avventurati alla ricerca e questi, affabile, sembrava aver colto in
fretta le sue aspettative, presentandogli il luogo che ormai abitava da
tre anni.
Certo era molto più piccolo rispetto a quello che
condivideva con il fratello, ma una volta arredato a suo piacimento era
riuscito a renderlo quanto più familiare e confortevole. Le
sue finestre erano tutte rivolte verso il cortile interno,
garantendogli il massimo del confort che poteva richiedere a una
capitale. Il quartiere era piuttosto grazioso e non sembrava essere
soggetto alla criminalità, aveva più volte girato
l’isolato per tenere conto dei servizi e nonostante i
continui paragoni con Berlino la sua perlustrazione era terminata a
pieni voti.
Anche il vicinato non era male. Certo, non andava d’accordo
con tutti, ma la persona con cui condivideva il piano era degna di
rispetto e considerazione. Il signor Romolo era un romano fiero e
valente, nonostante sbottasse scherzosamente quando lui usava qualche
onorifico per parlargli, e Ludwig non avrebbe mai chiesto di meglio
come vicino. Certo aveva un’età, che non gli ha
mai rivelato, ma era sempre cordiale nei suoi confronti e ben disposto
a scambiare racconti di fronte a una bottiglia di vino. Probabilmente
era grazie a lui che Ludwig aveva iniziato ad apprezzarlo, collegando
il sapore alcolico ai racconti dell’uomo. Questi erano a
volte rocamboleschi e talvolta al limite del surreale, ma Ludwig non si
era mai spinto a metterne in dubbio nemmeno una parola. Gli piaceva
passare qualche serata in una simile maniera, con un uomo
così ricco di esperienza e carisma.
Era un qualcosa che il nipote non aveva ereditato da lui.
Conosceva Lovino solo di vista, quando questi veniva a trovare il
nonno. Inizialmente aveva trovato simile iniziativa encomiabile, almeno
finché Romolo non aveva bonariamente commentato –
di fronte al nipote stesso, tra l’altro – che
questi venisse da lui solo pe spizzasse la pischella del piano di
sotto. Aveva visto l’uomo avvampare, probabilmente
perché colto in pieno fallo, e aveva accantonato anche il
minimo interesse che poteva avere per un simile soggetto. Sapeva da
Romolo che ci fosse un altro nipote, fratello minore di quello di
prima, ma nella sua mente si era formata l’immagine di un
Lovino più piccolo ma probabilmente con la stessa indole, il
che l’aveva spinto a non interessarsi oltre.
Poi c’erano le visite di Gilbert.
Quelle erano spesso una tragedia, che faceva lievitare la sua bolletta
per tutte le chiamate oltre confine che il fratello faceva al canile
che teneva loro i cani, senza contare le perenni diatribe con la coppia
che abitava al piano di sopra. Sembravano obbligatorie ogni volta che
si presentava a casa sua senza preavviso ed era costretto ad accamparsi
sotto la porta in attesa del suo ritorno, non avendo imparato dopo anni
quali fossero i suoi orari lavorativi. Sembrava che infastidire i suoi
vicini ormai era diventato uno sport.
Nonostante questo, la sua vita procedeva tranquilla.
Almeno finché il signor Romolo non era morto. Era successo
in un tranquillo giorno di primavera, senza alcun segnale che lo
preavvertisse. L’uomo si era spento sereno nel sonno, trovato
quasi subito dalla sua famiglia che doveva venire a pranzo per la
giornata di festa.
Una simile notizia l’aveva scioccato. Non ricordava molto dei
giorni successivi, se non la veglia e poi il funerale. Si era
presentato tutto il condominio, e curiosamente era stato Lovino a
prendere le loro difese di fronte ai commenti materni sul come la loro
presenza non fosse adeguata. Ludwig non aveva compreso niente delle
loro strilla in romano stretto, ma alla fine era riuscito a dare il suo
saluto a quel vicino così singolare che sarebbe rimasto
impresso nella sua memoria per sempre.
Da quel giorno in poi, il suo piano era rimasto completamente in
silenzio.
Un improvviso boato lo aveva fatto saltare dalla sedia, facendogli
andare la sua colazione di traverso. Ludwig tossisce, cercando di darsi
dei colpi al petto per riprendere a respirare. Guarda verso la
direzione del corridoio, come se potesse vederlo attraverso la porta,
chiedendosi cosa potesse averlo prodotto.
Forse era l’ascensore, bloccato da tempo immemore, che era
finalmente caduto a causa della nulla manutenzione. Avrebbe dovuto
farlo presente all’ultima riunione condominiale.
L’ascensore era paragonabile a un reperto storico, e lui non
l’aveva mai visto funzionare. Da quello che era riuscito a
cogliere, non funzionava già dai tempi in cui Roderich ed
Elizaveta si erano trasferiti lì ma nessuno aveva mai
accennato a ripararlo. Sembrava quasi trattato come una reliquia che
semmai fosse ripartita avrebbe portato distruzione al mondo intero. A
poco erano valsi i suoi tentativi di chiamare un tecnico o sobbarcarsi
totalmente i costi di un’eventuale riparazione. Nessuno
sembrava essere ben disposto a farlo ripartire.
Sicuramente doveva andare a dare un’occhiata. Abbandonando la
sua colazione Ludwig si trascina alla porta, aprendola e vedendo
davanti a sé la porta dell’appartamento confinante
aperta. Era passato circa un mese dalla morte di Romolo, e
l’opzione più probabile erano dei nuovi inquilini.
Sapeva che doveva presentarsi o almeno controllare che quel rumore
provenisse dall’altro appartamento e non, come aveva pensato,
dall’ascensore.
Ludwig socchiude la porta, ripassando mentalmente ciò che
doveva dire, ma Lovino lo anticipa apparendo sulla soglia
dell’appartamento.
« Che vuoi? »
« Ah, sei tu. » il suo tono sembra non piacere a
Lovino, che assottiglia gli occhi. « Ho sentito un rumore,
pensavo- »
« Pensavi male. »
« Non si è fatto male nessuno? »
« No. » quando era con lui Lovino sembrava essere
di poche parole, il che era strano se ripensava a come Romolo lodasse i
monologhi del nipote, definendoli degni delle grandi commedie. Ludwig
non era d’accordo ma non aveva mai manifestato il suo
pensiero ad alta voce. Di fronte a simile muro, in fondo, non aveva
alcuna voglia di continuare.
« Allora ti saluto. » dice, prendendo la maniglia
della propria porta.
« Tu quando te ne vai? » una simile domanda lo
coglie di sorpresa, spingendolo a voltarsi nella direzione
dell’altro uomo.
« Come scusa? »
« Quando te ne vai. Nel senso. Ti trasferisci e vai altrove.
» ripete Lovino, scandendo le parole. Ludwig cerca di
mantenere la calma, mantenendo la presa sulla maniglia.
« Non credo me ne andrò presto. »
« Peccato. » concluso simile scambio di battute
Lovino sparisce nell’altro appartamento, lasciandolo da solo.
Simili parole continuano a tornargli in mente tutta la giornata,
rendendolo piuttosto confuso a riguardo. Non si spiega il
perché Lovino gli abbia rivolto una simile domanda. La
risposta gli giunge solo nel tardo pomeriggio quando torna a casa.
Roderich si trovava all’altezza del secondo piano quando lo
trova. Ludwig si avvicina, venendo presto notato dall’altro
uomo che muove la mano per farlo avvicinare.
« Buon pomeriggio. » dice allora lui, mentre
osserva l’altro riprendere fiato. « Roderich, ne
abbiamo già parlato, non puoi fare le scale e portare con te
una borsa più pesante di quella che contiene i tuoi
spartiti. » l’altro gli lancia
un’occhiata ma sembra essere senza abbastanza fiato per
rispondergli. Non aveva mai conosciuto una persona così
singolare come Roderich. Certo, era un ottimo pianista piuttosto
richiesto ma la sua forza fisica rasentava il nulla, tanto che
più di una volta la moglie – o lui stesso, se lo
trovava sulle scale – si era ritrovata a chiamare disperata
l’ambulanza a causa dello sforzo troppo elevato sul suo
debilitato fisico.
Ludwig prende con calma il sacchetto di plastica, ponderando se fosse
un buon momento per insistere sulla riparazione
dell’ascensore, ed insieme proseguono la strada verso il
quarto piano. Elizaveta era già sulla porta, probabilmente
aveva intuito che il marito fosse deceduto lungo il tragitto. Lui le
allunga il sacchetto che teneva in mano, provocando il cambiamento
dell’espressione della donna.
« Roderich, ancora? » esclama, battendo un piede,
ma non ottenendo nient’altro che un rantolio che suonava
tanto come una richiesta d’acqua. La donna allora si sposta
dall’uscio, permettendo a Roderich di entrare finalmente in
casa e scuote il capo, sconsolata. Poi alza il viso, sorridendo a
Ludwig.
« Grazie, non so come ringraziarti per averlo aiutato.
»
« Non c’è di che. »
« È che con questi ultimi cambiamenti sembra che
pure mio marito voglia dare prova di chissà quale
stupidità. »
« Che intendi? » Elizaveta si acciglia, guardandolo
seria.
« Non lo sai? Strano. »
« Non so cosa? » un simile risvolto non gli
piaceva. Rimanere all’oscuro non gli era mai piaciuto. Era
per quello che Gilbert aveva rinunciato a organizzare feste a sorpresa.
« Ho incontrato Lovino stamattina, sai, il nipote di Romolo.
Pace all’anima sua, eh. » la donna si fa un veloce
segno della croce. « Abbiamo parlato un po’, e
gliene ho pure dette quattro sul casino che ha fatto stamattina. Certo
che spostare mobili a quell’orario solo lui lo può
fare. »
« Elizaveta, ti prego, vieni al punto. »
« Ah, giusto. Abbiamo parlato e mi ha detto che ha ereditato
la casa. » non era ciò che avrebbe voluto sentire.
Ora si spiegava quella mattina e quella strana domanda. « Da
quello che ho capito alla lettura del testamento è scoppiato
il finimondo. Un po’ lo capisco, ha lasciato una casa come la
sua a solo due nipoti invece che ai figli. »
« Due? » la donna alza le spalle, per dissimulare
indifferenza.
« Sì, a Lovino e al fratello minore. »
No, decisamente la situazione non stava prendendo una buona piega. Se
Lovino e il fratello avessero preso residenza, non aveva idea di come
sarebbe cambiata la sua situazione. Certo con il signor Romolo i suoi
ritmi non erano stati cambiati o stravolti, ma stranamente
l’anziano uomo non era un vicino particolarmente rumoroso.
Ciò non si poteva dire di Lovino e del suo fratello
più giovane.
Forse doveva seriamente pensare di cambiare casa. No, gli dispiaceva.
Aveva trovato quel luogo e non se ne sarebbe andato solo
perché un burino con fratello annesso si sarebbe presto
trasferito di fronte a lui.
« Ludwig, stai di nuovo pensando troppo? »
La voce di Elizaveta lo riporta alla realtà, spingendolo a
salutarla e a scendere verso il proprio appartamento. Il piano sembrava
tranquillo, e la porta di fronte alla sua era chiusa. Non proveniva
alcun rumore. Probabilmente non c’era nessuno.
Ludwig apre la porta di casa, respirando l’aria tranquilla.
No, non era disposto a lasciare quel posto così presto e di
certo non quell’appartamento.
Magari, come spesso commentava Elizaveta, stava pensando troppo. Non
era nemmeno sicuro che Lovino andasse ad abitare lì. Forse
stava spostando i mobili per poter rendere la casa affittabile, il che
gli sembrava l’opzione più probabile – o
perlomeno quella che la sua mente sembrava desiderare di approvare al
più presto – o semplicemente voleva venderli.
No, le tasse sugli immobili erano lievitate in quegli anni, sarebbe
stato stupido lasciare l’appartamento vuoto. Già
il condominio ne aveva ben tre, rendendo le spese condominiali un
inferno, perdere un altro contribuente sarebbe stata una scocciatura.
Nonostante cercasse di non arrovellarsi troppo sulla questione, Ludwig
era consapevole che ci avrebbe rimuginato sopra per tutta la sera. Non
riusciva a rimanere tranquillo e la mancanza di informazioni lo stava
uccidendo. Non aveva idea di cosa potesse succedere una volta che
l’appartamento accanto fosse stato nuovamente abitato. Forse
avrebbe davvero dovuto cercarsi un nuovo alloggio.
No, stava vedendo la situazione in maniera troppo drastica. Magari non
sarebbe andata così e la situazione si sarebbe risolta in un
modo completamente diverso. Non aveva alcun bisogno di pensarci troppo.
Per tutta la settimana successiva per tutto il condominio i suoni di
mobili che venivano spostati, trascinati e mossi sulle scale avevano
scosso il condominio. Non aveva fatto domande, ma aveva notato dei
pezzi di arredamento nuovi sistemati temporaneamente sul pianerottolo
una sera, confermando la sua ipotesi dell’appartamento
nuovamente abitabile.
Ora rimaneva solo una questione. Non aveva idea di chi sarebbe stato ad
abitare lì. Aveva preferito non indagare, almeno per il
momento, come se una sua parola bastasse per cambiare il corso degli
eventi.
« Buon pomeriggio. » Arthur era nel corridoio
d’entrata. Era raro incontrarlo, per quanto ne sapeva
l’altro uomo faceva il professore universitario e aveva orari
completamente diversi dai suoi. Questi si volta in sua direzione,
mentre controlla le lettere ritirate dalla cassetta.
« Ed eccone un altro. » si scordava spesso del
pessimo carattere dell’inglese, anche a causa della poca
frequentazione che ne faceva. In realtà Elizaveta aveva
accennato qualcosa a riguardo delle storie che giravano su di lui come
insegnante – incentrate soprattutto alla poca sopravvivenza
dei suoi assistenti – ma non aveva voluto prestarci ascolto.
Certo Arthur era dotato di un pessimo carattere, ma oltre a quello lui
non aveva niente da recriminargli.
« Un altro? » Arthur sospira, come se avesse appena
detto un’ovvietà.
« È appena passato il nipote del vecchio Romolo.
»
« E ti ha salutato? »
« No, intendo l’altro nipote. Lovino non ha nemmeno
idea di che cosa sia l’educazione. » ora era
chiaro. Finalmente era arrivato il fatidico altro nipote. Nei suoi
ricordi il signor Romolo ne parlava spesso in maniera fiera, ma in quel
momento non riusciva a ricordarne il nome. Sicuro aveva un suono
singolare. « Non assomiglia per niente a suo fratello.
»
« Davvero? » Arthur si guarda attorno, per poi
avvicinarsi.
« Sì. Sembra essere meglio. » dice, per
poi allontanarsi. « Ma io non ti ho detto niente! »
esclama, sparendo dentro il suo appartamento e chiudendo la porta
sbattendola.
Ludwig non sapeva cosa pensare. Essere “meglio”
negli standard di Arthur era un parametro bizzarro. Si parlava della
stessa persona che durante una disinfestazione aveva proposto di
sgomberare l’appartamento di Francis. E per quanto lui non
avesse grande apprezzamento per l’altro uomo, aveva trovato
simile proposta piuttosto drastica.
Pieno di pensieri raggiunge il secondo piano, trovandoci
però Basch armato e la sorella che cercava di trattenerlo.
Era uno scenario insolito. Entrambi strillavano in qualche dialetto
strano, rendendogli impossibile comprendere la situazione. Non aveva
idea se intervenire o meno, ma alla fine il senso civico prevale con
prepotenza.
« Cosa è successo qui? » dice,
rivolgendosi alla ragazza, sull’orlo delle lacrime. Questa si
aggrappa con ancora più forza al fratello.
« Mio fratello dice che quelli al piano di sopra stanno
pattinando! »
« Lo fanno!! » strilla allora Basch, tentando di
farsi strada nonostante i tentativi di Erica di trattenerlo.
« Quest’ultima settimana non hanno fatto altro che
portare caos, io non posso più portare pazienza! »
La pazienza di Basch, però, non era tra le sue
qualità e Ludwig questo lo sapeva.
« Lo so, Basch, ma sono qui da una settimana e probabilmente
non hanno ancora ricevuto una copia del regolamento. Se ora tu andassi
da loro, armato, saresti dalla parte del torto e non credo tu lo
voglia. » Basch allora abbassa l’arma, guardandolo
negli occhi.
« Ciò non toglie che pattinano. »
« Andrò io a parlarci, e li farò
smettere se lo stanno facendo. » l’uomo assottiglia
lo sguardo, ma abbassa definitivamente il fucile.
« D’accordo. » borbotta, tornando dentro
casa, seguito da un’Erica che gli sorride grata per aver
temporaneamente sbrogliato la situazione. Ludwig sospira, osservando le
scale che l’avrebbero condotto al confronto con Lovino e
probabilmente anche col fratello. Non voleva farlo, ma ormai la
situazione lo costringeva.
Ogni gradino che faceva sembrava pesargli, ma gli permetteva di
costruire un discorso diplomatico e conciliante che avrebbe perlomeno
impedito un omicidio per quella sera. Giunto avanti alla porta lo aveva
già ripassato due volte, e si sentiva pronto a parlare.
Prova a suonare il campanello.
Questo non emetteva alcun suono. Forse era rotto, Romolo non faceva mai
caso a simili dettagli. Doveva bussare.
Una simile attività non lo attraeva, ma doveva almeno
provarci. Tenta dando due colpi secchi al legno, che riecheggiano, e
rimane in attesa. Passano diversi istanti ma non sente alcun rumore.
Decide di riprovarci, ottenendo però lo stesso risultato.
Era strano. Forse Basch si era immaginato i rumori, troppo stressato
dal lavoro. Dall’appartamento che aveva di fronte proveniva
solo un assordante silenzio. Ritenta una terza volta, ottenendo
comunque lo stesso risultato. Doveva desistere.
Non riusciva a spiegarsi quell’improvviso trambusto. Certo
dei nuovi vicini avrebbero portato dei cambiamenti, ma non aveva mai
immaginato che questi sarebbero stati così drastici. Decide
di cenarci sopra, lasciando che le sue congetture scivolino nuovamente
nell’oblio.
Solo quando ormai si stava preparando per dormire sente dei rumori di
chiavi che giravano. I suoi nuovi vicini erano rientrati. Non sapeva se
tentare un approccio nonostante l’orario. Lo sbattere della
porta, però, gli fa intuire che non era un buon momento.
Era come aveva immaginato. I suoi nuovi vicini non avevano niente da
spartire col precedente proprietario. Sicuro avrebbe dovuto acquistare
dei tappi con le orecchie.
Al di là della porta si fa la quiete per cinque minuti, poi
iniziano le urla. È un qualcosa che lo coglie di sorpresa,
facendolo sobbalzare dal divano. Non aveva mai sentito qualcuno urlare
in una tale maniera. Nell’altro appartamento stava succedendo
qualcosa.
Con una certa urgenza Ludwig si alza, per poi fermarsi. Forse stava
fraintendendo. Insomma, probabilmente era un litigio e non era affare
suo mettercisi in mezzo – già doveva pensare alle
beghe di Gilbert con Elizaveta, mettersi in mezzo ad altre discussioni
sarebbe stato decisamente troppo –. No, questa volta non era
affare suo. Se i suoi vicini non potevano rimanere tranquilli, non era
affare suo mettere quiete.
Rimpiangeva tanto i tempi di tranquillità.
Ritorna sul divano, cercando di riprendere la sua lettura nonostante il
rumore al di là del muro si stesse facendo sempre
più insistente. Il suo cervello percepiva ancora il suono,
ma aveva rinunciato a qualsiasi forma di interpretazione rendendo
quindi il litigio come una sorta di molesto sottofondo che sarebbe
presto finito.
Questo, però, non sembrava accennare a terminare, aumentando
invece di volume. Ludwig era piuttosto sorpreso dalla
vitalità che le due persone avevano per discutere
furiosamente così a lungo in quell’orario. Era
certo che stavolta non avrebbe fermato Basch se questi avesse voluto
fare un raid nell’appartamento.
Certo anche lui aveva litigato diverse volte con Gilbert, ma mai
così furiosamente e nemmeno così a lungo. Il
più delle volte era perché i loro cani si
mettevano ad abbaiare, facendo quindi in modo da terminare
definitivamente ogni loro tentativo di alzare la voce. I due fratelli,
invece, sembravano inarrestabili.
Ora che ci prestava attenzione, riconosceva la voce di Lovino e sentiva
anche un’altra voce, dal timbro più pacato ma dai
toni decisamente alti uguale. Probabilmente era il fratello.
Il suo orecchio non era ancora in grado di cogliere gli argomenti della
discussione, ma intuiva che fossero tutt’altro che pacifici.
Più sentiva le urla farsi acute e più desiderava
infilarsi nel letto e fingere di non aver sentito niente.
Si stava apprestando ad eseguire ciò che si era preposto,
quando l’improvviso rumore di un qualcosa di rotto non desta
la sua attenzione. C’è improvvisamente il
silenzio. Non era niente di buono.
Certo, forse lui era stato un po’ condizionato dalle sue
ultime letture thriller che riguardavano per lo più
intricate situazioni familiari e omicidi sanguinolenti, ma non riusciva
più a sentirsi sereno. Forse avrebbe dovuto almeno bussare,
per sincerarsi che fosse tutto a posto. Era il minimo che poteva
tentare nel caso lì accanto fosse davvero successo qualcosa
di grave.
Un altro rumore, un altro oggetto rotto, nuovamente il silenzio. Non
stava prendendo affatto una buona piega. Ludwig abbandona il suo libro,
alzandosi in cerca delle ciabatte e avviandosi a grandi passi verso la
porta. Non riusciva a sentirsi tranquillo.
Sul pianerottolo c’era silenzio, come se niente di quello che
aveva sentito fosse mai successo. Era tentato di andare a bussare da
Francis, al piano di sopra, ma probabilmente avrebbe dovuto fare i
conti anche con le battutine maliziose e domande inopportune, e non lo
voleva.
Non gli rimane altro che bussare alla porta. Ludwig picchia piano le
nocche contro il legno, sperando di riuscire ad attirare
l’attenzione, ma di nuovo il silenzio è come un
muro. Bussa ancora, ma ottiene sempre la stessa risposta.
Le urla riprendono, facendogli accapponare la pelle. Non era un buon
segno. Stavolta riprende a bussare con più foga, cercando di
farsi sentire, ed è tentato di urlare per richiamare
l’attenzione, ma non sa chi chiamare. Non sa chi siano le
persone che sono dentro, o se sia successo qualcosa di grave, se almeno
deve chiamare l’ambulanza. I suoi tentativi non ottengono
niente. Le persone al di là della porta sembrano non
prestargli attenzione.
Ludwig si allontana dalla porta, indeciso sul che cosa fare. Chiamare
la polizia gli sembrava affrettato, e l’ambulanza non si
sarebbe fatta bastare le sue sommarie descrizioni. Visto il suo stato
non era nemmeno certo di riuscire a parlare correttamente
l’italiano. Le cose che poteva fare erano poche e le aveva
già tutte esaurite. Tranne una.
Forse era l’opzione più rischiosa, ma doveva
tentare anche quella. L’uomo prende un lungo respiro,
cercando di caricarsi. Non sarebbe stato facile ma era quello che
poteva fare. Era un suo dovere accertarsi che lì dentro
stesse andando tutto bene.
Ludwig fissa la porta davanti a sé, osservandola quasi come
fosse una rivale. Non era particolarmente massiccia, ma non sapeva
ancora se sarebbe stato in grado di abbatterla con un solo colpo.
Doveva provarci.
Fa un passo indietro, prendendo la carica e sbattendo contro la
superficie di legno. Questa cigola, ma miracolosamente cede al primo
colpo, permettendogli di entrare. Ludwig corre in direzione delle voci,
stranamente più basse, nella speranza che non sia troppo
tardi e finalmente trova la scena del crimine.
C’erano due uomini, che stavano ridendo, e dei cocci sul
pavimento. Non sembravano essere feriti e, anzi, piuttosto divertiti.
Uno di loro è Lovino, mentre l’altro gli
assomiglia. Ha un’aria più delicata e meno
aggressiva rispetto all’altro, e si tiene ancora
l’addome, probabilmente per le risate.
E lì che finalmente entrambi lo notano, nel loro
appartamento, con una spalla arrossata per l’impatto di poco
prima. Ludwig arrossisce, rendendosi conto di aver con tutta
probabilità frainteso tutta la situazione.
Aveva fatto un danno.