Vaterland/Heimat

di Blackvirgo
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Iniziativa: questa storia partecipa al #Writober2019 di Fanwriter.it
Prompt.08: Agenda
Numero parole: 862

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Vaterland/Heimat

“Finalmente hai trovato il tempo di venire a trovare un vecchio amico.” Karl bevve un sorso dal suo boccale di birra, quindi appoggiò i gomiti sul tavolone di legno bisunto che i precedenti avventori avevano trovato necessario istoriare in ogni centimetro quadrato con scritte illeggibili e linee astratte. “Stai per caso prendendo in considerazione la proposta che ti ho fatto di venire a giocare al Bayern? Lo sai che saresti il benvenuto.”

Genzo si tolse il cappello e lo appoggiò accanto a sé. “Avevo solo voglia di fare due chiacchiere. Non è il momento di fare progetti per il futuro.”
“Già il fatto che tu abbia voglia di far due chiacchiere è un mezzo miracolo!”

Il portiere guardò il boccale davanti a sé ancora intonso e Karl seguì il suo sguardo. La schiuma ormai si era completamente sciolta nel liquido dorato. Probabilmente l'aveva ordinata più per tradizione che per voglia, dato che le dita intrecciate sul tavolo non accennavano a sciogliersi.

“Quando hai l'aereo per il Giappone?”

“Domani pomeriggio, alle due.”

Karl guardò per un lungo istante l'amico di una vita. Avevano giocato innumerevoli partite assieme: tante le avevano vinte, alcune le avevano perse, ma questa era la prima volta che vedeva l'SGGK davvero sconfitto. “Forse hai solo bisogno di una vacanza. Di prendere le distanze da questa storia e di ripartire con una nuova carica.” E magari anche con una nuova squadra, pensò. Non si era mai arreso all'idea che avrebbero potuto giocare insieme, al Bayern. Certo, un portiere dalle capacità eccezionali come Genzo sarebbe stato il benvenuto ovunque. Tuttavia a lui avrebbe fatto piacere tornare a giocare con un amico.

 

Genzo lasciò andare un lungo sospiro, quindi si decise a bere un sorso della birra. Gli sarebbe mancata, la birra tedesca. Gli sarebbe mancata la Germania, la sua casa di Amburgo, le persone che avevano popolato la sua vita. Persino quella lingua che aveva faticato tanto a imparare, ma che ormai era diventata sua quanto il giapponese, dato che l'aveva parlata ogni giorno per metà dei suoi anni. Era dura chiudere un capitolo come quello. La sua agenda improvvisamente libera da partite, allenamenti e impegni ufficiali gli faceva paura.

“Una vacanza che non ho chiesto,” replicò Genzo.

“Sei troppo in gamba per rimanere a lungo senza una squadra.”

Genzo piegò l'angolo della bocca, in un sorriso beffardo. “Non si direbbe.”

“Quello non capisce un cazzo! Non si può definire allenatore se lascia il giocatore migliore che ha fuori dalla squadra!”

“Ho perso la sua fiducia.” Un altro sospiro. Eppure, pensò rabbioso, se tornassi indietro farei esattamente la stessa cosa. Aveva la coscienza pulita, ma aveva dovuto pagare un caro prezzo per le conseguenze delle sue decisioni.

“Un paio di palle, di Genzo!” replicò Karl sbattendo il boccale sul tavolo e facendo schizzare birra ovunque. “Hai fatto una cazzata, se ne fanno tante, fuori e dentro il campo. Il problema è che lui è ottuso.”
“E io sono testardo.” Genzo sorrise appena guardandolo dal basso in alto. Se solo avesse chiesto scusa al mister, forse non sarebbe in quella situazione, ora. Poteva comprendere il punto di vista dell'allenatore, non era stupido. Solo che Genzo, dentro di sé, sapeva di non aver niente di cui scusarsi. Non poteva scendere in campo per pareggiare, non era quello il suo modo di giocare a calcio. “Me l'hai detto un sacco di volte.”
“Perché è vero!” insistette il Kaiser.

Il sorriso di Genzo si allargò. Bevve un altro sorso di birra e si gustò il sapore amaro scendere lungo la gola. “Per ora voglio solo tornare in Giappone e impegnarmi con la nazionale. Poi si vedrà.”

Karl lo osservò per un lungo momento. “Lo sai che il posto in nazionale passa per i risultati che si portano a casa in campionato?”

Genzo annuì: Generazione d'Oro oppure no, avrebbe dovuto guadagnarsela la maglia del Sol Levante. “Ho bisogno di ricominciare da qualche parte e casa mia mi sembra un buon posto per farlo.”

“Anche questa è casa tua,” affermò Karl, gli occhi azzurri fissi nei suoi. “Checché ne dica un idiota che si fa chiamare mister.”

“I miei giorni di portiere dell'Amburgo sono finiti.”

“La Germania non si limita ad Amburgo.”

“Lo so, Karl.”

“E tu non sei finito.”
“Lo so, Karl.”

“No che non lo sai, Genzo! Perché per te non è mai stato solo giocare a calcio! Soprattutto quando si parla di Amburgo!”

Wakabayashi sospirò. Ci era cresciuto in quella città e si era guadagnato passo dopo passo la maglia della prima squadra. Aveva lasciato tutto per andare ad Amburgo. “Per te invece sì? Il Bayern è solo calcio?”

 

Karl scosse il capo. Aveva seguito la sua famiglia a Monaco, aveva realizzato il sogno di vederli riuniti. Non era mai solo calcio. “Forse è proprio per questo che ti capisco.”

Genzo ricambiò il sorriso di Karl. “Sai, credo che esistano anche voli che vanno dal Giappone alla Germania.”

Karl alzò il boccale davanti a sé e aspettò fino a che il portiere fece altrettanto. Li fecero cozzare. “Ai ritorni in patria.”

“Ai ritorni in patria,” gli fece eco Genzo.

 

***

 

Black notes:

  • questa fic nasce da una riflessione che mi fece Sakura chan (grazie, tessò! <3) in una recensione a una vecchia fic che avevo scritto (Shoubu – Radici e Ali) che può essere visto come il prequel di questa, pur rimanendo sostanzialmente indipendente. Ora la riflessione meravigliosa è la seguente: in Germania esistono due modi per definire la patria, Vaterland e Heimat. La prima si riferisce alla madrepatria, la seconda definisce quel luogo che tu eleggi a tua patria. Decidete voi a quale abbiano brindato Karl e Genzo nell'ultimo cozzare di boccali!

  • Al solito il prompt non è sfruttatissimo, ma almeno c'è...

  • E torno a scrivere di Genzo che non è nelle mie corde, di Karl che mi è sempre piaciuto un sacco ma non l'ho mai sfruttato... bah! Il writober fa fare cose strane!

  • grazie mille per aver letto fin qui!





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