Tentazioni
Se
si soffermava a
ripensare alla telefonata che aveva ricevuto, stentava a crederci.
Quello
che però
pareva più incredibile era la consapevolezza di essere su un
treno,
di ritorno lì dove tutto era iniziato,
perché aveva
accettato.
Leo
Tsukinaga aveva
trascorso gli ultimi due anni come un musicista girovago: aveva
viaggiato moltissimo, da un paese all'altro, assorbendo musica da
ogni parte del mondo. Aveva scoperto innumerevoli nuovi strumenti,
nuovi paesaggi, nuove lingue.
Si
sentiva rinato,
sotto ogni punto di vista e l'idea di tornare indietro, lì,
alla
Yumenosaki, non lo aveva mai sfiorato.
(Mentiva,
nel modo più infantile di cui era capace: aveva pensato
più e più
volte, con nostalgia e non solo, a quelle mura in cui aveva
affrontato i suoi demoni ed aveva incontrato i suoi angeli.)
Forse,
proprio per questo, quando il suo cellulare aveva squillato ed aveva
sentito, dall'altro capo del telefono, il professor Kunugi, la sua
mente si era come svuotata da ogni storiella che si era raccontato:
aveva deglutito e, prima che potesse anche solo pensarci su, aveva
accettato.
E ora,
dopo due anni, era di nuovo di fronte a quel cancello.
Tutto
sembrava familiare e al tempo stesso diverso: Leo vedeva, grazie ai
suoi ricordi sospesi nel tempo, ogni piccola differenza – il
giardino era, come sempre, perfetto, eppure era impossibile non
notare che in alcune aree erano state aggiunte della panchine, oppure
che i cespugli sembravano essere stati tagliati un poco più
bassi,
mentre gli alberi erano sempre più imponenti.
La vera
differenza, però, si sentiva nel chiacchiericcio che animava
ogni
angolo: giovani aspiranti idol popolavano quella scuola con un
entusiasmo che di rado aveva visto e musica di ogni tipo e genere si
sovrapponeva in un incontro-scontro di spirito creativo, che da solo
bastava a spingerlo ad unirsi, a scrivere qualcosa, a volersi
appuntare le idee incredibili che andavano nascendo nella sua testa.
«Tsukinaga!»
La voce
del suo ormai ex-insegnante lo raggiunse quando aveva ormai portato
la mano allo zaino per estrarne il suo blocco note. Si
ritrovò a
scrivere in modo un po' grossolano (ma ancora comprensibile, almeno
per lui) mentre camminava verso il signor Kunugi, sollevando lo
sguardo dal foglio lo stretto necessario per non inciampare.
«Buongiorno,
professore» lo salutò con il tappo della penna tra
i denti,
concedendogli un'occhiata rispettosa ma veloce, prima di tornare a
scrivere quanto aveva pensato. «Mi dia un secondo».
Senza
che Leo se ne rendesse conto, l'uomo incrociò le braccia e
si
abbandonò ad un sospiro arreso.
La
storica
insegnante di musica della Yumenosaki sarebbe dovuta andare in
pensione l'anno immediatamente successivo ma, a causa di una
sordità
ormai poco gestibile per un insegnante (e non solo di musica) aveva
finito con il lasciare il posto vacante con quattro mesi di anticipo.
Nel panico più totale, la ricerca di un sostituto si era
rivelata
non solo fallimentare (ci voleva, dopotutto, qualcuno che conoscesse
l'ambiente, che avesse familiarità con la scuola, che fosse
disponibile e che, soprattutto, fosse un ottimo musicista), ma anche
disperata. Al punto che preside ed insegnanti si erano rivolti al
consiglio studentesco per trovare un sostituto.
E,
a quanto pareva,
il nuovo imperatore aveva fatto il suo nome.
Il
suo primo giorno
di insegnamento fu inaspettatamente divertente: i ragazzi del primo
anno non avevano idea di chi fosse (e, soprattutto, chi fosse stato)
e si lasciarono coinvolgere dal metodo di insegnamento non proprio
ortodosso del nuovo professore. Il secondo giorno, però, fu
il turno
delle classi del terzo anno.
Prima
di entrare in
classe, Leo non poté fare a meno di sbirciare al suo
interno: seppur
cambiati e cresciuti, c'era un gran numero di volti che aveva visto
almeno una volta, alcuni di cui ricordava persino i nomi –
Harukawa, ad esempio e due dei ragazzi che una volta erano nella unit
di Nito.
Ma
soprattutto...
I
capelli rosso
scuro spiccavano nella classe non solo per il colore vibrante o per
la lunghezza (persino da quel flebile spiraglio, Leo riusciva a
vedere che erano raccolti, in qualche modo) ma anche perché
Tsukasa
Suou era improvvisamente un po' troppo alto, rispetto ai suoi
ricordi. Sedeva composto, al banco, immerso in chissà quale
lettura,
il volto più spigoloso di come lo ricordava. Si
lasciò sfuggire una
risatina sommessa, quasi non fossero effettivamente passati due anni
dal suo diploma, ma stesse solo sbirciando nel futuro.
Sospinse
la porta,
un sorriso sornione sulle labbra, senza scollare gli occhi di dosso
dal suo erede, dallo stesso che, quasi pigramente, sollevò
lo
sguardo dal banco quando sentì la porta aprirsi e i cui
occhi
brillanti si sgranarono non appena realizzò chi aveva
davanti,
parzialmente scosso dalla sorpresa e, forse, non troppo sicuro di non
starsi confondendo.
«Buongiorno
a
tutti, ragazzi! Qualcuno di voi magari si ricorderà di me,
dato che
mi sono diplomato giusto due anni fa, ma da oggi Leo Tsukinaga
sarà
il vostro supplente per le lezioni di musica!».
Al
termine della
lezione, un manipolo di studenti si fermò alla cattedra per
presentarsi o, meglio, per sincerarsi che si ricordasse di loro (e
furono delusi nella maggior parte dei casi perché, com'era
noto, Leo
non aveva una grande memoria in generale, ma peggio che mai per le
persone).
Poi,
una sola
persona rimase nell'aula, oltre a lui.
Adesso
che si era
alzato in piedi, la sua folle crescita fu persino più
evidente agli
occhi del compositore: Tsukasa era un giovane ed affascinante uomo,
ormai e, con sguardo turbato, si stava avvicinando alla sua cattedra
con l'aria di chi voleva delle spiegazioni.
«...
Tsukinaga-sensei» riuscì a mormorare, nella sua
voce gentile, con
una sfumatura di incertezza.
«Siamo
soli,
niente formalità! Forza, vieni qui!»
Il
ragazzo sembrava
estremamente a disagio, ma obbedì: prese una sedia da uno
dei banchi
vicini e si sedette compostamente al lato della cattedra, dove Leo lo
osservava, incantato dai miracoli dello scorrere del tempo.
«Sono...
sorpreso».
«Lo
vedo, questo,
sì».
Tsukasa
sospirò,
lasciando trasparire il suo disagio anche se, a dirla tutta, Leo non
riusciva ad intuirne la natura. Gli sembrava di essersi comportato
bene – o, meglio, in modo abbastanza consono
per la sua
media. «Non si sente che parlare del supplente delle lezioni
di
musica, a scuola, ma non credevo fossi davvero tu.
Da quando
hai la licenza per insegnare?»
Leo
non riuscì a
non ridacchiare. «Presa a Londra! Non è stato
complicato, anche se
non direi che insegnare sia una delle mie vocazioni».
«...
E posso
chiederti perché hai accettato il lavoro?»
La
prima risposta
che balenò nella sua mente fu “volevo
rivederti”, ma sapeva che
non era solo curiosità, la sua, ma un desiderio
più profondo, più
egoista e personale. E non era sicuro che Tsukasa avrebbe potuto
accettarlo.
«Ero
curioso di
vedere come te la cavavi, da re. Lecito, no? Considerami un fantasma
de re del passato».
«E
allora chi
dovrei essere, io, Amleto?» e si sciolse, finalmente, in un
sorriso
meno teso.
«Beh,
mi auguro di
no».
Dopo
quel momento
di complicità improvviso, quasi non fosse passato neanche un
singolo
giorno dall'ultima volta in cui si erano visti, Tsukasa
recuperò la
sua proverbiale compostezza e, dopo un attimo di esitazione, si
alzò
in piedi.
«Devo
andare,
adesso, o farò tardi» e, senza aggiungere altro,
uscì dalla
classe.
Nei
giorni
seguenti, Tsukasa non provò più ad avvicinarlo. A
lezione era
attento ma stranamente silenzioso, come se non volesse prendere
parola di sua volontà. Tanta diffidenza, ad essere sincero,
lo
feriva: ma come, lui tornava dopo due anni e bastava un breve dialogo
dopo una lezione a mettere a tacere tutto ciò che di sospeso
c'era
tra loro?
“...
Forse sono
solo io, ad avere qualcosa in sospeso?”
Nonostante
fosse
preda di questi pensieri, Leo continuò a procedere allo
stesso passo
di Tsukasa e rispettò, cautamente, i suoi spazi.
Continuò a fare
lezioni a modo suo, a scrivere musica nel tempo libero, a tenere
d'occhio il lavoro delle numerose unit attive nella scuola.
Questo
finché,
qualche settimana dopo, la scritta “Knights” non
brillò sul
manifesto appeso in bacheca nell'atrio, causando un certo
chiacchiericcio entusiasta nei corridoi: fu facile cogliere, dalle
voci che correvano da una parete all'altra della scuola, che era da
tempo che i Knights non si presentavano sul palco e che vederli
esibirsi prima del festival di Natale era certamente un grande
evento.
Leo
scrisse
velocemente la data sul suo blocco e, senza dire altro, si
avviò
verso la sua prima ora di lezione.
La
platea
dell'auditorium era gremita. Leo ricordava come, due anni prima,
avessero calcato più e più volte quel palco, lui
e i suoi
cavalieri. Era strano, adesso, assistere a quell'entusiasmo dal lato
opposto, in un ruolo completamente diverso, in piedi vicino
all'entrata, come un ospite indesiderato.
Non
riusciva, però,
a rimpiangere solo un passato che per la maggior parte dei presenti
non era neanche esistito: sapeva che ogni passo percorso oltre quel
sipario lo aveva portato nel punto in cui adesso si ergeva e a quel
momento, ad assistere a ciò che i suoi sforzi avevano
lasciato a
quella scuola in eredità, a ciò che aveva (o,
almeno, sperava)
aiutato a sbocciare.
All'improvviso,le
luci si spensero e quattro ragazzi invasero, come il più
armonioso
degli eserciti, la terra di nessuno e il popolo li accolse come veri
e propri salvatori.
Tsukasa
era un re
impeccabile, un re che Leo non aveva mai neanche provato ad essere.
C'era, in lui, l'attitudine al comando, il sorriso di chi non avrebbe
ceduto se non per mano della Morte in persona, la fiducia di chi lo
circondava. Questi nuovi, sconosciuti cavalieri seguivano con
passione il loro re, danzavano e cantavano intorno a lui con la furia
di eroi esperti, già narrati in mille e più
epopee. Avevano un
fascino ed una potenza che lasciarono Leo quasi senza fiato e ogni
volta che la platea esplodeva in un boato d'amore, Leo ne veniva
risucchiato.
Izumi
glielo aveva
detto, lui aveva imparato a crederci e le intuizioni di allora adesso
erano realtà: Tsukasa era una gemma rara. Forse non un
diamante, ma
un finissimo rubino in grado di illuminare, come il sole del
tramonto, tutto ciò che lo circondava dei suoi (e solo dei
suoi)
colori.
«Stasera
è stato
incredibile!»
«Il
senpai era
così concentrato da fare quasi paura...»
«Secondo
me è
come si dice in giro, sapete? Quella storia del supplente di
musica!»
Leo
era poggiato, a
braccia incrociate, non troppo distante da dove stava l'uscita
secondaria dell'auditorium, quella che di solito veniva usata dallo
staff e, come in questo caso, dalle unit coinvolte nelle esibizioni.
«Ovvero?
Che era
il re dei Knights, prima del senpai?»
«Mh,
mh! Da quando
è arrivato, non pensate che Suou sia particolarmente su di
giri?»
«In
effetti...»
Leo
aveva
riconosciuto, almeno vagamente, i tre ragazzi: facevano anche loro
parte di alcune delle classi di cui si occupava, ma non aveva idea
–
fino a quella sera – che facessero parte dei nuovi
Knights
che Tsukasa aveva costruito né che, tanto meno, non avessero
idea di
chi lui fosse.
E
così, pensò,
Tsukasa non aveva detto ai suoi cavalieri che il supplente di musica
era stato il caotico re che lo aveva quasi sbattuto fuori dalla unit,
il re che gli aveva lasciato la corona, il re che aveva,
inconsapevolmente, salvato da se stesso.
«Non
è carino
origliare le conversazioni altrui, leader».
Leo
quasi trasalì,
colto di sorpresa da quella voce alle sue spalle: i tre ragazzi si
erano ormai allontanati e Tsukasa Suou, nei suoi fiorenti e
meravigliosi diciotto anni, lo fissava con occhi severi ma col
sorriso sulle labbra. Non si era ancora cambiato, aveva ancora il suo
magnifico e regale costume di scena indosso, che incorniciava la sua
figura al millimetro.
Leo
sollevò le
braccia, colpevole, mentre si lasciava andare ad un sorriso.
«A mia
discolpa, non era mia intenzione. Aspettavo qualcuno».
Ne
seguì un attimo
di silenzio, come se Tsukasa stesse riflettendo sulle implicazioni
che avrebbe potuto avere quella conversazione. Forse aveva
già osato
troppo, lasciandosi andare a quel vecchio nome, dal sapore fin troppo
nostalgico.
«Hai
infranto la
promessa».
«Mh?»
Tsukasa
si poggiò
al muro, vicino a lui, forse arreso, le loro spalle abbastanza vicine
da sfiorarsi. Era quasi irritante notare quanto fosse alto, rispetto
ad un tempo. «La promessa di ritrovarci tutti insieme, una
volta che
fossimo stati diplomati».
«Oh,
quella
promessa» rispose Leo, improvvisamente molto interessato alla
luce
intermittente che lo stanco lampione poco distante da loro
proiettava. Sapeva eccome, di averla infranta, solo che non pensava
che Tsukasa lo avrebbe evitato, per questo.
«Non sono bravo a
seguire le regole, lo sai».
«Lo
so bene, sì.
Solo che...» lo sentì sbuffare, mentre inquieto
incrociava le
braccia. «Sei riapparso all'improvviso e io non
ero—pronto, tutto
qui».
Pronto?
E per cosa?
A questo punto, Leo si voltò verso di lui, perplesso. Il
volto del
ragazzo, proprio come una volta, sembrava essersi tinto di un
vivissimo color rosa in prossimità degli zigomi, mentre
l'espressione corrucciata era proprio quella che ricordava, di chi
non amava esporsi se non quando strettamente necessario.
«Se
ti dicessi che
avevo voglia di vederti, mi crederesti?»
Leo,
almeno un po',
era cresciuto. Forse non in centimetri, forse non in stazza a
differenza dell'altro, ma aveva imparato a conoscersi e a conoscere
il mondo che lo circondava. Ed ogni luogo che aveva visto, alla fine
di giornate piene di eventi, di colori e di storie che avrebbe poi
raccontato, si ritrovava a pensare a Tsukasa, a quella pesante
eredità che gli aveva lasciato tra le mura di una scuola che
da
incubo era tornata paradiso. Pensava a lui, a cosa stava facendo, a
come se la stava cavando. Poi le domande si erano fatte più
personali, più intime:
“sarà cresciuto?”, “ogni
tanto,
penserà a me?”.
Per
questo, al
telefono, non era riuscito a rifiutare quell'offerta. La tentazione
di poterlo rivedere, a costo di infrangere quel voto che avevano
fatto, due anni prima, quando in cinque avevano giurato di ritrovarsi
per riprendere insieme ciò che avevano lasciato in sospeso.
Era
stato egoista, forse, ma non era riuscito a mettere a tacere quei
sentimenti che da anni teneva per sé, ben nascosti tra una
nota e
l'altra, a volte intrecciati nei suoi sogni, onnipresenti nei suoi
pensieri.
Non
aveva avuto la
forza di volontà per rinunciare a quell'occasione, che era
arrivata
al di là della sua volontà.
«...
Di vedere
me?» Qualcosa gli suggeriva che no,
Tsukasa non gli credeva.
Lo leggeva, nella sua solita genuina trasparenza degli occhi
ametista, lo notava dal modo in cui si era persino voltato verso di
lui, accettando di farsi vedere in difficoltà.
«Non credo di
seguirti, Leo».
Però,
la voce del
rosso tremava. Il rossore si era accentuato. Se persino Leo, che mai
era stato bravo a capire che cosa pensassero le persone attorno a lui
ed aveva difficoltà addirittura con se stesso, era in grado
di
vederlo, allora doveva essere palese.
Per
questo, in uno
slancio di coraggio, afferrato prima che svanisse per sempre, Leo si
erse in tutta la sua altezza sulle punte dei piedi, afferrò
Tsukasa
per il bavero della giacca bianca, blu e oro e lo trascinò
verso di
sé, verso le sue labbra.
Fu
un bacio
stupido, orribilmente impacciato ma non per questo dimenticabile;
quando le loro bocche si divisero, tra loro aleggiava la
consapevolezza che ormai qualcosa era cambiato per sempre. Difficile,
in quel breve momento, dire se in meglio o peggio.
Tsukasa
trattenne
il respiro, gli occhi sgranati in un'espressione di meravigliosa
sorpresa. Leo lo guardò portarsi una mano alle proprie
labbra,
incredulo.
«Credo
di essermi
spiegato bene, adesso».
Gli
era costato
molto? Moltissimo. Eppure, Leo sapeva che se non lo avesse fatto in
quel momento, probabilmente non ne avrebbe mai avuto il coraggio.
Amava a tal punto i Knights che insieme (lui, Tsukasa, Izumi, Arashi
e Ritsu) avevano costruito che temeva spesso che il suo egoismo
potesse incrinarli, distruggerli, cambiarli. Una volta di nuovo tutti
insieme, non era sicuro che sarebbe riuscito ad esternare mai quel
che provava davvero – soprattutto, non in quel modo diretto.
Ma lì,
in quei giorni, potevano essere soli; i suoi dubbi, le sue paure,
pian piano avevano ceduto almeno alla volontà di sapere
se
poteva avere una possibilità.
Impulsivo,
irrazionale. Come sempre.
«Leader,
io...» In un attimo, Tsukasa era di nuovo lo stesso
quindicenne che
cercava stoicamente di placare le sue stramberie, che lo pregava di
coprirsi o di raggiungerli in fretta, nella loro sala prove. Era di
nuovo alla sua altezza, i capelli corti, il volto rotondo.
Fu
solo un attimo,
però, perché ecco che si sentì
afferrare per le spalle, la visuale
bloccata da nient'altro che il volto dell'altro a cui, però,
non
riuscì a dire granché dato che si era
impossessato delle sue
labbra. Un brivido di gioia e piacere corse lungo la schiena di Leo,
mentre lasciava che le braccia del ragazzo lo avvolgessero con
bisogno e sollievo.
Lo
sentì
ridacchiare contro la sua bocca, mentre poggiava la fronte ricoperta
da ciocche color del vino. Sembrava... essersi liberato di un peso.
«Ammetto
che non
ero sicuro della risposta» mormorò il
più grande, lasciando
scorrere le braccia sulle spalle dell'altro, ricambiando la stretta.
«Io
invece sono
stato proprio colto alla sprovvista» confessò
Tsukasa, restio a
lasciarlo andare. «Non pensavo tu... tu provassi quel che
provo io.
E poi, sono cambiato e--».
«Sono,
in effetti,
offeso dalla tua crescita spaventosa. Non posso credere che
sarò
l'unico basso del gruppo».
E
risero. E
rimasero così, a perdersi in chiacchiere e baci qualunque,
alla luce
instabile di un lampione, dimentichi che, ancora per qualche mese,
tra quelle mura, sarebbero stati studente ed insegnante. Dimentichi
che quella relazione avrebbe potuto essere disastrosa, non solo per
loro.
Ma consci che, in
quel tempo che avevano, avrebbero cercato di fare di tutto pur di non
rinunciarvi.
Note:
Questo Writober per me si sta rivelando praticamente l'occasione di
mettere per iscritto: progetti abbandonati, headcanon e cose a cui
avrei tenuto a scrivere con più calma (E INVECE). Questa era
un'altra fic che ero stata tentata di iniziare ma che poi è
stata surclassata da progetti più organici, ma di base:
pensare a Leo che torna alla Yumenosaki come insegnante, con lo Tsukasa
dei (miei) sogni... well. Insomma, amo Tsukasa anche al primo anno, ma
dovevo pur togliermi lo sfizio della size difference. O no? (INSOMMA).
Spero vi piaccia!
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