Ombre
nere
Qualsiasi
cosa incrinata andrà in frantumi con un semplice tocco.
(Ovidio)
Le
acque del lago erano uno specchio piatto, un fulgido riflesso dorato.
L’aria era tiepida, sapeva di primavera e terra appena
smossa. Le
prime rondini garrivano gioiose nel cielo, rincorrendosi tra le nubi
rade.
Sandra,
le dita avvolte intorno alla tazza colma di tisana al limone e
zenzero, teneva gli occhi,
incupiti
da ombre scure,
fissi
sul panorama senza
apprezzarne
la bellezza. Serrò le labbra in una piega
rigida, aveva la
testa leggera e brividi freddi che risalivano dalla schiena.
«Amanda!»
Al suo richiamo apparve una donna anziana e paffutella con occhi
chiari e vigili. «Ho voglia di fragole,» le disse
guardandola
attraverso il riflesso del vetro, «pensi di riuscire a
procurarmele?» chiese gentile. Amanda annuì con il
capo facendo un
breve inchino. Il riverbero sembrò illuminare lo sguardo
della
donna.
Sandra,
sposa di Manuel Panarca,
si era trasferita da poco in quella casa che affacciava sul Benaco,
lontana da qualsiasi centro abitato. Era immersa nella vegetazione
ricca di ulivi e viti, oleandri trapiantati dal sud, e alti pini
lacustri. Al di là delle aiole di campanule nere, invenzione
di
Ettore, il marito di Amanda, una spessa siepe spinosa impediva
l’accesso a qualsiasi malintenzionato, oltre ai cinque colossi
rottweiler.
«Mi
piacerebbe scendere in paese,» disse pigramente, le dita e la
bocca
sbavate dal succo dolciastro delle fragole. «Comincia ad
annoiarmi
tutta questa inattività.»
«In
sua assenza, il signore mi ha ordinato di provvedere a lei, signora.
Come posso farlo se lei si allontana dalla casa?» chiese
Amanda con
voce rispettosa. La ragazza annuì distrattamente mentre si
alzava e
faceva scivolare lungo la schiena la vestaglia nera in seta. Mosse
qualche passo in direzione della piscina, le cui acque trasparenti
erano riscaldate giorno e notte, per poi immergersi fino al collo
niveo.
«Lascia
le fragole lì,» ordinò. «Per
cena gradirei dell’agnello,
grazie.» La vecchia si allontanò con un sorriso
enigmatico sul
volto rugoso.
Sandra
era nata vent’anni prima in una ridente cittadina lombarda.
Figlia
di operai, a sedici anni aveva vinto una borsa di studio che
l’aveva
portata nella capitale. Lì, aveva concluso gli studi e, dopo
il
diploma, si era iscritta a una prestigiosa università
straniera.
Era
stato allora che aveva conosciuto Manuel, docente in lingue estere
presso l’ateneo da lei frequentato. Sandra, che era rimasta
una
semplice ragazza di provincia, era stata travolta e affascinata
dall’intraprendenza del maturo professore che le aveva fatto
una
corte spietata. L’aveva assillata in ogni momento libero che
aveva,
sommergendola di regali e organizzando viaggi con la scusa che doveva
imparare il mestiere di guida turistica sul campo.
In
men che non si dica, si era ritrovata perdutamente innamorata e
vestita da sposa davanti a un gessato funzionario comunale del suo
paese d’origine, accompagnata dai genitori che la guardavano
come
se fosse diventata una mosca bianca.
Dopo
due settimane di luna di miele in Australia, Sandra era stata
scaricata in quell’enorme casa. Avrebbe tanto voluto
riprendere gli
studi, così da completare il suo percorso, ma Manuel si era
fermamente opposto, adducendo la scusa che non era etico che moglie e
marito frequentassero la stessa università. Troppo
soggiogata da
quell’uomo così bello che, fra tante aveva scelto
proprio lei, non
si era opposta, lasciandosi viziare.
«Amanda!»
Con voce stridula, Sandra gridò dal bagno antistante la
lussuosa
camera da letto. «Amanda, non mi sento molto bene. Chiama
Luca
Fresconi, è il mio medico da quando ero piccola. Trovi il
numero
nell’agenda sul letto, per favore.» La ragazza
teneva il volto
cinereo sospeso sul water.
«Oh,
non c’è bisogno, mia signora. Amanda sa cosa fare.
Le prepara
subito una tisana calmante. Lei deve solo stendersi sul letto.
Così,
da brava.» L’aiutò. Nonostante
l’età, la donna era arrivata in
fretta, quasi fosse appostata
dietro la porta.
Dopo
ore, Sandra si svegliò in un lago di sudore, le membra
intirizzite e
l’eco del sonno ancora impresso sulla guancia. Si
alzò facendo
attenzione a non scuotere troppo la testa, indossò la
vestaglia e si
rifugiò nell’altra stanza, con
l’intenzione di farsi un bel
bagno rilassante. Preparò i sali e dosò la
temperatura dell’acqua.
Aprì lo stipetto a lato del grande lavabo e prese il suo
bagnoschiuma preferito; la stanza fu invasa dal delicato aroma di
muschio bianco.
A
Sandra piaceva quell’odore delicato, le rammentava sua nonna
intenta a fare la calza davanti al focolare. Le tornavano alla mente
le scampagnate lungo il torrente dietro la casa materna, i fitti
boschi montani e la nebbia che sapeva di terra.
Rinvigorita,
con l’epidermide calda che profumava di muschio, scese di
sotto in
cerca di Amanda. Non aveva fame, e lo stomaco in subbuglio non
invogliava a mangiare, ma un po’ di brodo di pollo avrebbe
risolto
il problema.
«Ne
sei certa?» Dallo studio giunse la voce soffocata di suo
marito. La
sera era calata da un pezzo e le ombre nere avevano fagocitato buona
parte del salone d’ingresso. Una falce di luce spiccava sul
marmo
lucido in corrispondenza della porta. Sandra, sorpresa della presenza
di Manuel, spinta dall’istinto, scivolò leggera e
si appostò
vicino all’uscio in modo da spiare l’interno della
stanza.
«Più
che sicura.» Stava rispondendo Amanda. «La signora
è incinta.»
Sandra
boccheggiò. Un’ombra
le offuscò gli occhi e dovette aggrapparsi a
una statua lì
accanto per non cadere in terra.
«Che
Dio sia ringraziato,» sospirò sollevato Manuel.
«Dopo tutto questo
tempo, finalmente la nostra Roberta avrà una
possibilità di
guarire. Devo allertare immediatamente il dottor Cremonise
perché
con la sua equipe possa tenersi pronto,» biascicò
l’uomo
emozionato.
«Certamente,
signore,» disse ossequiosa la donna porgendo la cornetta del
telefono.
«Pronto,
Osvaldo? Buone nuove! Presto potrai avere le cellule staminali
per tentare di guarire Roberta. Oh, sì! Hai capito bene.
Senti, io
devo rientrare domani all’università
perciò potremmo...»
Ma
ormai Sandra non stava più ascoltando. Era pietrificata. Sono
incinta? E chi è Roberta? La testa era un vortice
nero di parole
che si accavallavano le une sulle altre.
«Ommioddio,» soffiò in
preda al panico, soffocando tra le dita un conato. «Cellule
staminali!» quasi urlò quando si rese conto del
vero significato di
quelle parole. Per un attimo, il mondo smise di girare e le sue
membra si fecero molli.
«Ti
raccomando Sandra, Amanda. Fai in modo che tutto sia perfetto.
Saranno giorni febbrili e non avrò molto tempo per tornare a
casa.
Ci sono cose da vedere e da pianificare.» La voce preoccupata
del
marito perforò la mente in subbuglio di Sandra,
squarciando l’ombra
dentro
cui si era rifugiata. Sconvolta
e indignata, per l’atteggiamento superficiale
del marito,
Sandra irruppe nello studio come una furia. In testa, solo
l’idea
di salvaguardare la vita della creatura che portava in grembo. Lei,
solitamente calma e pacata, aveva ceduto
all’irrazionalità.
«Sandra,
cosa ci fai in piedi? Dovresti essere a letto,» disse
sorpreso e al
contempo premuroso Manuel, facendo un passo verso di lei.
«Non
mi toccare!» sibilò arrabbiata. «Tu non
hai potere decisionale
sulla vita di nostro figlio,» gli ringhiò contro
alterata. «Non
lascerò che tu ponga fine alla sua esistenza, non senza
combattere.
Sarò anche tua moglie, ma non sono tenuta a
servire e obbedire
come una sguattera.»
«Ma
cosa stai dicendo, cara?» chiese allibito Manuel.
«È la febbre che
ti fa sragionare. Siediti, intanto che Amanda ti prepara una
camomilla.»
«Non
ho bisogno dei suoi intrugli,» rispose isterica mentre nella
sua
testa le parole cellule
staminali
sfavillavano cacciando
le
ombre
nere.
«Non
so come abbia
fatto a capire che aspetto un bambino, ma sta pure certo
che
lo difenderò dai tuoi piani meschini. Mi ero sempre chiesta
perché
avessi scelto me, la meno dotata delle tue studentesse. Ora
è ben
chiaro che nessuna di loro era così ingenua da non
accorgersi dei
tuoi doppi fini. Tutte quelle domande sulla mia salute, sui trascorsi
dei miei parenti, le analisi superflue: tutto un piano diabolico per
trovare il donatore per questa Roberta,»
sputò risentita.
«No,
no, no!» Scosse la testa Manuel. «Io
non… Hai frainteso,» cercò
di spiegare. «Ti amo, devi credermi, è tutto un
malinteso,»
supplicò, avvicinandosi con cautela alla moglie.
Sandra,
soggiogata dai profondi occhi neri del marito, se ne stava immobile,
il respiro ansante e le membra tremanti. Intanto, Amanda, non vista,
l’aveva raggiunta alle spalle. Come le dita toccarono la sua
spalla, Sandra fece un salto spaventata. Cacciò un urlo e,
terrorizzata, corse via. Il marito, dopo un attimo di sbigottimento,
scattò dietro di lei.
«Sandra,
fermati! Maledizione!» imprecò ansante. Per quanto
potesse essere
in forma, per il cinquantenne non era facile tenere testa alla
giovane. «Sandra, amore mio, dove sei? Con questo buio
è facile
farsi male. Sii ragionevole,» blaterò.
Nel
frattempo, la ragazza aveva corso alla cieca sdrucciolando spesso in
terra e graffiandosi le gambe contro le siepi spinose. Accovacciata
dietro una grande giara, percepiva che i richiami del marito
cominciavano a incrinare la sua determinazione. Chiuse gli occhi e
lacrime amare scesero sulle gote accaldate. Si sentiva tradita e
usata, eppure la voce di Manuel grondava preoccupazione.
«Certo,
ansia per le cellule staminali,»
rimbeccò ad alta voce. «Non
certo per me!»
«Sei
lì, Sandra?» chiese l’uomo a qualche
metro da lei. La ragazza
trattenne il respiro, aggirò la giara e,
rasente
un
capanno di
legno,
scivolò
nella direzione opposta da dove pensava stesse giungendo
Manuel.
La
luna si stagliava alta nel cielo e rischiarava un piccolo sentiero
bianco invaso dalle erbacce. Con cautela, tenendosi a ridosso dei
cespugli di oleandro, lo percorse fino a trovarsi su una scalinata in
pietra, per metà immersa nell’acqua. La balaustra
era ricoperta da
licheni e le alghe alla base seghettavano la superficie del lago. Sul
corrimano, i pochi vasi in terracotta rimasti integri contenevano dei
rami di campanule nere quasi del tutto avvizziti. I vecchi pali per
l’attracco delle barche erano marci,
con gli
spessi maniglioni in ferro ormai arrugginiti. Tra i grossi listoni di
pietra, resi scivolosi dall’usura e dal tempo, cresceva il
muschio.
Forse,
se mi tengo aggrappata a quei cespugli, potrei costeggiare la
riva del lago fino a trovare una spiazzo
dove issarmi,
pensò rabbrividendo nell’aria fredda che proveniva
dalla terra
ferma, insieme ai latrati eccitati dei rottweiler sempre più
vicini.
«Ettore!
Per amor del cielo, tieni a bada i tuoi cani. Dobbiamo trovare
Sandra, non darla loro in pasto.» grugnì Manuel
sovrastando i
fischi secchi lanciati dal giardiniere.
Sempre
più atterrita e confusa, la pelle intirizzita che bruciava,
la
ragazza non riusciva a darsi una spiegazione. Come ha
potuto un uomo tanto stimato scendere così in basso? Come
giustificherà agli
occhi del mondo il suo gesto
egoistico? Come azzittirà il mio rifiuto a collaborare?
Questi i
pensieri che vorticavano nella sua testa aprendo scenari sempre
più
loschi dai finali ancora più tragici.
Un
basso ringhio la fece voltare di scatto mentre, istintivamente,
retrocedeva di un passo, i piedi a sfiorare l’acqua.
All’inizio
della scalinata uno dei cani mostrava i denti che baluginarono al
riverbero della luna. Al suo fianco, Manuel la guardava ermetico.
Nella stasi che si venne a creare, a Sandra, sopraffatta da
più
emozioni contrastanti, parve di udire un leggero scampanellio. Alle
sue orecchie, fu come una condanna a morte.
«Sandra,
vieni da me,» le disse con cautela il marito allungandosi
verso di
lei. «È pericoloso, quei gradini
sono…»
Non
finì la frase che la moglie, messo il piede in fallo, perse
l’equilibrio battendo la testa sulla balaustra. Un secondo
dopo,
veniva inghiottita dal lago.
«Sandra!»
urlò spaventato, «Sandra!» Manuel si
tuffò ma non riuscì a
raggiungerla. Fu il cane che recuperò il cadavere della
donna,
trascinandolo sui gradini.
L’uomo
l’abbracciò stretta urlando al cielo il proprio
dolore.
«Sciocca
creatura, prima non stavo parlando di te,» le disse
amaramente tra i
singhiozzi. «Roberta è una carissima amica
ammalata da anni. È lei
che, dopo insistenza del marito, è rimasta
incinta.»
Note
dell’autrice: si potrebbe aprire un
dibattito sulle cellule
staminali, ma non è quello che voglio. Ognuno, in cuor suo,
sa cosa
è giusto e cosa è sbagliato. Che peso dare alle
proprie scelte.
Io
penso che, se tutto ciò che facciamo non lede alla nostra
libertà e
né a quella altrui, allora va più che bene.
Ulteriori
note: è stato un vero parto decidere il
titolo della storia
perché, l’unico papabile, non potevo usarlo pena
la squalifica da
uno dei contest (cit. Il rintocco della campanula,
perché il
fiore rappresenta un punto negativo all’interno del testo.
Anzi,
dirò di più, tutto gira intorno
all’ambiguità del suo
significato).
Perché
Ombre nere? Semplicemente perché celano
misteri e in questo
racconto ce n’è più di uno. Spero venga
apprezzato lo sforzo.
Questa
storia partecipa al contest ‘Le sei mogli di Enrico
VIII’ indetto
da GiuniaPalma sul forum con il pacchetto:
Jane
Seymour
situazione:
la protagonista scopre di essere incinta
motto:
“tenuta a servire e obbedire”
prompt
(facoltativo): morte.
Questa
storia partecipa al contest ‘Giardino – tra Foglie
e Vita’
indetto da Inchiostro_nel_Sangue e elli2998 sul forum con il
pacchetto:
Giardino
abbandonato
fiore:
campanula [negativo]
frutto:
fragola
colore:
nero [titolo]
profumo:
muschio [positivo]
decorazione:
una scalinata abbandonata
generi
consigliati (non obbligatorio): noir o horror.
Richieste:
1 – un elemento deve apparire nel titolo; 2 – un
elemento deve
essere necessariamente positivo; 3 – un elemento deve essere
necessariamente negativo; 4 – i tre elementi sopra elencati
non
possono coincidere.
Qui
trovate il significato del fiore campanula e la sua
ambiguità
https://www.eticamente.net/56748/le-campanule-sono-i-fiori-della-speranza-ecco-perche.html
Buona
lettura e i commenti sono graditi.
Disclaimer:
l’immagine non è mia ma appartiene agli aventi
diritto.