Un tea a Buckingham Palace
Benvenuti
alla quinta parte di questa serie Omegaverse. Sherlock e John si sono
sposati, hanno consumato e hanno iniziato la loro vita insieme. Spero
che nessuno si aspetti che sia tutta rose e fiori. Prometto,
però, che sarò particolarmente buona e nessuno
soffrirà. Almeno non troppo.
I personaggi non mi appartengono e scrivo per diletto.
Se il racconto dovesse ricordarne altri, mi dispiacerebbe molto, ma sarebbe assolutamente involontario.
Che l’avventura abbia inizio. Buona lettura.
Il sole aveva percorso una
parte del suo cammino, spostandosi nel cielo limpido e terso,
completamente privo di nuvole. La temperatura della stanza, in cui si
trovava John, si era abbassata sensibilmente. Un brivido percorse il
corpo stanco del dottore. Ogni giorno che passava, l’Omega si
sentiva sempre più debole. Era faticoso persino girare le pagine
dell’album di fotografie preparato per Sherlock, ma il medico non
voleva fermarsi. Doveva essere sicuro che il regalo per il suo amato
Alfa fosse perfetto. Con un sospiro, John voltò altre pagine,
testimoni del loro legame dopo le nozze.
John non rimase subito
gravido, ma l’Alfa non si preoccupò. Sherlock non sembrava
né interessato né smanioso di allargare la famiglia.
Quando notava che l’Omega si preoccupava per il ritardo nel
concepimento di un erede, l’Alfa scrollava le spalle: “Ci
hanno già pensato Mycroft e Gavin a garantire una discendenza
alla nostra famiglia. Probabilmente il mondo non è pronto per
troppi Holmes tutti insieme. Potremmo alzare inopportunamente la media
dell’intelligenza della razza umana, facendo infuriare la
maggioranza della gente, che finalmente comprenderebbe la propria
stupidità, ma non saprebbe come mettervi un freno,”
sentenziava con un ghigno sardonico sulle labbra. John rideva
sommessamente alla battuta del marito e scuoteva la testa. Non era
sicuro di quanto Sherlock dicesse cose del genere per distrarlo o
perché vi credesse veramente. Inoltre, trovava incredibile che
sbagliasse sempre il nome del cognato. Una volta John aveva chiesto al
marito perché lo facesse e, con la sua solita espressione
beffarda, Sherlock aveva risposto: “Per fare arrabbiare Mycroft,
ovviamente!”
Malgrado l’atteggiamento
arrogante e sfrontato del giovane Holmes, John era felice con lui.
Vivevano a Londra, in una zona tranquilla, al 221B di Baker Street in
un appartamento su due piani. La loro padrona di casa era una anziana
Omega vedova, che trattava Sherlock e John come se fossero stati i
figli che non aveva mai avuto. John aveva trovato un lavoro part
time in una piccola clinica vicino a casa, dove era apprezzato dai
colleghi e dai pazienti. La cosa che, però, più intrigava
l’Omega erano le indagini in cui Sherlock era coinvolto da
Scotland Yard o da qualche privato.
La loro collaborazione
investigativa cominciò per caso. Durante un’indagine,
Sherlock era improvvisamente uscito dal proprio mutismo e aveva
spiegato a John per filo e per segno come avessero trovato il cadavere
e come si presentasse la scena del crimine. John, incuriosito, aveva
posto alcune domande, che si rivelarono determinanti per condurre
Sherlock a comprendere chi fosse l’assassino. In preda
all’entusiasmo, l’Alfa aveva baciato appassionatamente
l’Omega: “Lo sapevo che tu mi saresti stato utile per le
mie indagini! Se fossi venuto con me sulla scena del delitto, avrei
risolto questo caso molto più in fretta. Vorresti diventare il
mio aiutante sul campo? In fin dei conti, sei un medico. Un ex
militare. Non vedresti nulla che tu non abbia già visto,”
propose con grande aspettativa. John poteva vedere il desiderio di
Sherlock brillare nei suoi occhi dalle iridi di quell’incredibile
azzurro chiarissimo. Era talmente bello e affascinante, quando era
così felice, che John avrebbe fatto qualsiasi cosa per vederlo
sempre con quella luce nello sguardo.
Rispose di sì.
Quella notte fecero
l’amore con una passione e una intensità, che non avevano
mai sperimentato prima, quasi avessero fatto un ulteriore passo avanti
nella loro relazione. Divennero una coppia affiatata, nel matrimonio
come nel lavoro.
Ridevano e scherzavano.
Correvano dietro a ladri e assassini.
Rischiavano le loro vite per
risolvere un caso, ma si guardavano sempre le spalle l’uno con
l’altro e insieme sembravano invincibili. Sembrava che nulla e
nessuno potesse separarli o ferirli.
Erano Sherlock e John, soli contro il mondo.
Fino al giorno in cui arrivò lei.
Un tea a Buckingham Palace
John guardò il viso
della donna, che lo fissava intensamente dalla fotografia in bianco e
nero, attaccata nella pagina dell’album. Aveva ritagliato
quell’immagine da un giornale. Lei guardava diritta dentro
l’obbiettivo.
Spavalda.
Sicura.
Al limite dell’arroganza e della sfrontataggine.
Erano trascorsi tanti anni, da
allora, ma il cuore di John provò ugualmente una fitta dolorosa,
nell’osservare quelle labbra carnose e quegli occhi neri come la
pece e profondi come un abisso, dove sprofondare senza più
riuscire a riemergere. Ricordava ancora il suo profumo. Così
piacevole. Così seducente. Così profondamente Alfa. Eppure, fu grazie a lei che Sherlock e John scoprirono di non essere immuni all’amore
Non era da tutti i giorni
essere portati a Buckingham Palace. Sherlock giurava e spergiurava che
Mycroft vivesse lì, che quella fosse casa sua, non della Regina.
Ovviamente, il maggiore degli Holmes rispondeva a queste affermazioni
con un’alzata di occhi al soffitto o con grugniti furibondi, a
seconda del grado di esasperazione raggiunto durante la discussione.
John aveva sempre trovato affascinante e divertente lo strano rapporto
che intercorreva fra i fratelli Holmes. Non capiva mai fino a che punto
si comportassero in quel modo distaccato e scostante l’uno con
l’altro per abitudine o per un reale sentimento di disaffezione.
Era certo di avere visto occhiate affettuose intercorrere fra i
fratelli, ma ogni volta che ne aveva parlato, era stato trattato come
se fosse stato un pazzo visionario. John aveva deciso di rinunciare a
capire i due fratelli e di godersi lo spettacolo dei loro siparietti,
cercando di non apparire troppo divertito.
La mattina in cui tutto
iniziò, Sherlock e John si trovavano in cucina, dove stavano
facendo una colazione abbondante per recuperare le energie spese
durante il Calore, quando due uomini, che erano ovviamente due
ufficiali addetti alla sicurezza di sua maestà, apparvero
nell’appartamento pretendendo di essere subito seguiti, senza
spiegare dove sarebbero andati e perché. Sherlock si era
rifiutato: “Io non eseguo gli ordini di nessuno, soprattutto
quelli provenienti dal Governo Inglese,” aveva sentenziato,
avvolgendosi nel lenzuolo, che stava usando come unico capo di
abbigliamento. Non avendo casi in corso, il consulente investigativo
aveva deciso che fosse inutile vestirsi. Il desiderio di accoppiarsi
non svaniva istantaneamente con il termine del Calore e Sherlock
riteneva che doversi spogliare nuovamente fosse solo una perdita di
tempo. Quindi, non era inusuale che trascorresse il giorno dopo la fine
del Calore girovagando nudo per casa.
John aveva sorriso ai due
uomini, scrollando le spalle e scuotendo la testa, per fare loro capire
che lui non poteva farci nulla. Che non sarebbe mai riuscito a
convincere Sherlock a seguirli. Con un sospiro rassegnato, i due uomini
sollevarono Sherlock di peso, trasportandolo fino all’auto. John
aveva velocemente raccolto qualche vestito per il marito ed era andato
con loro. L’auto aveva i finestrini oscurati, ma né
Sherlock né John erano preoccupati. Sapevano di non essere in
pericolo perché quel prelievo forzato aveva la firma di Mycroft.
Quando l’auto si fermò e uno dei due uomini aprì la
portiera, scoprirono di essere stati portati nientemeno che a
Buckingham Palace. Mentre attendevano in un salotto elegante, seduti
entrambi sullo stesso divano, Sherlock fece l’occhiolino a John:
“Ti avevo detto che questa è casa di Mycroft. E tu non mi
volevi credere,” ghignò.
John non sapeva bene che cosa
rispondere o come comportarsi. In fin dei conti, erano pur sempre in
casa della famiglia reale e gli sembrava quantomeno disdicevole
mettersi a sghignazzare apertamente. Sherlock, però, non faceva
nulla per facilitargli il compito. Restare serio e compassato era
alquanto difficile, avendo accanto il marito che, avvolto semplicemente
in un lenzuolo, pensava se sottrarre un posacenere o qualche altro
soprammobile come souvenir. Finalmente Mycroft fece il suo ingresso,
con la schiena ritta e un portamento regale, da padrone di casa, che
fece scoppiare John in una sincera e piena risata.
Il maggiore degli Holmes
alzò un sopracciglio: “Per favore, comportatevi da persone
adulte! Ricordatevi dove ci troviamo,” sbuffò, seccato.
“Siamo a casa tua,
fratello, caro. Quindi, dimmi, per quale motivo non dovremmo
comportarci come sempre?” Ribatté Sherlock, serafico.
Mycroft si sedette nel divano
di fronte a loro, mentre un maggiordomo entrava per posare un vassoio
con una teiera, quattro tazze e un piatto con dei biscotti, su un
tavolino posto fra i loro divani. Evidentemente qualcuno doveva unirsi
a loro per prendere parte a quella improvvisata riunione di famiglia. A
un cenno di Mycroft, il maggiordomo se ne andò, senza versare il
tea.
“Perché siamo qui?” Domandò John, curioso.
“Mi sembra logico.
Mycroft voleva la nostra compagnia per il tea,” sogghignò
Sherlock, osservando il fratello che versava il liquido ambrato nelle
quattro tazze.
“Non essere stupido, fratello caro, e vestiti,” sibilò Mycroft, con voce irritata.
“Io non sono
stupido,” ringhiò Sherlock, irrigidendosi improvvisamente.
John poteva sentire la tensione fra i due fratelli. La frase del
maggiore aveva scatenato qualcosa nel minore. L’Omega non avrebbe
saputo dire che cosa, ma poteva essere questa la chiave per comprendere
il complicato rapporto fra Mycroft e Sherlock. Prima che John potesse
approfondire la questione, un quarto uomo entrò nella stanza.
Con un certo disappunto da parte di John, si trattava di un altro Alfa.
Tutta quella esibizione di potenti feromoni Alfa era piuttosto
fastidiosa per il giovane Omega, che si sentì quasi soffocare.
L’uomo, vestito in modo elegante, si andò a sedere acconto
a Mycroft, ignorando il non abbigliamento di Sherlock,: “Vedo la
somiglianza. Quest’uomo è tuo fratello. Senza ombra di
dubbio,” esordì, con un sorriso divertito.
“Ora Sherlock si veste o lo vesto io a forza,” ordinò Mycroft.
“Vorrei proprio che provassi a farlo,” lo sfidò Sherlock.
“Io, invece, vorrei
evitare di chiamare l’esercito per dividere i fratelli Holmes.
– intervenne lo sconosciuto, in tono accondiscendente – Che
cosa posso fare per convincerla a vestirsi, signor Holmes?”
“Chi è il cliente?” Domandò Sherlock, seccamente.
“La padrona di questa casa,” rispose lo sconosciuto.
“Bene. Ora posso
vestirmi. Ci voleva tanto, Mycroft? Sempre a fare il misterioso, come
se si trattasse di un affare di stato!” Bofonchiò
petulante.
John si limitò a
fissare il pavimento, per evitare di scoppiare a ridere, e rimase con
una espressione il più indifferente possibile sul viso, fino a
quando il marito non tornò, perfettamente vestito.
“Ditemi. Sono pronto,” esordì Sherlock, accomodante.
“Supponiamo che qualcuno
vicino alla nostra datrice di lavoro abbia commesso un errore dettato
dalla gioventù e dalla ingenuità. – spiegò
lo sconosciuto, mentre Mycroft serviva il tea – Supponiamo che
esistano delle fotografie che, se rese pubbliche, potrebbero mettere in
notevole imbarazzo la nostra datrice di lavoro. Supponiamo che la
persona, che possiede queste fotografie, non ci abbia fatto delle
richieste, ma pretenda di avere lei, signor Holmes, come mediatore. Lei
sarebbe disposto ad aiutare la nostra datrice di lavoro?”
John si irrigidì:
“Perché quella persona ha chiesto espressamente di
Sherlock?” Domandò in tono allarmato.
“Vuole un interlocutore super partes,” rispose Mycroft, in tono sbrigativo.
“Accetto,” affermò Sherlock, sornione.
“Accetti?” Chiese John, sorpreso.
“Certo. Anche solo per
conoscere una persona che tiene in scacco la corona inglese e tutto il
suo seguito!” Ribatté Sherlock, appoggiando la tazza di
tea, ancora piena, sul tavolino davanti a lui.
Mycroft prese delle fotografie
e le allungò al fratello: “Si chiama Irene Adler. È
una giovane Alfa che svolge una attività un po’
particolare. È una dominatrice. Sottomette gli altri Alfa e li
fa sentire come se fossero il più misero degli Omega, senza
offesa John. – aggiunse con un cenno della testa rivolto al
cognato – Una giovane nipote della nostra datrice di lavoro si
è rivolta a lei, senza rendersi conto di che cosa stesse per
scatenare. Abbiamo offerto denaro alla signora Adler, ma sembra che non
sia interessata. Ha preteso che tu fossi il mediatore, fratello
caro,” terminò, con un cenno di irritazione nella voce.
Sherlock stava studiando le
fotografie della giovane Alfa con interesse. Alcune provenivano dal
sito della donna ed erano particolarmente provocanti. Altre erano
fotografie scattate durante la sorveglianza, cui la aveva sottoposta
Mycroft, per carpire i punti deboli della donna, da sfruttare per porre
fine al ricatto. Evidentemente, gli uomini di Mycroft non dovevano
avere trovato nulla di utile o loro non sarebbero stati lì. John
sbirciò le immagini che il marito stava guardando con tanto
interesse. Irene Adler era una donna che non sarebbe passata
inosservata nemmeno se lo avesse voluto. E lei non faceva nulla per non
farsi notare. L’Omega notò una luce diversa brillare negli
occhi del marito. Il cuore si strinse in una leggera morsa. Avrebbe
preferito che Sherlock avesse rinunciato al caso, ma non poteva
chiederglielo. Si erano sposati per dovere. Erano diventati amici.
Colleghi. Partner nel lavoro. Amanti. Però non erano innamorati.
Non si erano mai detti parole sdolcinate come “Ti amo.”
Questo non era previsto fra loro. John ignorò la morsa.
Osservò il marito alzarsi dal divano pieno di energia ed
entusiasmo: “Sarà interessante interagire con una persona
che sta tenendo in scacco la famiglia più potente del Regno!
– affermò allegramente, uscendo dal salotto –
Andiamo a casa a cambiarci, John. Dobbiamo andare a conoscere la
signora Irene Adler!”
John seguì il marito.
Lo avrebbe seguito ovunque. In silenzio. Lui non avrebbe mai
abbandonato Sherlock, qualsiasi cosa fosse accaduta.
Angolo dell’autrice
Può sembrare strano che
John metta nell’album della vita che ha condiviso con Sherlock
una fotografia di Irene Adler. Come potrebbe sembrare strana quella che
apparirà nel prossimo racconto. Però Irene e la prossima
donna sono quelle che faranno comprendere ai due uomini quale sia il
vero legame che li unisce. Che li costringeranno a dare il reale nome
al sentimento che provano l’uno per l’altro.
Grazie a chi abbia letto questo capitolo e decida di andare avanti in questa avventura.
A domenica prossima.
Ciao.
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