Dawn
Ghosts
Quella
mattina, nella luce fioca dell’alba, le luci della
città erano
diverse. Sembravano un segnale, un avvertimento, o almeno era quello
che Faker percepiva nell’aria mattutina, fresca come non lo
era mai
stata le rare volte in cui lui era uscito per godersi il cielo che si
colorava man mano di azzurro, gli uccelli che cinguettavano, i galli
che cantavano, i lampioni che si spegnevano.
Era
proprio sotto un lampione, uno dei pochi rimasti ad Heartland dopo la
rivoluzione tecnologica, che si trovava; un fresco venticello gli
accarezzava i folti capelli biondi, lo stesso colore che il figlio
maggiore aveva ereditato. Si domandò, istintivamente, cosa
il minore
avrebbe pensato di lui, un uomo impegnato, dedito ai suoi affari, che
si prendeva una pausa in un angolo romantico della città,
nell’ora
di confine tra la notte e il giorno, tra il regno dei morti e quello
dei vivi, come gli diceva spesso sua nonna quando era piccolo.
Probabilmente, avrebbe messo
sù
uno dei suoi soliti sorrisi sinceri.
Ma
chi voleva prendere in giro.
Hart
non avrebbe battuto ciglio. Nemmeno se lui gli fosse morto davanti
non l’avrebbe fatto. Non avrebbe semplicemente compiuto alcun
gesto.
Era
stato come quel lampione, suo figlio, una luce che illuminava chi gli
si avvicinava, che con l’arrivo del giorno si spegneva. Il
giorno
per lui era arrivato troppo presto. Era stato, per lungo tempo, un
cadavere vivente, un’espressione che a Faker faceva sempre
gelare
il sangue. Ma era la verità. Questo era stato suo figlio,
dopo aver
emanato una luce abbagliante durante
la bella notte della sua vita.
Si
strinse nel cappotto, come a volersi proteggere dall’ambiente
esterno. La luce del lampione incominciò ad accendersi e
spegnersi e
il vento si alzò. Una strana
nebbia lo avvolse come i suoi pensieri poco prima avevano fatto con
la sua mente.
Faker
era solito cacciare dentro di sé il dolore provocato dalla
perdita
del secondogenito non pensando a lui, era
piuttosto insolito che i suoi pensieri lo riguardassero. Anzi, che lo
ossessionassero, come in quel momento. La nebbia,
l’improvviso
cessare del vento, il lampione che si spegneva, tutto sembrava non
riguardarlo in quel momento.
Non
aveva paura, provava solo tristezza. Come quando un’ombra del
tuo
passato, che ha lasciato una macchia indelebile nella tua vita,
ritorna nel modo più inaspettato e doloroso possibile. E non
faceva
che pensare che quell’ombra potesse essere Hart.
“Sciocchezze”
mormorò, cercando di convincersi.
Fece
per andarsene.
L’alba
è il confine tra il regno dei vivi e quello dei morti.
Fece
un passo verso la strada che l’avrebbe condotto a casa.
Come
durante il crepuscolo, le anime vive e morte coesistono nel nostro
mondo durante
l’alba.
“Papà!”
Arrestò
il suo passo.
Il
cuore prese a battergli forte in petto, come quando Hart aveva
pronunciato quella parola per la prima volta, quando ancora era un
batuffolo adorabile.
“Papà,
sono io.”
Voleva
girarsi, ma aveva paura che sarebbe rimasto deluso se ad emettere
quel suono fosse stato il vento.
“Che
bello vederti, papà.”
Non
lo scoprì mai. Corse lungo la strada più veloce
che poté,
rischiando di cadere ad ogni passo, fino a casa, ove arrivò
con il
fiato corto.
La
voce del figlio – o del vento – rimbombava ancora
nella sua testa
come un grido disperato, nonostante la dolcezza con cui inizialmente
erano state pronunciate quelle parole.
Quando
lo realizzò, si voltò in direzione della strada
con gli occhi
spalancati. Il cielo era completamente azzurro e le luci della strada
erano spente.
Si
aggrappò con forza alla speranza che quello fosse veramente
suo
figlio e corse fino ad arrivare al lampione spento, Contemplò
la strada deserta.
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