E
niente, io sono fatta così. Se mi viene l'idea per una
storia, la
devo scrivere, anche se magari ne ho in cantiere altre cinquanta.
Ogni tanto ci piazzerò qualche nota a piè di
pagina, spero che la
cosa non disturbi eccessivamente la lettura.
♥♥♥
Anna
strinse tra le dita il bicchiere mezzo vuoto, mentre il brusio del
piccolo bar di quartiere sfumava, perdendosi nel rombo quieto che
aveva improvvisamente riempito le sue orecchie.
Seduto
di fronte a lei, quasi rattrappito sulla sedia metallica troppo
piccola per il suo metro e ottantacinque di altezza, Lorenzo, il suo
ragazzo, la guardò come se non fosse in grado di capacitarsi
di
quello che stava dicendo. «A
Lanzate (1)»
scandì lentamente, ripetendo ciò che Anna aveva
detto pochi istanti
prima.
«Sì»
confermò lei, puntando gli occhi in quelli del giovane per
studiarne
la reazione. Lo stava ferendo, lo sapeva, ma aveva il disperato
bisogno che lui capisse le sue esigenze o che, per lo meno, provasse
a farlo.
«Ma
è a più di duecento chilometri da qui»
sbottò lui, aggrottando le
sopracciglia scure e dall'arco elegante. Dal tremolio quasi
impercettibile della sua voce, dalla lieve inflessione tagliente nel
suo tono, Anna capì che lo spaesamento e la rabbia stavano
per avere
la meglio sul suo autocontrollo.
Stavano
insieme da più di otto anni, lei e Lorenzo, e ormai aveva
imparato a
conoscerlo e a prevedere ogni sua reazione. Fa
sempre così,
pensò nervosamente la ragazza, abbassando lo sguardo sulla
superficie metallica del tavolino che la divideva dal giovane. Quando
sente che la situazione sta per sfuggirgli di mano, diventa
passivo-aggressivo. Ma
lei aveva ormai capito come ricondurlo a più miti consigli:
il
trucco stava nel non arretrare nemmeno di un centimetro e di tenergli
testa senza dar segni di cedimento.
«Certo,
ma non capisco perché ti mostri così
sorpreso» ribatté, puntando
gli occhi quasi neri in quelli appena più chiari del
ragazzo. «Sono
mesi
che parlo di questo concorso. Sono mesi
che discutiamo della possibilità di trasferirci a Lanzate.
Qual è
il problema?»
Lorenzo
allargò le braccia, come se il suo discorso lo lasciasse
senza
parole. «Secondo
te, qual
è il problema?»
la provocò, senza celare l'amarezza che trapelava dalle sue
parole.
«Non
saprei, forse il
fatto che io lavoro qui? E che, sempre qui, ho la mia famiglia e
tutti i miei amici?»
Anna
sentì la frustrazione bruciarle lo stomaco. «Ma
ne abbiamo già parlato!»
gemette, facendo del proprio meglio per non urlare e per non attirare
l'attenzione degli altri avventori del bar. «Non
ne abbiamo per caso già parlato? Quante volte abbiamo
discusso del
fatto che, se avessi superato il concorso e avessi ottenuto il posto
in ospedale, sarei dovuta tornare a Lanzate? Non dirmi che hai
rimosso tutto!»
Lorenzo
abbassò lo sguardo e deglutì un paio di volte, un
chiaro segnale
del fatto che si sentiva preso in contropiede. «Sì,
ma non pensavo che avremmo dovuto decidere così presto.»
Anna
aggrottò la fronte, confusa da quell'ammissione. Quando
comprese ciò
che il ragazzo voleva veramente dire, anche se in maniera un po'
velata, si sentì avvampare dalla rabbia. «Non
pensavi che avrei superato il concorso, vorrai dire»
sibilò, mentre un retrogusto amaro le riempiva la bocca.
«Mi
fa piacere sapere che hai così tanta fiducia nelle mie
capacità!»
Si interruppe brevemente, poi riprese: «O
forse addirittura speravi che
non lo superassi, quel concorso.»
«Questo
non è vero!»
ribatté Lorenzo, cercando lo sguardo di lei.
«So
che sei brava e intelligente e che hai tutte le possibilità
per fare
bene, però...»
«Però?»
lo incalzò Anna.
«Se
devo essere sincero, credo che tu non avresti nemmeno dovuto farlo,
quel concorso»
concluse lui, abbassando però gli occhi come se non
riuscisse più a
sostenere il peso di quelli della ragazza.
La
giovane rimase spiazzata e, per diversi secondi, non riuscì
a dar
voce ai pensieri che le vorticavano in testa. «Ma...
ma se sono disoccupata da due anni»
balbettò, prima di riprendere, con più vigore:
«Non
ce l'ho nemmeno mai avuto, un lavoro vero! Da quando mi sono
laureata, ho fatto... cosa ho fatto? La cameriera in un ristorante, e
un paio di volte la commessa sotto Natale.»
«Lo
so»
sbuffò Lorenzo. «Però sei giovane,
avresti avuto tutto il tempo di
trovarti un lavoro qui vicino. Non c'era nessun bisogno di andare a
cercarlo così lontano.»
«Non
sono poi così giovane» mormorò Anna di
rimando, mentre un brivido
d'ansia le serpeggiava nello stomaco. «Tra pochi mesi
compirò
ventinove anni e i trenta sono dietro l'angolo: chi diavolo
l'assumerebbe una trentenne senza esperienza?»
Lorenzo
esitò, poi si strinse nelle spalle. «Sono
sicuro che un lavoretto l'avresti comunque trovato»
mugugnò, evitando però di scendere nei dettagli.
«Un
lavoretto,
eh?» ringhiò Anna. «E come ci campo, con
un lavoretto?»
Quella
domanda parve pungere Lorenzo sul vivo. «Come se corressi il
rischio
di morire di fame!» ribatté, con voce
improvvisamente più dura.
«Ci
sono i tuoi che ti
mantengono e, soprattutto, ci sono io, che un lavoro ce l'ho: ed
è
anche un buon lavoro, che avrebbe potuto mantenere entrambi in
maniera dignitosa.»
Anna
lo osservò per qualche istante, chiedendosi se avesse
sentito bene.
«Lore...
non ho preso due
lauree per fare la casalinga: questo lo sai, vero?»
fece, riuscendo a stento a trattenere l'incredulità nella
voce.
Il
ragazzo chiuse forte gli occhi, come nel tentativo di riordinare le
idee. «Ma certo, lo so. Non ho mai detto che dovresti fare la
casalinga, ovviamente. Sto solo dicendo che avresti potuto trovare
una soluzione diversa.»
«...
che avremmo
potuto trovare una soluzione diversa» puntualizzò
la giovane. «La
decisione di partecipare al concorso in ospedale l'ho presa dopo
essermi confrontata con te.»
«Ah,
sì?» fece Lorenzo, ironico.
Anna
incrociò le braccia davanti al petto, senza più
curarsi di
nascondere l'irritazione che ormai doveva essere perfettamente
evidente anche agli occhi degli altri clienti del bar.
«Ovvio. Te ne
ho parlato, abbiamo valutato i pro e i contro e tu non mi hai mai
detto di non andare.»
«Non
volevo offenderti!» ribatté il ragazzo.
«Non volevo che pensassi
che volessi dirti quello che dovevi fare della tua vita!
Però ho
cercato di farti capire che questa non era la soluzione migliore per
il nostro futuro, per noi:
tu, però, non mi hai mai voluto ascoltare.»
Anna
fece per negare, per dire che non era vero, ma le parole le morirono
in gola. Lei lo sapeva, che Lorenzo non era felice del fatto che lei
se ne andasse tanto lontano alla ricerca di un lavoro. Lo sapeva
interpretare bene, quello sguardo da cucciolo sofferente, quella
tensione di fondo nella sua voce, quel suo tentativo di svicolare
ogni volta che lei sollevava l'argomento. Però non le aveva
mai
detto che non voleva che lei partisse, questo no. Ma
temo che in questo caso non valga la regola del silenzio-assenso,
riconobbe con una smorfia.
Sentendosi
improvvisamente sfinita, Anna si massaggiò gli occhi con i
polpastrelli per scacciare la tensione che sentiva crescere
all'interno della testa, preludio di un'imminente cefalea.
«Be',
ormai è tardi per cambiare idea. Avresti dovuto parlare
più
chiaramente: siamo due persone adulte, non puoi pretendere che io
interpreti quello che pensi, ma che non hai il coraggio di
dire.»
«Quindi
adesso sarei uno che non ha il coraggio di dire le cose come
stanno?»
sbottò Lorenzo, rivolgendole uno sguardo tradito.
«...
a volte, forse» ammise la ragazza. Non appena ebbe
pronunciato
quelle parole, provò una fitta dolorosa all'altezza del
petto, ma
non si rimangiò le parole. Perché
sono vere,
riconobbe, vedendo improvvisamente Lorenzo sotto una nuova luce.
Lui
rimase immobile per qualche secondo, boccheggiando come se non
riuscisse a trovare una risposta adeguata per ciò che la
giovane gli
aveva appena detto. «È questo quello che pensi,
eh?» fece, poi,
con una strana voce tesa. «E allora adesso te lo dico chiaro
e
tondo, quello che penso.»
Anna
si sentì improvvisamente messa all'angolo e un brivido di
preoccupazione le serpeggiò nello stomaco. Nonostante
ciò, sostenne
in silenzio lo sguardo del proprio fidanzato, invitandolo a
continuare.
«La
verità è che tu non mi ami»
dichiarò Lorenzo.
Davanti
a quella battuta così scontata, Anna non riuscì a
trattenere una
risata incredula e si coprì la bocca con una mano, cercando
di
capire se il ragazzo fosse serio o se avesse semplicemente voluto
fare un'uscita a effetto. «Come, scusa?» chiese,
quando vide che il
giovane non mutava espressione.
«Mi
hai sentito benissimo e non credo che ci sia nulla da ridere»
ribadì
Lorenzo, funereo. «Stiamo insieme da otto anni e il nostro
rapporto,
anziché evolversi, si è come accartocciato su se
stesso. Abbiamo
quasi trent'anni e ancora non abbiamo fatto nessuno
progresso.»
Per
qualche motivo, il cuore della ragazza prese a battere più
forte, ma
Anna scosse testardamente il capo. «Non è
vero» protestò.
«Stavamo parlando di andare a vivere insieme!»
«Stavamo,
appunto!»
sbottò Lorenzo. «Prima
che saltasse fuori questa storia del lavoro in ospedale e prima che
tu decidessi di trasferirti in un'altra regione!»
Anna
strinse nervosamente i pugni, cercando di dominare le proprie
emozioni. «Lo dici come se lo avessi fatto apposta: da come
la
metti, sembrerebbe che io sia andata a cercarmi un lavoro lontano per
non dovere stare con te.»
«Magari
non hai fatto apposta», replicò Lorenzo, dopo un
silenzio di
qualche istante, «però non ci hai pensato nemmeno
un secondo, prima
di accettare di trasferirti a Lanzate.»
«Non
ci ho pensato più di tanto perché so che questa
è un'occasione più
unica che rara» sbuffò la ragazza di rimando.
«Ho aspettato un
sacco di tempo di trovare un lavoro qui da queste parti. Ci ho
sperato, ma non è saltato fuori niente. Non posso
più permettermi
di aspettare.»
«Perché
il tuo lavoro è più importante di me,
giusto?» la incalzò il
giovane.
Anna
incrociò risolutamente le braccia davanti al petto.
«È altrettanto
importante» sbuffò. «E, in ogni caso, le
due cose non sono in
contrasto.»
Lorenzo
non trattenne un sorriso sarcastico. «Dimmi che non stai per
propormi una relazione a distanza.»
«No,
sto per proporti di iniziare a cercarti un lavoro vicino a
Lanzate»
ribatté lei. «Tu sei un maschio e sei ingegnere
meccanico: se mandi
un po' di curriculum, verrai praticamente sommerso dalle richieste di
lavoro.»
Il
ragazzo sgranò gli occhi. «Ma non se ne parla
proprio!» sbottò.
«Io un lavoro ce l'ho, e mi piace pure. Perché
dovrei lasciarlo per
trasferirmi dove dici tu?»
«E
perché io dovrei rinunciare a un lavoro che magari mi
piacerà per
restare dove dici tu?» ribatté lei.
«Che, tra l'altro, Lanzate è
il posto in cui sono cresciuta: ci sono pure affezionata.»
«Per
me, invece, non significa nulla»
fece Lorenzo, con il tono di chi intende chiudere una discussione.
«E
allora come la mettiamo?»
fece Anna, giocherellando nervosamente con l'ultimo rimasuglio di
birra. Lorenzo distolse lo sguardo, irrigidendo la mascella e
affondando i denti nella labbro inferiore. Sta
per fare una sparata,
realizzò la ragazza, con un pessimo presentimento. Lorenzo
non era
del tutto nuovo al fatto di porle degli aut-aut,
ma
la giovane intuì che quella volta sarebbe stato diverso.
«O
rinunci a partire, oppure ho bisogno di un po' di tempo per ripensare
alla nostra storia»
disse infatti il giovane, senza trovare il coraggio di guardarla
negli occhi.
Per
qualche istante, Anna ebbe l'impressione che la gola le si stringesse
a tal punto da non riuscire a respirare. Dopo il primo brevissimo
istante di panico e di confusione, la ragazza sentì montare
in sé
la rabbia: come osava
porla di fronte a una scelta del genere? Pensava davvero che un
ricatto avrebbe risolto la situazione?
Reclinandosi
lentamente sullo schienale, la giovane fece scorrere lo sguardo su
Lorenzo. Bello era bello, c'era poco da dire. Si ricordava ancora
quando, nove anni prima, l'aveva visto per la prima volta, mentre
giocava a basket insieme al ragazzo di quella che al tempo era la sua
migliore amica. Era alto, agile come un gatto e con le spalle larghe
malgrado i suoi diciott'anni scarsi. Dalla sua posizione sugli
spalti, Anna l'aveva studiato, cercando di convincersi che era solo
un ragazzino: del resto, aveva un anno in meno di lei. Però
l'aveva
seguito per tutta la partita, scoprendosi incantata dal gioco dei
muscoli delle sue braccia e dal gesto con cui si scostava dagli occhi
i capelli scuri e un po' lunghi. Poi, quando la partita era finita,
il ragazzo della sua amica si era avvicinato a loro e, per qualche
motivo, Lorenzo l'aveva seguito. Era stato così che si erano
conosciuti ed era stato da allora che avevano preso a frequentarsi,
anche se, prima di scambiarsi un bacio, avevano aspettato un anno.
Adesso
era cresciuto – com'era cresciuta lei – ed era
diventato un uomo,
si era lasciato crescere una barba corta e curata e il lavoro al
computer gli aveva regalato un paio di occhiali dalla montatura nera
che non faceva altro che accrescere il suo fascino: ogni volta che lo
guardava, Anna si stupiva di quanto fosse bello.
Ma
la bellezza non è tutto,
pensò, sentendosi stranamente distaccata dal proprio corpo.
Dopo
essersi versata in bocca l'ultimo sorso di birra ormai calda, Anna
posò il bicchiere sul tavolo, avendo cura di piazzarlo al
centro
esatto del sottobicchiere di cartone. Poi spinse indietro la sedia e
si alzò, guardando il volto di Lorenzo senza però
vederlo
veramente.
«Ti
avevo già avvertito: se c'è una cosa che proprio
mi fa incazzare,
sono i ricatti» disse, con una voce controllata che
stupì lei per
prima. «Tu pensaci pure, se vuoi. Io una decisione l'ho
già presa:
parto.» Così dicendo, la ragazza si
alzò in piedi e si sistemò in
spalla la borsetta di pelle chiara. «Ah, un'ultima cosa.
Quando ci
avrai pensato, non prenderti il disturbo di farmi avere la risposta:
non mi interessa.»
Sul
volto di Lorenzo passò un'espressione allarmata, come se il
giovane
si fosse reso conto solo in quell'istante di essersi spinto troppo in
là. «No, Anna! Aspetta un attimo»
balbettò, facendo come per
alzarsi a sua volta.
«Vai
al diavolo» mormorò lei, riuscendo finalmente a
infilare un po' di
sdegno nella voce. Senza dedicargli un'altra occhiata, Anna
girò sui
tacchi e si avviò a passi veloci verso l'uscita del bar nel
quale
aveva trascorso innumerevoli serate, ignorando le occhiate curiose e
un po' imbarazzate degli altri avventori.
Quando
si trovò fuori, sotto ai pallidi raggi della luna di
settembre, la
giovane si accorse di essersene andata senza avere pagato il conto.
Eh, pazienza, si disse, stringendosi nelle spalle. Che
la
paghi Lorenzo.
Cinque
minuti più tardi, seduta al volante della sua Fiat Panda
giallo
canarino, Anna si immobilizzò nell'atto di infilare le
chiavi nel
quadro: aveva appena lasciato il ragazzo con cui si frequentava da
sette anni, comprese, e non aveva praticamente provato nulla.
(1)
– Il paese di Lanzate non esiste. Nella mia testa
è una
cittadina di medie dimensioni, un paesotto senza infamia e senza lode
che offre ai suoi abitanti una vita tranquilla e un po' noiosa. Ho
scelto di ambientare la storia in un luogo immaginario così
che
ognuno sia libero di darle la collocazione geografica che meglio
crede, nei limiti di quello che andrò a descrivere.
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