The Treasure In Your Eyes

di Aliseia
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The Treasure In Your Eyes
 
 
 
Fandom: The Originals
Genere: Angst- Introspettivo
Personaggi: Elijah Mikaelson, Tristan De Martel;
Pairing: Tristan/Elijah
Note alla serie e alla storia: è un crossover con Legacies. Ha in comune con questa la dimensione soprannaturale di Malivore: “Malivore è una dimensione infernale che consuma le creature soprannaturali e le cancella dalla coscienza collettiva”. Cit. Hope Mikaelson.
La storia è il seguito di Writing’s On The Wall: Klaus e Aurora sono in stato di coma, poiché una forza soprannaturale ha rapito le loro coscienze. I Mikaelson in compagnia di Tristan, Vincent e Marcel scoprono un simbolo sulla facciata del Palazzo. Sono i due triangoli intrecciati di Malivore.
Dediche: A Miky, che per prima ha condiviso il sogno e che pensa sempre a loro. Sempre.
A Abby, che sta rapidamente aggiornando i suoi rewatch, e da ogni nuova visione trae lo spunto per nuove bellissime storie.
A Lilyy, che ha sempre seguito con grande attenzione le nostre storie, regalandoci consigli e suggerimenti.
A tutte grazie e una domanda: vi fidate di Tristan De Martel? Io ovviamente sì, senza riserve.
Rating: Teen and Up Audience
Disclaimer: I personaggi e i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me ma a Lisa Jane Smith, Julie PlecKevin Williamson, Michael NarducciDiane Ademu-John, Jeffrey Lieber nonché agli altri autori della serie e a chi ne detiene i diritti.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
 
 
How'm I supposed to die,
When there's only one way to live?
and the treasure in your eyes
you were never meant to give
and you were made to turn your back
what am I to say to that?

 
"How'm I Supposed To Die" – Civil Twilight
 
Come in uno specchio nell’immagine rovesciata Elijah viveva a ruoli invertiti il loro antico, reciproco abbandono. Come in quella notte greca il bagliore dei falò non poteva competere con gli occhi di Tristan. Forse per il vampiro di allora non era abbastanza. Forse allora Elijah temeva di essere felice. Si era voltato e aveva lasciato la scena, senza guardare indietro. Lo guardarono andare via, inghiottito dall’ombra, Tristan e Aya in prima fila. Inermi. Rassegnati.
Ora invece Elijah e Tristan erano occhi negli occhi. Elijah prigioniero, i polsi serrati da corde magiche. Tristan con lo sguardo magnetico e i capelli biondi che riflettevano le fiamme. Le braccia abbandonate lungo il busto ma i pugni stretti su due paletti affilati.
Elijah sospirò: commenti e risate non lo irritavano quanto quell’ambiente desolato, quella prigione squallida, quel fumo.
«Sei qui per vendicarti, Milord?»
«Sei qui per scusarti, Monsieur?»
Elijah piegò le labbra in un sorriso scanzonato. Un brusio si sollevò tra gli uomini, certi grevi vampiri che erano stati seguaci di Greta. Ma le donne rimasero immobili, rigide come statue: il cerchio formato dalle loro mani aveva la solennità di un dolmen. Gli sguardi vitrei, persi in un’oscurità maligna che solo le fiamme animavano a tratti.
Ben diversi gli occhi del vampiro che Elijah aveva davanti: occhi scintillanti e pericolosi come gemme. Per cui avrebbe potuto uccidere. O morire.
Per capire l’origine dell’orrida scena dovremmo tornare indietro di ore. Nello stesso luogo, New Orleans, ma in ben altra atmosfera. Quando i Mikaelson, istruiti da Vincent, avevano scoperto il simbolo di Malivore, dipinto sulle mura del palazzo. Come uno sfregio tragico e assurdo. Elijah e Tristan, poco prima allacciati in un bacio pieno di passione, si erano separati.
*
Tre ore prima
Agitazione e frasi incoerenti attraversarono il patio come farebbe un vento gelido che venga ad annunciare l’inverno. «Klaus è in pericolo…» sussurrò Rebekah osservando lo strano simbolo. «È opera di streghe!» urlò Kol sfiorando la scritta sul muro, fissando la materia nera che gli imbrattava le mani.
«Lei è scossa dalle convulsioni…» Freya, uscita per ultima, era bianca come un fantasma. “Lei” era Aurora.
Tristan corse dentro e stringendo la sorella tra le braccia inveì contro i presenti: «Dovete fare qualcosa!» Ma nessuno sembrava ascoltare. Oltre ai Mikaelson nel salone c’erano le streghe istruite da Vincent e i Lupi Mannari della Luna Crescente, ed erano completamente assorbiti dagli ordini dello stregone. L’unico che aveva una seppur vaga idea dell’origine del simbolo.
Elijah si precipitò dentro a sua volta. Una breve occhiata ai De Martel poi si chinò su Klaus. «È tranquillo.» mormorò sollevato. Poi con gli occhi cercò di nuovo Tristan, ma nella penombra lo sguardo del Conte emetteva appena un gelido bagliore. «Aurora sta male.» sussurrò.
«Chiamiamo Freya…» la voce di Elijah era velata da una sincera preoccupazione.
«No.» sibilò Tristan a labbra strette. «A Freya non importa. A … voi non importa. La porto via.» Tristan si sollevò con il lieve fardello tra le braccia. Aurora, piccola come una bambina, aveva di nuovo i lineamenti distesi di una morta. Sulla soglia dell’enorme salone si allungarono le ombre di due nuovi arrivati. Erano Arthur e Shen, i sopravvissuti della prima Strix. Scuri e silenziosi si affiancarono a Tristan, come due luogotenenti a guardia della regina che, esanime, pendeva languida tra le braccia del premuroso fratello.
Il lugubre corteo lasciò la casa.
*
Erano seguite ore concitate, in cui anche Klaus aveva preso a tremare, dalle palpebre scostate baluginava a tratti il bianco degli occhi. I Mikaelson, che avevano affrontato tante tragedie, di fronte all’ennesimo affronto del destino sembravano pazzi. Non temevano la morte, ma l’oblio. Erano tornati dall’aldilà delle streghe per la ragione di sempre: la famiglia. Grazie alla forza dei ricordi. Ma se Malivore avesse inghiottito la coscienza di Klaus fino a cancellare la sua esistenza, che ne sarebbe stato di lui? Di loro?
E così, tra liti, incomprensioni, scatti di nervi, la sconfitta arrivò inattesa eppure ineluttabile. Elijah e Freya si trovavano nel salone, le teste chine sulle formule magiche. Lei seduta, gli occhi bassi mentre si mordeva le labbra. Lui in piedi, le braccia tese sul tavolo, la schiena rigida. Sentì per prima cosa un lieve scalpiccio, poi le sue nari delicate di vampiro colsero un profumo che sembrava così antico, così familiare. Le figure incappucciate stringevano Kol e Rebekah, i volti nascosti, le mani bianche artigliavano le braccia dei prigionieri, bloccandoli apparentemente senza fatica. Elijah inclinò le labbra in un sorriso stanco, ma quale fosse la sua battuta ironica non si seppe mai… Poiché anch’egli impallidì nello scorgere anche Marcel tra i prigionieri. La figura oscura alle sue spalle non sembrava compiere alcun sforzo nel costringerlo con le mani dietro la schiena. E Marcel era il vampiro che per i suoi poteri era definito la Bestia.
Prima che Elijah potesse capire vide baluginare una mano dalla delicata sfumatura d’ambra. Ne riconobbe la trama perfetta della pelle, le lunghe dita sottili illuminate dalla pietra turchese di un anello. Provò a chiamare il nome ma l’oscurità scese su di lui.
*
La voce di lei era come seta, come braccia morbide… Ma il senso delle sue parole non era dolce: “mi hai tradito. Mi hai abbandonato. Tu non credevi in me.”
Per quanto tempo ancora, per quante volte avrebbe dovuto riascoltare quelle accuse? Sussurrate, velate, gridate dalle labbra morbide e crudeli di una delle sue tante amanti? O dalla bocca del suo unico amante, di colui che era suo dalla notte dei tempi… Erano l’uno accanto all’altra, sorridevano trionfanti. La strega che aveva quasi ucciso Hope: Celeste. E lui. Il suo uomo.
«Oh Elijah – disse lei – mi hai ucciso per quella bimba arrogante. E mi hai dimenticato… a causa di quella sgualdrina della madre.»
Un lampo passò negli occhi di Tristan.
«Mi hai offeso per onorare una promessa ridicola e sorpassata. Sempre e per sempre. – Celeste rise di quella sua risata calda e viscosa – Mi hai lasciata morire… per lei. Lo stesso delitto commesso su questa straordinaria creatura – La strega fissò Tristan con sospettosa attenzione – Un concentrato singolare, se posso esprimermi, di passione e malvagità. Di orgoglio e di devozione. Un po’ come te… Ma con una nota eccentrica che lo rende così deliziosamente imprevedibile. Egli violerà la tua mente… E mi consentirà di accedere al nascondiglio dei libri segreti di Esther. Tornerò… e New Orleans sarà mia.»
Elijah scoppiò in una lugubre risata, senza smettere di fissare Tristan, che non parlava.
«Tu non sei reale. Tu non sei mai tornata dal regno dei morti. Tutto ciò non è reale…»
Allora fu lei a ridere di nuovo, con le note acute e strane di una sirena. «Sono reale eccome. Nella tua testa… E se sono qui è grazie al tuo amante. Da tempo lavoro nelle terre d’ombra dove sono relegata. Prima nella fonte ancestrale. Poi, liberata da Vincent con tutte le altre streghe, assorbita dall’inferno di Malivore. Quello che sapete di quel luogo orribile è solo una parte… Ti accorgi solo ora di avermi dimenticata. Ma quello è il destino delle creature soprannaturali perdute in quel gorgo. L’oblio… Solo che io non ho mai smesso di pensare a te. A voi. Da tempo tramo per incrinare il perverso legame che ti unisce al tuo amante. Ho letto la sua mente, Elijah Mikaelson…. Sapevi che il tuo uomo è geloso? Che brucia di sdegno ogni volta che ti fai coinvolgere dalla tua famiglia? Che non ti ha ancora perdonato nonostante tutto quello che c’è tra voi? Quanti amanti hai deluso, mio povero Elijah. Ma presto tutto ciò finirà. Perché tu finirai, raggiungendo il tuo caro fratello nel nulla desolato di Malivore. Prima però vorrei divertirmi ancora un po’ alle tue spalle. Ho un alleato prezioso, che ha il più libero accesso alla tua mente… E al tuo cuore. Ho aperto quella crepa, Elijah. Pensavi che volessi spezzare il vostro legame? Come sei ingenuo… L’ho usato per entrare. La vostra affinità mi ha permesso di preparare questa trappola meravigliosa, dove traggo forza proprio da voi. Questa stanza è solo per noi tre, mentre i miei alleati, streghe e vampiri, vi tengono prigionieri a Palazzo Mikaelson.»
Elijah si guardò intorno. Apparentemente non erano nelle segrete di palazzo Mikaelson, ma nella sede distrutta della Strix, prima che Tristan la facesse ristrutturare. Questa era l’illusione del piano astrale in cui interagivano: il buio salone, i rampicanti che profanavano i mobili ormai a pezzi e germinando oscenamente alla ricerca di luce avevano coperto i mosaici delle vetrate. «Questa è una chambre de chasse. » mormorò Elijah senza staccare gli occhi da Tristan. Poi chinò il capo, come se avesse perso i sensi. Era assicurato mani e piedi da semplici ma robuste corde. Incredibile che potessero trattenerlo, ma ogni movimento, ogni tentativo di ribellione gli causava un dolore insopportabile. Tristan era libero, e stringeva tra le mani quei due paletti. “Io sono le corde – pensò faticosamente Elijah, nel tentativo di indovinare gli oggetti che lo rappresentavano – E tu sei… “ Un bagliore lo accecò.
Quando riaprì gli occhi faticò per un momento a distinguere l’ambiente circostante, come chi venendo dalla luce fatichi a scorgere gli oggetti nella penombra. Ora era davvero nelle segrete. La luce rossa delle torce lo ferì. Celeste non c’era più, relegata nel piano astrale: unica dimensione a permetterle un contatto con il mondo dei vivi. Ma erano presenti due uomini incappucciati e invano Elijah avrebbe provato a descrivere i loro volti: sembravano fatti d’oscurità. Nelle celle ai due lati del corridoio giacevano privi di sensi i suoi familiari. Poteva scorgere Kol e Freya. Udiva il battito del cuore di Rebekah, pur senza vederla. Nell’ultima cella giaceva Marcel. Mancava solo Vincent.
Sul tavolo al centro del corridoio c’era uno splendido vaso di opaline la cui superficie turchese, come Elijah notò distrattamente, era appena incrinata.
Giunse un terzo vampiro a guardia delle loro celle. «Mio signore – disse uno degli incappucciati all’ultimo arrivato – la Strega dice che dobbiamo lasciarlo vivo. Ma non ha specificato che il suo corpo debba restare intatto.»
Dalla voce Elijah riconobbe uno dei vampiri di Greta, uno dei pochi sopravvissuti. Il vampiro Originale spalancò gli occhi: i due giovani incappucciati sussultarono. Poi si ricomposero, lentamente si liberarono dei cappucci e sorrisero guardandosi l’un l’altro in modo allusivo. Erano robusti, un po’ trascurati nell’aspetto. Ben diverso il biondo vampiro tra loro, già nel portamento si distingueva e risplendeva come avrebbe fatto un nobile tra i suoi sgherri.
Il biondino non fece una piega. L’azzurro implacabile degli occhi non s’incrinò neanche per un istante, ma piuttosto si addensò in una nebbia che nascondeva qualsiasi emozione. Le labbra piene s’arricciarono appena in una smorfia.
«Si è svegliato?» domandò uno degli uomini ai lati. Non avevano la solennità dei guerrieri, sembravano due balordi e non era una questione di abiti. Nessuno di loro, neanche impegnandosi, avrebbe mai avuto la leggiadra eleganza della figura al centro. «Sì, è di nuovo tra noi.» confermò il giovane.
La guardia che aveva parlato per prima si agitò. «Cosa è successo? – chiese con ansia – Celeste avrebbe dovuto imprigionarlo in una chambre de chasse, indebolirne la volontà fino a farsi svelare l’esatta collocazione dei libri di Esther. Solo così potrà liberarsi da Malivore. Liberare, come promesso, i nostri fratelli. Così hanno detto le streghe.» L’altro scosse il capo e sputò in terra: «Non mi fido delle streghe.»
Il giovane al centro sorrise. «E chi vi dice che non l’abbia già fatto? Che non abbia già trovato gli incantesimi, e avendo lasciato Malivore, non compaia tra un istante in mezzo a noi?»
Una delle porte del sotterraneo si spalancò con violenza, una mezza dozzina di individui si riversarono nel corridoio che attraversava le segrete. Erano streghe ripudiate da Vincent, vampiri notturni che fuggivano la luce come i topi di fogna, lupi mannari che avevano abbandonato il branco: l’aria desolata, le facce dall’espressione depravata parlavano per loro… Elijah si chiese come una simile feccia avesse potuto sopraffare la sua famiglia. Celeste doveva avere incanalato un potere più tremendo, forse l’essenza delle creature che come lei erano perdute in Malivore. Ora però Celeste non c’era, ovviamente. Restavano quei loschi figuri e la magia che costringeva i Mikaelson, Marcel e Vincent nelle loro celle. Tutti… tranne Tristan.
«Hans! Che facciamo?» Una strega inclinò il capo fissando uno dei due luogotenenti che affiancavano il Conte. «Le streghe lamentano di aver perduto il collegamento con Celeste. Non riescono a raggiungerla.»
Hans fissò Tristan con aria diffidente. I due guardiani erano trattati con una deferenza che li poneva al di sopra di tutti gli altri, erano evidentemente investiti di particolari poteri. E ora sembravano particolarmente interessati a ciò che Tristan aveva visto nella chambre de chasse. Hans si guardò intorno, sospirò rumorosamente e tornò a guardare la strega. «Non lo so. Non so che fare, in effetti. – si girò intorno con aria sospettosa – Gerald, che dici? – chiese rivolto al compagno - Forse Celeste ha già dominato e spezzato la mente di questo traditore… - aggiunse fissando Elijah – E ha già raggiunto l’incantesimo che la farà scappare da Malivore. Ma non capisco perché siano entrambi coscienti, lui e il suo…amico.» Scosse il capo. La parola doveva evidentemente causargli una certa repulsione. Lo sguardo di Hans si spostò da Elijah al giovane Conte. Questi sorrise. «Sono entrato in contatto con la mente di Celeste. Ella ha motivi di risentimento nei confronti di Elijah Mikaelson. Che a quanto pare sono anche i miei. E ti assicuro, Hans… È molto meglio avermi come amico che come avversario.»
Senza parlare l’altro vampiro fronteggiò il ragazzo in tutta la sua imponente stazza. Bruno, robusto, la barba non rasata, sembrava ben più pericoloso del biondino levigato e soave. Eppure questi rimase immobile, impassibile.
«O forse è meglio averti come amante?» lo provocò Hans.
Il giovane arricciò le labbra. «Non lo saprai mai. Io sono il Conte Tristan De Martel. Sono pochi quelli alla mia altezza.»
Elijah, che aveva seguito attentamente la scena, scoppiò in una cupa risata.
«Vattene, Tristan. – mormorò – Niente di tutto ciò ti riguarda.»
Tristan avanzò di un passo, per la prima volta dall’inizio di quella scena pareva turbato. «È sempre la solita storia, non è vero? Non mi riguarda.»
Hans sbuffò, spazientito. «Non abbiamo tempo per i vostri litigi da innamorati. Portatemi il proiettile di quercia bianca. Facciamola finita con il reietto.»
Elijah non lo degnò di uno sguardo, le iridi ardenti in quelle blu di Tristan. Il Conte sembrava ipnotizzato. Poi all’improvviso si scosse. «Molto bene – disse lentamente – ma ogni cosa a suo tempo. Non così in fretta… abbiamo troppi conti in sospeso.»
In quel momento un giovane magro, dall’aria sofferta, fece irruzione con la violenza che gli permetteva la sua fragile costituzione. Tra le mani scarne un piccolo oggetto levigato, sembrava di cera: era il proiettile di quercia bianca.
«Facciamolo. Ora.» disse Gerald con voce soffocata, prendendo l’arma tra le dita e osservandola con l’aria rapita che avrebbe dedicato a una gemma preziosa.
«Troppo comodo! – disse Tristan girando appena il capo – Voglio ancora qualche momento con lui… Non mi piace il modo in cui mi guarda. Il modo in cui i suoi occhi mi sfidano. e come risplendono a ogni nostra parola… Voglio che smettano di brillare.» La voce di Tristan usciva a fatica, frenata da un leggero ansito. Senza aggiungere altro il pallido Conte aprì le braccia, porgendo le mani per ricevere qualcosa: un paio di vampiri vestiti di nero prontamente consegnarono due paletti. Hans si mosse, a disagio. Alcuni sorrisero con aria maligna.
Tristan impallidì ancora di più, sollevò le braccia, poi le mani scattarono ai lati: Hans e Gerald caddero a terra, i paletti nel cuore.
 
Elijah ancora legato sbatté appena le palpebre. Con un sorriso ricordò lo scambio di battute avuto qualche ora prima, di fronte a Celeste. Senza che lei potesse ascoltarli, poiché i due vampiri comunicavano con il pensiero.
 
*
 
Alla buon’ora.
 
Arrogante, credevi che mi sarei precipitato?
 
L’hai fatto. Il tuo cuore è impazzito.
 
L’ho fatto per salvare Aurora.
 
Non mentire. Io sono l’alfa e l’omega. Io ti interesso sopra ogni cosa.
 
Sei invero una creatura molto interessante. Così ottuso e represso… eppure affascinante.
 
Tu sei legato a me… Le corde! Nella magia rappresentativa io sono le corde. Ti costringo alla resa. Queste corde magiche sono l’oggetto che mi rappresenta sul piano astrale.
 
E io sono l’opalina scheggiata. La perfezione lucida che un barbaro mandò in pezzi.
 
Appena ci sveglieremo te ne andrai. Penserò io a tutto. Anche ad Aurora.
 
Ma sì, certo, mio signore. Ma non posso. Sono legato a mia volta.
 
Nella Chambre De Chasse Elijah e Tristan si erano congiunti in un bacio. Celeste aveva lanciato un grido, un ruggito da tigre ferita. Le corde si erano sciole e l’opalina era andata in mille pezzi. Nella dimensione astrale Elijah aveva avvolto il ragazzo tra le proprie braccia. Un ultimo sguardo annoiato alla sua ex amante. «Tu non puoi capire – le aveva sussurrato – Non sono le corde a rappresentarmi. Non è la magia che ci lega, né il sangue. Ciò che abbiamo noi due è scelto liberamente, pure se è fatale, sanguinoso, ineluttabile. Ciò che abbiamo non si spezza attraverso il dubbio o il dolore, bensì si rafforza.»
L’immagine di Celeste, prima così vivida, era trascolorata perdendo consistenza: aleggiò in un verde malato come quello che indugia sulle paludi. Per poi dissolversi, unico bagliore una lacrima solitaria e risentita che rigava lentamente una guancia.
«Ti auguro la pace, mon chere.» aveva sussurrato Elijah.
I due vampiri erano a terra, come svenuti. E poi si erano ritrovati nel piano reale. Elijah prigioniero. Tristan, silenzioso e complice, sotto le mentite spoglie di un nemico.
 
*
 
Nel trambusto seguito al primo attacco Tristan strappò il proiettile dalle mani di Hans e si schierò davanti al proprio signore.
Elijah rantolò. «Ti ho detto di andartene.»
«Non ci pensare.»
«Vai via, non possono uccidermi finché hai il proiettile, ma possono uccidere… te.»
Tristan riversò il capo sulla spalla del proprio amante, senza smettere di fargli scudo. «Ma chi, questi pivelli?» I paletti saettarono in aria e colpirono altri due avversari. In quel momento la porta si spalancò di nuovo. Entrò Vincent. «Celeste è sconfitta… Per ora. Ma è ancora tra noi, controlla le menti dei suoi adepti.»
«Sbrigati.» sibilò Tristan. Con un gesto Vincent aprì le celle: la prima a rialzarsi fu Freya, colei che possedeva la magia più forte. Uscendo dalla cella la donna si avvicinò al fratello e con voce profonda prese a recitare un incantesimo che lo liberasse dalle corde magiche.
In quel momento il vampiro che sembrava malato si gettò tra loro, con gesto rapido affondò il paletto nel cuore di Tristan. «Lei lo diceva sempre – rantolò – C’è un solo modo per colpire Elijah. La famiglia… O il Conte De Martel.»
Elijah libero dalle corde lanciò un grido, sostenendo Tristan tra le proprie braccia. Il Conte boccheggiò, pallido come un cencio. Il legno non aveva ancora raggiunto il cuore, le sue labbra tremarono nel tentativo di dire qualcosa: «Aurora…» mormorò.
«Stai zitto.» sussurrò Elijah conficcando le dita nel suo petto. «Zitto e buono, Conte De Martel, o ti dovrò torcere il collo.»
«No… Io… Salva Aurora.»
«Ci ho pensato io!»
Elijah, chino su Tristan, alzò di scatto la testa. Nelle celle ormai aperte poté distinguere due figure: Klaus, pallido e sofferente ma finalmente sveglio… e Aurora tra le sue braccia. Il più selvaggio degli Originali aveva eliminato con pochi colpi quasi tutti i nemici che ancora si affannavano intorno a loro. Uscì dalla propria prigione sollevando la fanciulla senza fatica.
«Lasciami… Barbaro! Cosa ci faccio qui?» Aurora sembrò riprendere rapidamente le forze.
«Zitta o ti uccido, una buona volta!» sibilò Klaus. «Se non la smetti subito…» Ma in realtà fu lui a non finire la frase perché una pioggia di pugni scese sulla sua testa. «Lasciami subito, idiota. Cosa è successo a Tristan? Mon petit!» Aurora gridò sgranando gli occhi alla vista del fratello, semisvenuto tra le braccia di Elijah. La contessa, finalmente a terra, si fece strada tra Freya e Klaus, ma Elijah la bloccò con uno sguardo. Una mano in quella di Tristan, l’altra nel suo cuore, chiuse gli occhi assecondandone i battiti, seguendo delicatamente con le dita il percorso delle schegge di legno. Quando anche l’ultima fu strappata alla carne del suo amante, si fermò e si concesse un sospiro di sollievo. «Ecco.» disse solo.
Tristan abbozzò un debole sorriso, poi svenne.
 
Nel palazzo Mikaelson tornato all’usuale atmosfera tra il drammatico e il conviviale, Klaus, di nuovo in forma, raccontava a sorelle e fratelli l’esperienza devastante di Malivore, il cui incubo a quanto pare era stato reso peggiore dalla presenza petulante di Aurora. Ma quella non badava a lui: i grandi occhi lucidi, fissava Elijah che non vedeva che Tristan, che lo raccoglieva tra le braccia, sfiorando con le labbra la fronte madida di sudore. Finalmente il più autorevole degli Originali si rivolse alla Contessa: «Andrà tutto bene. Penso io a lui.»
Aurora annuì. «Lo so.» disse. E quello scambio di battute più di qualunque evento ufficiale mise fine a un millennio di incomprensioni.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 




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