Capitolo 3-
Maledetti armadi
Era passato quasi un mese dal giorno dell’assunzione di Rin e
la ragazza poteva dichiararsi soddisfatta.
Il capo era molto esigente e, sebbene lavorasse solo due pomeriggi a
settimana, stirare con precisione la pila di vestiti la faceva stancare
molto. Quando rincasava la sera, mangiava un boccone veloce, si faceva
una doccia calda e si metteva subito a dormire. Secondo Sango la colpa
era da attribuirsi alla pressione che la governante aveva versato su
Rin il primo giorno di lavoro.
Nonostante ciò, Rin era felice: aveva ricevuto la sua prima
busta paga e con quei soldi si era permessa un nuovo set di matite e di
fogli per poter disegnare. Tra gli extra aveva fatto la sua comparsa
anche un vestito nuovo da poter mettere per una serata fuori con le
amiche. Nessuno sarebbe morto per un piccolo vezzo come quello.
-E così il tuo capo non ha un volto- disse Ayame mentre
trangugiava il tramezzino comprato al konbini vicino al suo ufficio.
Le ragazze avevano raggiunto Rin nei pressi dell’accademia
per pranzare insieme. Kagome quel giorno aveva solo due ore di lezione,
mentre Sango e Ayame avevano un’ora di pausa pranzo.
Rin annuì, prese con le bacchette una dose di riso, poi
disse:- Già, è come una figura leggendaria-
-Non ci sono foto sue sparse per casa?- chiese curiosa Kagome.
-Negativo, la casa è molto impersonale, non
c’è niente di particolare. Sembra solo un bel
posto dove dormire-
Le ragazze fecero facce perplesse. Da un po’ di tempo uno
degli argomenti principali era dare un volto al capo di Rin.
-L’unica cosa che so è il suo nome: Sesshomaru No
Taisho- disse Rin.
Sango sollevò lo sguardo verso il cielo, meditabonda.
-Se non ricordo male, Sesshomaru è il nome del fratello di
Inu-Yasha. Non lo nomina molto spesso, da quello che so non vanno molto
d’accordo. Kagome, tu ne sai qualcosa?-
La ragazza in questione fece una faccia sorpresa. La sua frequentazione
con il mezzo demone amico di Miroku sembrava procedesse a gonfie vele.
Ormai le ragazze si chiedevano quando l’avrebbero conosciuto,
in realtà la domanda se la ponevano soprattutto Rin e Ayame
perché Sango già lo conosceva, seppur
superficialmente.
-Non ha accennato nulla. Ho intuito che avesse un fratello, ma non ho
mai approfondito l’argomento-
-La verità è che siete troppo impegnati a fare
altro!- la provocò Ayame, dandole una pacca sulle spalle che
le fece quasi andare di traverso il pezzo di tonno che stava mangiando.
A quelle parole Kagome arrossì violentemente.
-Beh hanno lo stesso cognome: o si tratta di un caso di omonimia o sono
parenti- disse Kagome poi per sviare l’attenzione delle
amiche.
Rin sollevò un sopracciglio e poi sorrise divertita: sarebbe
stato davvero buffo scoprire che il suo capo altri non era che il
fratello del nuovo ragazzo di una delle sue migliori amiche. Un giro di
parole piuttosto complesso che strappò una risata alla
ragazza.
Il pranzo proseguì tra l’ennesimo sfogo di Sango
su Miroku e Ayame che parlava di un qualche progetto informatico, di
cui loro capivano poco e niente.
Era un mercoledì come tanti e Rin sarebbe dovuta andare al
lavoro anche quel giorno. Quando l’anziana governante non
c’era, Rin aveva modo di parlare un po’ con
Jinenji, sebbene all’inizio fosse stato un po’
complicato vista la timidezza del mezzo demone.
La prima volta che si era avvicinata a lui, Jinenji aveva sussultato
dalla paura e un vaso di fiori era finito a terra. La seconda
volta riuscì a strappargli un saluto balbettato e fu solo al
terzo tentativo che venne intavolata una pseudo conversazione.
La cosa positiva, in quel primo mese, fu il fatto che la signora
Natsuki era talmente soddisfatta del lavoro di Rin che non reputava
necessaria la sua presenza in casa, anche se la ragazza sospettava che
quella fosse solo una scusa per riposarsi.
-Jinenji, dimmi un po’, com’è il padrone
di casa?- aveva chiesto una volta Rin mentre il mezzo demone le dava
una mano a piegare le grandi lenzuola scure appena stirate.
-Non lo vedo molto spesso. Non è un tipo che ama
particolarmente umani o mezzi demoni, credo che una volta abbia detto
che non sopporta l’odore degli esseri umani-
Rin rimase stupita da quella frase, strabuzzò gli occhi.
Sembrava proprio che fosse una sorta di misantropo.
Infilò le chiavi nella toppa, prima di aprire
guardò sconsolata il triste mazzo di chiavi che aveva: la
signora Natsuki le aveva severamente vietato di usare qualcosa di
troppo colorato o, ancora peggio, con pupazzi. Era una casa
rispettabile e seria, non un asilo nido. Nonostante se lo ripetesse
dieci volte al giorno, Rin non capiva che cosa ci fosse di
compromettente in un portachiavi con un peluche.
Quando richiuse la porta dietro di sé, notò che
nessun rumore interrompeva il silenzio dominante. Aguzzò le
orecchie, ma nemmeno il trafficare di barattoli di Jinenji le
sembrò di sentire. Dopo essersi guardata intorno e fatto un
giro veloce della casa, capì che avrebbe lavorato in
solitaria.
Era la prima volta che capitava. Un po’ le dispiaceva,
perché almeno con Jinenji si sentiva meno sola ed ora
parlavano amabilmente come due amici di vecchia data.
A Rin venne spontaneo sorridere quando vide un bigliettino che il suo
amico e collega le aveva lasciato sull’asse da stiro, quando
aveva fatto il suo ingresso nella lavanderia. Si scusava con lei per
l’assenza ma quel pomeriggio avrebbe dovuto accompagnare la
mamma dal dottore. Vide pure che le aveva lasciato un barattolo di
vetro con il tappo di sughero con all’interno delle foglie
esiccate: era la miscela di tè verde che lei gli aveva
chiesto due settimane prima. L’afferrò e la mise
subito al sicuro nella borsa, pensando che la prossima volta sarebbe
stato carino da parte sua presentarsi con un regalo per Jinenji.
La ragazza si rimboccò le maniche del maglione e si mise
all’opera: aveva visto che la quantità di vestiti
da stirare quel giorno era consistente e non voleva sprecare nemmeno un
minuto. Da quello che ricordava il “signor
Sesshomaru”, come diceva sempre l’anziana
governante, quella settimana era fuori città per lavoro,
quindi Rin pensò che se si fosse fermata un pochino di
più per finire tutti i panni sarebbe stato solo tempo
guadagnato per la volta successiva.
Il tempo passò molto velocemente e, Rin, ormai accaldata e
con le guance in fiamme per colpa del vapore, si guardò
intorno e vide che nessun pezzo di stoffa era scampato alla sua furia
da lavoratrice.
Vide le camicie perfettamente stirate appese sulle grucce.
Di solito era la signora Natsuki che sistemava gli abiti del capo, ma
quel pomeriggio Rin si sentiva in vena di darsi da fare:
pensò che avrebbe potuto sistemare lei le camicie
nell’armadio, per fare un favore alla signora Natsuki.
Afferrò le grucce e si diresse verso quella che doveva
essere la camera da letto del signor Sesshomaru.
Rin entrò nella stanza in maniera circospetta, un
po’ intimorita. Accese la luce e la stanza, sempre arredata
con una perfezione vuota, non faceva altro che ribadire il concetto che
il resto della casa non avesse già fatto:
serietà, freddezza, niente fronzoli.
La ragazza spostò lo sguardo sugli oggetti: anche il libro
da lettura sul comodino era sistemato con precisione chirurgica.
Tutta quella simmetria era quasi spaventosa, pensò Rin
mentre sentiva un brivido salirle lungo la schiena. Si
domandò se non stesse facendo una cavolata, per poi subito
darsi della stupida per un pensiero del genere: stava solo sistemando
un paio di camicie, non rubando.
Ignorò quella sensazione e si avvicinò a quello
che doveva essere l’armadio.
Poggiò una mano sull’anta di legno di mogano e
spinse di lato. Davanti a lei una serie di vestiti e anche quelli tutti
di colori neutri: bianco, nero, grigio, qualche camicia azzurrina ma
niente di più. Era desolante vedere quella monocromia di
colori, a Rin piacevano le cose colorate. Tutto era impilato e appeso
precisamente, sembrava di trovarsi in una boutique di lusso.
Rin rivolse il suo pensiero al misero armadio che aveva a casa sua:
troppo piccolo, con troppi vestiti che lei non sapeva come sistemare e
perennemente disordinato.
Vide che in alto alla sua sinistra c’era un pulsante che
permetteva alle assi di girare, in modo da trovarsi di fronte il capo
desiderato. Rin pigiò il tasto e di fermò quando
vide la sequenza di camicie interrompersi per dei posti vuoti.
Posò gli indumenti delicatamente, facendo attenzione a non
sgualcirli.
Stava per richiudere l’anta, quando una foto
catturò la sua attenzione. Che strano avere una foto
nell’armadio, pensò Rin afferrandola. Era poggiata
su una delle mensole di fianco alle camicie, nell’unico
ripiano vuoto, quello ad altezza d’uomo.
La foto sembrava un ritratto di famiglia: tre uomini. In
realtà l’uomo era uno, gli altri due solamente dei
bambini. Erano tutti seduti su un lussuoso divano rosso e
l’uomo abbracciava sorridente i due bambini, i quali invece
si guardavano in cagnesco ed uno dei due aveva ancora le guance e gli
occhi rossi dal pianto.
Erano tutti e tre con i capelli argentati e gli occhi ambrati.
Che fosse l’uomo il suo datore di lavoro? Eppure era
difficile pensarlo: dalla foto e dal modo in cui stringeva quelli che
sembravano essere i suoi figli, dava l’idea di essere una
persona dolce e a modo. Inoltre la casa non presentava segni di bambini
in giro.
-E tu che ci fai nel mio armadio?-
Rin sentì un goccia di sudore percorrerle la schiena, la
pelle d’oca in ogni centimetro del suo corpo.
La voce che aveva parlato non contemplava il minimo tono di gentilezza,
anzi era stata dura, perentoria, quasi scocciata e ricordava fin troppo
un ringhio.
Rin, con la foto ancora in mano, si girò lentamente.
I suoi occhi scuri incontrarono delle iridi ambrate, le stesse che
aveva visto su quella fotografia, ma non erano quelli dolci
dell’uomo a cui aveva prestato attenzione un minuto prima:
erano occhi astiosi, impenetrabili.
La ragazza capì al volo di trovarsi alla presenza di uno
youkai grazie ai segni demoniaci sul volto.
Era un ragazzo piuttosto giovane, alto e longilineo. La pelle era
diafana e i capelli lunghissimi, le mani, invece, erano artigliate.
La guardava impaziente di un risposta.
Lei sentì le parole morirle in gola, sembrava che non fosse
più in grado di formulare due parole.
Arrossì violentemente per la vergogna, lasciò
cadere il portafoto per terra e, farfugliando delle scuse,
scappò da quella casa il prima possibile.
Una volta che fu fuori dal palazzo, si appoggiò al muro,
tentando di riprendere la calma.
Realizzò dopo qualche respiro profondo di essersi fatta
beccare dal suo capo mentre rovistava nel suo armadio…
… E lui odiava vedere i suoi dipendenti, per di
più umani, in giro per casa sua!
Rin si portò le mani al viso: poteva anche dire addio al suo
lavoro.
Buonasera a
tutti voi, cari lettori! Come promesso il nostro Sesshomaru ha fatto il
suo ingresso, seppur breve. La storia comincia a prendere forma.
Fatemi sapere che ne pensate!
A presto!
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