In
quelle due sacche da viaggio misere, nemmeno troppo pesanti ma dal
valore immenso, c'era tutta la sua vita. C'era quel poco che a
Demelza sarebbe servito nel nuovo mondo in cui stava per giungere e
quel poco della sua vecchia esistenza da cui non avrebbe mai potuto
separarsi: il suo pettine, i semi di alcune piante del suo giardino
di Nampara, qualche vestito suo e dei bambini, quel poco di denaro
che aveva accettato da Dwight e null'altro. Il resto era rimasto in
quella che era stata la sua casa, la casa che l'aveva vista crescere,
diventare donna e poi moglie e madre. Aveva lasciato lì
tante cose,
nella fretta di andarsene. Ed ora aveva il cuore spezzato per i tanti
affetti, amici e conoscenti che non avrebbe più rivisto e
per un
amore grandissimo e ancora vivo che però non era
più corrisposto...
E avvertiva il peso nel cuore di non aver salvato il suo uomo da se
stesso, facendola sentire una fallita. Ross si stava scavando la
fossa da solo e lei, sua moglie, non poteva farci nulla, non poteva
salvare chi non vuole essere salvato...
Nel
porto, sotto una pioggia battente, si guardò attorno e
ritrovò un
pò di forza in se stessa. C'erano Garrick, Prudie e i suoi
due
bambini accanto a lei, un altro era in arrivo e ci sarebbe stata
tanta vita ancora da vivere, per provare ad essere felici di nuovo.
Quindi non doveva piangere come aveva fatto ancora la notte appena
passata, non doveva guardarsi indietro ma solo avanti, con fiducia. E
per il resto...
"Scrivimi!"
- la implorò Dwight, stringendola forte a se.
"Lo
farò".
Il
medico, guardandola negli occhi con una serietà eccessiva
anche per
una persona seria come lui, annuì. "Scrivimi quando arrivi,
scrivimi quando avrai trovato un buon medico – e non un
ciarlatano
– che seguirà te e i bambini, scrivimi per farmi
sapere della
gravidanza, scrivimi per farmi sapere del parto, scrivimi sempre,
appena puoi! Ci vorranno mesi perché le tue lettere mi
arrivino, ma
arriveranno e saranno per me e Caroline un grande conforto".
"Fallo
sul serio, ti prego" – aggiunse la bionda ereditiera. "O
Dwight impazzirà di preoccupazione e io dovrò
sopportarlo per tutta
la mia ancora lunga vita".
Dwight
si sforzò di sorridere. "Per amore di Caroline, quindi
fallo! E
mi raccomando, salutaci Kitty e Cecily e appoggiati a loro tanto per
iniziare".
"Lo
farò, state tranquilli".
Demelza
deglutì, i marinai stavano iniziando a issare gli ormeggi
della nave
e doveva imbarcarsi. Attorno a loro altre persone, altri viaggiatori
in cerca di una nuova vita, stavano imbarcandosi e per mesi sarebbero
stati i loro compagni di viaggio e una sorta di famiglia. "Lo
farò!" - ripeté - "E voi farete lo stesso, appena
vi farò
sapere il mio indirizzo. Voglio sapere tutto, delle malattie che
curerai, dei miracoli che farai, dei miei fratelli, dei vostri futuri
bambini...".
A
quelle parole Caroline e Dwight arrossirono, guardandosi negli occhi.
Era ancora così difficile per loro, anche solo sperarci e
pensare di
essere di nuovo genitori... "Lo faremo".
Dwight
si avvicinò a Jeremy e Clowance, accarezzando le loro
guance.
"Bambini, vi affido la mamma. Abbiate cura di lei e del vostro
nuovo fratellino".
"Lo
faremo".
"E
tu Prudie fa lo stesso" – aggiunse Caroline, rivolta alla
serva.
Prudie
annuì, con fare fiero. "Assolutamente sta tutto in una botte
di
ferro".
"Botte
di ruhm" – la corresse Jeremy. "Da quando ha saputo che
in Jamaica producono il ruhm più buono del mondo, Prudie
è la più
contenta di tutti di partire".
Caroline
rise. "Il ruhm? Bevanda amata da malfattori e pirati,
dicono...".
Demelza
cercò di apparire serena e di stare allo scherzo, aveva
bisogno di
alleggerire la tensione nel suo cuore e quel discorso in parte ci
stava riuscendo. "Quando la vedrò al comando di una nave con
una bandana nera in testa e un pappagallo sulla spalla... vi
scriverò
per farvi sapere anche questo".
"Pfuuuf..."
- borbottò Prudie scocciata, prendendo i bambini per mano.
Garrick
abbaiò quando il comandante urlò di salire sulla
nave. Gli occhi di
Demelza tornarono lucidi, aveva atteso con terrore quell'attimo e per
un momento ebbe paura. Lo stava facendo davvero, stava lasciando
tutto e tutti... Stava lasciando Ross, suo marito, il padre dei suoi
figli, l'uomo più indomito, a volte irrefrenabile ma sempre
guidato
dal suo gran cuore e da tanta passione, al suo destino. E sarebbe
stato un destino oscuro senza nessuno che gli ricordasse quanto
nobile fosse il suo animo e quanto si fosse smarrito. Tess non era in
grado di farlo, non lo sarebbe mai stata! Tremò ed ebbe
paura per
lui, se lo avessero scoperto a complottare coi francesi, terribile
sarebbe stata la punizione. E lei non sarebbe stata lì a
supportarlo, come sempre... "Dwight" – sussurrò,
abbraciandolo di nuovo.
"E'
ora, Demelza" – disse l'uomo, fra i suoi capelli rossi,
tremando quanto lei.
La
donna alzò il viso su di lui. "Ross..." -
sussurrò piano,
per non farsi sentire dai bambini – "Dagli un occhio, se
puoi... se vuoi...".
"E'
un adulto" – le ricordò Caroline.
Demelza
fece un sorriso triste. "Un adulto che si è smarrito. E un
buon
amico non dovrebbe farglielo notare, se ne ha l'occasione?".
Dwight
le accarezzò i capelli. "Ma io non credo di essere
più un suo
buon amico. Però ti giuro che vedrò di fare
qualcosa, se me ne
capiterà l'occasione" – concluse, più
per tranquillizzarla
che per sincera convinzione.
Demelza
non disse nulla ma capì quanto fosse grande ciò
che gli aveva
chiesto e che non poteva forzare Dwight ad andare contro la sua
coscienza giusta e ponderata. "E' stato bello conoscervi" –
disse, a chiusura del discorso, sapendo già che gli
sarebbero
mancati tantissimo e che non avrebbe più trovato persone
come loro,
nel suo cammino.
"Anche
per noi" – rispose Dwight, baciandole la mano. "Riguardati
e soprattutto, cerca di essere di nuovo felice coi tuoi bambini. E'
un mondo nuovo la Jamaica, tutto da costruire, e c'è
bisogno,
laggiù, di gente come te".
"Lo
farò".
Prudie
e i bambini si avvicinarono per salutare e poi con Garrick, salirono
sulla nave. Demelza diede un ultimo sguardo ai suoi amici, al porto,
alla sua amata terra che forse non avrebbe rivisto mai più.
"Addio..." - sussurrò, forse rivolta al cielo, forse ai
suoi amici, forse a quelle coste sferzate dal vento o forse a un uomo
ancora amato, ancora così pericolosamente vicino ad essere
la sua
ragione di vita... Era tutto finito, laggiù. Ed era tutto
ancora
così indefinito, nel suo futuro. Senza di lui, senza la sua
voce
calda, senza il suo abbraccio di sera, senza la sua risata allegra e
gentile, senza i suoi baci, senza di lui... Cosa sarebbe stata, lei,
senza Ross Poldark? Il suo Ross...
Ma
non era più suo, le suggerì una vocina nella sua
mente...
"Mamma,
sbrigati!" - urlò Clowance, col suo cappellino bianco in
testa.
"Arrivo".
E dopo un ultimo sguardo, Demelza salì sulla scaletta e
raggiunse il
pontile della nave. Diede un ultimo sguardo ai suoi amici, alla sua
terra, alla vecchia Demelza che non sarebbe più tornata ad
essere. E
poi, incapace di veder sparire pian piano tutto davanti ai suoi
occhi, inghiottito dalla distanza e dal mare, scese nella cabina che
Dwight aveva prenotato per tutti loro. La sua nuova stanza, il suo
nido per i mesi a venire. Pensò alla sua Nampara, alla sua
camera,
al letto dove Ross l'aveva amata e dove erano nati i suoi figli.
Tutto perduto, tutto andato in fumo... Ora forse era già
diventata
la camera di Tess, quella...
E
davanti a quel pensiero orribile, smise di pensare. Si gettò
sul
letto e pianse, di nuovo. Poteva farlo, ci sarebbe voluto un
pò
prima che i bambini scendessero di sotto e ancora non aveva voglia di
sentirsi forte. Non quel giorno, non nel momento in cui stava dicendo
addio a una vita che tanto amava e a tante persone che erano
frammenti luminosi del suo cuore. Ci sarebbe stato tempo per
diventare una nuova Demelza, domani. Ma oggi no, oggi si doveva
piangere la vecchia Demelza che moriva e che ancora non era
resuscitata dalle sue ceneri.
...
Ci
sarebbero volute settimane, forse qualche mese per arrivare in
Jamaica e per Jeremy e Clowance era tutto molto noioso e difficile.
Erano abituati a correre nella loro spiaggia, liberi, agli spazi
aperti, alla vita di campagna ed ora chiusi in una nave, per quanto
grande, si sentivano in prigione. Gli unici momenti 'divertenti',
erano stati quando avevano assistito a qualche 'colorito' litigio fra
i marinai e quando avevano incontrato mare mosso. Quando succedeva,
salivano sul pontile e giocavano a farsi schizzare dagli spruzzi
delle onde, scivolavano sulle assi del pavimento scivolose e finivano
a poppa o a prua, a seconda della posizione in cui si trovavano.
Ma
per il resto, era tutto molto difficile per loro: Prudie soffriva il
mal di mare e stava stesa la maggior parte del tempo e se si alzava,
era per vomitare, la loro mamma pareva spenta e persa in un mondo
lontano e anche se si sforzava di essere presente, capivano quanto
fosse affranta e fragile, il cibo era pessimo e gli altri passeggeri
della nave se ne stavano per lo più rintanati nelle loro
cabine.
Dopo
dieci giorni di navigazione fecero tappa a Belfast per caricare altri
passeggeri e i bambini, dopo aver implorato Demelza, riuscirono a
sgattaiolare a terra con Garrick per girovagare un pò per il
porto.
Notarono un sacco di cose, il diverso odore dell'aria, tanta gente
coi capelli rossi e soprattutto, un accento stranissimo che li faceva
ridere. E ne avevano bisogno, di ridere... Cercavano di mostrarsi
forti per la loro mamma ma avevano paura. E l'immagine del loro padre
abbracciato a Tess, un padre che avevano amato e che non avrebbero
più rivisto, tormentava il loro sonno. Erano troppo piccoli
per
sentirsi autonomi e senza bisogno di lui ma troppo grandi per
ignorare ciò che avevano visto. Ed entrambi sapevano che ora
dovevano imparare a crescere in fretta...
Girovagarono
un pò ma troppo poco per i loro gusti. La nave li
richiamò
all'appello e loro corsero di nuovo a bordo, persuasi che per lunghi
giorni non avrebbero toccato terra e quando fosse successo, sarebbe
stata una terra sconosciuta e straniera di cui ignoravano tutto.
Quando
lasciarono Belfast rimasero sul pontile a lungo, ad osservare il
paesaggio che sfilava davanti ai loro occhi curiosi ed attenti.
Attorno a loro i nuovi passeggeri andavano avanti ed indietro con
pacchi e valigie e c'era un gran via vai di gente dai capelli rossi o
al più, biondi.
"Parleranno
strano anche in Jamaica?" - chiese Clowance, appoggiata al
parapetto.
"Potrei
scommetterci..." - rispose Jeremy.
"Chissà
com'è! A parte il mare bello, che posto sarà?" -
insistette la
bambina.
"E'
un posto selvaggio, pieno di gente selvaggia! Ma con una terra ricca
che mio padre sa sfruttare per rendere quel posto migliore e noi
più
ricchi!".
I
due fratelli si voltarono di scatto, presi alla sprovvista. Una voce
infantile di bambina, sconosciuta, aveva risposto alla domanda posta
da Clowance e tanta fu la loro sorpresa quando si trovarono davanti
una ragazzina che poteva avere circa l'età di Jeremy, dalla
chioma
biondo-ramata, con gli occhi chiari e i capelli pieni di boccoli
perfettamente pettinati. Non l'avevano mai vista prima e
probabilmente si era imbarcata a Belfast. Aveva un elegante vestitino
verde a fantasie scozzesi, un cappello in testa del medesimo colore e
qualche minuscola lentiggine sul viso.
"E
tu chi sei?" - chiese Jeremy, stranito.
La
bambina gli si parò davanti, erano alti uguali. "Lilith
Copper,
futura contessa della Contea del Lincolnshire. Con chi ho il piacere
di parlare?".
"Io
sono Jeremy e lei è mia sorella Clowance Poldark. Non siamo
futuri
conti di niente. E lui è Garrick, il nostro cane".
La
bambina sbuffò. "Lo vedo dai vostri vestiti che non siete
conti! Nemmeno baronetti o duchi! Da dove venite?".
"Dalla
Cornovaglia" – rispose Clowance, fiera della sua terra.
Ma
la sua interlocutrice non parve molto colpita dalla cosa.
"Cornovaglia? Siete contadini allora!".
"No,
mio padre ha una miniera!" - rispose Clowance, a tono.
"Minatori?!"
- esclamò Lilith, con sdegno.
Jeremy
si irrigidì. Era arrabbiato con suo padre ma di certo non
avrebbe
permesso a una sconosciuta di parlare di lui con quel tono di
disprezzo e supponenza. "Mio padre è un membro del
Parlamento!".
"I
minatori non possono stare in Parlamento!" - rispose lei,
indispettita.
Clowance
si imbronciò ma di lasciare la disputa con quella saputella,
non
aveva voglia. "Mio padre, sì!".
Lilith
si diede un tono, guardandola con aria di sufficienza. "Beh, io
sono una contessa, ho visitato tutta Europa con mio nonno, ho visto
le corti di Svezia e dell'Assia. E pure quella degli zar!".
Jeremy
la guardò storto. "Non è vero!".
"Sì
che è vero!".
"Io
non ti credo!".
Lilith
incrociò le braccia, indispettita e arrabbiata. "D'accordo,
era
una bugia sugli zar. Ma il resto era vero! E sono una contessa!".
Clowance
alzò gli occhi al cielo. "E che ci va a fare una contessa,
in
un posto selvaggio abitato da selvaggi? Non credo che i selvaggi
sapranno farti un inchino, CONTESSA!".
"Impareranno,
mio padre lo pretenderà! E sono costretta ad andare a vivere
fra
selvaggi, noi nobili abbiamo dei doveri verso i nostri inferiori, li
dobbiamo educare e guidare". Punta sul vivo dall'impertinenza
dei suoi due interlocutori, Lilith divenne rossa come un pomodoro.
"Mia madre è morta quando ero piccola e ho vissuto a Belfast
e
a Londra con i miei nonni. Ora sono morti e mio padre vuole che lo
raggiunga in Jamaica, dove si trova il centro dei suoi affari. Sono
la sua unica erede, è giusto che conosca il suo lavoro".
Jeremy
alzò le spalle. "Mi spiace per i tuoi nonni! Ma viaggi da
sola?".
Lilith
si voltò, guardando verso le scale che portavano alle
cabine. "No,
ci sono Tim e Tom, le mie due grasse e stupide guardie del corpo.
Staranno male per il mal di mare qualche giorno e poi staranno meglio
e a quel punto inizieranno a bere liquori e ristaranno male. Succede
sempre così, ogni volta che viaggiamo".
"Quindi,
di fatto, sei sola!" - le fece ossevare Clowance.
Lilith
alzò le spalle. "No, non proprio. C'è pure la mia
governate
con me, Miss Thorpe. Lei non si ubriaca e parla poco e ora
starà
sistemando in cabina i miei bagagli".
Jeremy
la guardò con supponenza, non la trovava per niente
simpatica. "Che
allegria...".
Lei
sospirò forse d'accordo, prima di guardare Garrick. "Posso
accarezzarlo?".
Clowance
la guardò con aria di sfida. "No, è il cane di un
minatore!
Non è adatto a una CONTESSA!" - rispose, sibillina.
Lilith,
arrossendo, rispose al suo sguardo fingendo indifferenza per quella
frecciatina non troppo velata. "Beh, tanto non volevo così
tanto accarezzarlo! Avrà le pulci!".
Jeremy
le si avvicinò di qualche passo, sfiorandola sulla spalla.
"Sì,
una ti sta camminando già sopra il vestitino".
Lilith
si guardò con orrore e prima di capire che la stava
prendendo in
giro, lanciò un urlo che fece voltare tutti i passeggeri sul
ponte.
Poi, furiosa, corse verso le scale. "Selvaggi!".
Jeremy
e Clowance si guardarono in faccia, ridendo, poi il ragazzino la
richiamò prima che sparisse. "Hei, contessa!".
Lei
si voltò, stravolta. "Che vuoi, selvaggio?".
"La
Jamaica è grande?".
"Molto
grande!".
Jeremy
rise ancora. "Bene, ottimo! Allora non correrò il rischio di
incontrarti troppo spesso!".
Lilith
strinse i pugni, furiosa. "Cambierò strada, se vi vedo,
SELVAGGI!". E poi corse via, dalle sue guardie del corpo sempre
ubriache e dalla sua governante quasi-muta.
Clowance
si avvicinò a Jeremy, prendendogli la mano. "Speriamo sia
davvero grande, la Jamaica! Non vorrei incontrarla ancora".
Jeremy,
rimasto per un attimo imbambolato a guardare le scale, ci mise un
attimo a capire cosa dicesse la sorella. "Cosa?".
Clowance
sbuffò. "Selvaggio come dice lei! E imbambolato! Torniamo da
mamma?".
Jeremy
si riprese, annuendo. Già, dovevano tornare dalla mamma, a
letto in
cabina in compagnia di Prudie.
Si
voltarono un'altra volta a dare un'ultima occhiata a Belfast e
all'ultimo lembo d'Europa visibile ai loro occhi, poi corsero
giù,
prendendo la stessa direzione seguita poco prima dalla piccola
Lilith.
Quando
rientrarono, trovarono la loro mamma seduta sul letto, intenta a
piegare i loro abiti. "Com'era Belfast?".
Jeremy
si sedette accanto a lei, cercando di apparire contento e ottimista.
"Piena di gente strana! Alcuni sono pure saliti su questa nave!
Anche una bambina grande come me".
Demelza
gli sorrise. "Oh, ottimo! Potrete avere un'amica, durante il
viaggio".
Clowance
la fissò, scettica. "Non credo... E' abbastanza antipatica.
Vero Jeremy?".
Lui
alzò le spalle, senza rispondere. "Molto strana... E' una
contessa, ha detto".
Prudie
borbottò qualcosa sotto voce e Demelza accarezzò
i capelli dei
figli. "Beh, se la incontrerete durante il viaggio, mi auguro
che sarete gentili con lei".
Clowance
si imbronciò prendendo a stringere la sua bambolina dai
capelli
rossi. "Spero di non vederla, allora".
E
a quel punto Jeremy capì che doveva cambiare argomento. Con
la
manina sfiorò la pancia di sua madre, appena percettibile, e
gli
sorrise. "Come lo chiameremo?".
A
quella domanda, Demelza si irrigidì come sempre succedeva
ogni volta
che il suo pensiero si posava sul bambino in arrivo. "Non lo so,
non ci ho pensato". Era vero, non ci aveva mai riflettuto, ogni
pensiero sulla sua gravidanza veniva zittito dalla sua mente appena
si affacciava dentro di lei. Santo cielo, che donna orribile che
era... Amava così tanto Jeremy e Clowance, aveva adorato
Julia e
invece questo bambino... Non provava nulla per lui, assolutamente
nulla se non fastidio e una strana sensazione di essere in trappola.
Era come se perdendo Ross e la fede nel suo matrimonio, avesse perso
anche la capacità di amare. "Come vorreste chiamarlo?" -
chiese senza emozioni nella voce, cercando però di mantenere
un tono
gentile.
Stesa
sul materasso intenta a giocare con la sua bambola, Clowance la
guardò di sbieco. "In tutti i modi eccetto LILITH".
Demelza
rise a quell'affermazione fatta con tanta grinta. "D'accordo...
E che nomi vorreste?".
Jeremy
osservò Garrick che dormicchiava sul pavimento. "Oh, se
è
maschio forse potremmo chiamarlo...". Si bloccò, pensieroso.
"Non so, non mi viene da immaginarlo maschio!".
"Credi
che sarà una femmina?" - domandò Demelza.
Il
bimbo annuì. "Isabella!".
"Rose!"
- aggiunse Clowance.
Demelza
guardò i due bambini, cercando gioia in quel loro piccolo
momento di
condivisione per il bambino... bambina... in arrivo. Poi
trovò il
giusto compromesso. "Isabella-Rose".
I
fratellini si guardarono e si mostrarono entusiasti. "E
Isabella-Rose sia!".
Stesa
sul suo materasso, spiaggiata come una grossa balena, Prudie
sbuffò.
"Isabella-Rose... Quando ci scapperà di mano, con un nome
tanto
lungo con cui chiamarla, la riacciufferemo dall'altro capo del
mondo".
Nessuno
le diede retta, però. E da quel giorno si pensò
alla bambina con
quel nome, Isabella-Rose Poldark.
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