My freaky, bully, lovely pig di Kim WinterNight (/viewuser.php?uid=96904)
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«Vaffanculo!»
sbotta Mike, stringendo i pugni e scuotendo
con forza il capo.
Abbasso lo sguardo
sulle mie dita tremanti. «Scusami, io…
oggi non ci sono con la testa» sussurro.
Bill mi si accosta e
mi appoggia una mano sulla spalla,
rivolgendo un’occhiataccia al cantante. «Ehi, vacci
piano!» lo ammonisce.
«Ragazzi,
andiamo! Domani dobbiamo esibirci per la prima
volta e io voglio che sia tutto perfetto, anche voi lo volete.
No?» replica
Mike, lanciandomi uno sguardo di fuoco.
«Hai
ragione» bofonchio, sentendomi mortalmente in colpa.
«Non
trattarlo così, Patton» si intromette Puffy con
calma,
facendo roteare in aria una delle sue bacchette.
«Dobbiamo
essere magnifici domani, capito?» prosegue il
cantante.
Annuisco e crollo con
il viso sulla tastiera, producendo un
rumore stridente di note e suoni indistinti.
Mi sento veramente uno
schifo, questa situazione va avanti
da troppo tempo e io non riesco più a gestirla. Mi sono
innamorato del mio
cantante dal primo momento in cui l’ho visto, dal primo
istante in cui ci siamo
ritrovati nella saletta della scuola di musica che frequentiamo
entrambi da
quasi un anno.
Domani ci
sarà il nostro primo saggio, ci esibiremo con i
nostri compagni Bill, Puffy e Jim, sarà spettacolare.
Abbiamo preparato alcune
cover dei Black Sabbath e dei Deep Purple, ci stiamo lavorando da mesi
e
finalmente il momento di mostrare le nostre capacità
è arrivato.
Io, però,
non riesco a concentrarmi assolutamente sulle mie
parti; mentre suono, gli occhi mi cadono continuamente sulla figura
carismatica
e affascinante di Mike, sul suo fisico asciutto e ben piazzato, sui
suoi
capelli scuri e lunghi, sul suo viso dai lineamenti marcati e sulle sue
labbra
che sfiorano appena il microfono; quella voce poi, la voce che riesce a
modulare a suo piacimento, con cui gioca e si diverte, che lo rende
unico e
riconoscibile.
Sotto sotto Martha, la
sua insegnante di canto, sa che Mike è
il miglior allievo che le potesse capitare, perché lui ha un
talento naturale e
un’estensione vocale incredibile.
«Facciamo
una pausa» propone Jim, il nostro chitarrista.
Prima che qualcuno
possa protestare, il ragazzo esce dalla
saletta, seguito poco dopo da Mike.
Puffy e Bill si
scambiano un’occhiata preoccupata, per poi
posare gli occhi su di me.
«Che
c’è?» sbotto, stufo di sentirmi sotto
esame. Sono
piuttosto frustrato e nervoso di mio, detesto quando commetto errori
stupidi
mentre suono, specialmente di fronte a Mike.
«Che ti
prende? Domani abbiamo il saggio, non hai mai
commesso così tanti errori…»
«Billy ha
ragione» concorda Puffy, alzandosi da dietro la
batteria per potersi stiracchiare. I lunghi dreadlocks scivolano lungo
la sua
schiena sudata e lui sbuffa, sventolandosi una mano di fronte al viso
per
tentare di ristorarsi. «Fa un caldo fottuto qui
dentro» borbotta.
«Sai che non
possiamo aprire la finestra, i vicini
chiamerebbero la polizia e farebbero chiudere la scuola per
sempre» gli fa
notare Bill, senza smettere di guardarmi con apprensione.
«Che ne so?
Oggi sono fuori di testa, okay?»
«Senti,
Roddy.» Puffy incrocia le braccia sul petto e
sbuffa. «Ho visto che lanci spesso occhiate a Mike.»
«E
allora?» sbotto.
«Ti mette in
soggezione? Non ti trovi a tuo agio con lui?»
chiede Bill.
Scuoto il capo. Se
solo sapessero qual è la verità…
«Lo sappiamo
che ha un caratteraccio, che è un
perfezionista… a volte non è facile stargli
dietro» prosegue il bassista.
Puffy si limita a
fissarmi dubbioso, mentre io mi mordo il
labbro inferiore. Ho diciassette anni e non riesco neanche ad ammettere
cosa
provo per il mio cantante, me ne vergogno terribilmente.
«Allora?»
insiste per l’ennesima volta Bill.
Mi alzo di scatto e
spingo indietro il seggiolino, finché
questo non si schianta contro la parete insonorizzata.
«Vaffanculo, Gould!»
esclamo esasperato, passandomi le mani tra i capelli biondi e
sudaticci. Domani
dovrei legarli, suoneremo all’aperto e non voglio che mi
intralcino mentre
suono. Ci manca solo questo.
«Io cercavo
solo di…»
Ma Puffy lo interrompe
con un cenno, poi mi fissa dritto
negli occhi. «Ti piace Patton?» mi chiede. Diretto,
spietato, senza peli sulla
lingua.
E io non posso che
abbassare lo sguardo, fissandomi le mani
che tremano appena. Una ciocca di capelli mi ricade di fronte agli
occhi e io
scuoto il capo, cercando invano di scostarla. Sento le guance andare
improvvisamente a fuoco e mi maledico per non essere bravo a nascondere
le
fottute emozioni.
«Sul
serio?!» sbraita Bill. Mi raggiunge a grandi falcate e
mi afferra per le spalle, scuotendomi con forza. «No,
dico… amico, sei serio?!»
«Non
tormentarlo» lo ammonisce Puffy.
Non mi resta che
annuire, temendo che il bassista possa
mollarmi un pugno in faccia. Rispetto a me è decisamente
più corpulento, e in
questo momento mi spaventa un poco il suo sconcerto.
«Non
c’è niente di male» prosegue il
batterista in tono
calmo.
Bill allenta la presa
e sospira pesantemente. «È per questo
che stai suonando di merda?» domanda infine.
«Non lo so,
cazzo! Sto male e basta, il saggio sarà un
disastro…»
Bill fa per replicare,
ma proprio in quel momento Mike e Jim
rientrano in sala prove, lanciandoci occhiate interrogative.
«Possiamo
riprendere?» chiede il cantante.
Annuisco, evitando
accuratamente di incrociare lo sguardo
dei presenti. Sono solo un adolescente problematico che finisce sempre
per
innamorarsi della persona sbagliata.
Mike non pensa neanche
per idea a me, dannazione, devo
farmene una ragione.
E devo concentrarmi
sul saggio. Sarà domani, poi per almeno
due o tre mesi non vedrò più Mike,
finché la scuola di musica non aprirà
nuovamente i battenti. Con i ragazzi non abbiamo assolutamente parlato
di un
futuro serio come band, ci siamo formati in questo contesto e tutto
morirà qui.
Non so neanche se i
miei compagni di band si iscriveranno di
nuovo, l’anno prossimo.
«Roddy?»
Sobbalzo e sollevo lo
sguardo, trovando Mike a poca distanza
da me. Sono ancora in piedi dietro le tastiere, il seggiolino
rovesciato alle
mie spalle. Il cantante mi scruta attentamente, con quegli occhi scuri
e
profondi, penetranti come non ne ho mai visto prima.
«Sei
pronto?» chiede, sembra quasi premuroso.
«Sì»
replico, per poi rimettermi al mio posto e posare le
dita sui tasti bianchi e neri.
Ancora meno di
ventiquattro ore, poi sarà tutto finito.
Fa caldo e la cosa mi
innervosisce. Prima di venire qui, non
sono neanche riuscito a bere un dannato caffè.
Il saggio della scuola
di musica si preannuncia lungo e disastroso,
già intravedo problemi organizzativi e di strumentazione.
In ogni caso, voglio
concentrarmi sui miei compagni di band
e su cosa dobbiamo suonare, prendo seriamente ogni cosa che ha a che
fare con
la musica.
Martha mi raggiunge
trafelata, cominciando a parlare a
raffica: «Ho dimenticato la scaletta in macchina e ora mi
tocca correre a
prenderla. Nel bar di questo parco vendono solo acqua ghiacciata e non
va bene
per le corde vocali. Il cavo di un microfono non funziona e…
oh, mi dispiace,
non riesco a seguirti nel riscaldamento della voce, devi arrangiarti!
Del resto
sei al terzo anno e queste sono tue responsabilità,
intesi?».
Mi stringo nelle
spalle e le sorrido. «L’ho già scaldata,
ma
ho bisogno di un caffè.»
«Vai al bar,
abbiamo ancora… tre minuti» taglia corto Martha,
per poi schizzare verso il parcheggio posteriore.
Sorrido e mi avvio a
passo svelto verso il bar, rendendomi
conto per l’ennesima volta che la mia insegnante di canto
è esattamente folle
come me.
Intravedo Roddy che
chiacchiera animatamente con il suo
insegnante di pianoforte, sono quasi tentato di invitarlo a bere un
caffè con
me, ma poi ci ripenso; non voglio assolutamente che si faccia strane
idee, non
sono pronto a far sì che lui si faccia strane idee.
Sono una persona molto
riservata, me ne rendo conto, ma
certe cose è meglio custodirle nella propria mente e
lasciare che il tempo le
faccia evaporare. Non si tratta di orgoglio, ma di
razionalità. Sono un ragazzo
di diciotto anni, ho in testa soltanto la musica, so che questa
è la mia
strada.
Ciò che non
è musica è superfluo.
Ripasso mentalmente
l’ordine delle canzoni che eseguiremo: prima
War Pigs, poi Highway Star…
dopodiché Iron
Man, per poi
concludere in bellezza con Child In Time. Saranno solo quattro brani,
ma
basteranno per far capire a tutti chi siamo.
La nostra band non ha
neanche un nome, finirò per
presentarci come Freaky
Pigs, il
nome più gettonato in sala prove,
quando abbiamo tentato di votare democraticamente per trovarne uno.
Raggiungo il bar, poi
mi torna in mente Roddy. È come un chiodo
fisso, un pensiero sfuggente che compare nei momenti meno opportuni.
Mi volto e lo cerco
tra la gente che gironzola attorno alla
strumentazione della scuola di musica, ai parenti degli allievi che
tentano di
sedersi il più vicino possibile, agli insegnanti che corrono
da una parte
all’altra per sistemare tutto alla perfezione.
E lo vedo, con i
capelli biondi legati in un morbido codino,
il viso rivolto verso Andy, l’insegnante di pianoforte, la
sua amata t-shirt
dei Rush addosso e quelle mani sapienti che gesticolano piano, mentre
le labbra
si muovono, si increspano, si incurvano.
Lo fisso talmente
tanto che a un certo punto lui pare
accorgersene, si volta nella mia direzione e i nostri occhi si
incrociano. Gli
sorrido apertamente e gli faccio cenno di raggiungermi.
Alla fine ho ceduto.
Lui si congeda da Andy
e mi raggiunge a grandi falcate.
Qualcuno mi urta, avvicinandosi prima di me al bancone, ma in questo
momento
non mi interessa.
«Caffè?»
gli propongo, non appena mi è accanto.
«Forse
sì» risponde con un lieve sorriso.
Evita il mio sguardo,
non capisco se si sente in soggezione
in mia presenza. Non mi pare di aver fatto qualcosa per intimorirlo.
«Cosa
c’è che non va?»
Lui scuote il capo e
si accosta al bancone, attirando
l’attenzione di uno dei ragazzi che stanno dietro.
«Due caffè, per favore!»
Detesto quando le
persone mi ignorano, così gli appoggio con
fermezza una mano sulla spalla e lo costringo a guardarmi.
«Dimmi cosa succede»
ordino, inchiodandolo con lo sguardo.
«Niente,
solo… non so se riuscirò a non
sbagliare» ammette,
gli occhi che subito si distolgono dai miei.
«Concentrati,
sei un bravo musicista» lo rassicuro.
«Sì,
ma…»
Il rumore di qualcuno
che prova a parlare al microfono
tronca la nostra conversazione. Sento Martha che comincia a
sproloquiare, dando
il benvenuto a tutti i presenti.
«Beviamo in
fretta questo caffè e andiamo» dice Roddy, dopo
che il barista posa le nostre tazze fumanti sul bancone.
Annuisco, ma non sono
per niente convinto di ciò che mi ha
detto. Non credo tanto alle sue parole, c’è
qualcosa che non quadra.
Sorseggiamo il liquido
bollente, rimaniamo in silenzio,
mentre io osservo Roddy di sfuggita e lui fa di tutto per non lasciarsi
catturare dal mio sguardo.
Poi ripenso alle
canzoni: War
Pigs, Highway Star,
Iron Man, Child In Time. Ci sono, sono pronto.
Basta pensare a cose
come il profumo pungente di Roddy, i
capelli di Roddy, le mani di Roddy.
Devo pensare a come
lui impiegherà le sue energie per
spaccare tutto durante il saggio.
«Pronto?»
gli chiedo.
Lui sorride.
«Pronto.»
Mi copro la faccia con
le mani e trattengo a stento le
lacrime. Sono seduto su una panchina in cemento che si trova nel retro
del
palco improvvisato, mentre l’ensamble di percussionisti della
scuola di musica
si esibisce in un energico samba che dona allegria
all’atmosfera.
Io, però,
sono incazzato nero con me stesso. Ho suonato
malissimo e non ho nemmeno il coraggio di rivolgere la parola a Mike,
perché
lui sicuramente è incazzato tre volte di più.
Puffy crolla accanto a
me sulla panchina, mentre Bill si
lascia cadere alla mia sinistra. Rimaniamo in silenzio ad ascoltare i
percussionisti che ci danno dentro con campane, shaker e
chissà quali altre
diavolerie.
«Abbiamo
fatto schifo» esala il bassista, appoggiandosi con
la testa sulla mia spalla.
«Io ho fatto schifo»
puntualizzo.
Puffy sbuffa.
«No, amico, abbiamo sbagliato tutti. Tu sei
stato bravo» mi contraddice.
So che lo dice
soltanto perché mi vede in preda allo
sconforto, ma io non riesco a cambiare idea. «Mike mi
odierà…»
«Macché»
minimizza il batterista, grattandosi appena il
braccio.
«Senti,
Roddy, non puoi mica farti condizionare la vita da
lui! Quando suoni, cerca di essere più rilassato: pensa
soltanto alle note,
guarda soltanto le tue mani o gli spartiti. La voce di Mike seguila
solo in
funzione dei brani, non pensarci troppo!» si infervora Bill,
rimettendosi
dritto al mio fianco.
«Ti sembra
facile» bofonchio.
«No!
Però…» Il bassista si gratta la nuca,
evidentemente in
cerca delle parole giuste. «Se così stai male,
beh, perché non glielo dici?
Anche se non sembra, Mike può rivelarsi un ragazzo sensibile
e comprensivo.»
Scuoto energicamente
il capo. «Non se ne parla» replico.
«Perché
no? Almeno starai meglio, sarai più…»
«No, Billy.
Sarebbe terrificante, osceno, lui mi odierebbe a
morte e mi sputerebbe in faccia. Lasciamo perdere.»
«Quanto sei
drammatico, Bottum» commenta Puffy, incrociando
le braccia sul petto.
«Sarò
anche drammatico, ma è meglio lasciar perdere»
taglio
corto, per poi rimettermi in piedi e avviarmi nuovamente verso il bar.
Prenderò
qualcos’altro da bere, eviterò Mike fino alla fine
del saggio e mi lascerò questa storia alle spalle.
So già che,
dopo la performance penosa di oggi, lui non
vorrà mai più stare in gruppo con me.
Le nostre strade si
divideranno e io mi dimenticherò in
fretta di lui.
Dev’essere
così, in fondo ho solo diciassette anni e
sicuramente mi sono preso una sbandata per la persona sbagliata.
Mentre ci penso, il
cuore martella nel petto e non desidero
altro che cercare Mike, abbracciarlo e chidergli perdono per come ho
suonato.
È la prima
volta che la scuola di musica organizza un
concerto di Natale. Quest’anno suoneremo in un luogo magico,
un luogo
particolare.
Ci troviamo nella
pista di pattinaggio cittadina, tutti
pronti per intrattenere i visitatori dei mercatini di Natale con un
po’ di
musica dal vivo.
Non mi tiro mai
indietro quando si tratta di cantare,
qualunque sia la circostanza; faccio ancora parte dei Freaky Pigs
insieme a
Roddy, Puffy, Bill e Jim. Ormai la band si chiama così e
noi, dopo l’estate in
cui la scuola di musica ha chiuso i battenti, ci siamo ritrovati
più carichi di
prima.
Ovviamente Roddy non
ha abbandonato neanche per un istante i
miei pensieri. Non ci è rimasto continuamente,
però ogni tanto faceva capolino
con quel sorriso timido e quegli occhi sfuggenti.
Ora mi trovo di fronte
a lui, lo scruto attentamente e
aspetto che mi aiuti a scaldarmi la voce con l’ausilio della
sua tastiera. Ci
troviamo in un angolo dell’enorme stanza che funge da
backstage, dove tutti gli
allievi e gli insegnanti della scuola sono riuniti in attesa
dell’esibizione.
«Dopo il
concerto…» comincia il tastierista, per poi
bloccarsi.
«Cosa?»
«Volevo…
beh, ho portato un regalo di Natale per voi della
band» borbotta, arrossendo violentemente.
Il respiro si ferma
per un istante, stringo appena le dita
attorno alla custodia del microfono; poi espiro bruscamente e mi lascio
scappare una piccola risata. «Wow!» esclamo.
«Sì,
è una cazzata… e pensavo, se vi va, di andare a
bere
qualcosa… o magari…»
Allungo una mano e
gliela appoggio sul braccio, cercando il
suo sguardo. «Certo che mi va. Hai chiesto agli
altri?»
Roddy annuisce.
«Hanno detto di sì.»
«Perfetto!»
Sono curioso di sapere
di che regalo si tratta, eppure un
altro pensiero si fa largo nella mia mente: è prepotente,
è irrequieto, è
viscerale.
Voglio stare solo con te.
Lo scaccio con
violenza, dando le spalle a Roddy. Ne
approfitto per bere un sorso d’acqua, poi cambio argomento e
gli chiedo di
cominciare a suonare alcuni accordi per me.
Ripasso la scaletta: War Pigs, Space Truckin’,
Child In Time. Stavolta sono solo tre,
abbiamo poco tempo. Ma siamo
carichi, cantare i Deep Purple mi carica sempre, anche se sto
sperimentando su
un sacco di cose e sto cominciando a sentire il bisogno di creare
musica.
La
creatività è importante, tutto il resto non lo
è.
Più di una
volta mi maledico perché mi lascio distrarre
dalle dita di Roddy che, affusolate ed esperte, volano sui tasti
bianchi e
neri. Mi detesto perché le immagino a stringere i miei
capelli, a farsi
insistenti e invadenti lungo la mia schiena, a tracciare i miei
lineamenti con
tocchi timidi e delicati.
«Basta
così» sbotto all’improvviso.
Lui si blocca e mi
lancia un’occhiata interrogativa. «Sei
sicuro?»
«Ho detto
che va bene così. Vado a prendermi un
caffè»
concludo, per poi allontanarmi.
Non gli ho neanche
chiesto se vuole venire con me.
«E anche
oggi abbiamo fatto cagare!» strillo, battendo un
pugno sul tavolino del bar in cui ci troviamo.
Ho già
bevuto quattro shot di vodka e mi sento brillo, ma
reggo bene l’alcol. Preferisco fingere di essere ubriaco
piuttosto che
affrontare l’ira di Mike e i suoi occhi indagatori.
Non riesco a credere
che la nostra band stia ancora in piedi,
è veramente incredibile che il cantante abbia deciso di
reclutarmi ancora nella
formazione. Ogni volta che ci esibiamo, sbaglio qualcosa, anche se
durante le
prove le cose non vanno così male.
«Ma ci hai
parlato di un regalo o sbaglio?» cambia discorso
Bill, appoggiando i gomiti sul tavolino e il mento sui palmi delle mani.
Schiocco le dita e
rido. «Giusto, i regali! Guardate, li ha
fatti mia nonna, uno per ognuno di voi! Le ho detto che siete delle
persone speciali,
così lei… beh, ecco!» blatero,
consegnando a ognuno dei miei compagni di band
un sacchetto di carta regalo blu.
Solo quello di Mike
è rosso, ci tengo che lo riceva e che
non ci siano fraintendimenti.
Il primo a scartare
è Jim, il nostro chitarrista. Non
abbiamo legato tantissimo, ma lui è un bravo ragazzo e suona
bene. Si ritrova
tra le mani un maglione rosso e verde, con su ricamato un piccolo
fiocco di
neve bianco. «Cristo, Roddy!» esclama, spalancando
gli occhi.
«Lo so che
non è proprio alla moda, ma potete usarlo per
dormire o quando siete in casa e avete freddo…»
Bill mi abbraccia di
slancio dopo aver scartato il suo. «Amico
mio! Io lo adoro, lo userò durante le feste natalizie.
Quando ce l’avrò
addosso, penserò a te e sopravvivrò alle cene e i
pranzi infiniti!»
Puffy aggrotta la
fronte e si rigira l’oggetto tra le mani.
«Ti offendi se lo uso come scaldapiedi?»
«Che
stronzo!» si ribella Bill, mollando uno scappellotto al
batterista.
«Oh, ma sei
rincoglionito? Mi fai male! Che ho detto?»
Io intanto rido senza
ritegno. «Potete farne quello che
volete, in realtà è mia nonna che ha insistito
per darveli!»
«A parte gli
scherzi, grazie» dice Puffy, sorridendo appena.
Non ho il coraggio di
voltarmi a guardare Mike, ma so che
devo farlo. Sento il suo sguardo addosso, non posso più
evitarlo.
«Roddy?»
mi richiama lui, seduto al mio fianco.
Sussulto
nell’avvertire la sua mano sul ginocchio, sotto il
tavolo. Le guance mi si infiammano e una risata ancora più
isterica lascia le
mie labbra. Forse l’alcol sta davvero facendo effetto.
«Roddy»
ripete lui, la voce calda e bassa, quasi inudibile.
Le sue dita stringono un po’ di più la presa e io
mi sento andare letteralmente
a fuoco.
Sono nel panico
più totale e non so assolutamente come
comportarmi.
Mi volto lentamente a
guardarlo e trovo i suoi occhi scuri,
penetranti e densi inchiodati nei miei. È difficile
sostenerli, ma è
altrettanto difficile abbandonarli.
Mike riesce a
incatenarmi con un solo sguardo, quando mi
osserva in quel modo potrei fare qualsiasi cosa per lui.
«Vieni con
me» dice, il tono fermo, solo io e lui possiamo
udirlo.
Mi sembra di stare
all’interno di una bolla, mentre
tutt’attorno le voci dei miei amici sono confuse e ovattate,
così come il
baccano prodotto dagli altri avventori del bar.
Mi alzo senza neanche
accorgermene. «Vado in bagno» mi
ritrovo a biascicare, la scusa più stupida e banale che
potessi portare fuori.
Mi dirigo quasi di
corsa all’interno del bagno degli uomni e
mi fiondo all’interno di un cubicolo, chiudendo a chiave la
porta e appoggiandomici
contro con la schiena.
Ho il cuore a mille,
il respiro accelerato e il cervello in
tilt. Sembro quasi una ragazzina, mi dovrei vergognare di me stesso.
Eppure…
eppure Mike era così vicino, sembrava così esplicito.
Le sue dita strette
sulla mia coscia, gli occhi famelici e
torbidi nei miei… mi ha fatto quasi paura, non lo avevo mai
visto così.
Sento la porta
dell’antibagno aprirsi e richiudersi, così
smetto di respirare, sperando che nessuno si accorga della mia presenza.
«Dai, Roddy,
vieni fuori.»
È lui, sa
che sono qui. Mi ha visto andare in bagno, sa che
sono letteralmente scappato da lui.
«Non volevo
spaventarti, cazzo.»
Non so cosa fare, non
so cosa rispondere. Non voglio fargli
capire che sono davvero qui, non voglio affrontarlo.
«Ehi.»
Si è avvicinato, deve aver visto le mie gambe sbucare
sotto la porta serrata. Ci divide soltanto la lastra di legno
scrostato.
«Esci.»
Mike non ha bisogno di
gridare, di pregare, di sbraitare.
Gli basta essere se stesso, usare quel tono fermo e deciso per far
capire agli
altri cosa vuole.
Sento le sue nocche
sfiorare appena la porta. «Esci» ripete,
senza sollevare la voce. «Roddy, vieni da me.»
Ed è questo
che mi fa cedere definitivamente. Mi lascio
scivolare contro il legno e mi accovaccio, nascondendo il viso tra le
ginocchia. Le lacrime scorrono silenziose sulle mie guance sbarbate, mi
sento
una merda. Sono un debole perché non riesco neanche a
reagire a una richiesta
esplicita come quella che Mike mi ha appena fatto.
Vuole che io esca di
lì, che io vada da lui.
Ripenso alle sue dita
sul ginocchio, ripenso a tanti piccoli
gesti a cui non ho mai voluto dar peso.
E mi sento un vero e
proprio idiota, perché ancora una volta
sono stato ingenuo, perché ancora una volta non ho ascoltato
il mio cuore e mi
sono seppellito in me stesso.
Adesso non posso
affrontarlo, sono soltanto un codardo.
«Il maglione
è davvero orribile.»
Se comincio a
parlargli, forse si tranquillizzerà e uscirà
da questo maledetto bagno. Non riesco più a sopportare che
mi stia lontano, non
dopo averlo visto ridere e flirtare con me per tutto il tempo. Non dopo
averlo
osservato mentre sceglieva il pacchetto rosso, l’unico di un
colore diverso, e
me lo porgeva con quel sorriso timido e irresistibile.
«Però,
Roddy, tua nonna è stata gentile. Ringraziala
tanto.»
So che sta piangendo,
posso percepire i suoi sospiri e i
momenti in cui tira su col naso. Vorrei sfondare questa cazzo di porta
e
prenderlo tra le braccia, non ce la faccio più.
Adesso che
l’ennesima esibizione è finita, ho la mente
più
libera, pronta per accogliere pensieri che in genere scaccio con
violenza.
«Sai, potrei
usarlo comunque, il maglione. Anche se è verde
e rosso e mi fa cagare, anche se io detesto i fiocchi di neve.
Però ha la mia
iniziale ricamata sopra, quindi… è mio e
basta.»
Sento Roddy
singhiozzare più forte, incapace di trattenersi.
«Ma lo
userò.» Mi interrompo, indeciso se continuare. Poi
mi
dico che non ho più niente da perdere. «Solo a una
condizione, mio piccolo
Roddy.»
Lui sospira, i suoi
vestiti frusciano mentre cambia
posizione. Forse si è alzato in piedi, spero che stia per
aprire la porta.
«Lo
metterò solo per farmi vedere da te e farmi prendere in
giro.»
Finalmente, il
passante scatta e la porta si schiude appena.
Roddy si affaccia timidamente, il viso rigato di lacrime e lo sguardo
confuso e
liquido.
«Davvero?»
mormora.
«Certo! E
poi, beh, ho una richiesta particolare.»
«Sarebbe?»
Con uno scatto, lo
afferro per il polso e lo trascino fuori
dal cubicolo, abbracciandolo forte, come mai avevo fatto prima con
nessun altro
essere vivente. Non ho mai provato tanto trasporto nei confronti di
qualcuno, è
qualcosa di inspiegabile, di strano, di unico.
Sento il suo cuore
martellare contro il mio petto, il suo
profumo pungolare le mie narici, i suoi capelli solleticare la mia
guancia.
E perdo la testa. Lo
spingo contro la parete e accosto il
mio viso al suo. «Voglio mettermi quel maglione e voglio che
tu me lo strappi
via.» Faccio una pausa, so che probabilmente sto esagerando,
ma mi sento
terribilmente eccitato. «Hai capito?»
Roddy annuisce piano,
le labbra schiuse e gli occhi
sgranati.
Gli prendo il viso tra
le mani e lo fisso intensamente negli
occhi. «Dimmi se sei d’accordo, non voglio
spaventarti» proseguo.
Sento il ragazzo
sgretolarsi tra le mie braccia, contro il
mio corpo; lo sento stringermi a sé, cercarmi, sfiorarmi.
Finalmente le sue dita
sono su di me, tra i miei capelli,
sulle mie braccia, lungo le mie costole. È una sensazione
incredibilmente
assurda, non avrei mai creduto che proprio io la potessi vivere sulla
mia
pelle.
Roddy socchiude gli
occhi e sorride appena. «Non sono
spaventato.»
«Ah no? Che
strano…»
«So che
tutti hanno paura di te, perché sembri… beh,
particolare.»
Aggrotto la fronte e
tiro leggermente le ciocche bionde,
facendogli inclinare leggermente la testa all’indietro. Mi
chinò a
mordicchiargli piano il labbro inferiore, saggiando il suo sapore
sconosciuto,
cercando di capire se posso baciarlo.
Quanto voglio baciarti.
Roddy sospira e spinge
con forza le labbra contro le mie.
Rimaniamo sospesi in quell’attimo infinito, occhi negli occhi.
Poi ci scostiamo e ci
lanciamo un’occhiata.
«È
strano» ammetto.
«Già,
ma è bellissimo» replica Roddy, le dita a sfiorare
la
mia guancia sinistra.
«Hai
ragione. Allora… posso?»
Lui ridacchia,
puntandomi un dito contro il petto. «Mike
Patton che chiede il permesso, che cazzo è
successo?»
«Fottiti»
concludo, per poi tuffarmi sulle sue labbra.
Non sono bravo ad
amare, non so come comportarmi e per me è
tutto nuovo.
Forse,
però, posso provarci, in fondo ho solo diciotto anni
e anche queste esperienze fanno parte della vita di chiunque.
Non per questo
smetterò di pensare alla musica, non per
questo mi annienterò.
Ma quando Roddy mi
bacia, quando mi stringe, quando le sue
dita tracciano con calma la mia pelle, beh, in questi momenti posso
svuotare la
mente e godermi le sue attenzioni.
Roddy non chiede mai
niente, non pretende che io cambi per
lui.
Roddy mi ama e ascolta
ogni battito del mio cuore.
Roddy farebbe di tutto
per me, e io so di non meritarlo.
Fa freddo, piove a
dirotto, ma io non sto male.
Nascosti sotto la
pensilina della fermata dell’autobus, io e
Mike siamo seduti fianco a fianco sulla panchina in ferro.
Attendiamo che il
pullman passi a recuperarci, dopo aver
fatto le prove con i nostri Freaky Pigs.
Il cantante tiene un
braccio attorno alla mia vita e mi
stringe a sé. «Hai ancora freddo?»
Scuoto il capo.
«Sai, Roddy,
c’è una cosa che volevo dirti» prosegue.
Alzo lo sguardo e mi
scosto appena, in modo da poterlo
guardare in viso. «Devo preoccuparmi?»
Lui mi rivolge un
ghigno per niente rassicurante. «Oggi ho
messo il maglione che mi hai regalato» annuncia in tono
malizioso.
Inclino la testa di
lato, sentendo il cappuccio della felpa
che scivola appena all’indietro. «E con
questo?»
Mike si avvicina,
appoggia la fronte contro la mia e
sospira. «Bisogna insegnarti proprio tutto, Bottum»
bofonchia.
«Non ho
capito» replico perplesso, mentre il cuore accelera
nel petto: averlo così vicino è sempre troppo
complicato da gestire.
«Questo
significa, mio simpatico amico, che è arrivato il
momento che tu me lo strappi di dosso.»
Spalanco gli occhi e
boccheggio, mentre le guance mi si
infiammano. «Mi stai chiedendo di… di
farlo?» balbetto.
Mike scoppia a ridere
e mi tira giù il cappuccio,
scompigliandomi i capelli con entrambe le mani. «Ah, quanto
sei idiota!»
«Io?!
Ma…»
«Guarda,
arriva il pullman!» esclama, per poi mettersi in
piedi e accostarsi al bordo del marciapiede.
«Mike!»
protesto, raggiungendolo in fretta.
Mi strizza
l’occhio e, mentre il mezzo si ferma e le porte
si aprono, sussurra: «Solo se vuoi».
E io so che lo
desidero più di ogni altra cosa.
Gli sorrido e gli
sfioro appena la schiena, mentre mi
precede su per i tre ripidi gradini che ci conducono a bordo del bus.
Gennaio è
quasi finito, Mike sta per compiere diciannove
anni e vuole fare l’amore con me.
La vita mi ha regalato
un’occasione come questa, un ragazzo
come questo.
Non vedo
l’ora di poter strappare e rompere quello stupido
maglione.
♥
♥
♥
Ciao
a tutti!
So
perfettamente che questa storia sfocia nell’OOC,
specialmente per quanto riguarda Mike Patton, ma vedete…
essendo un racconto
ambientato in un Alternative Universe in cui i Faith No More sono dei
ragazzini
che vanno in una scuola di musica e fanno parte di una band di nome
“Maiali
Sfigati”, beh, ho pensato a loro da giovanissimi e mi sono
detta che forse – e
dico FORSE – per il nostro Patton ci fosse una qualche
speranza di poter
provare dei sentimenti! XD
Lo
so che lo perculo sempre, mi perdonerà, ma è
così che va!
Devo
assolutamente scrivere due notine esplicative: ho
lasciato la formazione originale dei Faith No More, ovvero quella che
la band
ha avuto circa dal 1988 al 1993, anni in cui sia Mike Patton alla voce
che Jim
Martin alla chitarra militavano nella band. Jim, tuttavia, faceva parte
dei FNM
dall’83, mentre Mike ne è ancora un membro
effettivo. Invece Roddy Bottum
(tastiere), Bill Gould (basso) e Mike “Puffy”
Bordin (batteria) ci sono sempre
stati – e sempre ci saranno, aggiungerei XD almeno spero!
Per
il resto, essendo una fanfiction AU, la maggior parte
delle cose sono di mia invenzione, tranne il fatto che Mike sia un
grande
appassionato e consumatore di caffè (evviva!) e che sia
conosciuto come un tipo
dalla personalità particolare e non facilmente decifrabile.
Anche
ciò che ho accennato a proposito della sua estensione
vocale è vero: Patton, infatti, vanta un range di ben sei
ottave! Insomma, non
è un essere umano, facciamocene una ragione
ù.ù
Non
so se i componenti della band abbiano mai studiato
musica, ma mi piaceva troppo l’idea e così
l’ho sfruttata alla grande! :D
Per
quanto riguarda Roddy Bottum, il tastierista è davvero
omosessuale, ha fatto coming out tanti anni fa; dubito fortemente che
si sia
mai invaghito di qualcuno all’interno dei FNM,
però… cosa volete farci? Questo
rapporto sempre tormentato e poco definito tra lui e Mike mi frega
sempre, ci
casco e mi ritrovo a scriverne!
E
stavolta non volevo che Roddy rimanesse a bocca asciutta,
mi dispiaceva troppo per lui! Immaginatelo poi a diciassette anni,
avrebbe
sofferto tantissimo se Mike lo avesse respinto… ahi ahi!
Detto
ciò, ci tengo a precisare che queste sono solo
storielle dettate dall’ispirazione, non voglio assolutamente
offendere nessuno
e spero di essere riuscita, almeno un po’, a rendere
giustizia a questi
personaggi che mi stanno tanto a cuore ♥
Ultime
precisazioni tecniche: le canzoni citate nelle varie
scalette sono appunto dei Black Sabbath e dei Deep Purple: War Pigs e Iron
Man
sono dei Black Sabbath, mentre Space
Truckin’, Highway
Star
e Child
In Time sono dei
Deep Purple!
Spero
di non essermi dimenticata niente, ma in caso abbiate
dubbi o perplessità non esitate a chiedere!
Mi
auguro che il racconto vi sia piaciuto e vi abbia
emozionato, grazie a tutti coloro che hanno avuto il coraggio di
arrivare fin
qui e che vorranno lasciare un piccolo commento :3
Alla
prossima avventura ♥
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