High Hopes

di Eevaa
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HIGH
HOPES


CAPITOLO 8 – WHEN IT ALL COMES TO AN 
END



 
•••



«Signor Stark!»
Peter si sentì raggelare.
Tony si voltò verso di lui, con il cuore in gola. Lo guardò con attenzione e studiò i lineamenti farsi più duri e il colorito più lattiginoso. Gli occhi di Peter erano spalancati, ma la sua bocca fin troppo serrata per aver potuto pronunciare quelle parole.
Pensò di aver avuto un'allucinazione, pensò e sperò al contempo di essersi sbagliato, ma era chiaro dai volti di tutti - e specialmente dall'espressione di Peter - che quelle parole fossero state pronunciate per davvero.
Da Peter, sì, ma non dal Peter con il quale era appena atterrato con la navicella.
E, quando la folla dei presenti si aprì per far spazio, quel Peter Parker poté finalmente agganciare i suoi occhi ai due supereroi che stava cercando da più di quattro mesi. Da quel famoso ventisette settembre.
Tony credette di svenire mentre Peter, al suo fianco, persino ci sperò. Sperò di cadere in un sonno così profondo da non svegliarsi mai. Il suo peggiore incubo aveva appena preso forme e consistenze reali.
Si specchiò negli occhi identici di quel ragazzo di fronte a sé, che aveva labbra tremanti di una rabbia palpabile dalla distanza.
«Perché, signor Stark? Perché!?» parlò infine quel Peter, con una smorfia di sdegno che gli irrigidì il viso glabro.
La sua voce tremava come una fiammella al vento, i suoi occhi erano velati e circondati da pesanti occhiaie violacee. Brividi sulle braccia di tutti i presenti.
«P-Peter... ma cosa...» balbettò Tony, anche se sapeva cosa gli stesse chiedendo Peter. Il suo Peter, quello dell'universo dal quale proveniva.
«Perché non ha voluto tornare da noi?» domandò lui, con gli occhi che pizzicavano. Non appena giunto alla T.S.M.A.F, la prima persona che aveva incontrato era stata Rhodey.
Aveva sperato con tutto il suo cuore che Tony stesse cercando un modo per tornare indietro, aveva sperato che tutti si stessero adoperando per riportarlo nella sua dimensione naturale ma, purtroppo, aveva appreso l'esatto contrario. Proprio come aveva temuto in ogni suo incubo da quattro mesi a quella parte. Non aveva voluto credere alle parole del Dottor Strange del futuro, il quale gli aveva detto che non l'avrebbe più rivisto. Poi si era soffermato su una frase, un'unica frase a quanto pare male interpretata.
Non nella tua dimensione, almeno.
Così gli aveva detto. Allora si era adoperato per andarlo a riprendere, e così avrebbe fatto. Così avrebbe agito, perché non poteva accettarlo. Non poteva accettare che il suo Tony rimanesse in quel futuro.
«Come hai fatto ad arrivare fin qu-» si intromise Peter, per domandare al suo sosia del passato come avesse fatto a trovare l'esatta epoca nel quale aveva portato Tony. Questi però lo interruppe.
«Stai. Zitto.» sibilò glaciale l'altro Peter puntandogli un dito contro, le parole scandite con estrema pericolosità.
Le schiene di tutti si irrigidirono di fronte a cotanta ostilità.
«Ok, questo è strano» commentò Rocket, mentre i due Spiderman si osservavano sottecchi, con cattiveria. 
«Senti, so che può sembrare-» tentò di spiegarsi Peter, ma l'altro lo interruppe ancora.
«Tu non hai diritto di parola! TU LO SAPEVI! SAPEVI COSA AVREBBE SIGNIFICATO PER ME E L'HAI PORTATO VIA COMUNQUE!» scoppiò, con il volto paonazzo, nel tentativo di reprimere quelle maledette lacrime che gli stavano ardendo negli occhi.
«I-io...» balbettò Peter, deglutendo a forza il sapore amaro che aveva in bocca. Quante volte si era sentito in colpa, in quei mesi, nei confronti di se stesso? Certo che lo sapeva, il male che gli aveva fatto. Ma sperava che egli avesse compreso. Si fece un esame di coscienza e, ripensandoci, a quel tempo forse sarebbe stato troppo debole per comprendere. Per accettare quella cosa.
Cosa avrebbe fatto se dal futuro fosse arrivato un suo sosia a prendersi Tony? Non riuscì a darsi una risposta. Così come non riuscì a dare una risposta a Peter.
«Peter, sarei morto. Ho visto ciò che mi sarebbe successo e fidati, è meglio che il futuro sia questo» intervenne Tony, trovando chissà dove della ragionevolezza nella sua mente. Quella situazione era al limite dell'assurdo.
«NO! Non è affatto così. Il Dottor Strange del nostro tempo aveva previsto che quello era l'unico modo, ma quando siete arrivati voi si è aperto un nuovo arco di possibilità» ringhiò il ragazzo del passato. Volse lo sguardo anche verso Bruce e Strange, i quali abbassarono le palpebre consapevoli di aver preso parte anche loro a quella missione. «Carol ha schioccato le dita, e avreste potuto lasciare Tony lì. Perché non l'avete fatto!?»
«Per me» intervenne coraggiosamente Morgan, compiendo un passo in avanti per fronteggiare quello che non era affatto suo zio Peter. Percepiva in lui una minaccia, una minaccia vera. Quel tizio era giunto fin lì per portarsi via ciò che rimaneva della sua famiglia.
E, di tutta risposta, ricevette dall'altro Peter un'occhiata colma di rancore.
«Morgan, vieni qua. Non t'impicciare» la tirò indietro Thor, per proteggerla dietro le sue braccia muscolose.
«Per lei?!» sbuffò Peter con una risata nevrotica, riprendendo poi a fronteggiare il suo sosia, con sprezzo. «LEI HA QUATTRO ANNI, NEL MIO MONDO. ED È ORFANA DI PADRE!»
«E qui ne ha dodici, e cinque mesi fa è diventata orfana pure di madre! L'ho fatto per lei, per non lasciarla sola!» si indispettì Peter, perdendo ogni barlume di senso di colpa. Si ricordava quale fosse stata la ragione principale della sua missione. Non aveva più intenzione di farsele dire da quel moccioso colmo di rancore, non dopo l'occhiata minacciosa che aveva lanciato alla sua Morgan. A Morgan, colei per la quale avrebbe smosso il mondo intero, colei che era stata la sua forza in quei dannati otto anni. Era come una figlia, per lui.
«Tu l'hai fatto PER TE. Io lo so! Io ti conosco perché SONO TE!» urlò Peter. Spintonò la sua copia del futuro con sdegno, mandandolo a sbattere contro il portellone dell'astronave dei Guardiani. 
Tutti trattennero il fiato. Tony, il quale ebbe come l'istinto di restituire il colpo a colui che aveva appena oltraggiato il suo protetto, si bloccò sul posto ricordandosi che, in qualche modo, anche quel ragazzo era il suo protetto. Si sentì andare in frantumi, al solo pensiero. Erano entrambi Peter, e ciò bastava per mandarlo nella confusione più totale.
Peter rialzò lentamente e tremò, ma non per il dolore. Ma per una rabbia, una rabbia incomparabile nei confronti di colui che l'aveva colpito. Perché il concetto di odiare se stessi non era mai stato più tangibile di così.
«No, Peter Parker. Tu eri ME prima di diventare completamente IRRAGIONEVOLE!» berciò Peter. Si avvicinò all'altro e lo prese per il bavero ma questi, come scottato da un marchio da bestiame, reagì scattando nella sua direzione attivando l'armatura di Iron-Spider, e lo colpì con un pugno dritto in volto. Un pugno che diede vita a una vera e propria lotta di prevaricazione. Peter balzò all'indietro, gli lanciò una ragnatela lo scaraventò per terra ma, naturalmente, ben sapeva che non si sarebbe arreso. Non si sarebbe mai arreso.
E così, sotto gli occhi sbigottiti degli Avengers e dei Guardiani della Galassia, i due Spiderman iniziarono a darsele di santa ragione.
«Sì, questo è davvero strano» confermò Quill, strabuzzando gli occhi.
«Oh, non lo puoi lontanamente immaginare» dichiarò Steve Rogers, ricordando quanto fosse stato bizzarro e al limite del ridicolo combattere contro se stesso nel viaggio del passato volto a recuperare le Gemme.
«Io lo sapevo che sarebbe stata un'idea del cazzo!» commentò Bruce, maledicendo il giorno in cui aveva dato il permesso al ragazzo di andare nel passato.
Nessuno fece nulla, nulla per intervenire. Erano tutti bloccati a guardare due Spiderman intenti a lottare e picchiarsi per qualcosa di tanto irrazionale.
Tuttavia, dopo un grave pugno nello stomaco incassato da Peter - il loro -, capirono tutti che la cosa stesse degenerando.
«ZIO PETER!» urlò Morgan, nel vederlo ripiegarsi in avanti dal dolore. Egli la guardò per qualche secondo con il respiro affannoso, poi arpionò il suo avversario con una ragnatela e lo fece sbattere contro un albero poco distante.
Non voleva fargli davvero troppo male, ma quel ragazzino stava davvero esagerando. Era giunto il quel posto sconvolgendo tutto, tutto ciò che aveva costruito fino in quel momento, demolendo quelle che oramai erano divenute certezze.
Con il cuore in gola e lo stomaco in subbuglio, deviò uno dei suoi colpi per afferrarlo per le braccia, contorcendogliele fino a farlo urlare.
«Tony, fa qualcosa!» supplicò Rhodey, riportando il suo amico in una condizione meno catatonica.
Tony rabbrividì di nuovo. Che fare? Quel che stava accadendo era così sconvolgente da mandarlo in tilt.
«I-io...» balbettò, strabuzzando gli occhi, ancor troppo indeciso sul da farsi.
Per fortuna non era solo. Per fortuna c'era una persona, tra tutti loro, in grado di riportarlo alla saggezza, a un pensiero concreto, a un livello superiore. Perché, se non ci fosse stata Morgan, Dio solo sapeva cosa ci sarebbe voluto per dare la forza a Tony di intervenire, di fermare quella disputa ai limiti dell'assurdo.
«PAPÀ! TI PREGO!» urlò Morgan, portandosi le mani sugli occhi per nascondere il proprio pianto. Aveva paura, troppa paura che Peter gli portasse via ciò che di più prezioso aveva, ciò che il suo Peter gli aveva riportato indietro dopo otto lunghi anni. Era terrorizzata all'idea, e questo Tony lo capì.
Avrebbe dovuto rompere quel momento. Con le labbra strette balzò tra i due Peter e, facendo forza con le braccia meccaniche della sua armatura, li divise con la forza bruta. Anche se non fu semplice.
«EHI, EHI, EHI! BASTA COSÌ!» urlò Tony, deglutendo coraggio e consapevolezza. Così interruppe quell'irragionevole combattimento per fare l'unica cosa che avrebbe avuto senso, in quel momento.
Con il fiato corto e le guance tumefatte dai pugni, entrambi gli Spiderman si placarono, continuando però a guardarsi in cagnesco. Avrebbero voluto piangere, tutti e due.
Tony li guardò con occhi gravi fino a quando smisero di fare resistenza.
«Peter, per favore... parliamo. Vieni con me» propose Tony, rivolgendosi a Bimbo Ragno. Il suo Bimbo Ragno, quello che aveva visto scomparire tra le sue braccia. Quello che sapeva appartenesse al mondo in cui era davvero cresciuto, nella sua dimensione originale.
Peter adulto aprì la bocca come per dire qualcosa, ma il fiato gli morì in gola. Si sentì cedere, si sentì ucciso. Specialmente quando li vide incamminarsi all'interno della T.S.M.A.F insieme, vicini spalla a spalla, e Tony non si guardò indietro.
Si lasciò cadere sulle ginocchia e si portò le mani tra le curve morbide dei suoi capelli.
Apatico, non sentì più niente. Nemmeno le mani di Morgan che, delicate, gli carezzarono la schiena.



Camminarono fianco a fianco fino a quella che era una delle tante sale conferenze dei vendicatori, laddove si erano tenute la maggior parte delle riunioni con lo S.H.I.E.L.D. La stanza profumava di detergente, le persiane automatizzate semi-oscuranti si aprirono al loro arrivo.
Peter tremava ancora e, quando Tony lo invitò a sedersi al grande tavolo in vetro, questi negò con la testa e si appoggiò con una spalla al muro chiudendo gli occhi. Il suo respiro pesante si affievolì a poco a poco e, solo quando Tony ritenne che fosse pronto a parlare, gli portò una mano sulla spalla per costringerlo a farsi guardare.
Il ragazzo sussultò, come se quello fosse l'unico appiglio a tenerlo ancorato alla realtà. E Tony, per un attimo, si dimenticò di ogni cosa.
Non voglio morire, signor Stark.
L'ultima volta che l'aveva visto era stato quel giorno, su Titano. Sapeva che non aveva senso, Peter di quel futuro era in fondo la stessa persona, ma solo sapere che quel ragazzino che aveva di fronte fosse beh, quel Peter, lo rendeva agitato. Sconcertato.
«Inizia col dirmi come diavolo hai fatto ad arrivare fin qui» lo invitò Tony, cercando il più possibile di rimanere fedele al mentore che era sempre stato con quel ragazzino. Lui era IL ragazzino. Lo era ancora, lo poteva vedere dalle sue guance gonfie e glabre, dalla sua mandibola meno pronunciata, le spalle meno larghe. 
Peter deglutì, trovando chissà dove la forza di rispondere.
«L-la sua armatura. L'armatura che indossava durante la battaglia era connessa con il suo dispositivo per il viaggio nel regno quantico che ha usato lo stesso giorno. Ha un localizzatore quantico, nel casco. Mi ci è voluto molto tempo per calcolare il luogo e il tempo esatto, più di quattro mesi, ma alla fine sono riuscito» svelò il ragazzo, tornando con la mente a tutti quei calcoli, quelle assurde sperimentazioni che aveva messo in atto dopo quella battaglia. Aveva trascorso giorni e notti nella casa sul lago di Tony a svolgere le più disparate sperimentazioni di nascosto, poiché nessun'altro aveva creduto che fosse possibile. Si erano arresi tutti al fatto che dovessero accettare che Tony fosse dovuto rimanere in un'altra dimensione per forza, o sarebbe morto. Avevano creduto alle parole del Dottor Strange del futuro. "Se ce l'hanno detto dal futuro vuol dire che è l'unica cosa giusts da fare" avevano pensato tutti. Tutti tranne lui.
Era partito da solo.
Era stato un viaggio lungo, il suo. Erroneamente aveva puntato le coordinate spaziali alla vecchia Avenger's Facility, pensando che in quel futuro fosse stata ricostruita lì, ma ci aveva trovato solo dei vecchi resti e un memoriale. Aveva impiegato parecchie ore per trovare l'indirizzo del nuovo quartier generale, tuttalpiù che in quel futuro tutti sembravano conoscere la sua identità. E poi, quando era giunto lì, aveva trovato un mondo nuovo dove Starlord, Drax, Thor e Morgan se ne stavano seduti a far colazione ridendo e scherzando, e un vecchio Steve Rogers leggeva il giornale accanto. Sereni, tranquilli. Aveva provato rabbia, troppa rabbia per quel mondo così fortunato.
Beh, chiaramente non era a conoscenza degli otto anni che avevano trascorso.
Tony sorrise mesto, sospirando a lungo.
«Sei sempre stato un genio, Pete...» convenne con un sussurro. Era tutto così strano.
«Signor Stark, perché non è tornato? Noi... noi abbiamo bisogno di lei» disse Peter, mordendosi l'interno della guancia.
«Lo so... lo so, ragazzo» mormorò Tony, buttando all'indietro la testa con uno sbuffo. Cielo, avrebbe voluto tanto abbracciarlo e dirgli che sarebbe andato tutto bene, ma poteva mentirgli in quel modo? Sapeva cosa avesse trascorso Peter durante quegli otto anni. Non era stato tutto rose e fiori.
«Allora torni, venga con me!» insistette, afferrandogli un avambraccio. Si sentì avvampare, ma mantenne la presa salda.
«Non è così semplice, Pete...» soffiò Tony, mettendogli una mano sopra la sua. La strinse delicatamente, stando attento alle ferite dovute alla scazzottata con la sua copia.
«Lo è! Deve esserlo! Guardi le cose come stanno... passerà gli ultimi anni accanto a Pepper, vedrà crescere Morgan... aiuterà... me» lo imploròmentre due grosse gocce di diamanti gli caddero sulle guance arrossate. «Le offro la possibilità di tornare alla sua vita, adesso».
Non sperava davvero di convincerlo a tornare per stare accanto a lui, ma la sua famiglia... sua moglie, sua figlia, avrebbero dovuto essere una motivazione più che convincente. Cos'aveva, lì? Una moglie defunta, una figlia oramai grande. Nella sua giusta epoca aveva tutto, tutto come l'aveva lasciato quattro mesi prima.
Tony abbassò lo sguardo e sospirò. La sua vita, aveva detto.
Era forse la cosa giusta da fare?


 


Quello sguardo basso, quel sospiro, lo fecero morire ancor di più dentro. Perché Peter adulto, appostato nel corridoio osservando nell'ologramma ciò che vedevano le telecamere, aveva sentito tutto. Aveva visto tutto, e non poteva fare a meno di pensare che quel dannatissimo Peter avesse ragione.
Tony apparteneva a quel mondo, ed era un fottutissimo errore credere di poter competere. Gli era stata appena offerta la possibilità di riportare ogni cosa a posto, e per quale dannato motivo avrebbe dovuto rifiutare?
Provò un conato di vomito. L'aveva perso. Lo stava perdendo di nuovo e non c'era più niente che potesse fare.
Cacciò via con una mano l'ologramma e si trascinò sulle gambe verso gli ascensori. No, non avrebbe potuto sopportare un altro addio. Tutto, tranne quello. Si sarebbe nascosto in un angolo di Manhattan e avrebbe atteso la notte e chissà, forse il giorno dopo.
Mosse passi lenti come verso il patibolo, con la vista offuscata dalle lacrime e una rabbia incontenibile nel cuore. E pensare che non si erano parlati per quasi un mese! Idiota, idiota! Avrebbe dato qualsiasi cosa per godersi al meglio quei pochi mesi che il destino gli aveva concesso di nuovo.
Svoltò l'angolo con poche forze, imbattendosi però nella figura che meno si aspettò di vedere lì, per lui.
Stephen Strange lo guardò di rimando, e allora Peter comprese.
«Lei lo sapeva, vero?» soffiò Peter, con il cuore in gola. «Lei lo sapeva e me lo ha lasciato fare comunque!» esclamò con un ringhio, accorgendosi però che non avesse nemmeno le forze di arrabbiarsi.
Strange tirò le labbra in un sorriso di circostanza. Certo che lo sapeva, come avrebbe potuto non saperlo? Da quando aveva usato la Gemma del Tempo la prima volta, qesta gli aveva lasciato il potere di intravedere nell'ambito delle possibilità.
«Ho sempre visto solo due possibili futuri a tutto questo» svelò, lapidario.
«E in che futuro siamo?» domandò il ragazzo, appoggiandosi stanco alla parete. Era così stanco da sentirsi cadere. Due futuri, aveva detto. Poteva ancora crogiolarsi nella speranza?
«Ancora non so. Sarà la scelta che compirà Tony a decretarlo» rispose Strange. Gli diede due deboli pacche sulla spalla, poi si allontanò con le braccia conserte lungo il bianco corridoio.
Speranza. Ce ne era per davvero?


 


Tony si sentì intrappolato in quello sguardo color nocciola che non riusciva a smettere di contemplare. Peter lo intrappolava come nessun altro sapeva fare. Di qualsiasi Peter si trattasse.
Si sentì così sciocco, così debole. Ma quello sguardo era fin troppo simile a quello del Peter a cui aveva rubato un bacio poco prima. A quello sguardo che l'aveva fatto impazzire nei mesi addietro.
Stupido, idiota. Quel Peter non era lo stesso. Era un ragazzino, con lui non era mai accaduto e non sarebbe potuto accadere mai niente... mai?
Rabbrividì. Era sull'orlo della follia e, non che fosse mai stato completamente sano di mente, ma era certo che gli sarebbero serviti più di un paio d'anni di terapia per rielaborare quella storia. O la reclusione forzata.
Perché la possibilità che gli stava offrendo quel ragazzino era più che concreta, più che giusta, più che allettante. Ma c'erano troppi se, troppi ma. Troppe cose erano cambiate in quei quattro mesi. Aveva appreso troppo, aveva vissuto troppo.
Frastornato e pallido come il sole di novembre si avvicinò alla grande vetrata che dava sul cortile. Sospirò e si prese del tempo per pensare. Peccato solo che tutti i suoi pensieri fossero intricati come i nodi nella lana. Uno, dieci, cento minuti, non riuscì a contare quanto tempo stette lì, con lo sguardo perso nel vuoto cosmico e la mente divagante in universi lontani.
Come avrebbe fatto a tornare indietro e amare Pepper allo stesso modo dopo aver affrontato il lutto per la sua morte? Come avrebbe fatto ad amarla ugualmente dopo ciò che era successo con Peter?
Come avrebbe potuto avere a che fare con quel Peter ragazzino senza pensare a quell'altro? Al ragazzo che aveva rapito la sua mente, il suo istinto, la sua coscienza?
Un brivido gli percorse il dorso nel guardare quel giovane, trovandosi in errore a essere rapito dagli occhi di un ragazzino di diciassette anni. Come poteva provare attrazione per un ragazzino?! Per tutti i Titani!
E, cosa ancor più importante di se stesso e dei suoi problemi di cuore, come avrebbe fatto a lasciare Morgan da sola? Come avrebbe fatto ad abbandonarla dopo tutto ciò che avevano vissuto insieme in quella dimensione?
Sapeva che la piccolina della sua epoca originaria avrebbe avuto un futuro meraviglioso, con un sacco di zii che le avrebbero voluto bene, una mamma meravigliosa e quel Peter. Un Peter ancora sperduto, ma che sapeva che ben presto avrebbe ritrovato la strada. Conosceva le sue potenzialità e sapeva, sapeva che sarebbe stato in grado. Non sarebbe stato facile, ma sarebbe stato un ottimo padre.
E così, tornando con la mente ai video che aveva guardato durante le prime settimane dopo essere stato portato lì, ritrovò il cielo sereno dentro di sé. Si ricordò di tutti quei filmati, di tutte quelle cose meravigliose che la sua Maguna aveva vissuto dopo la sua morte. Si ricordò di come Peter l'aveva cresciuta, accudita, si ricordò di come lui, Pepper, Happy e May erano stati una squadra meravigliosa. L'aveva visto con i suoi stessi occhi, in quei filmati.
Quindi si ricordò perché aveva deciso di restare. Si ricordò perché non aveva mai voluto tornare e, nonostante non fosse sicuro che quel giovane ragazzo che aveva di fronte avrebbe compreso, trovò in quei ricordi la sua risposta. La risposta alla domanda “perché non è tornato?”.
Erano tanti i perché, ma trovò in Peter stesso la risposta. Peter che aveva sistemato tutto, Peter che aveva fatto da padre a Morgan, Peter che era diventato il nuovo Ironman, Peter che l'aveva riportato indietro solo nel momento più opportuno e Peter che gli aveva preso il cuore tra le mani e l'aveva tenuto al sicuro.
La risposta, in tutto quello, sarebbe stata sempre e solo “Peter”.
Si voltò verso colui che era solo un ricordo e, avvicinandosi, gli posò una mano sulla spalla. 
«Mi dispiace, ragazzo. Mi dispiace davvero... ma io non posso tornare» disse Tony con voce calda, convinto fino al midollo. Convinto anche quando il giovane iniziò a tremare, a piangere, a disperarsi a tal punto da lasciarsi cadere sul pavimento.
Convinto da trovare le forze per riprenderselo, per sollevarlo.
«N-no... no, la prego, la pre-» balbettò, in preda a un attacco di panico. Uno dei molti negli ultimi mesi.
«Calmati, calmati. Ascoltami, Pete. Ascoltami bene» lo rassicurò Tony, tenendolo saldo per le braccia. «Qui c'è un nuovo futuro per me, per te, per tutti. Te lo giuro, te lo garantisco, sarà un futuro meraviglioso. Devi solo lasciare che accada, e sarà splendido anche per te».
Amava quel futuro. Lo amava. Ed era quello che si augurava per tutti. Purtroppo, non per Pepper. La sua dolce, cara, forte signorina Potts. Ma, se tanto bene la conosceva, sapeva che anche lei avrebbe voluto questo per tutti loro, dopo la sua morte.
«Come può essere... come...» singhiozzò Peter, aggrappato al suo mentore. Come poteva dirgli una cosa del genere?
«Te lo giuro, ne varrà la pena! Te lo giuro Morgan. Su tutto ciò che ho. Devi solo avere... pazienza» sussurrò Tony, carezzandogli una guancia con una mano tremante. Dannazione, quelle guance. Quegli occhi, quelle lentiggini. Come poteva provare attrazione per un diciassettenne? Era da ricovero!
Doveva ricomporsi e ricordarsi che quello che aveva davanti non era colui che credeva.
«... tanta pazienza» continuò Tony, «e tanta forza, ma io so che tu ne hai, ne hai sempre avuta e ne ho la prova concreta».
Peter assottigliò lo sguardo a quel contatto, a quella mano sul volto in un gesto che mai Tony si era permesso di fare con lui. E il suo cuore andò in subbuglio.
Beh, certo, perché lui non avrebbe mai potuto immaginare che le cose tra loro sarebbero cambiate in futuro. Che i suoi sogni reconditi sarebbero divenuti un poco più reali.
«Otto anni... otto anni!» realizzò il ragazzo, portandosi le mani nei capelli. Otto anni erano un lasso di tempo enorme.
«Sì. Sì, Peter. Ma tu ce la farai» lo rassicurò, con un sorriso e una mezza risata nervosa, quasi isterica. «Guardami. Bimbo Ragno, devi promettermelo. Promettimelo!»
Peter alzò lo sguardo verso quello color cioccolato di Tony. Sembrava così... convinto, così assoluto nella sua decisione. Così assoluto che stava iniziando a credere anche lui che avrebbe potuto funzionare, che sarebbe stato il compromesso migliore da prendere.
«Non posso andare subito nel passato? A quattro mesi fa e cambiare subito le cose?» domandò impaziente il ragazzo.
«NO! No, o il futuro cambierebbe troppo. Tutto ciò che dovrà accadere sarà necessario. Necessario, ok, Peter? Necessario perché tutto sia uguale a ora. Tu saprai in cuor tuo che sarà il momento giusto. Ventisette settembre duemilaetrentuno, ricorda» si raccomandò Tony, con estrema accuratezza. 
Se quel Peter non avesse vissuto il dolore, non sarebbe mai diventato colui che Tony ora conosceva. Un giorno tutto quel dolore sarebbe stato utile, per lui.
E non sapeva come sarebbero potute andare le cose, tornando prima nel passato. Ma non poteva prendersi il rischio di acconsentire a una missione differente. Per andare al meglio, tutto sarebbe dovuto accadere com'era accaduto. Già c'erano state fin troppe variabili che avrebbero potuto fare la differenza. Il fatto che lui non fosse morto ma stato “rapito”, ad esempio. Il fatto che Peter fosse tornato a riprenderselo. 
«Me... me lo promette?» domandò insicuro Peter, lasciando cadere altre lacrime. Il solo pensiero di non rivederlo per otto anni lo uccideva, ma al contempo quegli occhi gli stavano infondendo così tanta sicurezza da convincerlo.
«Lo prometto. Prenditi cura di Morgan, amala come se fosse tua. Prenditi cura di Pepper, costruisci questo posto e per Dio, lascia le cose come stanno fino a quando... beh, fino a quando lei non se ne andrà. E non dire niente a nessuno di questo incontro» ripeté Tony, deglutendo nell'immaginarsi la morte della sua povera Pepper. Non doveva pensarci. Non in quel momento.
Peter rise nervoso e scosse la testa. Tutto ciò aveva dell'incredibile, ma stava acquisendo una forma interessante.
«Dovrei tornare alla normalità, accettare... come posso? Ovunque io vada, vedo la sua faccia! Come posso stare con la gente... andare... a quella maledetta gita scolastica, o che cazzo ne so!» sbuffò lui, senza comprendere come avrebbe potuto fare.

«Oh, a proposito della gita!» disse Tony in un momento di poca lucidità, ricordandosi poi che però non avrebbe dovuto affatto svelare l'identità di Beck, o sarebbero cambiate ancora troppe cose. «Ehm... divertiti!» concluse lui, con un sorrisetto un poco beffardo. Oh sì, quella sì che sarebbe stata una gran bella gatta da pelare per il povero Peter. Ma ce l'avrebbe fatta, eccome!
«Eh?» soffiò il ragazzo, senza comprendere quell'affermazione.
Non ebbe tempo di rifletterci: venne però travolto in pieno dall'abbraccio inaspettato e profondo del suo mentore. Lo abbracciò a sua volta, pensando che fosse carino.
«Ci vediamo tra otto anni, ragazzino. Uh, e non scoraggiarti se all'iniziò sarò un osso duro. Capirai solo... oggi! Già, solo oggi perché ne varrà tanto la pena» svelò Tony, sornione, dopo essersi staccato da quell'abbraccio.
«Perché arriverà me stesso del passato per prendermi a pugni? Perché lei deciderà di restare?» sorrise sghembo Peter, asciugandosi le lacrime e attivando la sua tuta del viaggio nel Regno Quantico.
Non era proprio il caso di tornarsene nel cortile e salutare tutti come se nulla fosse accaduto.
«No, perché - se tutto andasse esattamente uguale - tra pochi minuti uscirò da questa stanza e andrò da Peter per dirgli una cosa. Una cosa importante» concluse Tony, mostrandogli uno sguardo beffardo tutto da Stark.
«C-che...» Peter si rizzò sulla schiena incuriosito ma, prima che potesse dire altro, il suo mentore gli premette il pulsante dell'apertura automatica del casco. Non riuscì a proferire altro, non riuscì a capirci niente, ma comprese nel profondo del suo cuore di avere una nuova, importantissima missione. L'attesa.
«Lo capirai, quando lo vivrai». E, detto questo, Tony attivò il GPS spazio-temporale già impostato per il ritorno a casa e, poco prima di vederlo scomparire, gli fece l'occhiolino. «Ciao, Bimbo Ragno».


 


Il sorriso di Strange si fece largo nella penombra. Nessuno lo vide, nessuno. Tutti in quel salotto erano troppo impegnati ad attendere, attendere una risposta che forse non avrebbero mai voluto sentirsi dare.
Peter, affacciato alla finestra, avrebbe voluto solo nascondersi e nascondere gli occhi arrossati e ancora velati dalle lacrime.
Ma quando alle sue spalle avvertì il rumore della porta automatica... fu in quel momento che pensò di avere un infarto.
Tutti i presenti si alzarono in piedi in religioso silenzio, ad aspettare un verdetto e sperare che non fosse amaro. Bucky strinse forte l'avambraccio di Cap. Perché lui sapeva, sapeva quanto egli tenesse a Tony. Rhodey si morse il labbro e pregò in tutti i modi di non perdere di nuovo il suo amico. Lo stesso fecero Happy, Thor, Bruce, Sam, Wanda, Quill, Gamora, Mantis, Drax, Rocket. A Groot tremarono persino le foglie.
Ma l'unica che riuscì a emettere un verso strozzato, fu Morgan.
«P-papà...» balbettò avvicinandosi al padre il quale, di rientro in quella stanza, la accolse tra le proprie braccia fornendole il porto sicuro di cui aveva bisogno.
«Maguna!» sussurrò Tony, affondando il naso nei capelli profumati di miele, trovando la pace in quell'esatto momento. Ma, alzando gli occhi, l'unica persona che vide in mezzo a quella folla di persone fu Peter. Peter, con gli occhi rossi dal pianto e il respiro mozzato di chi attende una condanna a morte. Peter che avrebbe solo voluto stringere come stava facendo con Morgan.
«Tony... dove... dov'è lui?» domandò Rhodey con il cuore in gola, non vedendo comparire il Peter Parker del passato.
Tony prese sua figlia per gli avambracci e la staccò delicatamente da sé per guardarla negli occhi. Le sorrise, genuino più che mai, e lei comprese ancora prima di udirlo parlare. Capì e chiuse gli occhi sorridendo e ringraziando qualsiasi divinità sopra l'Albero della Vita.
«Se ne è andato. È tornato nel suo mondo» annunciò Tony, guardando negli occhi una sola persona. Peter. Peter che dovette appoggiarsi al davanzale per non cadere, per non sciogliersi.
E così, dopo un grosso sospiro di sollievo, tutti ripresero a respirare. Qualcuno esultò, qualcuno rise, qualcuno pianse dalla commozione, perché il sentimento di felicità di quell'attimo non si poteva spiegare affatto a parole.
«Papà... sei rimasto... SEI RIMASTO!» singhiozzò Morgan affondando di nuovo il volto contro il petto di suo padre, inzuppandogli la maglietta di lacrime.
«È la soluzione migliore. Pensavi davvero che ti avrei abbandonata, pulce? MAI!» ringhiò Tony, raggiunto in cerchio da tutti gli Avengers e i Guardiani, i quali acclamarono a gran voce. Tutti, tranne Peter. Peter non trovò la forza di camminare. Aveva creduto davvero di poter morire dal dolore, e sentiva di avere bisogno di qualche minuto per riprendersi.
Volse lo sguardo verso Strange, appoggiato con una spalla allo stipite della porta, ed egli rispose al suo sguardo con un sorriso e un cenno del capo. Era felice, Stephen, ma non avrebbe mai detto al ragazzo che, nell'altro futuro possibile che non si era fortunatamente avverato, Peter sarebbe morto da lì a pochi giorni in un attentato a New York. Si sarebbe lasciato andare, troppo depresso per combattere, distratto dai troppi pensieri negativi, e gli sarebbe costata la vita.
No, decisamente non gliel'avrebbe detto, ma si sentì davvero felice che il futuro fosse l'altro. E ci vide dentro cose... meravigliose e bizzarre.
«Oh, papà, non preoccuparti: in ogni caso avrei costruito la mia armatura e sarei venuta a riprenderti per salvarti da Peter-cattivo» annunciò Morgan risoluta, e combattiva più che mai, facendo sorridere tutti i guerrieri.
Beh, sicuro sarebbe giunto presto il giorno in cui la piccola Stark sarebbe divenuta una preziosa alleata nelle missioni.
«Penso che non fosse cattivo, tesoro. Solo... fuori di sé» disse Tony con un sorriso amaro. Gli dispiaceva davvero, per quel ragazzino. Sperò davvero con tutto il cuore che sarebbe andata bene, nel suo mondo. Che tutto fosse filato per il verso giusto nonostante le piccole divergenze create. Pregò che mantenesse la promessa, che si riprendesse da quello stato, che trovasse le forze di andare avanti.
Peter, dalla distanza, si morse l'interno della guancia. Non sapeva davvero cosa pensare, di lui. Il senso di colpa era tornato a divorargli le interiora, ma non avrebbe dovuto badarci. Andava tutto bene. Tony aveva scelto di restare e, con tutta la probabilità, aveva fatto in modo che il giovane Peter capisse, che si convincesse.
«Beh?! A me è venuta fame. Ordiniamo del sushi?» propose Thor per stemperare quel momento di tensione.
«Fai schifo, sono le undici del mattino!» commentò Falcon, storcendo il naso.
«Ok, ok, facciamo messicano» si lagnò il Dio del Tuono, ricercando sul suo palmare il menù del ristorante più vicino.
«Per me delle quesadillas, grazie!» intervenne Morgan, seguita poi a ruota da tutti gli altri supereroi.
Tony sorrise e si guardò intorno e contemplando quel futuro. Amava quel posto, amava quel mondo, amava quella mandria di idioti che erano i suoi amici, amava la vita che gli era stata donata. Poteva essere morto, in quell'istante, e invece era lì. Lì, circondato da tutti coloro che lo amavano nonostante tutti i suoi innumerevoli difetti.
«Stark, tu cosa vuoi?» domandò Quill, intento ad annotare gli ordini.
Tony si morse il labbro e volse uno sguardo verso colui che, tra tutti, non aveva aperto bocca ed era ancora pallido come un cencio.
«Ehm... credo... credo che prima io e Peter dovremmo finire un discorso» mormorò, socchiudendo gli occhi. Era giunto il momento di mantenere la promessa fatta al giovane Parker.
Peter, dal canto suo, si irrigidì ancor di più. Quella giornata era al limite dell'incredibile. In ordine era tornato da una pattuglia finendo nello spazio aperto, aveva confessato il suo più grande segreto all'uomo che amava da sempre, poi si era ritrovato a fare a pugni con se stesso proveniente dal passato, aveva rischiato di perdere il signor Stark un'altra volta e ora... ora tutti erano riuniti a ordinare fajitas come se nulla fosse e Tony gli stava domandando di allontanarsi per parlare. Di nuovo.
Indugiò per qualche secondo, giusto il tempo per creare ancora tensione tra loro.
«Io sono Groot!» esclamò l'albero, rivolgendosi ai suoi compagni di avventure.
«No, Groot, penso che non sia necessario rapirli di nuovo» commentò Rocket il quale, con un balzò, si affiancò a Peter dandogli la spinta necessaria per togliersi da quella benedetta finestra e darsi una svegliata.
Ne aveva pieni i peli della coda di quella tensione tra quei due!
E così, trovando la scintilla per potersi riprendere da quella lunga serie di eventi da cardiopalma, Peter si avviò verso l'uscita. Verso l'unico posto che avrebbe potuto tranquillizzarlo, quel posto vicino al cielo dov'era solito rifugiarsi nei momenti di crisi. Il posto in cui lui e Tony avevano parlato davvero per la prima volta, mesi e mesi prima.
Tony lo seguì in silenzio, senza proferire parola alcuna, lasciandosi così alle spalle quel gruppo di eroi e amici che, ne era certo, si sarebbero divertiti un mondo a tramare alle loro spalle.


 


Tony si sedette accanto a Peter sul cornicione ad ammirare il cielo nuvoloso di inizio febbraio. Le piante spoglie, qualche cumulo di neve ancora non sciolta qua e là. Presto avrebbe nevicato di nuovo.
I loro respiri caldi formarono vapore, gli occhi contornati da occhiaie si persero all'orizzonte alla ricerca di parole, di spiegazioni, di qualunque cosa per iniziare di nuovo a parlare.
«Signor Stark... mi dispiace. Mi sono comportato come un folle» ammise Peter, trovando il pretesto per aprirsi a lui. Il sopracciglio contuso e tagliato dalla lotta contro se stesso gli bruciava da matti, ma poco poteva importargli.
«Eccome! Ma è stato uno spettacolo grandioso, dico sul serio» ridacchiò Tony, con il senno di poi. Al momento, nel vedere i due Spiderman lottare, si era congelato.
Peter si strinse nelle spalle, imbarazzato, cosciente però di aver ripreso forse un colore più simile a quello di un essere vivente. Era rimasto così traumatizzato da ciò che era successo che ancora non aveva realizzato che Tony avesse scelto di rimanere.
Non avrebbe mai pensato che potesse rifiutare quella proposta ma, con tutta probabilità, doveva ringraziare Morgan per la sua scelta. Beh, se non altro ora lui e la ragazza erano alla pari: Peter gli aveva riportato suo padre, Morgan aveva fatto sì che egli rimanesse.
Eppure era ancora tremante e terrorizzato, al solo pensiero che aveva rischiato di guardarlo andare via. E non poteva non essere sincero, a riguardo. Perché tanto, oramai, gli aveva detto tutto, si era messo a nudo per davvero.
«Ho avuto davvero paura di perderla di nuovo» ammise Peter, con un groppo in gola grande come lo scudo di Captain America.
Tony chiuse il ventaglio di ciglia scure per una frazione di secondo e, per quell'attimo, riuscì a percepire sulla sua stessa pelle il dolore provato da Peter.
Lo capiva bene, ma cosa avrebbe potuto dirgli? Ogni parola sarebbe stata vana, vuota, priva di significato. Decise, al contrario, di allungare un braccio verso di lui per trascinarlo a sé, contro di sé, chiudendo in quell'abbraccio ogni speranza di poter placare il terrore del ragazzo. Peter chiuse gli occhi e tentò oltre ogni limite di cacciare indietro le lacrime, afferrando il giaccone del suo mentore per tenersi aggrappato a lui, ispirando profumo di dopobarba proveniente dal suo collo.
E Tony lo strinse di più. Tony non voleva lasciarlo andare, non riusciva. Gli era mancato da quel Natale, da quei due splendidi giorni in montagna che avevano dato inizio a un distacco fin troppo drastico.
Capì che erano stati così sciocchi, così infantili, ma oramai aveva ben compreso le motivazioni che avevano portato Peter a staccarsi. Non erano così stupide, erano... mature. Eppure...
«Pete...» lo chiamò con un sussurrò, costringendolo ad alzare lo sguardo. Stark ringraziò il cielo di trovarsi davanti lui, in quel momento, e non quel ragazzino con cui aveva parlato fino a poco prima. Perché altrimenti sarebbe stato perseguibile penalmente per ciò che fece d'istinto, senza pensare oltre, senza riuscire a trattenersi.
Lo baciò di nuovo senza nemmeno aspettare che egli si avvicinasse di più, troppo attratto da quella bocca rosea scalfita da una ferita fresca. Lo baciò e si domandò come aveva fatto a resistere fino a quel momento, ma ancor di più si domandò come diavolo fece Parker a riuscire a staccarsi in quel momento, esercitando una pressione forte sulle sue scapole.
Beh, quello se lo domandò anche Peter. Dannazione alla sua razionalità. Si schiarì la voce, auto-costringendosi a mettere altri insopportabili puntini sulle i.
«Il discorso è lo stesso di prima, signor Stark» puntualizzò Peter, sospirando.
Tony strabuzzò gli occhi, quasi impressionato.
«Ah sì? Devo farti notare che sono rimasto qui?» denotò con dei gesti plateali.
«P-per Morgan» balbettò Peter, con ovvietà.
«Sì, per Morgan. Ma anche per tutto... questo» disse Tony indicando con le mani il posto in cui erano seduti, la T.S.M.A.F ai loro piedi e, infine, con il dito, puntando direttamente al petto del ragazzo.
«Signor Stark, davvero, non è necessario. Le giuro che possiamo essere amici. Gliel'ho già detto, non voglio essere un rimpiazzo di Pepper, non voglio finire nel dimenticatoio. È molto meglio lasciare le cose com'erano, mi cre-» si apprestò a dire il giovane scuotendo la testa, ma Tony lo interruppe con voce tagliente.
«Hai finito? Posso parlare io, adesso? Sei davvero logorroico, quando ti ci metti. Devo dirti una cosa importante, una cosa che ho promesso al Peter del passato che avrei fatto. Però vorrei avere la possibilità di dirla, visto che fin ora hai parlato solo tu» lo ammonì Tony.
Possibile che quel testardo di un ragazzino non lo stesse mai ad ascoltare e dovesse sempre arrivare a fare l'adulto che sgrida l'adolescente, con lui?
Peter si morse la lingua. L'aria fredda di febbraio gli punse il volto caldo e arrossato.
«Sì, s-signore...» soffiò lui con il cuore in gola. Una cosa importante, aveva detto.
Tony si intenerì a quello sguardo da cucciolo, quello sguardo che conosceva fin troppo bene.
E io volevo che tu fossi migliore.
Ma migliore lo era stato eccome, Peter. Persino migliore di lui. E per quello non poté affatto attendere oltre per dirgli tutto, tutto ciò che provava. Tutto ciò che sentiva. Era il suo turno di montare una filippica, quella volta! Solo che, a differenza del suo protetto, egli parlò lentamente. Chiaro, con voce vellutata, ma fin troppo consapevole che i suoi Stark-monologhi non avessero nulla da invidiare a quelli di Peter, in fatto di delirio.
«Peter, io sono... sono un egocentrico, ricchissimo uomo dal fascino inequivocabile, nonostante non sia più di primo pelo. E poco modesto. Per me basterebbe schioccare le dita – perdona il brutto paragone – e potrei avere donne e uomini ai miei piedi, devi riconoscerlo. L'ho sempre fatto! Oh, sì, anche con gli uomini, per me non ha mai fatto nessuna differenza. Poi ho scelto Pepper, grazie a Dio. L'amavo davvero e mi ha fatto diventare un uomo migliore. E mi sono convinto che sarei stato con lei per il resto dei miei giorni... purtroppo mi sono sbagliato. A volte, nella vita, accade.
Ad ogni modo, Peter, quando ti ho scelto ho visto davvero qualcosa in te, avevi solo quindici anni ma eri... sorprendente! Da tutti i punti di vista. Ovviamente non provavo attrazione fisica nei tuoi confronti, eri solo un ragazzino. Ma ti volevo bene, ma bene sul serio come mai a nessuno prima allo stesso modo. E quando sei scomparso sono stato... male. Da morire, mi sentivo responsabile e mi mancavi per davvero, mi mancava persino il respiro. Sei stato per cinque anni il mio primo pensiero ogni giorno. Non avrei mai immaginato che un bel giorno sarei riuscito a portarti indietro, come non avrei immaginato che tu comparissi dal futuro e mi salvassi da morte certa. Mi hai salvato la vita, hai fatto da padre a mia figlia e ti ho ritrovato... cresciuto. Questa cosa mi lascia tutt'ora senza parole! Sei molto più maturo di me, e questa costante ricerca di razionalità lo dimostra. Ripeto, io sono un egocentrico, miliardario playboy filantropo e ora pure uomo di mezza età... ma non sono stupido. E, che tu ci creda o no, sono maturato pure io. Quello che voglio dirti è che avrei mille e miliardi di modi per scacciare chiodo... ma perché mai dovrei farlo con la persona più importante della mia vita? - Morgan a parte, s'intende. E avrei anche avuto modo di tornare indietro oggi, ma ho scelto di rimanere e ciò che mi ha tenuto qui... sei tu. Sei tu, Peter. Sempre».
Quando Tony finì di parlare, una folata di vento gli scompigliò i capelli scuri. Era maestoso, risplendente di una nuova forza d'animo.
Peter, ricurvo su se stesso, non poteva credere alle proprie orecchie. Fin troppo stupito per comprendere davvero cosa stesse accadendo.
«I-io non... non capisco...» tentennò.
«E sì che ti reputo intelligente!» commentò Tony, sarcastico, sbuffando aria calda in direzione opposta al vento. Fece penzolare le gambe giù dal cornicione e gli sembrò di volare.
Un piccolo raggio di sole illuminò timido il quartier generale, facendo risplendere quello spiazzo in mezzo al bosco di una luce sovrannaturale. Sovrannaturale come ciò che stava accadendo, secondo Peter.
«C-cosa sta cercando di dirmi?» domandò.
Tony alzò gli occhi al cielo senza però trattenere un sorriso sghembo.
«Cristo, Peter! Che provo qualcosa di forte per te! Qualcosa di smisurato! E, anche se non posso prometterti che le cose tra noi andranno sicuramente bene... io ci voglio provare. Anche se ho una ferita fresca nel cuore. Voglio stare con te, perché so che tu potresti aiutarmi a guarire. Stare con te per davvero. Seriamente» rivelò Tony, aggrappandosi con le mani ai bicipiti del suo protetto, stringendoli e scuotendolo per farlo rinsavire da quella condizione catatonica. Comprensibile, del resto, a giudicare da ciò che gli aveva rivelato prima sull'astronave.
Peter, dal canto suo, non sapeva se ridere o piangere. Così, condannato a essere ridicolo, fece entrambe le cose. Era tutto vero. Era tutto vero?
«Non... non posso crederci... è... è vero? Ne è sicuro?» domandò Peter, con il respiro così accelerato che sembrava stesse correndo una maratona.
Tony sorrise, si avvicinò di più e gli posò sulle labbra un bacio veloce, casto. Come quei baci delle fiabe, come quelli che servono per svegliare coloro che dormono da cent'anni.
«Solo se la pianti di darmi del lei» si raccomandò, a pochi centimetri dalle sue labbra. «E solo se mi chiamerai Tony» continuò, contemplando da vicino quegli occhi umidi color nocciola che sapevano infondergli serenità.
Peter rise e si morse il labbro. Sentì il proprio cuore esplodere di una gioia mai avvertita in precedenza e finalmente decise, solo in quell'istante, di fidarsi. Di affidarsi, di crederci per davvero.
Gli occhi di Tony erano così sinceri e cristallini da illuminargli la strada, da rendergli fin troppo facile lasciarsi andare.
«Ok, signor Stark» sibilò Peter, con un ghigno e una strafottenza degna del suo mentore il quale, socchiudendo gli occhi per ammonirlo, si ritrovò le sue labbra sulle proprie.
Per la prima volta. La prima volta che Peter trovò le forze e il coraggio di coronare ogni suo sogno e prendersi ciò che desiderava da dieci anni.
E Tony, quindi, si perse. Si perse in quelle labbra e si ritrovò in un mondo nuovo, fatto di speranza, fatto di nuovi sapori, di disillusioni e illusioni. Si sentì amato e desiderato più di ogni altra volta e comprese fino in fondo perché Peter avesse titubato così tanto, fino a quel momento. Ma gliene fu grato, perché altrimenti mai avrebbe capito quanto profondo fosse il sentimento di quel ragazzo, quanto cuore ci stava mettendo dentro quel bacio e quanto amore avrebbe potuto dargli.
Un amore quasi incondizionato, maturo come quello di un vero uomo ma forte come l'amore adolescenziale di un ragazzino.
Si assaporarono l'uno entrambi con le mani nei capelli dell'altro, quella volta senza frenarsi e, solo quando capirono che stavano per giungere a un punto di non ritorno, si staccarono. Prima di trascinarsi l'uno addosso all'altro e cadere da quel parapetto, possibilmente.
«Oh, Tony...» sussurrò Peter abbassando lo sguardo, in imbarazzo ma così felice di poter raggiungere davvero il cielo. Un cielo che, proprio in quell'istante, decise di lasciar cadere dei fiocchi di neve.
Un segno, forse? Un segno che Tony – quello veramente morto otto anni prima – stesse dando a Peter una sorta di benedizione? Era bello pensarlo.
Peter sollevò le palpebre verso l'uomo che aveva di forte e, non troppo sorpreso, si rese conto che non fosse successo niente. Tony era lì, nonostante l'avesse chiamato per nome.
«L'ultima volta che l'ho chiamata per nome, beh, è stata l'ultima cosa che le ho detto».
«E se fosse la prima?»

Quelle parole acquisirono di senso. La prima. La prima di molte, l'inizio vero di un nuovo capitolo della loro storia.
«Non ti azzardare a evitarmi ancora, Bimbo Ragno» si raccomandò Tony sentendosi scaldare il cuore dal suono del suo nome pronunciato da Peter. Era bello, bellissimo.
«Glie... te lo prometto» annuì questi, sentendosi un poco sciocco. Sciocco per non avergli parlato un mese prima, sciocco per aver giocato a nascondino dalla sera di Natale in poi.
«Uh, e spero che non giunga qui un'altra versione più giovane e più incazzata di te per reclamarmi. Non ce la posso fare a provare attrazione per un ragazzino» grugnì Tony, tirando le labbra in un brivido.
«Oh, devi ammettere che ero così carino!» mormorò Peter ammiccando con le sopracciglia e, in men che non si dica, si ritrovò una mano di Tony dietro la nuca pronta a trainarlo verso di sé.
«Mai come adesso...» soffiò l'uomo, approfondendo poi meglio il contatto che avevano interrotto in precedenza.
Ma, quella volta, non lo interruppero più.


 


L'imbrunire arrivò così in fretta da far perdere loro la cognizione del tempo. Si amarono così tanto da non ricordare più nemmeno che giorno fosse, in che universo fossero, in che luogo, in che pianeta.
Si amarono come se non avessero desiderato altro per una vita intera e, beh, per Peter forse era così per davvero.
Si amarono così a lungo da non accorgersi che la luce aveva lasciato posto al buio e la neve, fuori dalla stanza di Tony, aveva iniziato a cancellare le orme di ogni passaggio. Un bianco splendente come i loro sorrisi tra quelle lenzuola di seta color indaco.
Si scoprirono poco a poco, gustandosi ogni minuto e ogni angolo sulla mappa dei loro corpi. Il nervosismo passò così in fretta da lasciare spazio a contatti ben più approfonditi. Tony trovò un Peter molto più esperto e intraprendente di ciò che si era immaginato. Forse perché, nella sua testa, avrebbe continuato a chiamarlo ragazzino per il resto della sua vita, quando ragazzino più non era.
Peter, dal suo canto, scoprì l'incredibile meraviglia di fare l'amore per amore, non solo per gioco o per passare una serata. Non aveva mai amato nessuno in quel modo, nessun'altro oltre a lui.
E quando, finalmente, si ritrovarono stanchi a stropicciarsi gli occhi l'uno contro l'altro, si lasciarono cullare dal silenzio che solo le giornate di neve sapeva offrire.
Si svegliarono chissà quanto tempo dopo, realizzando che – finalmente – non fosse più solo un sogno.
«Dobbiamo trovare il modo di dirlo a Morgan» disse Tony, dopo ore di silenzio e altri tipi di sussurri, carezzando dolcemente i morbidi boccoli castani chiari di Peter.
Egli sollevò la testa dal suo petto e lo squadrò con aria fin troppo eloquente.
«Oh, credo proprio che lei sia la nostra più grande fan. Insieme a Thor e Quill» svelò Peter sorridendo radioso, felice però che il piano di Tony non fosse affatto quello di tenere celata la cosa.
Beh, del resto Morgan non stava aspettando altro da quel giorno in montagna.
«Dici? Oh, allora entro domani la notizia sarà già di dominio pubblico» constatò Tony, facendo spallucce. Il Dio del Tuono non era esattamente il migliore nel mantenere la segretezza dei loro affari, di vita privata o di lavoro che si trattasse. Uguale, quel vecchio pettegolo del capitano dei Guardiani.
«Almeno ci toglierà dal pensiero di dirlo a Nick Fur-» commentò Peter, ma si interruppe spalancando gli occhi e sollevando di nuovo la testa dal petto di Tony. Egli rispose al suo sguardo spaventato allo stesso identico modo.
Dannazione, il capo dello S.H.I.E.L.D li avrebbe ammazzati, per tale scandalo in un momento già teso. Il caso HIDESTAGE era ancora in corso, del resto. E ben presto ci sarebbero state nuove riunioni, nuove conferenze, nuove missioni da affrontare. Insieme.
«Siamo fottuti!» dissero all'unisono, scoppiando poi in una fragorosa risata. Tony cinse Peter più forte tra le braccia, donandogli l'ennesimo bacio tra i capelli profumati.
Beh, Fury avrebbe solo dovuto farsene una ragione.
Perché mai Ironman e Spiderman non avrebbero potuto avere una relazione, del resto? L'opinione pubblica li avrebbe adorati. C'erano già un sacco di fanfiction, in internet, di loro due insieme!
Risero, poi decisero che ancora non fosse arrivato il momento di uscire da quel fortino che si erano costruiti. Si sfiorarono il naso a vicenda, e tornarono di nuovo ad amarsi e respirare insieme sotto alle lenzuola.


 


Quando, spalla contro spalla, ritornarono nel mondo dei vivi, era oramai quasi ora di cena.
Il consueto fermento all'interno della T.S.M.A.F ricordò loro che non sarebbero mai stati per davvero soli, che condividevano la loro casa con altrettanti supereroi i quali, quando li videro addentrarsi nella grande cucina bianca, non risparmiarono loro occhiate maliziose e qualche fischio d'approvazione.
Tony alzò gli occhi al cielo, Peter arrossì. Entrambi ringraziarono ogni divinità che il loro quartiere generale fosse abbastanza grande da potersi ritagliare degli spazi e dei tempi in completa tranquillità, come quel pomeriggio.
Si scrutarono attorno alla ricerca della medesima persona, trovando la pace per i loro occhi non appena volsero le loro attenzioni alla veranda appena oltre al salotto.
Morgan Stark era là fuori di spalle, seduta sui gradini in marmo che davano sul cortile, a contemplare la neve che ancora, imperterrita, danzava e cadeva lenta giù dal cielo oramai scuro. Era avvolta in un doppio maglione di lana cotta color panna.
Steve, per tenerle compagnia, si era appostato a pochi passi da lei con una trapunta blu scuro sulle gambe. Nonostante avesse passato tanti anni nel ghiaccio, adorava guardare la neve.
Da quanto tempo erano lì fuori? Non avevano freddo?
Peter e Tony sorrisero a quella vista, e si imbambolarono per qualche istante a pensare a quanto fossero fortunati ad avere Morgan nella loro vita. Morgan che, nonostante tutto, era sempre una bomba di allegria, di euforia. Morgan che era stata in grado di affrontare le difficoltà nella vita con coraggio, Morgan che aveva dato loro così tanto che non potevano nemmeno immaginarselo.
Anche perché, forse, se loro erano giunti insieme a quel punto, era solo grazie a lei.
Si infilarono nei loro cappotti in tutta fretta, poi raggiunsero la ragazza sui gradini. Si affiancarono a lei e si sedettero uno alla sua destra e uno alla sua sinistra, mettendole un braccio intorno alle spalle. Entrambi con un sorriso soddisfatto dipinto in volto.
Lei sorrise di rimando, contemplandoli con una nuova luce di speranza negli occhi e lasciandosi stringere in un abbraccio sincero d'amore. Capì, in quel momento, che ciò in cui sperava si fosse davvero realizzato.
Steve, poco distante, guardò il trio abbracciarsi trattenendo a stento la commozione. Era ciò che di più bello potesse augurare a tutti e tre, ed era davvero felice che fosse accaduto per davvero. Ci aveva visto lungo, più lungo addirittura del dottor Strange.
Morgan chiuse gli occhi e si lasciò scaldare ancora un poco dalle braccia di suo padre e di suo zio Peter, immaginando come sarebbe potuta essere la sua vita ora che aveva una nuova famiglia, ora che le persone che amava più al mondo avevano trovato finalmente l'equilibrio che sperava.
«Allora... mi merito la costruzione anticipata dell'armatura?» propose lei con un gran sorriso sornione, sbattendo più volte le lunghe e folte ciglia nere.
«Uh, forse forse...» ponderò il padre, carezzandosi il pizzetto sotto al mento.
«Tony!» lo redarguì Peter, con uno sguardo dolce e severo allo stesso tempo. Avevano già discusso di quel fatto. E contrattato.
Forse era stata proprio in quell'occasione che, agli occhi di Morgan, erano sembrati una vecchia coppia di sposi per davvero.
«Ok, ok. Eravamo rimasti a quando avrai sedici anni e sedici rimarranno. Altrimenti Parker mi tiene il muso!» sbuffò Tony dando un buffetto sulla guancia della figlia e facendo l'occhiolino a Peter. Egli, di rimando, scosse la testa e sorrise.
Sarebbero stati una famiglia meravigliosa.
Lei incrociò le braccia e alzò gli occhi al cielo, in un gesto che la rendeva identica a suo padre. «Che palle!» Beh, perlomeno ci aveva provato. Oh, ma avrebbe operato tecniche di convincimento spietate per riuscire a guadagnare anche solo qualche mese di anticipo.
Desiderava quell'armatura.
«Linguaggio, signorinella!» l'ammonì  Cap il quale, divertito, stava assistendo a qualcosa di assolutamente magnifico.
«Scusa, zio Steve» ridacchiò lei distendendo nuovamente il viso mostrando al paesaggio quella fila perfetta di denti bianchi e drittissimi. Un sorriso dolce come quello di sua madre.
«Incredibile, ha l'udito di un ventenne!» convenne Tony a bassa voce.
Peter, dal canto suo, avrebbe voluto davvero che quel piccola piccola bolla di serenità durasse per sempre, ma sapeva che quella notte sarebbe dovuto tornare tra le strade di New York ad affrontare il crimine. Era pur sempre l'amichevole Spiderman di quartiere!
Si beò dei sorrisi delle persone che più amava e si scaldò così il cuore in quella serata gelida di inizio febbraio. Sì, decisamente il Peter del passato si sarebbe reso conto bene, quel giorno, quanto ne sarebbe valsa la pena aspettare otto anni per poter avere tutto quello.
Quando la porta-finestra dell'ingresso al salotto si aprì, ne uscì fuori un Thor piuttosto trionfante con il suo pad rinforzato nuovo di zecca.
«Allora, mocciosa, rivincita?» propose, rivolgendosi alla piccola Stark.
«Ri-perdita vorrai dire! Zio Peter, mi aiuti tu? Io uso Ironman e tu Spidey». Morgan scattò in piedi, allungando una mano per aiutarlo ad alzarsi.
Peter ghignò beffardo. Il crimine avrebbe potuto aspettare almeno il tempo di una sfida!
«Subito, pulce. Andiamo a fargli il deretano a strisce» ringhiò, ben certo che l'accoppiata di personaggi scelti da Morgan fossero letali almeno quanto nella vita reale. E così, avviandosi verso l'ingresso, Peter si voltò giusto qualche secondo per poter lanciare un'occhiata d'intesa a lui. A Tony.
Egli rispose allargando le braccia e alzando le sopracciglia.
Nel vederlo entrare con il braccio attorno alle spalle di Morgan, Tony ebbe un fremito e si rese conto di quanto fosse fortunato ad avere Peter nella sua vita.
Bimbo-Ragno era cresciuto. Era un Avenger con i contro fiocchi, un uomo coraggioso, un padre amorevole, un amico leale e il compagno di vita che ogni persona al mondo avrebbe meritato di avere.
Con le mani nelle tasche del giaccone e il naso infilato nella sciarpa grigia, Tony si deliziò della vista di quel branco di super-bambini troppo cresciuti che ridevano ed esultavano davanti alla televisione. Li vide ridere.
Peter gli aveva donato la vita, lui l'aveva accolta e ne aveva saputo fare ciò che di meglio avrebbe potuto fare. Era un miracolo, un autentico miracolo.
«Allora... vedo che hai seguito il mio consiglio» mormorò Steve, affiancandosi a lui guardandolo dal basso della sua carrozzina, con i grandi occhi azzurri brillanti di gioia. Un lieto fine.
Tony ridacchiò e pensò che il mondo fosse davvero, davvero cambiato se doveva essere costretto a dar ragione a Captain Ghiacciolo. Gli posò una mano sulla spalla e la strinse, estasiato.
«Esattamente come tu avevi seguito il mio» annuì Tony, rispondendo allo sguardo con tenerezza, amicizia. Si sorrisero di nuovo, poi ripresero a scrutare all'interno di quelle vetrate mezze appannate che, però, offrivano loro lo spettacolo migliore in tutto l'universo.
La guerra civile era finita da un pezzo, ma mai come in quel momento si poteva affermare che tutti i pezzi del puzzle fossero tornati al loro posto. Anche tra i due più acerrimi nemici-amici della storia degli Avengers.
«Grazie, Tony» mormorò il Capitano. Posò la mano nodosa su quella del suo amico, stringendola con la forza che rimaneva a un povero vecchio.
Tony Stark strinse le labbra tremanti e avvertì il proprio cuore gonfiarsi di orgoglio.
Contemplò ciò che aveva costruito e si sentì grato. Vide tutti i suoi amici ridere e il petto gli si riempì di gioia. Li amava tutti, dal primo all'ultimo.
Ma Morgan e Peter... beh, loro li amava tremila.
«Grazie a te, Steve».


 
Fine
 
ANGOLO AUTRICE:
... da non crederci, no? Siamo giunti così al gran finale. Direi un gran, grandissimo finale, per i nostri due protagonisti.
Per il povero Peter del passato, invece, è solo l'inizio dell'attesa. Che dite, le cose andranno per lui come sono andate per Peter? Voglio lasciarvi con questo dubbio, nel quale ci sto bene pure io. Chi sono io per saperlo, del resto? Quello che credo è che qualcosa potrebbe senz'altro cambiare. Non c'è stato nessuun "Io sono Ironman", in quella dimensione. Ma voglio restare nell'incognita. Sarei molto curiosa di sapere le vostre teorie su come potrebbe andare :)
Avete invece apprezzato il destino che ho scelto per i nostri amati personaggi della dimensione attuale? A loro, del resto, è andata molto bene. Come sono carini! *-* 
Mi mancherà tanto scrivere di loro, mi mancherà in generale portare avanti questo "esperimento", la mia primissima storia in questo fandom. Ma, come avevo già detto ad alcuni, mi piace sperimentarmi sempre in nuove questioni.
Al momento mi prenderò una piccola pausa dalle pubblicazioni, ma con i primi mesi dell'anno nuovo credo che pubblicherò, nel fandom di Harry Potter, la mia primissima long Drarry. 
Se avete piacere seguitemi sulla mia pagina Fb o Instagram: Eevaa Fanwriter. Sarei felice di rimanere in contatto con voi :) lì vi terrò anche aggiornati sulle future pubblicazioni.
Ci tenevo in particolar modo a ringraziare tutti coloro che hanno speso del tempo per recensire questa storia, tutti coloro che l'hanno messa tra le seguite e le preferite e anche chi ha letto quieto ed in silenzio! Siete stati tutti preziosissimi! In particolar modo ci tengo a ringraziare Miryel, sei stata una vera ispirazione! Grazie, grazie, grazie!
Vi mando un forte abbraccio uno per uno, e a presto!
Eevaa




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