La piratessa

di lady lina 77
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La sua casa era sempre stata un nido per lui, da quando aveva conosciuto Demelza. Raramente lo era stata quando era stato un bambino solitario cresciuto da due servi ubriaconi e di certo non le era quando, tornato dall'America, l'aveva trovata in stato di abbandono e senza più nessuno a dargli il bentornato. E di certo non lo era ora, senza di lei e senza le vocine allegre dei loro due vivacissimi bambini...

Seduto davanti al caminetto, imponendosi di non impazzire per quel prolungato silenzio, Ross cercò di trovare pensieri positivi. L'invasione era vicina e conoscendo date, nomi e luoghi, aveva inviato delle missive a chi contava, a Londra. Una corrispondenza fitta e segreta aveva accompagnato le serate dell'ultima settimana e presto sarebbe giunto l'esercito inglese, in una imboscata che si stava preparando ad arte nella capitale, a porre fine a quel grande pericolo che, senza che la gente di Cornovaglia lo sapesse, incombeva su di loro. Wikhman si era mostrato entusiasta del suo lavoro e lo voleva a Londra ad emergenza finita per qualche strano e misterioso motivo a lui ancora ignoto e finalmente si sarebbe scrollato di dosso quella sua odiosa copertura che lo stava portando ad odiare se stesso. Fingersi un traditore del proprio paese e dei propri affetti, un uomo senza scrupoli e fingere amore... amore e attrazione per Tess... Santo cielo, gli veniva la nausea ogni volta che lei apriva bocca per parlare con quella sua voce sgradevole o che lo sfiorava in un malriuscito gioco di seduzione...

Voleva Demelza, la sua Demelza, il suo amore, la sua luce, la sua casa e soprattutto, la parte migliore di lui. E Jeremy, il bimbo più dolce e assennato che esistesse al mondo, che si prendeva cura di sua madre e di sua sorella durante le sue lunghe assenze. E Clowance, la sua bambolina biondissima e bella, che col suo fascino lo aveva stregato fin dalla nascita e presto avrebbe stregato ogni giovanotto di quell'angolo di Inghilterra. Santo cielo, sperava ardentemente, ogni volta che pensava a lei, che non smettesse troppo presto di giocare con quella sua bambolina dai capelli rossi che adorava perché... "Papà, ha i capelli belli come mamma".

Voleva la sua famiglia, Garrick coi suoi disastri, Prudie col suo borbottare perenne, il casino dei bambini e la sera, tranquilla e calma, davanti al camino a chiacchierare con sua moglie prima di andare a letto e far cessare le parole per fare altro, insieme...

In quei giorni, pensando a loro, la preoccupazione lo aveva consumato. La gravidanza, il cuore spezzato di Demelza, le mille domande che si stavano probabilmente facendo i suoi figli, i pensieri di Dwight sul suo conto... Si era dovuto imporre di star lontano dalla dimora degli Enys per chiedere di loro o tentare di chiarire, altrimenti la sua copertura sarebbe crollata e avrebbe messo tutti in pericolo. Aveva tenuto duro a lungo, doveva farlo solo un altro pò e poi sarebbe andato a riprenderli e Demelza avrebbe capito il perché... Forse si sarebbe arrabbiata, forse lo avrebbe rimproverato per la sua avventatezza, forse avrebbe avuto anche ragione. Anzi, sicuramente! Ma lo avrebbe perdonato e insieme avrebbero aspettato l'arrivo del loro nuovo bambino. In passato aveva avuto paura, dopo Julia, di accogliere una nuova vita e anche ora ne aveva, sì, ma stavolta questo non gli impediva di provare gioia. Certo, c'erano le preoccupazioni per la salute di Demelza, le mille incognite del parto, il terrore delle malattia, ma... Era un bimbo arrivato al termine di un lungo e duro percorso quello, concepito da un amore maturo, consapevole e senza ombre a gravare su di loro. Eccetto questo, questo stupido e pericoloso gioco, l'amore per sua moglie era e sarebbe sempre stato fuori discussione. Avevano superato Elizabeth, Hugh e anche la presenza di Valentine in quella casa e Ross sapeva che, anche se non ne avevano mai parlato apertamente, per Demelza era un dolore vedere quel bambino ed entrambi erano consapevoli del perché. Eppure lo aveva accolto con la stessa dolcezza con cui accoglieva in un abbraccio i loro figli e lui in quel momento l'aveva guardata e aveva realizzato che nessun uomo al mondo poteva amare una donna come lui amava lei... Era immensa, era sua e ne era orgoglioso.

Guardandosi attorno, si rese conto che voleva fare qualcosa per lei perché potesse sorridere appena l'avesse portata a casa. E qualcosa da fare c'era e lo avrebbe fatto con piacere.

Si alzò dal divano, abbandonò il tepore del camino e fece per incamminarsi verso il magazzino sotto le scale quando udì la porta cigolare.

Guardingo si bloccò, pensando fosse di nuovo il generale Troussaud che la sera veniva spesso, per pianificare l'invasione dell'Inghilterra o far passare il tempo. Un uomo volgare, che a Ross non piaceva ma di cui aveva dovuto fingersi amico per carpirne la fiducia, un uomo pericoloso e assolutamente letale, se fosse riuscito nel suo intento. Lui lo considerava un amico e ogni tanto, soprattutto ultimamente, quando imbruniva veniva da lui per fare due chiacchiere su donne o guerra o per tirare di scherma. Era un abile spadaccino e Ross aveva dovuto rispolverare quell'antica arte spesso praticata da ragazzo ma in cui era un pò arrugginito.

Ma quella sera non era Troussaud, era qualcuno di peggio e l'idea che fosse lì, che fossero soli nella casa sua e di Demelza, gli fece accapponare la pelle. "Tess? Che ci fai quì?" - chiese gelido, appena realizzò che era lei.

La ragazza, appoggiata con aria spavalda e sicura all'uscio della porta, vestita con un abito giallo, intrecciò le braccia al petto. "Visto che dalle mie parti non ti avventuri mai e visto che conosco la tua casa, ho pensato di essere io la gatta e tu il topo da inseguire".

Ross strinse i pugni. "E' tardi, aggirarsi nei campi di notte e al buio può essere pericoloso e dovresti rientrare subito".

Lei alzò le spalle. "Sono quì, sana e salva. Che problema c'è?".

"Che hai la strada di ritorno, da fare... Ed è notte".

Come se non lo avesse sentito e non avesse inteso il significato delle sue parole, Tess gli si avvicinò fino ad arrivargli a un palmo. Gli cinse la vita con le mani, gli sfiorò il petto e la gola con il mento e poi tentò di morderlo dietro all'orecchio. "Ritornerò... quando sarà l'alba, col chiaro. Volevo fermarmi quì...".

Ross si allontanò di scatto, come al solito schifato dalla sua vicinanza. "Tess, vattene!" - le ordinò con foga, preso alla sprovvista.

Ma lei insistette. "I francesini sono a nanna, non ci sono armi da nascondere o lavori da fare, nessuna scusa che ci possa allontanare. E lo desideriamo, no?".

Ross deglutì. L'avrebbe volentieri sbattuta fuori casa a calci per la sua sfrontatezza ma non poteva farlo, così come però non poteva permetterle di avvicinarsi troppo. Doveva trovare una via di mezzo che fosse tutelante per lui e non mettesse la pulce nell'orecchio a lei. Non era particolarmente intelligente, ma Tess poteva comunque diventare pericolosa. "Certo, lo desideriamo. Ma non oggi, non quì".

"Perché? La tua signora è tornata? La si può rimandare dagli Enys con una scusa. O con un calcio nel sedere, sei o non sei tu l'uomo di casa? Sei o non sei tu quello che comanda e le insegna quale sia il suo posto? Era una sguattera, ora non la ami più, che torni ad essere una sguattera e smetta di darsi tutte quelle arie da gran signora".

L'avrebbe presa a schiaffi e quel calcio lo avrebbe voluto dare a lei, all'istante. Era un desiderio poco nobile ma al diavolo, se Tess diceva ancora mezza parola su Demelza, sulla sua splendida Demelza a cui quella ragazza non aveva nemmeno il diritto di pulire le scarpe, lo avrebbe fatto. "NON-STASERA!".

"Perché?".

"Perché sto preparando dei documenti che Troussaud vuole pronti per domattina. Delle mappe aggiornate delle gallerie" – le rispose, cupo.

Tess sbuffò, sedendosi con noncuranza sul divano. "Troussaud e i francesini sono una noia".

Ross la guardò storto, gelido e con sguardo tagliente. "Attenta a quel che dici. Stai tradendo il tuo paese e se tradirai anche i francesi o loro penseranno ciò, sarà anche dai FRANCESINI che dovrai scappare. Il cappio o la ghigliottina sono ugualmente letali, non dimenticarlo".

Tess si oscurò. "Mi stai minacciando?".

"Ti sto mettendo in guardia".

Stizzita, Tess si alzò dal divano. Gli si avvicinò e nuovamente, con un gesto veloce, lo graffiò, stavolta sulla guancia. "Come sei premuroso, capitano".

"Sempre, Tess...".

Lei sostenne il suo sguardo e poi, vagamente arrabbiata e stizzita, si strinse nel suo scialle. "Visto che mi ami e non vorresti vedermi con la testolina tagliata, me ne vado. Ma ci vedremo presto... La tua casa è nostra ed è vuota".

Basta, era troppo! "Non è la NOSTRA casa! E' mia, non tua!".

Lei sorrise, freddamente, fingendo finta innocenza. "Ma lo sarà... La mia reggia e la camera di sopra, la nostra alcova... Dì a tua moglie di portare via le sue cose o presto potrei fargliele trovare gettate nel giardino di Killawarren".

Ross non rispose a quell'ennesima provocazione, era troppo stupida e piena di se per darle retta e attenzione. Che parlasse, che si illudesse! Ancora pochi giorni e quella farsa sarebbe finita e allora gli avrebbe fatto pagare ogni cosa. "Buona serata, Tess. Torna a casa".

"Sì, capitano" – sussurrò lei, sensuale. "Vuoi accompagnarmi?".

"No, mi fa male la caviglia, stasera".

Lei sorrise, maliziosa. "La tua vecchia ferita di guerra, certo. Che eroe...".

Uscì, chiudendosi la porta dietro le spalle. E Ross giurò a se stesso che non avrebbe mai più permesso a quella donna che disprezzava Demelza e che l'aveva messa in pericolo assieme ai loro figli dando fuoco a Nampara, di rimettere piede lì. No, mai più! Nampara era la sua casa, la casa di Demelza, Jeremy e Clowance. E presto di un nuovo bimbo o bimba... Solo questo contava!

Rimasto solo, tentò di trovare qualcosa per calmarsi quando si ricordò che stava per fare qualcosa di piacevole per se e per la sua famiglia, quando era stato interrotto dall'arrivo di Tess. E nonostante tutto sorrise, quella piccola operazione sarebbe stata piacevole e avrebbe addolcito la sua serata.

Andò nello sgabuzzino, spostò alcune casse e scatole e finalmente trovò cosa stava cercando, la culla che aveva ospitato i sonni dei loro bambini appena nati. La prese, la osservò con dolcezza e la sfiorò con la mano, accorgendosi che la vernice si era rovinata. Aveva bisogno di una ritinteggiata e lui aveva della vernice bianca nella stalla che faceva al caso suo. Sarebbe stata perfetta per la culla di un bimbo o una bimba, Demelza l'avrebbe adorata.

E rinfrancato di nuovo spirito, si avviò nella notte a prendere tutto l'occorrente per la culla di quel nuovo figlio che non vedeva l'ora di abbracciare.





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