La
sua casa era sempre stata un nido per lui, da quando aveva conosciuto
Demelza. Raramente lo era stata quando era stato un bambino solitario
cresciuto da due servi ubriaconi e di certo non le era quando,
tornato dall'America, l'aveva trovata in stato di abbandono e senza
più nessuno a dargli il bentornato. E di certo non lo era
ora, senza
di lei e senza le vocine allegre dei loro due vivacissimi bambini...
Seduto
davanti al caminetto, imponendosi di non impazzire per quel
prolungato silenzio, Ross cercò di trovare pensieri
positivi.
L'invasione era vicina e conoscendo date, nomi e luoghi, aveva
inviato delle missive a chi contava, a Londra. Una corrispondenza
fitta e segreta aveva accompagnato le serate dell'ultima settimana e
presto sarebbe giunto l'esercito inglese, in una imboscata che si
stava preparando ad arte nella capitale, a porre fine a quel grande
pericolo che, senza che la gente di Cornovaglia lo sapesse, incombeva
su di loro. Wikhman si era mostrato entusiasta del suo lavoro e lo
voleva a Londra ad emergenza finita per qualche strano e misterioso
motivo a lui ancora ignoto e finalmente si sarebbe scrollato di dosso
quella sua odiosa copertura che lo stava portando ad odiare se
stesso. Fingersi un traditore del proprio paese e dei propri affetti,
un uomo senza scrupoli e fingere amore... amore e attrazione per
Tess... Santo cielo, gli veniva la nausea ogni volta che lei apriva
bocca per parlare con quella sua voce sgradevole o che lo sfiorava in
un malriuscito gioco di seduzione...
Voleva
Demelza, la sua Demelza, il suo amore, la sua luce, la sua casa e
soprattutto, la parte migliore di lui. E Jeremy, il bimbo
più dolce
e assennato che esistesse al mondo, che si prendeva cura di sua madre
e di sua sorella durante le sue lunghe assenze. E Clowance, la sua
bambolina biondissima e bella, che col suo fascino lo aveva stregato
fin dalla nascita e presto avrebbe stregato ogni giovanotto di
quell'angolo di Inghilterra. Santo cielo, sperava ardentemente, ogni
volta che pensava a lei, che non smettesse troppo presto di giocare
con quella sua bambolina dai capelli rossi che adorava
perché...
"Papà, ha i capelli belli come mamma".
Voleva
la sua famiglia, Garrick coi suoi disastri, Prudie col suo borbottare
perenne, il casino dei bambini e la sera, tranquilla e calma, davanti
al camino a chiacchierare con sua moglie prima di andare a letto e
far cessare le parole per fare altro, insieme...
In
quei giorni, pensando a loro, la preoccupazione lo aveva consumato. La
gravidanza, il cuore spezzato di Demelza, le mille domande che si
stavano probabilmente facendo i suoi figli, i pensieri di Dwight sul
suo conto... Si era dovuto imporre di star lontano dalla dimora degli
Enys per chiedere di loro o tentare di chiarire, altrimenti la sua
copertura sarebbe crollata e avrebbe messo tutti in pericolo. Aveva
tenuto duro a lungo, doveva farlo solo un altro pò e poi
sarebbe
andato a riprenderli e Demelza avrebbe capito il perché...
Forse si
sarebbe arrabbiata, forse lo avrebbe rimproverato per la sua
avventatezza, forse avrebbe avuto anche ragione. Anzi, sicuramente!
Ma lo avrebbe perdonato e insieme avrebbero aspettato l'arrivo del
loro nuovo bambino. In passato aveva avuto paura, dopo Julia, di
accogliere una nuova vita e anche ora ne aveva, sì, ma
stavolta
questo non gli impediva di provare gioia. Certo, c'erano le
preoccupazioni per la salute di Demelza, le mille incognite del
parto, il terrore delle malattia, ma... Era un bimbo arrivato al
termine di un lungo e duro percorso quello, concepito da un amore
maturo, consapevole e senza ombre a gravare su di loro. Eccetto
questo, questo stupido e pericoloso gioco, l'amore per sua moglie era
e sarebbe sempre stato fuori discussione. Avevano superato Elizabeth,
Hugh e anche la presenza di Valentine in quella casa e Ross sapeva
che, anche se non ne avevano mai parlato apertamente, per Demelza era
un dolore vedere quel bambino ed entrambi erano consapevoli del
perché. Eppure lo aveva accolto con la stessa dolcezza con
cui
accoglieva in un abbraccio i loro figli e lui in quel momento l'aveva
guardata e aveva realizzato che nessun uomo al mondo poteva amare una
donna come lui amava lei... Era immensa, era sua e ne era orgoglioso.
Guardandosi
attorno, si rese conto che voleva fare qualcosa per lei
perché
potesse sorridere appena l'avesse portata a casa. E qualcosa da fare
c'era e lo avrebbe fatto con piacere.
Si
alzò dal divano, abbandonò il tepore del camino e
fece per
incamminarsi verso il magazzino sotto le scale quando udì la
porta
cigolare.
Guardingo
si bloccò, pensando fosse di nuovo il generale Troussaud che
la sera
veniva spesso, per pianificare l'invasione dell'Inghilterra o far
passare il tempo. Un uomo volgare, che a Ross non piaceva ma di cui
aveva dovuto fingersi amico per carpirne la fiducia, un uomo
pericoloso e assolutamente letale, se fosse riuscito nel suo intento.
Lui lo considerava un amico e ogni tanto, soprattutto ultimamente,
quando imbruniva veniva da lui per fare due chiacchiere su donne o
guerra o per tirare di scherma. Era un abile spadaccino e Ross aveva
dovuto rispolverare quell'antica arte spesso praticata da ragazzo ma
in cui era un pò arrugginito.
Ma
quella sera non era Troussaud, era qualcuno di peggio e l'idea che
fosse lì, che fossero soli nella casa sua e di Demelza, gli
fece
accapponare la pelle. "Tess? Che ci fai quì?" - chiese
gelido, appena realizzò che era lei.
La
ragazza, appoggiata con aria spavalda e sicura all'uscio della porta,
vestita con un abito giallo, intrecciò le braccia al petto.
"Visto
che dalle mie parti non ti avventuri mai e visto che conosco la tua
casa, ho pensato di essere io la gatta e tu il topo da inseguire".
Ross
strinse i pugni. "E' tardi, aggirarsi nei campi di notte e al
buio può essere pericoloso e dovresti rientrare subito".
Lei
alzò le spalle. "Sono quì, sana e salva. Che
problema c'è?".
"Che
hai la strada di ritorno, da fare... Ed è notte".
Come
se non lo avesse sentito e non avesse inteso il significato delle sue
parole, Tess gli si avvicinò fino ad arrivargli a un palmo.
Gli
cinse la vita con le mani, gli sfiorò il petto e la gola con
il
mento e poi tentò di morderlo dietro all'orecchio.
"Ritornerò...
quando sarà l'alba, col chiaro. Volevo fermarmi
quì...".
Ross
si allontanò di scatto, come al solito schifato dalla sua
vicinanza.
"Tess, vattene!" - le ordinò con foga, preso alla
sprovvista.
Ma
lei insistette. "I francesini sono a nanna, non ci sono armi da
nascondere o lavori da fare, nessuna scusa che ci possa allontanare.
E lo desideriamo, no?".
Ross
deglutì. L'avrebbe volentieri sbattuta fuori casa a calci
per la sua
sfrontatezza ma non poteva farlo, così come però
non poteva
permetterle di avvicinarsi troppo. Doveva trovare una via di mezzo
che fosse tutelante per lui e non mettesse la pulce nell'orecchio a
lei. Non era particolarmente intelligente, ma Tess poteva comunque
diventare pericolosa. "Certo, lo desideriamo. Ma non oggi, non
quì".
"Perché?
La tua signora è tornata? La si può rimandare
dagli Enys con una
scusa. O con un calcio nel sedere, sei o non sei tu l'uomo di casa?
Sei o non sei tu quello che comanda e le insegna quale sia il suo
posto? Era una sguattera, ora non la ami più, che torni ad
essere
una sguattera e smetta di darsi tutte quelle arie da gran signora".
L'avrebbe
presa a schiaffi e quel calcio lo avrebbe voluto dare a lei,
all'istante. Era un desiderio poco nobile ma al diavolo, se Tess
diceva ancora mezza parola su Demelza, sulla sua splendida Demelza a
cui quella ragazza non aveva nemmeno il diritto di pulire le scarpe,
lo avrebbe fatto. "NON-STASERA!".
"Perché?".
"Perché
sto preparando dei documenti che Troussaud vuole pronti per
domattina. Delle mappe aggiornate delle gallerie" – le
rispose, cupo.
Tess
sbuffò, sedendosi con noncuranza sul divano. "Troussaud e i
francesini sono una noia".
Ross
la guardò storto, gelido e con sguardo tagliente. "Attenta a
quel che dici. Stai tradendo il tuo paese e se tradirai anche i
francesi o loro penseranno ciò, sarà anche dai
FRANCESINI che
dovrai scappare. Il cappio o la ghigliottina sono ugualmente letali,
non dimenticarlo".
Tess
si oscurò. "Mi stai minacciando?".
"Ti
sto mettendo in guardia".
Stizzita,
Tess si alzò dal divano. Gli si avvicinò e
nuovamente, con un gesto
veloce, lo graffiò, stavolta sulla guancia. "Come sei
premuroso, capitano".
"Sempre,
Tess...".
Lei
sostenne il suo sguardo e poi, vagamente arrabbiata e stizzita, si
strinse nel suo scialle. "Visto che mi ami e non vorresti
vedermi con la testolina tagliata, me ne vado. Ma ci vedremo
presto... La tua casa è nostra ed è vuota".
Basta,
era troppo! "Non è la NOSTRA casa! E' mia, non tua!".
Lei
sorrise, freddamente, fingendo finta innocenza. "Ma lo
sarà...
La mia reggia e la camera di sopra, la nostra alcova... Dì a
tua
moglie di portare via le sue cose o presto potrei fargliele trovare
gettate nel giardino di Killawarren".
Ross
non rispose a quell'ennesima provocazione, era troppo stupida e piena
di se per darle retta e attenzione. Che parlasse, che si illudesse!
Ancora pochi giorni e quella farsa sarebbe finita e allora gli
avrebbe fatto pagare ogni cosa. "Buona serata, Tess. Torna a
casa".
"Sì,
capitano" – sussurrò lei, sensuale. "Vuoi
accompagnarmi?".
"No,
mi fa male la caviglia, stasera".
Lei
sorrise, maliziosa. "La tua vecchia ferita di guerra, certo. Che
eroe...".
Uscì,
chiudendosi la porta dietro le spalle. E Ross giurò a se
stesso che
non avrebbe mai più permesso a quella donna che disprezzava
Demelza
e che l'aveva messa in pericolo assieme ai loro figli dando fuoco a
Nampara, di rimettere piede lì. No, mai più!
Nampara era la sua
casa, la casa di Demelza, Jeremy e Clowance. E presto di un nuovo
bimbo o bimba... Solo questo contava!
Rimasto
solo, tentò di trovare qualcosa per calmarsi quando si
ricordò che
stava per fare qualcosa di piacevole per se e per la sua famiglia,
quando era stato interrotto dall'arrivo di Tess. E nonostante tutto
sorrise, quella piccola operazione sarebbe stata piacevole e avrebbe
addolcito la sua serata.
Andò
nello sgabuzzino, spostò alcune casse e scatole e finalmente
trovò
cosa stava cercando, la culla che aveva ospitato i sonni dei loro
bambini appena nati. La prese, la osservò con dolcezza e la
sfiorò
con la mano, accorgendosi che la vernice si era rovinata. Aveva
bisogno di una ritinteggiata e lui aveva della vernice bianca nella
stalla che faceva al caso suo. Sarebbe stata perfetta per la culla di
un bimbo o una bimba, Demelza l'avrebbe adorata.
E
rinfrancato di nuovo spirito, si avviò nella notte a
prendere tutto
l'occorrente per la culla di quel nuovo figlio che non vedeva l'ora
di abbracciare.
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