Accompagnatrice
Cinque
minuti alla undici, e nonostante la lettera di Silente Harry non
aveva avuto il coraggio di farsi molte aspettative. Se guardava fuori
dalla finestra era più che altro perché non c'era
molto di meglio da
fare. Edwige era a caccia, buon per lei. Era troppo tardi per mettersi
a fare i compiti (e prima era
troppo presto, e il giorno precedente era troppo in ansia, quello
ancora prima era troppo arrabbiato). Di preparare il baule non se ne
parlava, non avrebbe potuto sopportare l'idea di essere pronto a
partire con il preside e venire invece dimenticato lì dai
Dursley come
al solito, isolato da tutto e da tutti, messo in panchina senza nessuna
buona ragione apparente o, almeno, nessuna ragione che qualcuno si
degnasse di spiegargli.
Di leggere la Gazzetta del Profeta neanche a
parlarne. I giornali sparsi ovunque per la stanza piuttosto lurida si
dividevano in due categorie: i numeri che ormai conosceva a memoria e
quelli che a malapena era riuscito a leggere, nascosti sotto quelli
più
recenti. La Gazzetta di quella mattina rientrava nella prima categoria,
lo faceva sentire ancora più distante da tutto con i suoi
articoli un
po' riciclati sugli omicidi Vance e Bones, sul ponte crollato, sulla
tragedia a West Country. Nelle pagine interne, l'unico
articolo a
cui aveva
dato solo una scorsa veloce, con il cuore che sembrava raggrinzirsi
dolorosamente ad ogni battito e un peso improvviso sullo stomaco: "Ancora nessun commento sulle
condizioni
della giovane Ginevra Weasley", iniziava, per poi
continuare come tutti
gli altri articoli su quell'argomento. Un breve riassunto sulla
battaglia all'Ufficio Misteri, in cui venivano citati solo i nomi degli
studenti coinvolti (e solo quello di Harry veniva ripetuto
più volte),
mentre i membri dell'Ordine della Fenice venivano citati di sfuggita
come "tempestivo
intervento di alcuni Auror e volontari informati dei
fatti". Ancora nessun accenno su Sirius, e dalle lettere
del padrino
Harry aveva avuto la distinta impressione che niente fosse cambiato.
Che fosse ancora un reietto, un ricercato, ancora prigioniero a
Grimmauld Place, per quanto questo gli sembrasse assurdo. Se i membri
dell'ES erano eroi, se gli "Auror e volontari" lo erano altrettanto,
anche se meno citati... perché non Sirius? Ma le lettere che
riceveva
dal suo padrino non lo volevano o non lo potevano spiegare, vaghe come
tutto il resto della sua corrispondenza non troppo fitta con i membri
dell'Ordine della Fenice o Hermione, scritte con la stessa
scarsità di
informazioni di quelle che riceveva l'anno prima.
Da Ron, ancora nessuna lettera.
Stava
rimuginando di nuovo su questo, con una sferzata d'ansia che lo
costringeva prima a tamburellare col tallone contro il pavimento, e poi
a camminare per la stanza, ignorando la finestra, con le mani ficcate
nelle tasche dei jeans cadenti e una postura raccolta, nervosa, quando
sentì aprirsi una porta - la porta, quella
d'ingresso, la riconosceva -
e, subito dopo, la voce con toni insolitamente acuti di zio Vernon.
«E
lei chi diavolo è?!»
Non
volava così dall'ultima volta che aveva cavalcato la sua
Firebolt,
quindi troppo tempo fa in effetti, grazie alla Umbridge.
Toccava a
malapena i gradini con le suole mezze scollate delle scarpe da
ginnastica vecchie di Dudley, ma la discesa a rotta di collo ebbe uno
stop improvviso sul penultimo gradino. Restò
bloccato, aggrappato al
corrimano e con il corpo un po' sbilanciato in avanti. Non
osò
procedere oltre.
Era sempre meglio rimanere fuori dalla portata di
Vernon, cosa in realtà non difficile visto che col passare
degli anni
la sua pancia rischiava sempre più di arrivare ad avere una
portata
maggiore di quella delle sue braccia, ma non fu certo la prudenza a
bloccarlo là sulle scale, con gli occhi enormi di sorpresa e
gli
occhiali storti.
Non si aspettava Silente, è vero, però non si
aspettava neanche... questo.
Sull'uscio
della porta d'ingresso, esitante ma con la schiena dritta e il mento
alto, c'era... Esther? Jones? Un membro dell'Ordine della Fenice, di
questo Harry era certo. Abbastanza certo. Che fosse una strega, con
pochi contatti coi Babbani, era ancora più certo, dato
l'abbigliamento
a suo modo splendido, se vogliamo, ma ben poco adatto alla tranquilla
ordinarietà di Privet Drive.
Niente mantello, bensì qualcosa che
somigliava più a una vestaglia o a un kimono, sui toni di un
fucsia
aggressivo. Un vestito a fiori a mezzacoscia, e dei calzini bianchi di
spugna tirati sui polpacci forse un po' troppo ben torniti. Scarpe dal
tacco
vertiginoso, di un rosso acceso. Harry ebbe il tempo di chiedersi cosa,
esattamente, insegnavano a Babbanologia - e nel frattempo... Esther?
Heather? La donna stava parlando.
«Salve?
Credevo foste stati
avvertiti. Il Preside non è potuto venire, e... sono Hestia
Jones.»
cinquettò la strega, con le gote più rosse del
normale e un sorriso
ampio. Sporse appena il collo verso le scale, oltre lo strano trenino
di zio Vernon, Petunia e Dursley che, con fortuna alterna, cercavano
di sbirciare la donna e contemporaneamente nascondersi dietro la mole
dell'uomo. «Harry?
Il tuo bagaglio è... ehm, posso entrare?
Grazie...»
E la strega svicolò oltre i suo parenti, sembrava sempre
più a disagio, il suo sguardo non era mai fermo,
bensì saettava da uno
all'altro, confusa.
«Dovremmo
andare in fretta e... aspetti, ho
una lettera per.... Petunia?»
allungò esitante una pergamena
strettamente arrotolata verso sua zia, ma invece di prenderla la donna
si fece più piccola dietro a Vernon.
Harry attese ancora
un attimo (cosa c'era scritto in quella lettera e, a parte l'ovvio,
perché Petunia non la stava leggendo?) ma, dopo un attimo
troppo lungo
di immobilità si decise ad una ritirata ben poco graziosa
verso la
seconda camera di Dudley - o la sua camera, anche se le parole non
riuscivano ancora a suonargli giuste.
Quando scese di nuovo, a tempo record, niente nei
suoi parenti o in Hestia riusciva a dargli qualche informazione
ulteriore su quanto fosse successo. La strega sembrava ancora
più... a
disagio? O forse arrabbiata, a giudicare da come aggrottava le
sopracciglia. Nessuna pergamena in vista, non più. Ma i
Dursley erano
silenziosi, l'occasione per sfuggirgli era comunque ottima, quindi
Harry si fece avanti faticosamente col suo baule e la gabbia vuota di
Edwige.
Hestia tirò su un sorriso ampio ma ben poco
convincente. «Ottimo.
Possiamo andare. E... se vuoi salutare i tuoi zii io
posso...»
«Arrivederci» borbottò
Harry, piegato a metà e
goffo per il dover trascinare tutto il suo bagaglio. Udì dei
grugniti
venire dai suoi zii - da zio Vernon sopratutto, mentre Petunia si
limitò a un "hmmmm" a labbra contratte. Dudley rimase muto,
ancora impegnato nella difficile impresa di farsi il più
piccolo
possibile.
Hestia
esitò ancora sull'uscio, come in attesa di qualcos'altro, ma
la
vicinanza di Harry o forse le istruzioni ricevute la convinsero ben
presto ad allontanarsi dalla porta.
«Avevo
sempre pensato
che i Babbani fossero più... normali? Più simili
a noi»
si lasciò
sfuggire Hestia, durante il tragitto a piedi lungo la sonnolenta e
deserta Privet Drive.
Harry sentì una vampata calda sul viso, aprì la
bocca e
subito la richiuse. In che maniera ci si poteva giustificare quando la
propria famiglia riusciva ad essere così pessima da far
rivalutare i sentimenti d'uguaglianza addirittura a un membro
dell'Ordine della Fenice?
Alla fine gli uscì di bocca un verso involontariamente un
po'
buffo, forse di assenso, forse semplicemente un gemito, prima che la
perplessità tornasse di prepotenza nei suoi pensieri e gli
desse
modo di trovare un altro argomento di conversazione.
«Perché
il preside non è potuto venire?»
«Oh.
Ehm... c'è stato un incidente»
fece lei, vaga, con un sorriso che sebbene mostrasse i denti somigliava
pericolosamente a una delle smorfie a labbra strette di zia
Petunia. Non le donava affatto.
Harry si fermò di colpo, con il cuore nuovamente in gola.
«Un
incidente? Chi - cosa? Stanno tutti - stanno tutti bene? Sulla Gazzetta
non...»
«Pffff,
quella.
Figuriamoci se la Gazzetta del Profeta... be', in questo caso in
effetti è normale che non lo siano venuti a sapere, ma
comunque...»
«Chi
è morto?»
«Morto?
Oh, no. No, nessuno» si affrettò a
rispondere la strega, con una risatina veloce che suonava un po' troppo
acuta. «Si
tratta solo di un intoppo. Già, un intoppo. Niente di cui tu
ti debba preoccupare.»
Il viso
roseo di Hestia era nuovamente serio, con una strana nota di pena, di
pietà quasi, nella voce e nello sguardo.
«Hai
già fin troppe cose a cui pensare. Alla tua età,
poi. Di
tutte le cose ingiuste che possono succedere a qualcuno...»
«VOGLIO---»
sbottò Harry a pugni chiusi, ormai ben oltre i limiti
dell'umana
sopportazione, ma Hestia con una smorfia allarmata arrivò
direttamente a tappargli la bocca con una mano. Più che il
gesto
della strega fu la sorpresa ad impedire ad Harry di continuare comunque
a sgolarsi. Restò molto fermo a fissarla per un attimo,
finchè Hestia non lo lasciò andare.
«Scusa.
Scusa.» mormorò,
frettolosa, preoccupata e adesso ancora più chiaramente in
pena.
«Ma
è meglio non parlarne qui. Ti spiegheranno tutto quando
arriveremo tu-sai-dove.»
Harry non
era troppo sicuro
di sapere dove fosse quel "tu-sai-dove", ma si limitò a
fissarla
con occhi enormi e un'ansia non del tutto sotto controllo.
Hestia espirò lentamente ed allungò
un gomito in
direzione del ragazzo, come se si aspettasse di essere presa a
braccetto. «Credo
che qui vada bene. Andiamo?»
«Ehm...
in che senso?»
«Materializzazione
congiunta. Siamo abbastanza lontani e siamo abbastanza al sicuro,
abbiamo una specie di scorta...»
Chi? E dove? Harry vedeva solo i soliti prati regolari, le solite case
sonnacchiose, le automobili lustre parcheggiate nei vialetti tutti
uguali.
«Materializzazione...
congiunta?»
riuscì a ripetere, alla fine, perplesso.
«Oh.»
fece Hestia, ridendo appena. «Non ti
preoccupare. Basta che mi
prendi il braccio... ecco, così.... ci siamo? Può
non essere piacevole,
ma, be'...»
D'improvviso l'ambiente cambiò, ed Harry
non fu del tutto stupito nel trovarsi davanti al numero tredici di
Grimmauld Place. Sorprendentemente fu la sua cena - niente di
spettacolare, a dire il vero - ad essere confusa, dato che se la
sentì
improvvisamente in gola e fu costretto a rimandarla giù in
una specie
di conato all'incontrario.
«Mi
dispiace»
mugolò Hestia
Jones, con tutta l'onestà di questo mondo. «So
che non è
gradevole... sai cosa? Preferirei usare la scopa. Seriamente. Ma se ci
chiedono di spostarci così... mi raccomando, fai silenzio
all'ingresso.
Lo sai già? Sì? La madre di Sirius non ci
apprezza... non
che la cosa mi ferisca, ovviamente, ma è comunque piuttosto
fastidioso.»
In qualche modo Hestia si era
impadronita del baule e della gabbia vuota di Hedvige, e in qualche
modo questo andava più che bene per
lo scombussolato Harry, che riuscì ad oltrepassare
l'ingresso senza
allertare niente di fastidioso, quadro incluso.
Stava ancora combattendo contro le ginocchia un po' molli quando, dopo
appena un paio di passi nella cucina, si ritrovò
stretto
nell'abbraccio del suo padrino. E niente ebbe più
importanza.
Anche se
puzzava di alcool, anche se puzzava e basta, Sirius era
lì. Ridente e
sguaiato, con ben pochi pensieri alla quantità di ossigeno
che Harry
stava ricevendo durante quella strizzata affettuosa - e, subito dopo,
Lupin.
Per un momento Harry si aspettò un abbraccio, simile a
quello in cui l'aveva intrappolato Sirius appena un istante prima,
Sirius che ancora gli stava addosso, anche se in maniera meno invasiva.
Ma il lupo mannaro, dopo un attimo di esitazione, si limitò
a
stringergli piano una spalla e a parlare con la stessa voce mite che
Harry ricordava.
«Siamo
felici di vederti.»
Grimmauld Place era silenziosa e ammuffita come al solito, Hestia Jones
aspettava in disparte ed Harry non riuscì a fare a meno di
pensare, scioccamente, "ora va tutto bene" - anche se le voci di Lupin
e
Sirius erano basse e nella casa c'era, tutto sommato, troppo silenzio.
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