L’eco
dei suoi passi si diffonde lungo i corridoi scuri. Ad ogni svolta
sembra di ritrovarsi sempre nello stesso punto, ormai però
Kidou conosce a memoria quel luogo, e sa perfettamente dove si sta
dirigendo adesso.
Se
fosse stato per lui, non sarebbe tornato alla Teikoku Gakuen nemmeno
sotto tortura. Eppure, una volta trasferitosi alla Seishou, gli erano
stati richiesti dei documenti che, sfortunatamente, solo la sua scuola
precedente avrebbe potuto produrre, ecco perché adesso si
trovava lì.
Per
tutto il tempo, aveva cercato di mantenere un profilo basso,
così da non essere riconosciuto da nessuno. Tuttavia, lo
sguardo di ogni singolo studente si era voltato nella sua direzione, e
diversi mormorii avevano accompagnato il suo passaggio.
D’altronde, difficilmente avrebbe potuto aspettarsi qualcosa
di diverso: era stato pur sempre l’ex capitano della squadra
di calcio di quella scuola, che aveva all’attivo
più vittorie di qualunque altra equipe dilettantistica in
circolazione, inoltre si era sempre fatto notare per i suoi meriti di
ottimo studente. Se, quando ancora frequentava la Teikoku, tutti lo
avevano idolatrato, ora, dopo il trasferimento, non facevano altro che
additarlo come traditore.
E
come biasimarli, d’altronde? Agli occhi di tutti, trasferirsi
in un’altra scuola era stato un tradimento vero e proprio.
Yuuto non aveva dubbi che tuttavia, un giorno, a posteriori, i suoi ex
compagni avrebbero compreso le sue motivazioni. E poi, c’era
ancora chi lo apprezzava per quello che aveva fatto per la scuola e per
la squadra negli anni passati, per cui forse non era stata tutta fatica
sprecata.
Ad
ogni modo, ora che aveva ritirato i documenti di cui aveva bisogno,
poteva dirsi pienamente soddisfatto. Avrebbe potuto finalmente varcare
per l’ultima volta la soglia di quel luogo così
tetro, lasciandoselo definitivamente alle spalle.
Era
ormai giunto dinanzi all’ascensore che lo avrebbe riportato
al pianterreno, ancora una piccola pressione sul tasto di chiamata e
tutto sarebbe finito. Sorprendentemente, era andato tutto fin troppo
bene per le sue aspettative; poteva perfino azzardarsi a tirare un
sospiro di sollievo, ma preferiva farlo una volta uscito del tutto da
lì.
«Vai
via senza salutare?»
Ecco,
appunto.
Se
c’era una cosa di cui Kidou si rimproverava, era
probabilmente l’ingenuità che lo aveva portato a
presentarsi lì durante la pausa di metà lezioni:
sperava,
in cuor suo, che le cose prima o poi sarebbero cambiate, in quel luogo,
e che le voci avessero smesso di correre alla velocità della
luce, arrivando sempre alle orecchie sbagliate. Ma era anche vero che a
lui non
sfuggiva mai nulla dal proprio controllo.
Eccetto
Kidou, chiaramente.
Col
tempo, Yuuto era diventata una specie di mina impazzita, in grado di
isolare dal volere di chiunque altro. E questa era una cosa che lo
faceva impazzire. Non tanto perché desiderasse averne ad
ogni costo il controllo – anche se, doveva ammetterlo,
l’idea che il ragazzo fosse completamente assoggettato a lui
lo faceva impazzire –, quanto piuttosto perché
adorava osservare le sue reazioni, vedere quanto potesse avvicinarsi al
fuoco senza bruciarsi.
Yuuto
cerca di rimanere concentrato, lo sguardo fermo puntato contro le porte
dell’ascensore, ancora sigillate. Sapeva fin
dall’inizio che sarebbe potuto andare incontro a quel
rischio, tuttavia aveva deciso di correrlo comunque. Forse era
utopistico sperare di non incontrarlo,eppure evidentemente
c’era una parte di lui che desiderava che ciò
accadesse. Per dimostrargli che era cresciuto? Forse. Per fargli vedere
che poteva cavarsela anche da solo? Può darsi. Fatto sta che
ora erano lì, e non aveva nessuna possibilità di
scappare, né tantomeno lo voleva – non questa
volta, almeno.
«Kageyama»
mormora rispettosamente, continuando a non rivolgergli il suo sguardo.
«Qual
buon vento ti porta da queste parti, ragazzo?» sul volto di
Kageyama s’affaccia il consueto sogghigno malevolo.
«Sentivi forse la mia mancanza?»
Yuuto
si fa sfuggire un sospiro stizzito, continuando tuttavia a sorridere
sarcastico.
«Ti
piacerebbe» commenta, inarcando le sopracciglia con aria di
superiorità.
«Mh,
effettivamente sì» Reiji incrocia le braccia al
petto. Se c’è qualcosa che adora ancor
più del poter stare a contatto con il ragazzo, è
vedere il modo in cui si tende quando lo punzecchia in quel modo.
«E credo che la stessa cosa valga per te, sai? Altrimenti non
saresti venuto fin qui. In ogni caso, dal momento in cui eri qui
saresti anche potuto passarmi a trovare, non dubito che la cosa avrebbe
fatto piacere ad entrambi. Dopotutto abbiamo passato sempre dei momenti
molto piacevoli assieme nel mio studio, o sbaglio?»
Kidou
si chiede tra sé perché quell’ascensore
ci metta così tanto ad arrivare. Continuando a tenere le
braccia distese lungo i fianchi, muove lentamente le dita, cercando di
mantenere la calma.
«Non
ho idea di cosa tu stia dicendo» replica, la voce piatta.
«Devo
supporre che tu abbia preferito dimenticare ogni cosa?»
Kageyama continua a sogghignare, sempre più divertito da
quella situazione piuttosto surreale. «Se vuoi posso offrirti
un ripasso.»
«Grazie
mille, sto benissimo anche così» si affretta a
precisare Yuuto. Fortunatamente per lui, in quel momento
l’ascensore si decide ad arrivare al loro piano, trillando
sommessamente mentre le porte gli si aprono dinanzi. Il ragazzo si
affretta ad entrare, premendo il tasto del pianterreno con un gesto
estremamente spontaneo. Spera con tutto se stesso che Kageyama non lo
segua, che rimanga fuori mentre le porte si richiudono o che almeno non
faccia in tempo ad entrare a sua volta in ascensore, tuttavia
è altrettanto consapevole del fatto che quello sia un
desiderio piuttosto irrealizzabile.
Kageyama
appoggia la schiena alle porte ormai chiuse, sogghignando soddisfatto,
mentre Yuuto si rintana nell’angolo più distante
da lui, tirando un sospiro pesante. Sapeva di non poter impedire
all’uomo di seguirlo, eppure ormai crede che non abbiano
più nulla da dirsi.
«Allora»
riprende Reiji, mentre hanno già iniziato la loro discesa.
«Da dove vogliamo cominciare con questa ripasso?»
«Ti
prego, Kageyama, non cominciare» Kidou sospira pesantemente,
esasperato. «Non ho intenzione di continuare a parlare oltre
di questa storia così assur…»
Prima
che il ragazzo possa finire la frase, tuttavia, qualcosa di improvviso
accade. La discesa della cabina subisce un arresto improvviso, mentre
le luci dell’ascensore si spengono, lasciando spazio ai led
d’emergenza.
Yuuto
afferra il maniglione di sicurezza, colto alla sprovvista.
«Cos…
che diavolo succede?» domanda, impietrito.
«Credo
che sia andata via la corrente» ammette Kageyama,
soprappensiero.
Yuuto
sposta, probabilmente per la prima volta in quel giorno, lo sguardo
sull’uomo, col desiderio di poterlo incenerire solo con le
proprie iridi di brace.
«Non
guardarmi in quel modo, giuro che io non c’entro»
asserisce il Comandante della Teikoku, prima che il suo ex capitano
possa sollevare una qualsivoglia obiezione.
Kidou
vorrebbe poter non credergli, eppure c’è qualcosa,
nella voce di Kageyama, che ha percepito veramente poche volte in vita
sua – qualcosa che si avvicina stranamente, pericolosamente
alla sincerità.
Yuuto
ha voglia di sbuffare nuovamente, tuttavia si trattiene solo
perché non vorrebbe mai fare la figura del maleducato
– e poi anche perché sa che, altrimenti, Kageyama
inizierebbe a vagheggiare con le solite storie della serie
“eppure ti ho insegnato a mantenere un comportamento educato,
ragazzo”.
Già,
Kageyama gli ha insegnato tante cose, tra cui anche a vincere con
l’inganno, per cui ormai non sa più come
prenderle, quelle lezioni.
Il
ragazzo incrocia le braccia dietro la schiena, tenendo lo sguardo basso
sulla pedana scura. Ha immaginato di restare varie volte da solo in uno
stesso luogo assieme a Kageyama, così da potergli dire
finalmente tutte quelle cose che negli anni ha taciuto dentro di
sé, eppure, adesso che sono veramente in una situazione del
genere, non riesce a far fluire fuori dalle sue labbra nulla di
minimamente sensato. Non ha idea di quale sia il punto opportuno da cui
iniziare ad imbastire un discorso – è sempre stato
Kageyama quello bravo in certe cose, a raggirare gli altri con le
parole; Yuuto, piuttosto, era quello che si potrebbe definire il
braccio, colui che, seguendo i piani scellerati della mente, si muove,
portando a termine ogni azione – né ciò
di cui vorrebbe realmente parlargli, per cui, nel dubbio, si limita a
rimanere in silenzio a fissare la punta delle proprie scarpe.
Eppure,
di cose da dire ce ne sarebbero davvero tante: perché hai
scelto la via più facile? Non hai mai avuto rimorsi per
quello che hai dovuto sacrificare, che ti sei lasciato alle spalle? Ti
è mai importato veramente qualcosa di me, oppure
anch’io non ero altro che uno strumento sacrificabile?
Tutti
quegli interrogativi frullano ormai da anni nella mente di Kidou,
eppure il ragazzo non ha mai avuto il coraggio necessario per poterli
trasformare in parole. Forse temeva che non vi avrebbe trovato
risposta, o che quella che gli sarebbe stata rivolta non sarebbe stata
sufficiente a soddisfarlo, oppure, molto più semplicemente,
il timore reverenziale che ha sempre riservato nei confronti della
figura di Kageyama e di ciò che rappresentava per lui lo
hanno frenato dal farlo.
Yuuto
si chiede se Kageyama sia ancora per lui tutto ciò in cui un
tempo lo identificava. È una domanda complessa,
perché porta il ragazzo a domandarsi che cosa realmente
significasse quell’uomo per lui. Era un modello in cui si
identificava, perlomeno per quanto riguarda mentalità e
azioni; ovviamente ora non la pensa più così,
tuttavia non può certo negare a se stesso che Reiji emani
pur sempre un certo fascino. Un’aura di malignità
velenosa, senza dubbio, eppure ci sono dei momenti in cui quella sorta
di attrazione continua ad aver presa su di lui…
«Yuuto?»
Kageyama lo richiama appena strappandolo dalle sue elucubrazioni
mentali.
Per
più di qualche secondo Kidou resta interdetto sul da farsi.
Dovrebbe rispondergli? E perché mai? Dopotutto, lui non deve
niente a quell’uomo – o forse gli deve veramente
qualcosa, anche se preferisce negarlo a se stesso, ma quella
è un’altra storia. In ogni caso, adesso che sono
bloccati lì, senza altre vie d’uscita, Yuuto non
riesce ad immaginare altri modi per sfuggirgli.
«Che
c’è?» risponde, sospirando pesantemente.
Quella situazione è più esasperante del previsto.
In fondo, chi mai potrebbe biasimarlo? Bloccato in ascensore con la
persona che più odia al mondo: sembra l’inizio di
una commedia romantica, eppure a Yuuto quello sembra piuttosto un
incubo vero e proprio.
«Quei
fogli che sei venuto a prendere… cosa sono?» Reiji
inclina la testa di lato, confuso.
I
fogli. Yuuto stava quasi per dimenticarsene. Ci mette qualche secondo
per rammentare a se stesso che, se adesso si trova in quella situazione
così paradossale – preferisce non perdere tempo
ulteriore nel descriverla, altrimenti trova piuttosto possibile che
possano sopraggiungergli dei conati di vomito da un momento
all’altro – è tutta colpa di quei
dannati documenti. Il ragazzo si lascia sfuggire un sorriso amaro,
prima di cercare di tornare a concentrarsi.
«Alla
Seishou mi hanno chiesto dei documenti che solo la segreteria della
Teikoku poteva fornirmi, così – mio malgrado
– sono stato costretto a venire ancora una volta
qui» ammette, tornando a puntare lo sguardo verso il basso.
«Mh,
perché non credo che ti sia poi così dispiaciuto
venire qui? Oh, già, perché avresti potuto
tranquillamente mandarci qualcuno altro ma hai preferito recarti nella
tua tanto odiata ex scuola in prima persona.» Dietro le lenti
scure, Kageyama affila lo sguardo. «Te l’ho sempre
detto che non puoi mentirmi, Kidou, tanto ogni volta
riuscirò a capire quello che mi stai nascondendo.
Dì la verità, ragazzo, in cuor tuo speravi di
incontrarmi.»
«Non
farmi ridere, Kageyama» replica Yuuto, con aria di scherno.
«Io ormai non ho più nulla da dirti.»
«Ah,
sì? Ed io che ero convinto che tra noi fossero rimasti
ancora molti conti in sospeso» insiste Reiji, tornando a
sogghignare.
Kidou
serra i pugni, infastidito. Non ha né voglia né
le forze necessarie per rispondere a Kageyama. È stanco di
lottare contro i mulini a vento: sa che Reiji resterà
convinto della propria idea, e lui di certo farà
altrettanto, per cui continuare a replicare l’uno
all’altro è un processo assolutamente inutile che
non li porterà da nessuna parte, ne è certo.
Detesta
se stesso per non essersi portato dell’acqua da bere: fa
così caldo, là dentro… certo, non
poteva prevedere che sarebbe rimasto bloccato su quel maledetto
ascensore, eppure proprio lui che fa sport a livello agonistico
dovrebbe sapere che restare idratati durante la giornata è
importantissimo. Yuuto si lascia scivolare lungo la parete
dell’ascensore, ritrovandosi dopo pochi istanti seduto:
continua ad aprire e chiudere le mani, mentre volta il capo da una
parte all’altra, come se stesse cercando qualcosa. La
verità è che sa perfettamente di non avere con
sé alcuna borsa, eppure a muoverlo è il desiderio
inconscio di voltarsi e di trovarne una a pendergli dal fianco, magari
contenente l’acqua di cui ha così tanto bisogno,
adesso.
Kageyama,
nel frattempo, osserva in silenzio tutta la scena, non senza qualche
preoccupazione.
«Yuuto…?»
lo richiama di nuovo, in apprensione.
«Non
ho voglia di parlare con te, ora» sbotta in fretta il
ragazzo, senza arrestare il movimento delle mani. «Non vedi
che sono occupato?»
Kageyama
non ghigna più. Sul suo volto, stranamente, regna
un’espressione fredda, severa. È preoccupato per
Yuuto, non l’ha mai visto comportarsi così. Ha una
mezza idea di che cosa gli stia succedendo, solo che non si sarebbe mai
aspettato nulla del genere dal suo ragazzo. In realtà non sa
neanche quale sia il modo migliore per approcciarsi a lui, in quel
momento; probabilmente deve solo limitarsi a fare quello che
– quasi – sempre ha fatto con lui, o almeno
ciò che sa avere un maggiore impatto su Kidou, ossia
comportarsi naturalmente, senza stare troppo a pensare alle varie
sovrastrutture o a quale maschera indossare. Non sono comportamenti che
si addicono a una mente brillante come quella di Yuuto, dopotutto.
Così,
Kageyama si affretta ad inginocchiarsi. Non deve fare neanche troppi
sforzi per avvicinarsi a Kidou, dopotutto lo spazio in
quell’ascensore è talmente limitato che, senza
nemmeno doversi muovere, è già arrivato davanti
al ragazzo. Prima che possano agitarsi oltre, Reiji gli afferra le
mani, tenendole ben strette tra le proprie.
«Hai
un attacco di panico?» domanda, incredulo. Probabilmente
quello non è il modo migliore per avvicinarsi a lui,
d’altronde non ha fatto altro che sottolineare
un’evidenza, eppure è stata la prima cosa che gli
è saltata in mente.
Per
tutta risposta, il ragazzo inizia a divincolarsi, cercando di liberare
le proprie mani dalla stretta dell’uomo.
«Sto
benissimo» ribatte, impettito. «E adesso lasciami
andare…»
Kageyama
scuote la testa, categorico. «Non se ne parla»
replica infatti, seccamente. «Non sapevo che soffrissi di
claustrofobia…»
«E
infatti non è così!» insiste Yuuto,
sospirando per l’esasperazione quando finalmente riesce a
liberarsi dalla stretta delle mani di Kageyama. Era un tocco
leggerissimo, eppure a Kidou bastava per poterlo definire asfissiante.
Non sa cosa gli stia prendendo, una reazione del genere non
è da lui, eppure continua a mancargli l’aria, e
ciò lo infastidisce da morire…
«Non
riesco a respirare…» ammette, prendendosi la testa
tra le mani. Non sa perché l’abbia detto, adesso,
con ogni probabilità, Kageyama inizierà blaterare
qualcosa sul fatto che sia importante riuscire a controllare le proprie
emozioni sempre, in ogni occasione, senza lasciarsi influenzare da
fattori esterni. Yuuto già quasi riesce ad immaginarselo in
maniera piuttosto vivida nella mente, la voce profonda
dell’uomo che gli rimbomba nelle orecchie, perfino il modo
teatrale di allargare le braccia che, di tanto in tanto,
consapevolmente o meno, Kageyama assume nel parlare. Kidou non si
è mai accorto di aver perso così tanto tempo
nell’osservare quell’uomo, tuttavia crede che
Reiji, al contrario, abbia studiato tutti quei singoli fattori,
così da attribuire alla propria persona un’aria
più accattivante, in modo da poter convincere più
facilmente gli altri del fatto che la sua sia l’unica e sola
idea giusta e che, seguendolo, non potranno che riceverne beneficio. Il
ragazzo si dà mentalmente dello stupido per essere caduto
vittima di quelle parole così lusinghiere, in passato.
Certo, era ancora un bambino e faticava a discernere la
realtà dalla fantasia, eppure, se solo pensa da che cosa si
è lasciato ingannare sente la rabbia salirgli ancor di
più al cervello.
Stranamente,
tuttavia, Kageyama lo sorprende ancora una volta: l’uomo,
infatti, si allontana effettivamente da lui, sedendosi dalla parte
opposta della cabina. Lo spazio resta comunque così poco da
bloccargli in gola il respiro, eppure Yuuto inizia già a
sentirsi un po’ meglio.
«Hai
ragione» gli concede il suo ex allenatore, cercando di
distendere una delle sue lunghe gambe nei pochi centimetri a loro
disposizione. «Se davvero ti manca l’aria,
rimanendoti vicino non faccio altro che metterti ancor più
in difficoltà. Ti chiedo scusa.»
Kidou
osserva l’uomo con sospetto. Kageyama gli ha
appena… chiesto scusa? Non ricorda che sia mai accaduto
qualcosa del genere, prima di allora. Probabilmente, conclude il
ragazzo, quella non è che l’ennesima tattica
dell’uomo per indurlo ad abbassare la guardia,
così da potergli poi fare chissà che cosa.
Proprio per questo, decide, non ha alcuna intenzione di dargliela vinta.
I
minuti scorrono più lenti di granelli di sabbia lungo le
pareti vitree di una clessidra. Entrambi restano immobili nelle
posizioni che hanno assunto da diversi minuti, Kidou con il gomito
puntellato sulla gamba e la guancia poggiata stancamente sul palmo
dischiuso, il ginocchio piegato verso l’alto e
l’altra gamba infilata sotto al piede che poggia a terra.
Kageyama, invece, tiene ancora una gamba distesa diagonalmente, il
piede che quasi sfiora il corpo del ragazzo; le braccia, invece, sono
lasciate distese lungo il torace, mentre tiene il capo premuto contro
una delle pareti d’acciaio dell’ascensore. Nessuno
dei due, quasi sicuramente, si meraviglierebbe se, da un momento
all’altro, la monotonia del grigio scuro della cabina in cui
si trovano finisse per inghiottirli.
Yuuto
vorrebbe chiedere a Kageyama quanto tempo è passato da
quando sono rimasti bloccati lì, tuttavia qualcosa lo frena
dal farlo – probabilmente è orgoglio. Nel
frattempo continua a far rimbalzare avanti e indietro una piccola
pallina che si è ritrovato in tasca. Kageyama non si
è ancora lamentato della cosa, il che sorprende non poco
Yuuto; probabilmente ha capito che sta usando quel gesto come un
antistress e ha deciso di lasciarlo fare, o forse, in fondo, non lo
infastidisce poi nemmeno così tanto. In un certo senso,
Kidou quasi ci sperava, in una reazione di Kageyama: possibile che
debba essere sempre e solo lui, quello a cadere nella trappola dei loro
punzecchiamenti?
«È
passata un’ora e mezza da quando siamo rimasti bloccati qua
dentro.» Per l’ennesima volta, Reiji finisce per
sorprendere il suo ragazzo: come se avesse letto nella sua mente,
l’uomo risponde alle sue domande.
«E
nessuno si è ancora accorto del calo di tensione
all’interno dell’ascensore?» domanda
Yuuto, indignato. Una parte di lui vorrebbe poter ignorare Kageyama e
smettere di parlare con lui, l’altra, invece, preferisce
ancorarsi all’uomo come ultimo barlume di lucidità
che gli rimane. D’accordo, cercare sensatezza nelle parole di
Kageyama è probabilmente la cosa più assurda che
abbia mai fatto in tutta la sua vita, eppure ormai sta perdendo perfino
l’ultima speranza di riuscire ad uscire vivo da
lì, per cui forse tanto vale abbandonarsi a quella pazzia
finale.
«Beh»
Reiji si stringe nelle spalle, «quando te ne sei andato stava
per finire la pausa. Adesso saranno tutti in aula, sia insegnanti
che studenti, e i docenti che avranno dovuto spostarsi per il cambio
dell’ora avranno usato le scale.»
«Perfetto,
allora siamo a posto» Yuuto si prende nuovamente la testa tra
le mani. «Non usciremo mai più da qui. Se solo ci
fosse campo, qua dentro, avremmo potuto chiamare aiuto da un bel
po’, e invece…»
«Andiamo,
Kidou, non essere così catastrofista» lo riprende
Kageyama. «Non moriremo certo qua dentro―»
«Parla
per te!» sbotta il ragazzo, tirando un pugno alla parete
metallica alle sue spalle. «Dopotutto, non sei tu ad essere
rimasto bloccato in un ascensore con la persona che odi di
più al mondo…!»
«Oh,
adesso sarei la persona che più odi al mondo? Non credi che,
se volessi farmi un torto, adesso staresti fallendo in pieno, Kidou?
Dopotutto, se impieghi così tante attenzioni ad odiarmi
addirittura più di chiunque altro essere vivente, vuol dire
che a me ci pensi eccome, ragazzo. E con un particolare occhio di
riguardo, oserei dire» replica Reiji, il solito sogghigno
malefico che, dopo ore, torna a comparire sul suo volto.
Yuuto
lo sapeva. Era certo che, dietro quel buonismo improvviso, giuntogli
sotto forma di scuse, doveva nascondersi qualcosa di molto
più profondo. Il ragazzo si prende la testa tra le mani: gli
viene da piangere, ma non può farlo, non lì,
davanti a quell’uomo pronto a giudicarlo per ogni sua singola
debolezza. Non era d’altronde per quel motivo che si era
recato lì, piuttosto che mandarci qualcun altro? Per
dimostrargli che era forte, che poteva esulare dal suo
controllo…
Ma
la verità era che Kidou non si era mai sentito
così debole ed esposto in vita sua come in quel momento.
Aveva sempre temuto il giudizio di Kageyama più di quello di
chiunque alto, e adesso che erano lì, soli, non credeva di
essere in grado di sopportare qualsiasi cosa avrebbe potuto dirgli.
Immagina
che Kageyama lo criticherebbe soprattutto per la sua
incapacità di controllare le proprie emozioni. Forse si
dovrebbe limitare ad accettare il suo parere e, una volta incassato il
colpo, andare avanti, eppure inizia a credere di non essere
sufficientemente libero dall’assoggettamento
all’opinione di Reiji per poterlo fare. E dire che ormai
credeva di esserselo lasciato alle spalle una volta per
tutte…
No,
impossibile. Deve star sragionando. Tutta colpa di
quell’ascensore scuro e dell’aria viziata che
aleggia là dentro, che gli toglie in ogni modo la
possibilità di pensare in maniera sensata.
Kidou
solleva di colpo il capo, avvertendo che qualcosa intorno a lui
è mutato improvvisamente. Kageyama si è di nuovo
accostato a lui – e Yuuto vorrebbe fargli notare che gli ha
mentito, aveva detto che, se aveva bisogno di aria, non si sarebbe
avvicinato più, e invece adesso è di nuovo
lì, tuttavia ormai non ha le forze necessarie per poterlo
fare – e lentamente si siede al suo fianco. Kidou lo osserva
con aria diffidente, senza tuttavia rivolgergli parola.
«A
volte mi chiedo se le cose tra noi sarebbero potute andare
diversamente» ammette Reiji, con un sorriso amaro che si
dipinge sul suo volto.
Kidou
lo fissa, sbigottito. No, non sarebbe potuto andare ma nulla in maniera
diversa, tra loro: non poteva certo restare al fianco di un folle,
pronto a tutto pur di prevaricare sugli altri. Eppure, se non fosse
stato così… se Kageyama si fosse limitato a
sconfiggere le altre squadre con la sola forza della Teikoku…
Un
nodo stringe lo stomaco di Yuuto, mentre sente un calore per nulla
familiare inondargli il petto. Probabilmente, se solo il ragazzo glielo
permettesse, quell’emozione finirebbe per fargli imporporare
le guance, tuttavia Kidou lotta con le unghie e con i denti
affinché ciò non accada.
In
compenso, Kageyama sembra aver notato fin troppo bene il cambiamento
all’interno del ragazzo. D’altronde, dopo averlo
cresciuto per tutti quegli anni, accorgersi di quegli improvvisi cambi
d’umore è il minimo che lui possa fare.
È per questo che, adesso, avvicina una mano al volto del
giovane. Lo sfiora piano, con cautela, quasi come se temesse che possa
spezzarsi da un momento all’altro.
Yuuto,
dal canto suo, non indietreggia. Non sembra spaventato da
quell’avvicinamento improvviso di Kageyama, e anzi sembra
averlo accolto piuttosto con piacere.
Questo
è un segnale decisamente positivo per Kageyama, che decide
che non è più momento per esitare:
così si sporge leggermente in avanti, almeno finche il suo
viso non è a pochissimi centimetri da quello del ragazzo, le
punte dei loro nasi che si sfiorano appena. Reiji indugia ancora un
attimo, probabilmente perché è troppo inebriato
nel sentire il fiato corto e caldo di Yuuto che gli si infrange sul
viso, così come i battiti cardiaci che galoppano impazziti
all’interno della gabbia toracica del ragazzo. Alla fine,
tuttavia, non riesce a resistere oltre alla tentazione, e finisce col
posare le proprie labbra su quelle del ragazzo.
È
un bacio sorprendentemente casto, che fa sciogliere entrambi nella sua
dolcezza. Yuuto tiene gli occhi chiusi mentre si china in avanti,
reclamando maggiori attenzioni, e Kageyama vorrebbe replicare che
è da una vita che non ha occhi che per lui, ma alla fine si
limita ad infilare le proprie dita tra i capelli del ragazzo,
attraendolo ancor di più a sé, così da
poter approfondire quel bacio.
Probabilmente
resterebbero in quella posizione ancora per delle ore, tuttavia giunge
nelle loro orecchie a ridestarli lo stesso trillo che li aveva accolti
prima di salire in quella cabina. Aprono gli occhi nello stesso
istante, subito dopo essersi separati, e notano sorpresi che
l’ascensore è tornato ad essere normalmente
illuminato, mentre hanno ripreso a scendere verso il basso.
Kageyama
si porta una mano alla testa, confuso. Ha perso la concezione del
tempo, non ha idea di quanto a lungo lui e Kidou abbiano passato
così vicini, le labbra dell’uno su quelle
dell’altro. In ogni caso, adesso stanno di nuovo scendendo
verso il pianterreno, perciò farà meglio a
ricomporsi, prima che qualcuno all’esterno possa cominciare
ad avere dei dubbi su cosa sia realmente successo là dentro.
Comincia
così col mettersi in piedi, spazzolandosi via la polvere dai
vestiti. Yuuto lo imita, facendo altrettanto. Per tutto il tempo in cui
continuano ad essere lì, nello stesso ascensore, a pochi
centimetri di distanza, nessuno dei due rivolge più il
proprio sguardo all’altro, entrambi troppo imbarazzati per
poter tornare a confrontarsi.
Quando
finalmente la cabina arriva trillando al pianterreno e le porte si
riaprono, Yuuto è il primo a schizzare fuori, camminando in
fretta e furia verso l’uscita. No, questa volta Kageyama non
lo seguirà, è ancora troppo sconvolto da
ciò che è appena successo. Le porte si
richiudono, e Kageyama preme il tasto che lo riporterà
all’ultimo piano, dove ha sede la presidenza. Può
tornare a nascondersi nel suo mondo di tetra oscurità,
adesso.
Reiji
si domanda distrattamente cosa sarebbe successo, se
l’ascensore non fosse ripartito. Magari lui e Kidou avrebbero
fatto l’amore lì, in quella cabina oscura.
Immagina i loro vestiti cadere a terra e le gambe nude del ragazzo
stringersi, in uno spasmo di passione, attorno alla sua vita, mentre le
dita di Kageyama accarezzano ogni lembo della sua pelle. Quella
fantasia stuzzica terribilmente la sua mente, eppure Kageyama sa che
non avrà mai lo stesso sapore dolce di quel bacio.
|