Goodbye Agony
Goodbye
Agony
E
tu, padre mio, là sulla triste altura maledicimi,
benedicimi,
ora, con le tue lacrime furiose, te ne prego.
Non
andartene docile in quella buona notte.
Infuriati,
infuriati contro il morire della luce.
* * *
«Cosa
gli accadrà, adesso?»
«Dovrà
subire un processo, come tutti gli altri.»
«Ma
lo condanneranno a morte. Tu sei sua madre, puoi impedirlo... non
permetterai che venga giustiziato, vero?»
«Era
disposto a sacrificarsi, questo esclude il massimo della pena. Ma
dovrà pagare, è inevitabile, e tu lo sai bene,
Rey.»
«Che
cosa lo aspetta?»
«La
punizione peggiore per quelli come noi.»
«E...
sarà doloroso?»
«Questo
dipenderà da lui. Più cercherà di
resistere, maggiore sarà la sua
sofferenza.»
«Io
non riesco a capire... cosa ci può essere di tanto
terribile?»
«L'assenza
della Forza.»
Nathema,
36 ABY
Un
anno. Tanto era durata la sua
espiazione.
Poteva
sembrare un tempo troppo breve, in
confronto alla gravità delle sue colpe, ma su un pianeta
come
Nathema, era paragonabile ad un'eternità.
Un
anno aveva avuto, su di lui, lo stesso
effetto devastante di un ergastolo.
Eppure
era passato.
Sua
madre si era dimostrata molto scrupolosa nell'elaborare la giusta
punizione per i crimini di cui si era macchiato, lei aveva sempre
saputo cosa era meglio
per lui, e quel luogo si era rivelato una prigione fin troppo
adeguata.
La
ricordava ancora, sua madre, minuta,
affaticata, eppure fiera, mentre pronunciava quelle poche parole che
lo relegavano su quel pianeta maledetto.
Non
aveva scorto alcun rancore nel suo
sguardo. Aveva percepito dolore e perfino speranza nei suoi intenti,
ma anche nessuna esitazione.
Non
era riuscito ad odiarla, nemmeno
quella volta.
Uno
dei Custodi del Sanitorium,
una antica struttura in pietra, mezza diroccata, trasformata in
carcere per i sensibili alla Forza, venne ad aprirgli la porta
quando, ormai, l'unico sole, era già alto all'orizzonte.
Durante
il giorno era libero di muoversi
senza restrizioni; di notte veniva rinchiuso. Una precauzione
eccessiva, visto che non c'era modo di lasciare la superficie. Ma si
era reso conto, fin dall'inizio, che ribellarsi o protestare, in quel
luogo, non avrebbe avuto alcun senso.
Il
vecchio Grawel, avvolto nel solito
mantello consunto con cui si mimetizzava perfettamente col grigiore
delle pietre, lo accolse con un sorriso sdentato: «Non mi
mancherai
neanche un po', ragazzo» gracchiò, mentre gli
faceva cenno con la
testa di sgombrare, puntando a terra il suo bastone. Era il discorso
più lungo che gli aveva sentito fare da quando si erano
conosciuti.
Ormai si potevano considerare grandi amici.
In
fondo, un poco lo invidiava, un
Custode non era sensibile alla Forza e Nathema non aveva alcun
effetto nefasto su di lui.
Alzarsi
dal giaciglio stava diventando
sempre più difficile, i suoi movimenti erano limitati da una
pesantezza innaturale, le membra erano come intorpidite, perfino
respirare era diventato faticoso. Probabilmente non avrebbe retto
ancora a lungo. Forse era per quello che, la durata della sua
prigionia, era stata accuratamente calcolata.
Si
avvolse nel mantello e si coprì la
testa col cappuccio.
Gli
era stata risparmiata la pena di
morte in virtù del suo gesto estremo in cui aveva impedito
la
distruzione della base spaziale Alderaan Prime, l'ultima roccaforte
della Resistenza. Anche i ribelli avevano capito che sarebbero stati
più potenti e aggressivi, se non avessero avuto un quartier
generale
in un punto fisso da colpire.
Per
fermare l'avanzata del Primo Ordine, di cui ormai aveva perso il
controllo, aveva finito per favorire la salvezza del nemico. Un danno
collaterale
che non aveva potuto evitare.
Il
Finalizer, l'ultimo Destroyer
sopravvissuto ad una battaglia epocale, diventato un proiettile
infuocato scagliato contro la base, ormai semidistrutta e immobile,
poteva essere deviato solo dal suo immenso potere. Con
l'autodistruzione attivata, l'esplosione sarebbe stata di una potenza
devastante.
Meglio
il male minore
si
era detto, mentre convogliava tutta
l'energia di cui disponeva contro il pannello di controllo per
frenarne la corsa.
Meglio
mia madre e Rey
le
uniche persone di cui ancora gli
importava, sperando che fosse giunta la sua ora e che il conflitto
che continuava a roderlo dentro si placasse.
Una
morte onorevole era tutto ciò che desiderava. La parola sacrificio
era la lezione più grande che suo nonno e suo zio gli avevano
impartito.
E
lui era pronto.
Che
ruolo avrebbe potuto ricoprire nella nuova realtà che si
sarebbe
creata? Non sarebbe mai sceso a patti con la Resistenza. Non c'era
posto, nella Galassia, per quelli come lui. Aveva compiuto quel gesto
seguendo il suo cuore, più che la ragione, e non sarebbe
andato
oltre. Aveva ceduto alla luce, l'aveva accolta di nuovo dentro di
sé,
anche solo per un istante, ed era pronto ad affrontare la morte.
Ma
uno come lui non doveva farla franca
ed evitare la giusta punizione.
Non
poteva semplicemente uscire di scena
in silenzio ed essere dimenticato.
Rey
lo aveva salvato.
Prima
di lasciare il suo scarno alloggio
al Sanitorium, per l'ultima volta, rivolse lo
sguardo al sole
sbiadito che si ostinava ad illuminare quella sconfinata landa
desolata. Poteva fissarlo per lunghi istanti senza rischiare di
ferirsi gli occhi e bruciarsi la retina. Lo aveva fatto molte volte
nelle giornate che scorrevano identiche, dolorose e interminabili.
Era stato il suo unico compagno. Attraverso la cornice scura della
finestra, priva di vetri, appariva come un piccolo disco giallognolo
schizzato di marrone. Una sfumatura neutra appena un po' più
luminosa, eppure ancora pulsante, rispetto al monotono grigiore che
regnava ovunque.
Sorrise
amaramente. Aveva tanto temuto
l'incedere della luce dentro di sé, aveva tanto fuggito il
desiderio
di cederle, ma in quel momento non ne aveva più paura. Anzi,
la
bramava come ossigeno da respirare.
Sua
madre aveva ragione, alla fine della
sua prigionia lo avrebbe compreso, o avrebbe perso ogni cosa. In
qualche modo glielo aveva fatto capire: quello che lo attendeva era
una sorta di purificazione. Se fosse riuscito a superarla ne sarebbe
uscito azzerato.
L'oscurità
poteva avere mille facce,
poteva essere potente e altrettanto pericolosa, ma mai quanto il
Grande Vuoto. Subirlo era stata la prova più difficile che
avesse
mai dovuto affrontare.
Aveva
sempre creduto che Nathema fosse
una leggenda, una favola per spaventare i bambini e tenerli lontani
dalle insidie che si celano dietro ciò che non si conosce.
Ma
le favole hanno sempre un fondo di
verità.
Nathema
era stato un pianeta florido e
rigoglioso migliaia di anni prima, pieno di vita, di luce e di
calore. La Forza scorreva potente in ogni molecola, circondava ogni
essere vivente nello stesso modo in cui permeava ogni cosa nella
Galassia.
Come
conseguenza di un antico ed oscuro
rituale Sith, tutta la Forza era stata brutalmente strappata e
risucchiata, trasformandolo in un deserto arido, un pianeta morto.
Ogni forma di vita era stata spazzata via. Persino i colori avevano
subito quell'immane sofferenza ed erano mutati nelle monotone
sfumature del grigio e del marrone. I suoni avevano iniziato a
deformarsi, diventando ovattati e distorti.
Non
era rimasto nulla, se non il Grande
Vuoto, l'assenza della Forza, un nemico subdolo e silenzioso che
nessuno avrebbe mai potuto combattere.
Per
un anno era stato tagliato fuori dal
resto della Galassia, confinato in una prigione impenetrabile. Quel
luogo era una tomba e ce lo avevano seppellito dentro, senza
pietà.
Non
appena aveva messo piede sulla
superficie lo aveva sentito: il Vuoto era emerso, violento e
spietato, accompagnato da un ruggito che sembrava provenire dalle
profondità della terra. Si era rivelato, simile ad una
brezza gelida
che si era limitata a sfiorarlo e saggiarlo. Lentamente, poi, aveva
cercato di entrargli dentro, come se non fosse più fatto di
carne e
sangue, ma di pura energia. Infine lo aveva invaso, costringendolo a
provare un senso infinito di tristezza, di solitudine e di
inesorabile impotenza.
Venire
privato dell'uso della Forza in un
modo tanto brutale era stato orribile e doloroso.
Combattere
contro il Grande Vuoto, giorno
dopo giorno, lo aveva indebolito. Non c'era un modo per vincerlo o
sopraffarlo. Lo si poteva solo subire e resistere per non farsi
svuotare completamente.
Per
un essere potente come lui, la
permanenza sulla superficie non era stata altro che un'interminabile
tortura, una lenta ed inesorabile agonia.
Non
esisteva più alcun Lato Chiaro o
Lato Oscuro con cui farsi scudo. Non poteva contare sul potere
dell'oscurità né, tanto meno, sperare nel
conforto della luce.
Esisteva
solo il Nulla, il grigiore del
paesaggio deturpato, un sole malato all'orizzonte che non riusciva
più a scaldare quella landa desolata, il gelo sulla pelle e
dentro
di sé.
Nelle
interminabili ore di luce era una
lotta continua che al tramonto lo lasciava privo di ogni energia,
spossato ed assetato, ma di una sete non saziabile con l'acqua.
La
notte riusciva a trovare un po' di
tregua, ma abbandonarsi incautamente al sonno era una mossa azzardata
quanto pericolosa. Era allora che il Vuoto diventava ancora
più
aggressivo, era quello il momento in cui pensava a Rey, come ad
un'ancora di salvezza a cui aggrapparsi, per evitare di sprofondare
nell'oblio ed impazzire. Fino a quando il suo ricordo restava vivido
e brillante, come un raggio di luce, non avrebbe perso la coscienza
di sé. Facendosi cullare dalle sue braccia invisibili e
accarezzare
dalle sue mani minute e gentili, riusciva finalmente a riposare
qualche ora.
Poi
tutto ricominciava, in un ciclo senza
fine.
Un
giorno, mentre vagava da solo come un
disperato tra le rocce, aveva visto suo padre osservarlo da lontano e
sorridergli. Ne era rimasto sconvolto. Non poteva essere una
manifestazione della Forza, poiché Nathema ne era privo. Era
un'allucinazione, la semplice proiezione di un ricordo.
Era
quello l'orrore che lo attendeva?
Perdere il senno e passare il resto della sua vita nell'oblio?
Permettere al Nulla di risucchiare ogni cosa di sé e
abbandonarlo a
vagare come un guscio vuoto fino alla fine dei suoi giorni?
Quante
volte aveva desiderato la morte
come una pietosa liberazione?
Avrebbero
dovuto lasciarlo bruciare tra
le fiamme del Finalizer, concedergli una morte misericordiosa e
rapida. Rey non avrebbe dovuto strapparlo ad una fine onorevole ed
imporgli di vivere. Era arrivato quasi a maledirla.
Scese
la scalinata di pietra, che lo
avrebbe condotto all'esterno e poi alla piccola piazzola d'imbarco, a
capo chino con le braccia abbandonate lungo i fianchi.
Il
vecchio Grawel lo accompagnava
trascinandosi in silenzio, aggrappato a quel suo lungo bastone.
Doveva sforzarsi di reagire e sentirsi sollevato, sebbene gli
risultasse difficile provare qualsiasi sentimento: quell'incubo
orrendo stava per finire. Ce l'aveva fatta, era scampato.
Ma
cosa era davvero sopravvissuto di lui?
Cosa era diventato? Era rimasto qualcosa di Kylo Ren e di Ben Solo?
Forse non era più nessuno dei due.
Lo
avrebbe scoperto solo lasciando
Nathema e questo lo spaventava a morte.
Un
anno passa in fretta. Quando finirà
io ci sarò.
Le
ultime parole di Rey, prima che lo
portassero via in catene come una bestia pericolosa da tenere a bada,
continuavano a risuonargli nella mente. Erano state il suo unico
appiglio, una flebile melodia che risuonava limpida e cristallina in
quell'amalgama di suoni distorti.
Allora
non aveva idea di quanto gli
sarebbe costata quella separazione. Non riuscire a percepirla era
stata la condanna peggiore. Il dissolversi del loro legame lo aveva
lasciato sperduto, come un naufrago alla deriva.
Cosa
aveva fatto Rey durante tutto quel
tempo? Dove era stata e con chi? Aveva seguito la sua strada da sola
o si era ostinata a restare accanto a coloro che continuava a
definire suoi amici? Lo aveva dimenticato? Non ne sarebbe rimasto
stupito, e forse sarebbe stato meglio così.
Gli
stessi interrogativi che lo avevano
tormentato per un anno, continuavano ad affollare la sua mente, man
mano che si avvicinava il momento di lasciare Nathema. Avvertiva la
gola secca ed aveva il fiato corto, e non era solo per
l'aridità che
regnava sovrana in quel luogo.
Raggiungere
la piattaforma d'imbarco era
stato gravoso come scalare la cima di una montagna. Probabilmente
avevano mandato qualcuno della ex Resistenza a recuperarlo, per poi
condurlo chissà dove.
In
fondo, non aveva alcuna importanza.
Qualunque luogo, per lui, sarebbe stato lo stesso.
Nonostante
il desiderio di rivedere Rey
gli bruciasse potente nelle vene, non voleva che sperimentasse
l'angoscia del Grande Vuoto, neanche per un istante.
Sorrise
tra sé. Ancora si ostinava a
volerla proteggere, nonostante sapesse bene che non ne aveva alcun
bisogno.
Sospirò,
alzò gli occhi e lo
vide, prima soltanto un puntino luminoso, attraversare il livore del
cielo, poi diventare sempre più grande, fino a mostrarsi per
quello
che era.
Mai
avrebbe pensato di arrivare a
considerare quell'odioso pezzo di ferraglia, una benedizione.
Ancora
non sapeva se lei era a bordo del
Falcon, non poteva percepirla, ma dentro di sé stava
lentamente
crescendo un sentimento che da tempo, ormai, aveva smesso di provare.
Speranza.
~ ~ ~
«Rey, non andare... »
«Il
mio compito qui è finito. Non
sarei di nessun aiuto.»
«Non
dire così. Sarai sempre un bene
prezioso per tutti noi.»
«È
tempo che segua la mia strada.»
«E
sarebbe lui
la tua strada?»
«Poe,
ti prego, non rendere tutto
ancora più difficile...»
«Rey,
ascoltami bene, abbiamo ancora
bisogno di te.»
«Sai
che non è così. Ormai le basi
della Nuova Alleanza sono state gettate e sono solide. Adesso
è
compito vostro mantenere la pace.»
«D'accordo.
Allora sarò più chiaro:
sono io che ho bisogno di te.»
«Io...
Io non posso restare.»
«Non
mi hai risposto. Credi che sia
Ren la tua strada?»
«Non
lo so... Ma se non affronterò
l'ultimo tratto che mi separa da lui, non me lo perdonerò
mai.»
*
* *
Orbita
di Nathema, 36 ABY
Rey
aveva creduto che un anno sarebbe
passato in fretta. Ma non era stato così.
Era
una menzogna che aveva raccontato a
Ben e soprattutto a se stessa. Se ne rendeva conto pesantemente,
mentre usciva dall'iperspazio nell'orbita di quello strano pianeta
giallognolo, screziato da mille sfumature ocra e marroni.
Quasi
somigliava a Jakku se non fosse
stato per degli enormi crateri che ne deturpavano la superficie.
Aveva un aspetto sofferto e sembrava essere scampato ad un'immane
catastrofe.
Non
era mai stata nel Settore Chorlian e
nemmeno aveva mai immaginato l'esistenza di un posto del genere, Leia
le aveva spiegato che, millenni addietro, veniva usato come una sorta
di prigione per i sensibili alla Forza. Ricordava ancora il brivido
gelido che l'aveva scossa al solo pensiero.
Il
Generale Organa si era dimostrata
preoccupata di fronte alle sue intenzioni irremovibili:
«Manderemo
qualcun altro a recuperare
mio figlio, qualcuno che non subirà l'influsso del Vuoto.
Non è una
sensazione piacevole ed è tanto più potente
quanto più si è
sensibili alla Forza. Perché vuoi farti volontariamente del
male?
Non devi dimostrare niente a nessuno.»
Lei
non si era fatta scoraggiare, avrebbe
provato anche quell'esperienza. Come poteva accogliere di nuovo Ben
nella sua vita, se non aveva idea di quello che aveva dovuto
sopportare in quella specie di prigionia? Come avrebbe potuto
aiutarlo, se non poteva comprendere le sensazioni che aveva provato?
Voleva sperimentare sulla sua stessa pelle l'assenza della Forza ma,
soprattutto, doveva mantenere una promessa.
Non
appena Nathema era apparso nel suo
campo visivo l'aveva assalita una sensazione strana. Di solito
riusciva sempre a percepire qualcosa dai luoghi che stava per
visitare, ormai era diventata talmente potente da riuscire a vedere
oltre l'aspetto esterno delle cose. Anche se in molti le avevano
detto che aveva lo spirito di un vero jedi, lei era perfettamente
consapevole di essere qualcosa di molto diverso, soprattutto dopo
quello che aveva dovuto affrontare insieme a Ben.
Eppure
da quel globo rotante, che
brillava solitario nel nero dello spazio, immenso e silenzioso, non
riceveva nulla. Era come un muro impenetrabile che le restituiva solo
un terrificante senso di vuoto.
Il
suo pensiero volò a Ben e temette per
lui. Ancora non riusciva a percepirlo.
Un
anno in un posto del genere che
effetto aveva avuto su di lui? Non aveva nemmeno idea se fosse
sopravvissuto. Non c'era modo di comunicare col pianeta, sulla
superficie era bandita qualsiasi forma di tecnologia.
Mentre
impostava le coordinate per il
luogo d'atterraggio, ricordò con tristezza l'ultima volta in
cui
l'aveva visto, prima che lo portassero via. Leia aveva appena
pronunciato la sentenza, dopo essersi riunita con i membri del
consiglio della Nuova Alleanza. Ricordava l'espressione straziante
con cui aveva guardato prima sua madre e poi lei: un misto di
rassegnazione e disperazione.
Aveva
percepito perfettamente la sua
rabbia e la delusione per avergli salvato la vita ed averlo costretto
ad affrontare le conseguenze dei suoi crimini. Ma non avrebbe potuto
fare altrimenti, non gli avrebbe permesso di andarsene senza avere
mai veramente vissuto, senza aver avuto la possibilità di
riscattarsi. Queste, almeno, erano le motivazioni che si era data
all'inizio. In realtà, semplicemente, non lo voleva perdere,
ed in
questo si era dimostrata molto determinata ed egoista.
L'ultima
immagine di Ben non l'aveva mai
abbandonata: una macchia scura dai contorni frastagliati, sfocati, in
mezzo al chiarore della folla, in quell'aula troppo illuminata. Un
contrasto talmente potente da ferirle gli occhi: gli abiti logori per
la battaglia appena conclusa, il respiro nervoso e il viso pesto, i
polsi incatenati e uno strano collare metallico che lo avrebbe
stordito se avesse cercato di ribellarsi. A giudicare dal sottile
rigolo di sangue che gli scivolava dal naso, era sicura che, almeno
una volta, ci avesse provato.
Era
un ricordo orribile e doloroso, ma
era sempre migliore del saperlo perduto per sempre.
Gli
si era avvicinata e gli aveva
sorriso, sforzandosi di trasmettergli la stessa fiducia che si era
ritrovata a provare dopo la conclusione di quella guerra infinita.
Un
anno passa in fretta. Quando finirà
io ci sarò.
Gli
aveva sussurrato quella promessa
forte di quel sentimento che ormai li legava, cercando in modo
disperato il suo sguardo scuro, sperduto e spaventato.
Lui
non le aveva detto neanche una
parola. Si era limitato a fissarla, divorandola con gli occhi, quasi
volesse imprimere nella mente il suo volto, per non dimenticarlo.
Sapeva
perfettamente che quella
separazione era giusta, necessaria, e inevitabile. Ma dentro di
sé
era certa che, il loro ultimo incontro, non sarebbe stato un addio.
Mentre
il Falcon penetrava l'atmosfera
giallognola e densa di Nathema, Rey iniziava ad avere paura. Il
paesaggio che le si era presentato davanti, dopo aver squarciato la
spessa coltre di nubi, era spaventoso: ovunque regnava desolazione e
rovina.
C'era
solo una flebile traccia di forme
di vita, i sensori del Falcon erano tutti fuori scala e parevano
impazziti. La superficie era cosparsa di rocce grigie, nude ed
affilate. Alcune più grandi, si sollevavano dal terreno come
immensi
giganti oscuri, immobili e minacciosi. Il terreno era arido e
sabbioso. Nel mezzo di un fastidioso cielo incolore, macchiato da
nuvole grigie, brillava debolmente un sole pallido e sofferente.
E
poi c'era quell'orribile silenzio,
insopportabile e assordante.
Deglutì
con angoscia. Di tutti i Sistemi
che aveva visitato da quando aveva lasciato Jakku, non ricordava di
aver mai incontrato niente di simile.
Sentiva
l'ansia salire. Di lì a poco
avrebbe rivisto Ben, dopo un'attesa infinita, e non sapeva come
avrebbe reagito. Temeva di trovarlo profondamente cambiato e di non
poterlo sopportare. Chissà se ancora era determinato a
fargliela
pagare per avergli salvato la vita. Aveva paura di affrontarlo di
nuovo e di non essere in grado di domare le sue emozioni.
Non
credeva che separarsi da lui le
avrebbe fatto lo stesso effetto di una prigionia. In un certo senso,
la sua condanna, aveva avuto effetti devastanti anche su di lei.
Era
riuscita a sopravvivere alla fine del
loro legame solo grazie al ricordo potente che aveva di lui, ma era
stato come se l'avessero privata di una parte di sé.
Insieme
si equilibravano, riuscivano a
bilanciare la luce e l'oscurità.
Da
sola si sentiva incompleta ed
instabile.
Aveva
accuratamente tenuto segreta la
loro relazione e nessuno riusciva a spiegarsi per quale motivo, dopo
la fine della guerra, lei fosse sempre così intrattabile e
irrequieta.
L'unica
persona con cui era riuscita ad
aprirsi e confidarsi era Leia, l'unica in grado di comprendere il suo
conflitto interiore e la sofferenza che la divorava, giorno dopo
giorno. Leia aveva vissuto quel dolore sulla sua stessa pelle e
sapeva quanto potesse essere lacerante. In qualche modo si era
aggrappata a lei e si erano confortate a vicenda, ma Leia aveva anche
una missione importante e impegnativa da portare a termine: gettare
le basi, salde e durature, della Nuova Alleanza che si era venuta a
creare dopo la fine del Primo Ordine, non poteva pretendere che
l'aiutasse anche a superare i suoi traumi.
Fin
dal primo momento in cui aveva
percepito la vera natura dei sentimenti che Ben nutriva nei suoi
confronti, aveva capito che per lei era lo stesso, e ne aveva avuto
paura. Aveva lottato con tutte le sue forze, si era costretta ad
odiarlo fino al punto di fargli e farsi del male, ma non era riuscita
a contrastarlo. Alla fine aveva dovuto accettare che entrambi fossero
uno strumento della Forza per ristabilire l'equilibrio, ma ancora
più
difficile era stato accettare che si era innamorata.
Per
tutta la durata della condanna di Ben, aveva vissuto di ricordi.
Ricordava
i loro primi incontri, tramite il Legame, gli scontri, le ripicche e
le litigate furiose, i duelli sfrenati, ma anche il desiderio
disperato di trovare un punto d'incontro. Ricordava l'unica volta in
cui avevano avuto il coraggio di mettere da parte le loro posizioni
irremovibili e avevano permesso ai loro sentimenti di manifestarsi,
dirompenti: l'unica volta in cui si erano baciati.
Ricordava
le sue mani calde e tremanti che, impacciate, la accarezzavano.
Ricordava il respiro spezzato, il cuore impazzito, ogni volta che i
loro corpi si muovevano all'unisono, come se fossero stati creati per
unirsi.
Ricordava
i sensi di colpa per essersi abbandonata al desiderio mentre
tutt'intorno imperversava la battaglia; la vergogna per aver dato
sfogo ad un sentimento che pensava essere sbagliato.
Sensazioni.
Solo questo le era rimasto di Ben Solo, vivide e potenti, che la
lasciavano frustrata ed assetata, col disperato bisogno di sfiorarsi
e darsi pace.
Si
erano incontrati da nemici, avevano combattuto l'una contro l'altro e
poi, insieme, avevano affrontato la più grande minaccia che
la
Galassia avesse mai conosciuto.
Avevano
scoperto che, completandosi a vicenda, il loro potere non aveva
confini. Ma alla fine erano stati separati.
Se
durante la guerra aveva considerato il loro legame una maledizione e
poi una specie di predestinazione, in quel momento lo vedeva come una
salvezza. Era l'unica cosa che le era rimasta e di cui le importava.
Ed
adesso, finalmente, Ben era libero.
Erano
liberi.
Il
Falcon atterrò sulla piccola altura sollevando ampie nuvole
di
polvere. Rey abbandonò la cabina di comando col respiro
affannoso.
Percorse l'ultimo tratto di corridoio che la separava dal portello
barcollando, sentiva la testa leggera, come se fosse ubriaca.
Nel
momento in cui premette il pulsante, e la passerella metallica
iniziò
ad abbassarsi, venne investita da una folata di gelo che la
sbalzò
all'indietro. A stento riuscì a recuperare l'equilibrio.
Prese
un profondo respiro e si fece coraggio, scese lungo la pedana ma si
sentiva stranamente pesante e i suoi movimenti erano impacciati.
Eppure era sicura che la gravità di quel pianeta non fosse
poi molto
diversa da quella che era abituata a percepire. Chiaramente c'era
qualcosa di strano che lei non era in grado di riconoscere e
valutare.
Non
appena mise piede a terra lo sentì, chiaro e spietato, e si
bloccò
terrorizzata, incapace di muovere un altro passo. Il Grande Vuoto la
stava scrutando e saggiando, come se fosse un boccone prelibato di
cui nutrirsi. Si sentiva una preda, impotente ed indifesa.
Percepiva
il gelo sfiorarle la pelle, penetrare attraverso la carne, per
cercare di raggiungere la parte più profonda di
sé. Ma non era il
solito freddo che era abituata a sopportare, non era un freddo
atmosferico.
Era qualcosa di diverso e molto più spaventoso. Un nemico
silenzioso
e subdolo che voleva invaderla completamente.
Chiuse
gli occhi e tentò di crearsi una barriera, una specie di
scudo con
cui difendersi per addentrarsi in quella specie di incubo. Se avesse
usato la Forza per contrastare quella sensazione, avrebbe dato a
quella cosa
proprio ciò che voleva, e sarebbe stata sopraffatta. Il
Grande Vuoto
l'avrebbe svuotata, le avrebbe strappato ogni energia e l'avrebbe
ridotta in pezzi, in balia di quel senso di angoscia e disperazione
infinito.
Tentò
di svuotare la sua mente e concentrarsi. Doveva focalizzare i suoi
intenti sulla sua missione, senza farsi distrarre o, peggio,
intimorire. Era abituata a meditare, ma quello che la situazione le
richiedeva, in quel momento, andava oltre le sue reali
capacità.
Eppure ci doveva provare.
Era
dunque questo il tormento che Ben aveva dovuto sopportare? Era sicura
che fosse abbastanza abile da riuscire a contrastare il risucchio del
Grande Vuoto, ma si rendeva conto che un anno era un tempo
infinitamente lungo. Erano passati solo alcuni minuti da quando era
atterrata e lei già si sentiva allo stremo, desiderava
soltanto
trovarlo e lasciare quel luogo maledetto al più presto.
Scese
la scalinata di pietra della piattaforma di attracco e volse lo
sguardo all'orizzonte desolato, scrutandolo. Poco lontano vide due
figure scure, entrambe avvolte in un mantello, che la attendevano,
mantenendosi a distanza di sicurezza. Una delle due era più
alta ed
esile, e questo la fece ben sperare.
Lottando
contro il Vuoto e l'innaturale pesantezza degli arti si
avvicinò
arrancando. Si muoveva come un droide con le giunture arrugginite,
doveva sembrare davvero ridicola.
Appena
la vista le permise di mettere a fuoco i due individui che aveva di
fronte, rimase sconvolta, si sentì mancare e quasi le gambe
le
cedettero. Accanto ad un vecchio ingobbito che la scrutava
accigliato, appoggiandosi ad un lungo bastone che ricordava molto la
sua vecchia asta, c'era un uomo alto e magro. Si avvicinò
ancora di
più arrancando.
Era
davvero Ben quell'ombra che aveva davanti?
Il
busto era completamente nascosto da un ampio mantello di un colore
indefinito, come il paesaggio circostante, indossava un paio di
calzoni più chiari dal bordo logoro e malandato, i piedi
erano
scalzi e sudici.
Prima
di sollevare lo sguardo sul suo volto dovette raccogliere tutte le
forze. Attraverso l'apertura del cappuccio, lievemente in ombra,
appariva il suo viso e, in un primo momento si rifiutò di
credere
che fosse lui. Ciocche di capelli troppo lunghe, fuoriuscivano dal
cappuccio e svolazzavano nervose, metà dei suoi lineamenti
erano
nascosti da una folta e lunga barba nera.
Solo i
suoi occhi tradivano la sua reale identità: erano rimasti
gli
stessi, scuri e profondi. Ancora più tristi ed arrossati, ma
erano i
suoi. E la fissavano increduli e disperati.
Sollevò
tremante una mano per sfiorargli il viso, sentiva disperatamente il
bisogno di toccarlo per accertarsi che fosse reale e non una visione
assurda generata dalla sua mente. Che cosa gli era successo per
ridursi così? Quasi le venne da maledire Leia per aver
permesso una
simile atrocità.
Nel
percepire il tocco delle sue dita Ben chiuse gli occhi e una lacrima
gli sfuggì sulla guancia. Non riusciva a sentire cosa stesse
provando in quel momento, non poteva espandere i suoi sensi e
permettere al Grande Vuoto di avere la meglio, ma era sicura che nel
vederla arrivare si era sentito sollevato.
Senza
riflettere oltre si gettò tra le sue braccia e lo strinse
forte per
fargli sentire maggiormente la sua presenza. Quanto aveva desiderato
che quel momento arrivasse?
«Non
avresti dovuto venire fin qui...»
La voce di Ben le sembrò cupa e distorta, e un brivido
violento la
scosse. Perfino il suo tono era cambiato, o era solo un altro nefasto
effetto di quel luogo? Non ci sarebbe rimasta un minuto di
più.
«Sono
qui adesso... Te lo avevo promesso. Ricordi?» Gli
sussurrò
disperata, ma non aveva idea di come gli sarebbe arrivata la sua
voce.
«Non
dovevi essere tu a prenderti questo incarico. Avresti dovuto
dimenticarmi e vivere la tua vita. Io voglio solo... Voglio solo
essere dimenticato» le confessò, con quel suo tono
greve e
rassegnato.
Rey
sospirò. «Dimenticheranno Kylo Ren, e tutti i suoi
crimini, ma non
Ben Solo. Tua madre ti ha offerto la possibilità di
riscattarti. Non
puoi tirarti indietro, io non te lo permetterò» lo
aggredì
accigliata.
Ben le
regalò un accenno di sorriso, il regalo più bello
che potesse
farle. Forse si era reso conto che, nonostante il tempo e le enormi
distanze cosmiche che li avevano separati, la sua jedi strampalata
non era cambiata affatto ed era più determinata che mai a
portare a
termine la sua stramba missione. Annuì e ricambiò
il suo abbraccio,
stringendola in modo altrettanto disperato, per quanto la sua
debolezza gli potesse permettere. Poi si lasciò scivolare a
terra,
in ginocchio, stremato, posando la fronte sul suo ventre e cingendo
con le mani grandi i suoi fianchi esili.
Rey
gli abbassò il cappuccio e infilò le dita tra i
suoi capelli troppo
lunghi, sognando il momento in cui si sarebbe presa cura di lui e
glieli avrebbe accorciati, gli avrebbe tagliato quell'orribile barba
che nascondeva la nobiltà dei suoi lineamenti e lo avrebbe
ripulito
dal sudiciume che ricopriva il suo corpo troppo magro.
Rivoleva
il suo principe, comprensivo, gentile e dannatamente alto.
Bellissimo.
Si
chinò sulla sua testa piangendo in silenzio.
Rimasero
così, abbracciati e immobili per alcuni istanti, con la sola
compagnia del vecchio Grawel che
li osservava spazientito e imbronciato.
Poi,
improvvisamente, un lampo di luce squarciò il livore del
cielo e un
rombo di tuono riecheggiò sinistro, in quell'atmosfera
sterile e
vuota.
Grawel
si turbò, iniziando ad agitarsi e a guardarsi intorno
spaventato.
Lei
invece sollevò di scatto lo sguardo e rimase impietrita ad
osservare
il grigiore dell'orizzonte mutarsi velocemente. E Ben fece lo stesso.
Delle
immense nuvole nere e dense avevano oscurato il piccolo sole pallido
e l'aria sembrava ancora più fredda, altri lampi e tuoni si
susseguirono minacciosi.
Rey si
strinse più forte a Ben, ignara di quello che stava per
succedere.
Era forse una manifestazione del Vuoto? Il Nulla voleva schiacciarli,
distruggerli? Quel mostro senza nome non aveva intenzione di
lasciarli andare?
Improvvisamente
ebbe paura.
Aveva
attraversato mezza Galassia per andare a morire in quel modo assurdo?
L'ansia
e il desiderio di lasciare quel pianeta si facevano sempre
più
pressanti. Aiutò Ben a sollevarsi, invitandolo a seguirla
verso il
Falcon, ma qualcosa di fresco le colpì la faccia, facendola
sussultare. Poi la colpì ancora, ancora e ancora.
Con la
punta delle dita tremanti si sfiorò il viso scoprendo, con
stupore,
che quel liquido misterioso non era altro che semplice acqua.
Trasparente e innocua.
Sospirò
felice guardandosi intorno. Aveva
iniziato a piovere. Ed era una pioggia leggera, fresca e piacevole.
Purificatrice.
Era
forse un flebile e piccolo segno che
quel pianeta stava rinascendo?
L'essersi
finalmente ritrovati aveva
fatto germogliare nuovamente il seme della Forza e costretto il
Grande Vuoto a ritirarsi?
Si
scambiò un'occhiata d'intesa con Ben,
che in quel momento le sembrava tranquillo, quasi sereno, e poi,
insieme, si abbandonarono a quella piacevole sensazione di
leggerezza. Il peso opprimente che la stava schiacciando sembrava
essersi attenuato e i movimenti le riuscivano più fluidi.
Il
vecchio Grawel invece era sconvolto: «Chi diavolo sei tu?
Guarda che
cosa hai combinato!» L'aggredì brutale.
«Sono
Rey. Rey di Jakku» gli rispose
fiera, ridendo, ma il Custode continuò a fissarla con astio,
per
nulla impressionato dalla sua disinvoltura.
«Non
so di quale dannato potere tu sia portatrice, ragazzina, ma su questo
buco dimenticato da dio, non pioveva da millenni. Prenditi
il tuo prigioniero e vattene via» lo sentì
gracchiare. Poi lo vide
allontanarsi a passo incerto e barcollante in direzione di un'antica
costruzione in pietra mezza diroccata. «E non farti
più vedere!»
aggiunse minaccioso, mentre continuava a borbottare tra sé,
scuotendo animosamente la testa.
Rey
si girò sorridente verso Ben e gli
porse la mano completamente bagnata dalla pioggia. Lui
allungò
timidamente la sua e di nuovo delicatamente si sfiorarono.
Lentamente
le loro dita si intrecciarono,
i loro corpi fremettero per accostarsi ed unirsi. E finalmente le
loro labbra si avvicinarono fino a toccarsi in bacio timido, leggero,
lento. Intriso del desiderio di scoprirsi, assaporarsi, donarsi.
Questa
volta nessuno sarebbe intervenuto
a spezzare la loro unione, nessuno sarebbe giunto a dividerli.
Si
diressero, mano nella mano verso il
Falcon, completamente fradici e felici.
Rey
non sapeva ancora quale sarebbe stata
la loro meta, ma avevano l'intera Galassia a disposizione... e tutto
il tempo che il destino avrebbe concesso loro.
«Sono
passate settimane ormai e ancora non abbiamo sue notizie. Non credi
che sia il caso di mandare qualcuno a cercarla? Vuoi che vada
io?»
«Tu
ti
preoccupi troppo.»
«È
partita per andare a recuperare Kylo Ren ed è sparita nel
nulla.
Sono
spariti nel nulla. Non dovrei preoccuparmi?»
«Kylo
Ren non
esiste più, è morto molto tempo fa.»
«Beh,
io non ci
credo. Quelli come lui non cambiano. Sei sua madre, capisco che per
te possa essere difficile accettarlo. Ma la Galassia non
sarà mai al
sicuro fino a quando lui sarà in circolazione.»
«Allora
puoi
stare tranquillo. Rey sta bene.»
«Come
fai ad
esserne sicura? Tuo figlio è una bomba ad orologeria pronta
ad
esplodere.»
«...»
«Ehi,
un
momento! Tu... Tu sai dove si trova. Da quanto sei in contatto con
lei? Perché me lo hai tenuto nascosto?»
«Poe,
amico
mio, sei e resterai sempre una testa calda. Ma è questo che
adoro di
te. Rey sta per avere un bambino.»
Chandrila, un anno dopo...
Leia
si concesse ancora qualche minuto
all'aria aperta. Passeggiare sul terrazzo del suo palazzo, nel centro
di Hanna City, era una piacevole abitudine a cui si era imposta di
non rinunciare, nonostante la sua salute, ultimamente, non fosse
delle migliori.
Da
quella posizione poteva ammirare un
panorama stupendo: palazzi dalle forme più disparate che ben
si
armonizzavano con la natura collinare e ondulata della costa,
giardini pensili arricchiti da una vegetazione multiforme e
lussureggiante e infine, all'orizzonte, il suo sguardo incantato si
perdeva nel luccichio delle mille sfumature del Mar d'Argento. Era
calmo, completamente piatto e le infondeva un senso di pace e
tranquillità.
Inspirò
profondamente l'aria fresca
della sera e si appoggiò con le spalle ad una delle colonne
che
sorreggevano la copertura della terrazza.
A
quell'ora della giornata la stanchezza
si faceva sentire impietosa, limitando i suoi movimenti, ma ormai non
le importava. Aveva combattuto una vita intera e adesso era giunto il
momento di riposare e godersi la serenità conquistata a caro
prezzo.
Ricordò
con tristezza tutti coloro che
avevano dato la vita per raggiungere quella pace così
preziosa.
Erano stati tanti. Troppi.
Anche
se non erano più con lei
fisicamente, li avrebbe portati tutti nel suo cuore per sempre, uno
per uno.
La
guerra contro il Primo Ordine e poi
contro il Male più Oscuro, aveva lasciato la Galassia
gravemente
ferita e nel caos più totale. Lentamente, i superstiti della
Resistenza stavano ricostruendo il nuovo assetto che avrebbe
garantito una pace duratura.
C'era
ancora molto lavoro da fare, ma lei
era fiduciosa. Era circondata da persone capaci, determinate e
indomite, su cui era certa di poter contare, anche se non sarebbe
stata molto presente.
Finalmente
guardare al futuro non la
spaventava più.
Il
suoi occhi vagavano stanchi lungo la
balaustra che proteggeva la terrazza, quando, ad un tratto, Rey
apparve nel suo campo visivo.
La
vide avvicinarsi al parapetto con un
fagottino agitato tra le braccia. Anche lei cercava un po' di
refrigerio nella brezza del tramonto.
Si
spostò dietro la colonna e rimase in
silenzio, senza palesare la sua presenza. Le piaceva scrutarla di
nascosto, osservare i suoi gesti, mentre si prendeva cura della
piccola Kezyah. Rey era una giovane madre ancora impacciata e
parecchio imbranata, ma ce la stava mettendo tutta per imparare in
fretta. Nel suo essere troppo apprensiva, ma anche dolce e amorevole,
le ricordava lei, quando si era trovata ad occuparsi di Ben, che era
arrivato troppo presto, sconvolgendo la sua vita, già fin
troppo
complicata.
La
piccola si lamentò con un vagito e
Rey, maneggiandola con cautela, portò la sua testolina bruna
sulla
spalla, cullandola con più vigore. Poi iniziò a
cantarle una nenia
per addormentarla.
Leia
sorrise di cuore. Era una visione
che le suscitava una tenerezza infinita. Chissà, magari, tra
qualche
tempo, avrebbe potuto coronare un suo vecchio e bizzarro desiderio.
Un desiderio che non aveva mai voluto abbandonare, anche quando la
situazione sembrava disperata e senza via d'uscita: lasciare i
meravigliosi vestiti di Padmé a sua nipote.
In
quel momento, quella possibilità le
sembrò così stupendamente concreta che il suo
cuore sussultò di
gioia.
Era
passato poco più di un anno e mezzo
da quando aveva salutato Rey, prima di vederla salire sul Falcon
diretta a Nathema. Ricordava il suo sguardo fiero e la sua fermezza
nel voler compiere l'ultimo passo per riavvicinarsi a Ben.
Se
era riuscita a riaverlo nella sua vita
lo doveva soprattutto alla giovane jedi, e alla sua cocciuta
determinazione nel non ritenerlo perduto per sempre.
Dopo
Nathema, suo figlio aveva attraversato il momento più
terribile
della sua esistenza. Riaprirsi alla Forza, dopo esserne stato privato
per tanto tempo, era stato difficile e doloroso. Tutto
quello che gli era rimasto del passato, erano solo flebili ricordi,
il Grande Vuoto aveva creato violentemente uno spartiacque, era stato
un vortice che aveva risucchiato ogni cosa e lo aveva risputato alla
vita profondamente provato.
Era
come un diamante grezzo che doveva essere smussato e levigato per
iniziare a splendere.
Rey
era rimasta sempre al suo fianco e lo aveva aiutato, si era presa gli
insulti più crudeli, aveva sopportato le sue crisi violente,
lo
aveva confortato nei momenti in cui sentiva di non appartenere
più
al suo corpo, di non sapere più chi fosse realmente.
Rey lo
aveva aiutato a ritrovare se stesso, semplicemente standogli accanto,
facendogli capire che non era più solo, che non
doveva essere
da solo ad affrontare il suo dolore.
La
mercante di Jakku l'aveva costantemente tenuta informata della loro
posizione e dei progressi di Ben, rispettando la sua volontà
di
mantenere i loro contatti segreti.
Non
voleva turbare suo figlio più di quanto non lo fosse
già. Era
sicura che se avesse sentito la necessità di incontrarla di
nuovo
non l'avrebbe soffocata. Ma doveva essere lui a fare il primo passo.
Ben e
Rey intrapresero un lungo viaggio a bordo del Falcon. Quel vecchio
rottame conservava ancora i segni dell'ultima terribile battaglia, ma
era in grado di saltare nell'iperspazio.
Per
settimane avevano vissuto intensamente, assaporando tutto quello che
poteva offrire la ritrovata libertà. La guerra, la
sofferenza, gli
scontri dolorosi e inevitabili, erano un ricordo che andava sfumando.
Avevano
raggiunto vari
sistemi, esplorato pianeti, e si erano amati senza limiti.
La
Galassia aveva ritrovato il suo tanto prezioso Equilibrio, ora
dovevano trovare il loro.
Poi
era arrivata Kesyah, e tutto era
cambiato un'altra volta.
Kesyah era nata dalle ceneri
di Kylo Ren, aveva portato luce nell'oscurità,
fertilità in un
deserto.
Per
la prima volta, dopo tanto tempo, Leia si sentiva davvero felice. Ma
Rey sapeva che la sua salute stava peggiorando, aveva uno spiccato
sesto senso, per queste cose, così aveva convinto Ben a
tornare su
Chandrila per farle conoscere la bambina.
Rivedere
suo figlio era stata un'emozione
fortissima, ma mai quanto tenere tra le braccia la sua preziosa
nipotina.
Proprio
in quell'istante Ben raggiunse
Rey sulla terrazza, affiancato dal giovane Temiri e la sua attenzione
tornò bruscamente al presente.
Suo
figlio era bellissimo.
Rimase
incantata nell'ammirare la sua
camminata fiera, i suoi capelli neri scompigliati dal vento, il suo
profilo perfetto. Era un principe, a tutti gli effetti.
Vide
Rey baciarlo sulle labbra e poi
chinarsi per salutare il ragazzino, mostrandogli la piccola Keziah
finalmente addormentata.
Osservò
divertita la riunione della
giovane famiglia, continuando a restare nell'ombra. Non voleva
rovinare quel momento, non voleva interferire. Era tutto perfetto
così, come lo stava ammirando, e non poteva desiderare nulla
di più.
Temiri
e Ben erano appena tornati da un
lungo viaggio, e forse stavolta si sarebbero trattenuti un po' di
più.
Rey
avrebbe dovuto partire con loro, ma
aveva preso una scusa e aveva deciso di restare qualche settimana su
Chandrila. In realtà sapeva che lo aveva fatto per farle
trascorrere
più tempo possibile con la bambina, e di questo gliene
sarebbe stata
infinitamente grata.
Il
piccolo Temiri si era unito alla
famiglia per un caso fortuito. Finn lo aveva trovato, denutrito e
stremato sul pianeta Kalee. Aveva riconosciuto l'anello della sorella
di Rose che portava al dito e si era ricordato di lui, di quando lo
aveva incontrato la prima volta su Cantonica.
Stava
fuggendo da dei guerrieri in nero
che volevano ucciderlo, perché era uno dei pochi
sopravvissuti,
sensibili alla Forza. Finn lo aveva portato su Chandrila e aveva
intenzione di adottarlo insieme a Rose. Ma la convivenza con lui si
era dimostrata impossibile. Il bambino non era in grado di
controllare l'uso della Forza e aveva bisogno di qualcuno che lo
aiutasse a gestire il suo potere.
Rey
si era offerta di fargli da guida, ma
lui aveva fin da subito dimostrato un forte legame con Ben, anche se
lui, inizialmente, non voleva essere coinvolto.
Era
una rogna che si era accollata
la jedi e poteva benissimo sbrigarsela da sola. Era appena diventato
padre e non aveva intenzione di farsi trascinare anche in
quell'impresa.
Contrariamente
ai suoi piani però, il
giovane Temiri riusciva a trovare un po' di pace solo quando stava
accanto a lui.
Ben
decise allora di partire e di portalo
via con sé, forse perché un po' si rivedeva in
lui e non voleva che
commettesse i suoi stessi errori. Ma il suo addestramento non sarebbe
stato quello di un maestro jedi. Ne aveva abbastanza di regole e
restrizioni, avrebbe seguito solo il suo istinto.
Lo
iscrisse alle corse degli sgusci, le
stesse di cui suo padre era stato un organizzatore e in poco tempo
riuscirono a vincere abbastanza da poter riscattare buona parte della
flotta mercantile di Han Solo.
Leia
sapeva che Ben lo aveva fatto per
onorare la memoria di suo padre e perché, il suo
più grande
desiderio, era quello di diventare un pilota in gamba come lui.
Non
avrebbe mai più interferito con le
scelte di suo figlio, entrambi avevano pagato per i propri errori ed
era giunto il momento di ricominciare.
Doveva
lasciarlo vivere e fidarsi di lui.
Mentre
ripensava agli avvenimenti degli
ultimi tempi, vide Ben prendere tra le braccia sua figlia, e le si
strinse il cuore. Lui era così grande e grosso e,
quell'esserino,
così minuscolo e fragile tra le sue braccia. Anche se la
stringeva
con estrema cautela, Rey gli stava addosso come un'arpia e lo teneva
sotto tiro con lo sguardo, come se gli dovesse sfuggire di mano da un
momento all'altro.
Ben
scosse la testa esasperato,
ricordandole in modo vivido la stessa scena vissuta, parecchi anni
prima, tra lei ed Han.
Improvvisamente
lo sentì vicino, reale,
ed un brivido le percorse la schiena.
Sorrise
ed inspirò profondamente.
«Non
ti sembra che somiglino
straordinariamente a qualcuno?» Disse ad alta voce, come se
suo
marito fosse presente lì con lei, in quell'istante.
«Sì,
lo so. So cosa stai per dire: Sempre
che quel moccioso non rovini tutto.
Non
lo farà, sta' tranquillo, me lo
sento.
La
tempesta è passata ed ora possiamo
tirare un sospiro.
Oh,
ne verranno altre, ne sono sicura. Ma
adesso è pronto ad affrontarle, e non sarà solo.
Sai,
credo proprio che quei ragazzi siano
destinati a grandi cose. Ma a noi non è concesso interferire.
Ho
fatto tutto quello che era in mio
potere per sistemare le cose e adesso... è giunto il momento
di
lasciare il posto al futuro.
Un
futuro pieno di speranza.
E
sono loro, il futuro, è inevitabile.
Sai,
sono così stanca, Han... credo...
credo che presto verrò a riabbracciarti, vecchia canaglia.
Pensavi
davvero che ti saresti liberato
di me?
Sì,
adesso posso andarmene.
Posso
andarmene in pace... »
________________________
Note:
-
Nathema. Io non sono molto
fanatica del Canon, forse perché non ho una conoscenza molto
approfondita di Star Wars, quindi non disdegno il Legend, se posso
prendermi qualcosa che mi piace o mi ispira particolarmente. Il pianeta
Nathema mi ha offerto questa possibilità e l'ho sfruttata
secondo l'idea che avevo in mente, plasmandola sulla mia storia.
Ovviamente fa parte del Legend. Sicuramente chi conosce il ciclo di
libri Star Wars: The Old Republic, sa di cosa sto parlando. Se
volete approfondire la vera storia di Nathema potete dare un'occhiata
qui: https://starwars.fandom.com/it/wiki/Nathema
-
La frase Rivoleva il suo principe,
comprensivo, gentile e dannatamente alto non è farina del mio
sacco ma sono le vere parole di Adam Driver durante un'intervista in
cui gli veniva chiesto come sarebbe stato Kylo Ren come marito :) Da
brava Reylo incallita non potevo non mettercele.
-
Kezyah ( Kisia) è il nome della
figlia di Rey e Ben, e siccome questa shot fa parte della serie L'eredità di Leia, si ricollega alla mia
precedente shot Ritorno su Jakku, in cui vediamo i nostri
innamorati spaziali alle prese con l'esplorazione della parte
più profonda di loro stessi, oltre che della Galassia
lontana lontana :)
In realtà ho immaginato che fosse il vero nome di Rey e di
un fiore che cresce nel deserto di Jakku.
Chi non l'avesse letta la può trovare qui: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3816668&i=1
Ok.
La lunga serie di note credo sia conclusa, ma era doveroso farla.
Angolo
autrice:
Non
ho granché da dire, spero che la shot parli da sola. Anche
se
sicuramente il VERO finale sarà molto diverso, io spero che
almeno
lui sopravviva. Questo è il mio ultimo contributo alla Reylo
prima
dell'uscita del film, tra una settimana. Dopo non lo so, cosa
accadrà... dipende da come si concluderà questa
saga meravigliosa.
Tutto
dipenderà dalla sorte di Ben Solo. Ho ancora una long in
corso e non
so se avrò il coraggio di portarla a termine, tutto
dipenderà dal
mio grado di ispirazione e la mia condizione psicologica dopo la fine
della trilogia.
Nonostante
tutto quello che è uscito fin'ora, spoiler, leak,
indiscrezioni,
ipotesi e teorie strampalate, io credo e spero fermamente in un'unica
cosa: Star Wars è una favola, una meravigliosa favola, e
come tutte
le fiabe che si rispettano DEVE avere un lieto fine per i
protagonisti.
Che
la forza sia con noi. Sempre...
|