Questa
storia partecipa alla “Christmas Run” indetta dal forum “Piume
d’Ottone” con il prompt “Devi smetterla di portare
cadaveri nella mia cucina" di Chara.
Note
iniziali: questa
one-shot è una sorta di AU ambientata nell’universo di “Queste Oscure Materie”
, più o meno ai tempi dei fatti che accadono nel primo libro, “La bussola d’oro.”
In questo universo, l’anima di ogni essere umano vive esternamente a lui
sottoforma di animale. I daimon dei bambini possono cambiare forma, la quale si
stabilizzerà dopo la pubertà dei loro umani. I daimon non si separano mai dai
loro umani. Per quanto riguarda l’universo di Shadowhunters, questa storia
potrebbe essere collocata prima della saga: Jace (come Izzy) ha dieci anni ed è
appena stato mandato a vivere dai Lightwood.
If
aught but death part thee and me
“Devi
smetterla di portare cadaveri nella mia cucina,” borbottò Isabelle, accucciata
a terra. Il suo daimon, Raphael, strisciava silenzioso sulle sue
braccia e sembrava altrettanto corrucciato.
Il
“colpevole” dell’omicidio di massa – un daimon con le sembianze di un gatto
soriano – fece la spola fra i tre topolini morti che aveva abbandonato sul
pavimento e cercò il suo umano con lo sguardo.
Jace
smise di far dondolare le gambe e balzò giù dal tavolo, leccandosi le dita
sporche di glassa zuccherata.
“È
anche la nostra cucina,” precisò, sorridendo sghembo. “Ormai è da un secolo che
ci hanno portati qui.”
L’aria
dura di Isabelle sembrò addolcirsi; Jace Wayland aveva perso il padre appena
tre mesi prima, in circostanze ancora non del tutto chiaro nemmeno agli
accademici del Gabriel College. Lui e il suo daimon erano stati accolti
all’università dietro insistenza dei genitori di Isabelle, che conoscevano
molto bene il signor Wayland.
Isabelle
e il suo fratellino, Max, erano stati felici di avere un nuovo compagno di
giochi. Al Gabriel College i bambini erano pochi e uno in più faceva sempre
comodo – specialmente nelle faide continue contro i bambini gyziani. Jace,
tuttavia, era un ragazzino diverso da come se l’era aspettato: riservato e arrogante,
sempre con la battuta pronta. Scherniva i suoi giochi definendoli ‘roba da
poppanti’ e studiava molto, dividendo il suo tempo tra il dormitorio e la
biblioteca. Sapeva anche combattere, però – Izzy l’aveva scoperto per caso, un pomeriggio
che lei è Simon l’avevano sorpreso ad allenarsi di nascosto assieme al suo daimon.
Lei e Jace erano più simili di quanto non sembrasse e forse era proprio per
questo che litigavano così spesso e, altrettanto di frequente, facevano la pace
nel giro di pochi minuti.
“A
maggior ragione, non è il caso di riempirla di topi morti, non credi?” obiettò,
prima di rivolgersi al gatto soriano. “Tanto nemmeno li mangi”.
“Ma
a Jace fa ridere,” replicò il daimon, strofinandosi contro le gambe del
suo umano.
Isabelle
alzò gli occhi al cielo.
“E
comunque ti preferisco quando sei un falco,” concluse, prima di allungarsi sul
tavolo per sgraffignare uno dei pochi pasticcini che aveva avanzato Jace . “Ci
conviene svignarcela prima che i cuochi si accorgano di non aver più nulla da
offrire all’ospite di oggi.”
“Ci
sono pur sempre i topi,” osservò Jace, facendo ridere Izzy e Raphael.
I
due ragazzini e i loro daimon sgusciarono in corridoio e corsero fino a
quando non raggiunsero il giardino del college.
“Noi
andiamo a giocare con quelli degli altri College,” annunciò Raphael, facendo
vibrare la lingua. “Venite anche voi?”
“Più
tardi, forse,” rispose il daimon di Jace, cambiando forma. Il gatto
soriano scomparve, lasciando il posto a i voli scomposti di un falco pellegrino
di piccole dimensioni.
“Sempre
i soliti supponenti” commentò Izzy, roteando gli occhi. “Siete proprio strani,
voi due. D'altronde, in giro, non si vedono tanti ragazzi con un daimon
maschio. O ragazze con un daimon femmina, se è per questo.”
“Tu sei
strana.” ribatté Jace, inarcando un sopracciglio. “Quante ragazze se ne vanno
in giro con un daimon serpente?”
Isabelle
gli fece la linguaccia.
“Solo quelle
più cazzute,” replicò, ammiccando, prima di correre via con Raphael.
Jace sorrise
divertito. Lui e il suo daimon rimasero a osservarla fino a quando non
divenne un puntino a malapena visibile all’ingresso del college.
“Simpatica,
la ragazzina,” commentò, incamminandosi verso i corridoi. “Che ne pensi, Alec?”
Il daimon
ridacchiò, svolazzandogli intorno.
“A me
sembra una posto.”
“Sì,
probabilmente lo è.”
Nonostante
il tono allegro della loro conversazione, Jace percepì distintamente del
nervosismo in Alec. Non era qualcosa che si poteva cogliere dal tono di voce o
dal modo di muoversi: lo sentiva e basta.
“Che
cosa c’è?” chiese, una volta arrivati nella loro stanza.
Alec
non rispose subito. Si appollaiò sul bordo del letto - lo sguardo rivolto al
comodino. Lì, ben nascosto da occhi indiscreti, era nascosto un libro che lui e
Jace avevano scovato per caso qualche settimana prima. Era piccolo e sottile,
così il ragazzino era riuscito a infilarlo nel doppio-fondo del carillon di suo
padre – quello a forma di pianoforte. Il carillon era l’unico oggetto personale
che Jace si era portato al college da casa, oltre ai vestiti e ai libri di
studio, e nessuno oltre a lui aveva il permesso di toccarlo.
“È davvero
così strano che siamo entrambi i maschi?” chiese infine Alec, spostando la sua
attenzione su Jace. Il bambino gli si sedette a fianco.
“Ho già
visto altri ragazzi con daimon del loro stesso sesso,” spiegò,
stringendosi nelle spalle. “E anche degli adulti; non c’è differenza.”
Alec
annuì, visivamente sollevato.
“Jace?”
aggiunse poi, zampettando in grembo al ragazzo. “Secondo te che forma prenderò,
quando diventeremo grandi?”
Jace
accarezzò le piume di Alec con sguardo assorto.
“Lo sai
già,” mormorò infine - ed entrambi sapevano che aveva ragione.
“Il
falco,” azzardò Alec, con un luccichio di orgoglio negli occhi. “Un falco
adulto. Sarebbe bello, vero?”
Jace
annuì, ma il suo daimon percepì l’incoerenza del gesto rispetto ai
pensieri del ragazzino.
“Non ti
piaccio come falco?”
“Figurati,”
rispose Jace, scuotendo appena la testa. “Sei perfetto come falco. Ma io non
posso volare.”
“Questo
non è un problema,” rispose Alec con fare pratico. “Non posso scappare via da
te. E se anche potessi, non vorrei farlo. Lo sai benissimo.”
“Però
deve essere bello volare,” rifletté ancora Jace, fissandolo. “Volare a passo di
rapace, intendo dire. Volare libero – è quello che fanno i falchi.”
“Tu
voleresti mai via, se potessi separarti da me?” domandò Alec; gli fece male
perfino chiederglielo. Un dolore fisico, come se una mano gigante gli stesse
schiacciando la gabbia toracica.
Jace
inorridì.
“Sarebbe
come morire” rispose serio, toccando Alec sulla testa. Il contatto caldo con le
sue piume lo rassicurò. “Come se morissimo entrambi.”
“Perché
moriremmo entrambi,” osservò Alec, spingendo il capo contro il palmo della sua
mano. “Forse non all’esterno, ma sotto le piume e lo scheletro, gli organi e il
sangue. Che me ne faccio di volare libero, se dentro di me non c’è più nulla?”
Jace
sorrise appena.
“È come
nel libro,” osservò, indicando con il mento il volume sul comodino. “Come per
quei cacciatori di demoni. Quelli che uniscono le loro anime.”
Trovare
quel libro nel reparto proibito della biblioteca era stato un vero – e casuale –
colpo di fortuna, eppure Alec e Jace si subito erano subito resi conto di
essere incappati in qualcosa che né loro né nessun altro frequentatore del
college avrebbe dovuto leggere.
In
apparenza era una favola per bambini come tante – la storia di un gruppo di guerrieri
che andavano a caccia di creature mitologiche mostruose, come demoni, vampiri e
lupi mannari. La cosa inquietante era che questi cacciatori non avevano un daimon,
e solo pochi di essi – li chiamavano parabatai – sembravano aver bisogno di un
legame simile a quello che intercorreva tra lui e Alec.
Jace e
il suo daimon erano rimasti stregati da quella storia e sin dal primo
momento in cui avevano il prologo si erano posti un'unica, insistente domanda: se
quella che stavano leggendo era solo una favola, come mai il libro era stato
messo nella sezione proibita?
“Quel
libro mi rende nervoso.” ammise Alec in un sussurro. “ Tutte quelle persone
senza daimon… Ma è solo una storia, vero?”
Jace
tirò fuori il libricino dal doppiofondo del carillon.
“A
chi mai potrebbe venire in mente una storia del genere?” mormorò, sfogliandone
le pagine. “Sembra descrivere persone come noi, eppure non potrebbero essere
più diverse. Perfino le streghe, che possono staccarsi dal loro daimon,
ne hanno uno. Questi cacciatori sembrano una razza a parte...”
“Forse
sono alieni…” azzardò Alec, mentre Jace tracciava con le dita il profilo di un’illustrazione:
raffigurava due giovani che si tenevano per il braccio destro. Erano circondati
da un cerchio di fuoco e sorridevano, guardandosi negli occhi. Era come se per
i due ragazzi non esistesse nient’altro, al di fuori di quella stretta di mano.
Si stavano preparando, Alec e Jace l’avevano letto il giorno prima, per unirsi
in maniera irreversibile. Per legare le loro anime - così diceva il libro.
“Loro mi
piacciono,” mormorò a quel punto Alec, indicando con il becco la figura. “Loro
li capisco.”
I due
ragazzi della storia sapevano di non poter sostenere il peso di una vita solitaria.
Avevano scelto di legarsi l’uno all’altro per diventare una cosa sola – un unico
essere scisso in due corpi.
Come un
umano e il suo daimon.
“Leggi
ancora quel pezzo,” disse ancora Alec, supplicando Jace con lo sguardo. “Rileggi
le parole del rituale pataba… palaba…”
“Parabatai,”
lo corresse Jace, con un sorriso divertito. “Leggiamo insieme, ti va?”
Alec
mutò forma e tornò a essere un gatto, acciambellato tra le braccia del suo
umano: Jace scelse di interpretare quella trasformazione come un “sì”.
Il
ragazzino fece scorrere l’indice sulla pagina, fino alle righe di dialogo che
davano avvio alla cerimonia parabatai.
“Non
insistere perché ti abbandoni e rinunci a seguirti.”
Il
bambino e il suo daimon lessero all’unisono, intrecciando le voci in un
unico timbro: quando parlavano insieme, le loro parole sembravano fondersi come
due note alla stessa altezza. Non sarebbero mai stati un coro armonizzato, Jace
e Alec. Avrebbero sempre cantato all’unisono. “Perché dove andrai tu andrò
anch'io e dove ti fermerai tu, mi fermerò.”
“Proprio
come noi due,” aggiunse Alec, strusciando il muso contro il petto di Jace. “Qualunque
forma prenderò crescendo, il mio desiderio resterà quello di stare con te. E
non sarà perché non potrò fare altrimenti. Ma perché se non ci fosse più un “noi”
non potremmo esistere nemmeno tu ed io. Giusto?”
Jace
annuì, il cuore gonfio di affetto.
“Dove
morirai tu morirò anch'io e vi sarò sepolto,” continuò a leggere, imitato poco dopo da Alec.“L'Angelo
faccia a me questo e anche di peggio, se altra cosa che la morte mi separerà da
te.”
Rimasero
in silenzio per qualche istante, intenti ad assorbire il significato di quella
frase.
“Cos’altro,
se non la morte, potrebbe separare una persona e il suo daimon?”
sussurrò all’improvviso Alec, intimorito dalle sue stesse parole.
Jace,
che aveva sempre la risposta pronta per tutto, non ebbe cuore di replicare. La
morte era qualcosa di naturale e comprensibile – Jace non la temeva, nonostante
continuasse a ricordarla ogni notte, malcelata nel ricordo dell’urlo lacerante
di suo padre. Ma venire strappati via dal proprio daimon… era un pensiero
innaturale e raccapricciante, a stento concepibile. I due ragazzi del racconto,
i Parabatai, dovevano aver sofferto molto crescendo separati. Ma adesso, per
fortuna, si erano ritrovati. E nessuno avrebbe potuto recidere quel legame.
“Forse
ci siamo sbagliati, Alec,” esordì infine, chiudendo il libro e posando la mano
libera sul pelo soffice del suo daimon. “Forse questi cacciatori non
sono così diversi da noi. È solo che non sono altrettanto fortunati: umani e daimon
nascono senza sapere che il loro compagno è là fuori, da qualche parte. E alcuni
non si ritroveranno mai.”
Il
ragazzino ripose il libro nel doppio fondo del carillon – la gratitudine a riempigli
il petto. Per Alec, lo sentiva, era lo stesso.
“Tu ed
io, invece, siamo nati insieme e cresceremo insieme,” aggiunse, guardando il
suo daimon negli occhi.
Alec
annuì.
“E
quando arriverà il momento di morire, allora moriremo insieme.” Proseguì il daimon,
dandogli un colpetto sul naso con il muso. “Qualunque cosa accada.”
“Qualunque
cosa accada,” ripeté sollevato Jace, stringendolo a sé. “L'Angelo faccia a
me questo e anche di peggio…”
Questa
volta la voce di Alec si unì alla sua immediatamente.
“…se altra
cosa che la morte mi separerà da te*.”
Note
finali
Due
piccoli appunti. Il primo è che, attualmente, sono arrivata solo al sesto
episodio di His Dark Materials (e sto leggendo, in parallelo, il primo
libro della trilogia). Per questo potrebbero esserci alcuni errori o alcune
incongruenze con la trama e l’universo narrativo della saga di Pullman e mi
scuso per questo.
La
seconda cosa riguarda i personaggi. Jace è forse un po’ OOC rispetto al Jace “originale”,
ma ho cercato di inserire nella sua personalità qualcosa di Alec, visto che in
un certo senso i due sono la stessa persona. Ho anche una mia teoria per quanto
riguarda l’avere un daimon del proprio sesso e l’ho accennata in maniera molto
velata nei dialoghi, ma non la esplicito perché può darsi che la cosa sia già
stata approfondita nella saga e non mi voglio spoilerare.
Per
quanto riguarda Izzy, il nome del suo daimon è stato scelto abbastanza a caso.
Ho pensato a Raphael perché *SPOILER SERIE TV* nella serie TV lui e Izzy hanno un bel
rapporto che sfocia poi in una sorta di amicizia, e non volevo mettere un nome
a caso, né quello di Simon che probabilmente sarebbe il daimon perfetto per
Clary (o viceversa).
Grazie
a chiunque sia passato a leggere!