Un’Austin
Mini rossa sfrecciava a velocità moderata
sull’asfalto lucido di una Tokyo prossima
all’imbrunire, ma sempre brulicante di gente e di una miriade
di luci colorate.
Le note soffuse di una melodia orchestrata da strumenti a fiato
risuonavano all’interno dello stretto abitacolo della
vettura, rendendo l’atmosfera ovattata, quasi annullando il
costante rumore di fondo di quella popolatissima città.
Nessuno dei due passeggeri a bordo parlava, immerso com’era
ognuno nel proprio inquieto e ostinato rimuginare, che li teneva
distanti seppure fisicamente lo fossero poco più di qualche
spanna, e un paio di ore prima si fossero riavvicinati come non
succedeva da parecchio tempo.
Ad osservatori ignari, quei due giovani dai bei tratti somatici appena
velati da qualche segno di stanchezza, potevano apparire come una
coppia qualsiasi di ritorno da una lunga e impegnativa giornata di
lavoro che aveva assorbito le loro energie al punto da smorzarne la
vivacità delle espressioni, opache e pensierose. Quasi
nessuno era a conoscenza del fatto che fossero una sorta di giustizieri
per gli abitanti della capitale giapponese, ai quali avevano offerto il
loro aiuto in svariate circostanze, molto spesso senza neanche ricevere
un compenso adeguato al livello di stress e alla quantità di
tribolazioni che quelle eroiche missioni avevano comportato. Poche
persone al mondo avrebbero retto uno stile di vita logorante e
così poco remunerativo come quello che conducevano loro due.
L’irrompere di un gracchiante jingle promozionale
ridestò Kaori dal torpore in cui stava sprofondando,
immalinconita da quella struggente musica jazz e dallo scorrere lento
del traffico cittadino. Allungò una mano sulla manopola del
volume e, dopo un rapido giro delle principali stazioni radiofoniche,
non soddisfatta, decise di spegnere l’autoradio, che non
aveva realmente mai degnato di vera attenzione durante il lungo
tragitto.
Inevitabilmente il suo sguardo sbirciò quello del suo socio,
che era rimasto fisso e concentrato sul parabrezza sin da quando erano
entrati in auto, elargendole solo qualche fugace occhiata che lei non
aveva ben saputo decifrare, pur mandandola in iperventilazione. Quel
suo distacco apparente non era riuscito a trasmetterle la consueta,
fastidiosa sensazione di freddo che s’insinuava sin dentro le
ossa subendo il suo disprezzo. Perché finalmente qualcosa
tra loro era cambiato. Lo si percepiva nella poca aria che separava i
loro corpi e che era diventata densa di promesse e desideri pronti a
schiudersi.
Nel suo cervello rimbombava un’unica scottante domanda: cosa
sarebbe successo una volta arrivati a destinazione? Si sentiva
avvampare tutta al solo formulare qualche previsione poco casta. E poi,
avrebbero saputo e soprattutto voluto affrontarne tutte le conseguenze?
Scosse piano la testa. Dopo quella sua romantica, insperata confessione
a denti stretti in quella radura, le sembrava di non essere
più capace di riflettere lucidamente. Forse fantasticava
troppo e si stava illudendo di nuovo, ingenuamente.
Le ci era voluto un bel po’ di tempo ad ammettere con se
stessa di non considerarlo più un fratello maggiore, o un
amico, che la voglia di malmenarlo serviva a rinnegare
l’incontrollabile gelosia che covava nei suoi riguardi, a
sopprimere l’inconfessabile desiderio di amarlo ed essere da
lui amata come una donna.
La comparsa di un semaforo rosso costrinse le ruote
dell’utilitaria a un brusco arresto di marcia che la fece
riemergere da quegli affannosi interrogativi. Su un grande cartellone
pubblicitario posto al centro di quell’incrocio la foto di
una procace modella in lingerie ammiccava seducente. Kaori si
preparò a disapprovare il suo solito commento sboccato, ma
dalle labbra serrate dell’uomo seduto al suo fianco non
fuoriuscì neppure un piccolo mormorio gutturale.
La ragazza anziché rallegrarsi si allarmò:
possibile Ryo non si fosse accorto di quell’immagine tanto
provocante? Il suo comportamento era davvero molto strano, e se in
passato avrebbe pagato oro perché le risparmiasse certe
colorite osservazioni, che la ingelosivano oltre ad umiliarla, adesso
non sapeva come reagire a quel suo insolito mutismo.
Si attaccò al pensiero che probabilmente il suo compagno era
soltanto troppo stanco e distratto in quel momento per badare a
quell’ammaliante richiamo. E d’altronde ne aveva
tutte le ragioni, dopo i sanguinosi combattimenti in cui era stato
coinvolto quel giorno. Era riuscito per un soffio a non rimanere
ucciso, e, per l’ennesima volta, a causa di una sua
leggerezza. Si sentiva in colpa nell’essere sempre
così maledettamente vulnerabile, un facile obiettivo per chi
lo voleva morto.
Rabbrividì al ricordo di quei terribili minuti di panico, di
tutti quei fucili fumanti puntati contro, di quei ghigni sadici e
feroci che la oltraggiavano con spregio. Se l’era vista
brutta, non che fosse la prima volta che le capitava di finire nei guai
per colpa del pericoloso mestiere che aveva scelto di intraprendere,
sospinta da un senso di dovere e riconoscenza ma anche di giustizia.
Tuttavia la brutalità e la crudeltà sfrenata di
certi individui senza scrupoli era qualcosa che tuttora stentava a
comprendere e a cui probabilmente non sarebbe mai riuscita ad abituarsi.
Pur avendo conosciuto tanti esseri disumani, nel profondo del suo animo
continuava a nutrire fiducia nelle persone.
Quella mattina non avrebbe minimamente potuto immaginare di rischiare
la pelle alla fine dell’inattesa cerimonia nuziale di Miky e
Umibozu. Avrebbe dovuto essere un avvenimento lieto,
un’occasione di svago. Ma era evidente che i loro nemici
erano tanti e potevano colpire senza alcun preavviso, in qualsiasi
momento, ovunque, rifletté ancora scossa, rigirandosi tra le
dita il delicato pan di cuculo …
Ryo colse di sottecchi il suo assorto gingillarsi con quel fragile
fiore, scampato miracolosamente, come lei, a proiettili e bombe che
avevano attentato alla sua incolumità. Strinse
impercettibilmente le mani sul volante, inspirando a pieni polmoni per
cercare di rilassare i tendini ancora contratti dalla latente scarica
di adrenalina che circolava nelle sue vene, risultato di un micidiale
cocktail di emozioni che sembrava non volersi attenuare, neanche adesso
che erano lontani dal pericolo.
Aveva vinto, un altro temibile nemico era stato annientato e
accantonato da una lista pressoché inesauribile. Adesso
avrebbe potuto concedersi un po’ di pace, ritornare alla
semplice routine quotidiana. Almeno finché non si sarebbe
presentata una nuova sfida o minaccia a richiamarlo
all’azione, pensò, inspirando di nuovo a fondo. Il
persistere in quello spazio ristretto del suo dolce profumo di donna
gli riempì con prepotenza le narici, riscaldandogli il
petto, e non solo.
Per quanto lo detestasse, la sua vicinanza gli faceva sempre
quell’effetto: un tranquillizzante turbamento. Era
insostenibile immaginarla lontana da lui, o, peggio ancora, soffermarsi
sulla prospettiva di perderla per sempre, a causa di una sua
imprudenza. Gli ci erano voluti anni per capirlo, ma adesso ne aveva
una certezza cristallina: una quotidianità senza di lei era
paragonabile a un campo minato in cui non avrebbe saputo come muoversi.
Dovette imporsi di restare immobile e composto, malgrado il suo istinto
gli suggerisse di posarle una carezza, sulla guancia, su una spalla o
su una di quelle sue bellissime cosce che la corta gonna generosamente
mostrava … Non per voluttà, solo per rassicurarla
della sua fedele e incrollabile presenza. Da che si erano messi in
viaggio, avvertiva una specie di elettricità statica
aleggiare tra loro, come polvere da sparo sospesa che gli inibiva il
normale respirare. Sarebbero bastati una parola sbagliata o un gesto
mal interpretato ad innescare una scintilla e far esplodere fatalmente
la già precaria situazione. Così, con forzata
impassibilità, spostò le pupille dalla sua
attraente socia alla monotona strada davanti a sé, e riprese
a guidare senza fretta verso casa, cullandosi nel piacevole tepore
della loro ritrovata salvezza, nonostante tutto, nonostante tutti.
Restava solo quella piccola
questione a pungolarlo: un paio di ore prima le si era dichiarato.
Indirettamente, nel mezzo di uno scontro tra la vita e la morte, certo,
ma la sua partner non era una stupida, lo conosceva troppo bene, sapeva
distinguere più di lui quando mentiva e stavolta non avrebbe
potuto usare la comoda scusa di un’amnesia per sfuggire alla
sua implicita, quanto lecita, richiesta di un chiarimento. Le era grato
che, probabilmente anche per via di tutta quella baraonda, si stesse
trattenendo dal richiederglielo subito, limitandosi a sorridergli
timidamente, ma rimanendo calma e silenziosa come solo di rado era
stata. Eppure, se avesse avuto la possibilità di evitare che
ciò avvenisse, che tutto quello che provava per lei si
concretizzasse in qualcosa di più di un abbraccio fraterno o
di un bacio scambiato dietro un vetro, sentiva che la sua coscienza
sarebbe stata meno tormentata. Forse …
Il suo sguardo ricadde furtivamente sul bocciolo adagiato sopra quel
suo grembo immacolato, là dove avrebbe tanto voluto
sprofondare, e rimanere ad ascoltare il suo respiro rarefarsi fino ad
assopirsi, senza sogni disturbanti ad inquietarlo. Aveva la viscerale
convinzione che con lei, accanto o sotto, finalmente ci sarebbe
riuscito.
Una lucina arancione cominciò a lampeggiare sul cruscotto,
distogliendolo da quelle languide considerazioni: «Accidenti,
siamo quasi a secco», bisbigliò accennando alla
spia del carburante.
Kaori scostò la fronte dal finestrino:
«Sarà meglio fare il pieno, non si sa mai
… » convenne con un tono quasi rassegnato.
Ryo imboccò alla svelta una scorciatoia, fermando dopo
qualche metro l’auto in prossimità
dell’edificio dai mattoni rossi in cui abitavano.
«Cercherò di tornare più presto
possibile» le promise, sporgendosi verso di lei per aprirle
lo sportello e invitarla a scendere, accompagnando le parole ad un
enigmatico sorriso appena abbozzato.
Kaori gli obbedì, ma non poté fare a meno di
inarcare un sopracciglio davanti a quel suo inconsueto modo di fare,
premuroso, oltre che sfuggente. Forse era davvero mutato qualcosa tra
loro due, ponderò, sospesa tra la speranza e
l’incredulità, vedendolo ripartire con una
sgommata e svanire dietro l’angolo. Il solo sentirsi sfiorare
appena dal suo braccio, quando si era sporto su di lei per raggiungere
la maniglia dell’auto, le aveva accelerato le pulsazioni.
Si chiuse alle spalle la porta del loro appartamento con
l’animo e la mente ancora in subbuglio, avanzando a passi
incerti verso la sua camera. Avrebbe dovuto rinfrescarsi, cambiarsi,
medicare i pur lievi graffi che si era procurata, invece si
ritrovò a rovistare freneticamente cassetti e armadio, in
cerca di qualcosa di particolare, qualcosa che lui non avrebbe
resistito a sfilarle di dosso. Solo che, mentre continuava a passare in
rassegna il suo pratico e modesto guardaroba, si rese conto di quanto
anche la sua biancheria intima fosse scialba e ordinaria. Aveva sempre
preferito la comodità all’apparenza, tuttavia in
quel momento si pentì di aver sempre declinato gli
indiscreti consigli di Miki o Eriko di acquistare qualche capo
più femminile e sexy, ritenendo che non le sarebbe mai
servito.
Osservò il suo riflesso allo specchio: anche fasciata in
quel grazioso tailleur dal taglio essenziale ma elegante, oramai
sgualcito e macchiato, che aveva indossato per la cerimonia della sua
amica, si vedeva goffa e insignificante. E Ryo non doveva vederla
diversamente, se, invece di essere impaziente di restare da solo con
lei, aveva accampato il primo banale pretesto per svignarsela
chissà dove. Non avrebbe mai potuto competere con tutte
quelle donne intriganti, sofisticate e sicure di sé per cui
il suo partner sbavava o che finivano per gettarglisi addosso
svenevolmente.
Avvilita, la ragazza si spogliò in fretta,
afferrò il primo paio di mutandine e reggiseno coordinati
che le capitò sott’occhio, e si rifugiò
in bagno. Sotto il getto tiepido e ristoratore dell’acqua i
suoi nervi a poco a poco si sciolsero, insieme a qualche lacrima
scaturita dalla tensione emotiva che aveva accumulato sin dalla mattina
e che era faticosamente riuscita a trattenere perché non
voleva apparire debole davanti a quegli sporchi criminali e soprattutto
davanti al suo impavido collega, se così doveva sforzarsi
ancora di considerarlo.
Un’oretta più tardi, però, dopo aver
rimesso tutto quanto in ordine ed essersi distesa sulle lenzuola pulite
che profumavano di lavanda, non captando ancora alcun segnale del suo
ritorno, alla delusione cominciò a subentrare
l’ansia che, nonostante la spossatezza, le impedì
di lasciarsi vincere dal sonno.
Era una situazione per cui era passata tante e tante volte da che era
diventata la sua convivente, ma proprio non riusciva a non
impensierirsi per le sue assenze, né a odiarlo a causa di
esse. L’amore sconfinato che nutriva per lui glielo impediva.
Se dopo tanto penare era rimasta in quella casa e stava affliggendosi
era perché nel profondo si fidava ciecamente di lui, della
sua lealtà, delle promesse che aveva sempre mantenuto, ed
era fortemente sicura che non avrebbe mai potuto dedicare la vita a
nessun altro all’infuori di lui.
Nonostante i suoi mille e incorreggibili difetti, Ryo Saeba era un uomo
giusto e altruista che le aveva insegnato a sopravvivere in un mondo
più corrotto e violento di quanto non immaginasse. Anche se
continuava a provare un vuoto lacerante, non le importava se la loro
complicità si sarebbe limitata al lavoro. A conti fatti
erano l’uno la famiglia dell’altra.
Avvertiva una forte fitta allo stomaco mentre le lancette
dell’orologio continuavano inesorabilmente a scorrere, si
sentiva come imprigionata in un eterno e deprimente dejà vu
senza via d’uscita ...
Il tintinnio di una chiave che girava nella toppa e il rumoroso tonfo
dell’uscio d’ingresso posero fine a quella tortura.
Kaori si affacciò appena sulla soglia della sua stanza:
«Si può sapere dove diamine ti eri
cacciato?» sibilò stringendosi nelle braccia,
scoccandogli un’occhiataccia stizzita che lasciò
trapelare in maniera più che palese il suo malumore,
mascherando l’apprensione.
Per tutta risposta Ryo sollevò pigramente la testa nella sua
direzione, squadrandola dalle punte dei capelli arruffati a quella
delle variopinte pantofole di spugna, una delle quali batteva
nervosamente sul pavimento.
«Ho bisogno di una doccia, tu hai finito di strigliarti? Eri
ridotta davvero uno straccio!», commentò
insolente, notando che era ancora avvolta in un leggero accappatoio
lilla.
Il volto della ragazza, pur rimanendo in parte nascosto nella penombra,
divenne livido: «Prego, va’ pure»,
ribatté in un ringhio irritato, «Brutto
cafone!» aggiunse sdegnata, sbattendo la porta e seguitando a
soffocare sul cuscino altri improperi al suo indirizzo.
«Ti ringrazio», mormorò sconfortato lo
sweeper, strisciando le scarpe verso il bagno. Con i suoi astrusi
tentativi di proteggerla dalla verità riusciva puntualmente
a farla soffrire, considerò, mentre si ripuliva dalla
polvere e dal sudore di quell’intensa giornata che, con tutto
il putiferio che era accaduto, pareva quasi essere durata il doppio
delle fatidiche ventiquattro ore.
Terminato di lavarsi e indossata una t-shirt bianca sopra un paio di
boxer, Ryo decise che per quella notte sarebbe rimasto di guardia. Non
si fidava troppo delle informazioni che aveva reperito prima di
rincasare. Salì sul terrazzo e si accese una sigaretta. Il
cielo stava annuvolandosi e una tiepida brezza impregnata di
umidità annunciava l’arrivo di una burrasca.
Rimase per qualche minuto a sondare con il suo sguardo acuto i
dintorni, ma il suo infallibile sesto senso non colse alcun movimento o
rumore sospetto, suggerendogli che piuttosto ciò che lo
angustiava aveva fattezze ben più desiderabili di quelle di
un rozzo sicario occultato in qualche angolo oscuro. Scendendo al piano
di sotto, indugiò a origliare dietro la camera della sua
cara, suscettibile e testarda coinquilina, avvicinandosi in punta di
piedi. Era tentato di dare anche una sbirciata, per assicurarsi che
fosse effettivamente lì, ma
l’eventualità di ricevere qualche dolorosa
martellata sulle gengive lo dissuase dal provarci. Riusciva comunque a
percepire nettamente la sua presenza. Non udendo altro che un leggero
sospirare, dedusse che si fosse finalmente addormentata. E quindi,
fortunatamente, per un pezzo avrebbe potuto evitare di incrociarla e
subire altri ficcanti interrogatori o aggressive sfuriate. Questo
però significava che avrebbe dovuto trovare qualche altro
espediente per rimanere sveglio.
Perciò si sistemò sul divano del soggiorno, e,
sebbene, non fosse solito farlo, accese il televisore, studiando i
tasti del telecomando per impostare il volume su una
tonalità che non fosse di disturbo, ma nemmeno troppo bassa
da impedirgli di seguire i dialoghi sullo schermo e appisolarsi.
Cominciò a fare zapping senza tanto interesse, imbattendosi
in una serie di verbosi talk politici, documentari naturalistici,
televendite di elettrodomestici portentosi e grotteschi film
dell’orrore che lo infastidirono per il modo irrealistico e
spettacolarizzato in cui mettevano in scena la violenza, privandola
della sua gravità. Per uno come lui, cresciuto nel sangue e
avvezzo a viverlo sin dalla più tenera età, era
un affronto vedere una rappresentazione così ridicolizzata.
Intenzionato ad allontanare quei cattivi ricordi, si mise in cerca di
qualche programma più leggero, magari con qualche bella
donnina discinta. Abbandonato dopo qualche minuto un fracassone
telefilm poliziesco, con armi e sparatorie palesemente fasulle,
optò per un canale sportivo che stava trasmettendo una
partita di pallavolo femminile.
«Adesso sì che ragioniamo!»,
esclamò fiondandosi più vicino allo schermo, ad
occhi sgranati. La sua felicità durò ben poco
perché il match era alle battute finali e subito dopo ebbe
inizio un incontro di tennis maschile. Ryo, deluso, si
stravaccò di nuovo sul divano, costringendosi a farsi
piacere quella trasmissione in mancanza di meglio ma, tra un set e
l’altro, a poco a poco le sue palpebre si appesantirono e
cadde vittima inerme di Morfeo.
A risvegliarlo fu un forte brontolio della sua pancia vuota che
protestava. Aveva mangiato solo un boccone al volo quando nel primo
pomeriggio erano andati a fare visita a Miki e a quel gorilla che si
era scelta come marito, e adesso avrebbe volentieri messo qualcosa di
più sostanzioso sotto i denti.
Si stiracchiò sbadigliando rumorosamente. Il televisore era
spento e, se non fosse stato per il riverbero dei neon e dei lampioni
che le ampie vetrate lasciavano entrare dall’esterno, si
sarebbe ritrovato al buio pesto. Tuttavia un tenue bagliore proveniva
dalla cucina, assieme ad un sommesso borbottio. Con i sensi in allerta,
afferrò la pistola, avanzando con andatura felpata tra le
ombre, distinguendo un leggero scalpiccio attutito dal parquet. Il
chiarore tremolante di alcune candele sparse tra le mensole gli permise
di mettere a fuoco una sagoma familiare che si muoveva a suo agio, pur
nella scarsa visibilità dell’ambiente.
Perché non aveva acceso la luce? Che quella matta stesse
architettando qualcosa?
Riponendo la colt nella fondina a tracolla, si accostò alla
parete e approfittò di non essere stato da lei avvertito per
poterla contemplare indisturbato.
Era molto più che bella, non le serviva truccarsi o vestirsi
in maniera particolare perché si notasse. La sua era una
bellezza genuina, non studiata né esasperata, era qualcosa
che risplendeva da dentro e lo abbagliava nella semplicità
di ogni suo gesto, da cui trapelavano tutta l’esuberanza, la
positività e la tenacia di cui la natura l’aveva
dotata. Non che esteriormente gli fosse indifferente, per quanto si
fosse imposto di rinnegarlo con ostinazione al fine di non contaminarla
con i tanti veleni della sua anima, cui lei però era rimasta
immune, fortificandosi.
Il suo fisico, snello e sinuoso, era racchiuso in una maglia di un
giallo pallido, sformata e non troppo aderente che a malapena le
copriva il fondoschiena, la cui superba rotondità spiccava
capricciosa ad ogni piegamento, mentre era intenta a setacciare le
dispense, smozzicando imprecazioni incomprensibili. Il fatto che sotto
non portasse neanche un misero pantaloncino, metteva in risalto le sue
strepitose gambe, divenute in quegli anni oggetto delle sue
più segrete e indecenti fantasie. Si allungò
verso uno stipetto più in alto e poté intravedere
le mutandine rosa con dei ricami floreali. Era decisamente troppo per
le sue povere coronarie! Sentì la pressione aumentare
sensibilmente, soprattutto nelle parti più basse ...
«Kaori, insomma! Con chi diavolo ce
l’hai?», sbottò contrariato, facendola
trasalire meno di quanto si aspettasse.
La ragazza si raddrizzò senza voltarsi, rimanendo con la
mano artigliata sulla maniglia del frigorifero: «Dimmi Ryo
caro, hai fame, per caso?» gli chiese con un tono falsamente
mieloso che non lasciava presagire niente di positivo.
La razionalità dell’uomo era però
troppo offuscata dai bollori per poter cogliere la sfumatura minacciosa
insita in quella domanda: «Una fame tremenda»,
mugugnò continuando a scrutare ogni centimetro della sua
armoniosa figura.
«Beh, mi spiace, ma per stasera resterai a
digiuno!» ribatté la rossa, chiudendo seccamente
l’anta del congelatore. «Non
c’è più niente di commestibile in frigo
e anche le credenze piangono miseria», lo informò
con fare accusatorio, portando le mani ai fianchi e fulminandolo con
uno sguardo che la semioscurità rese ancora più
intimidatorio.
Il socio boccheggiò, ritornando in sé, dopo
quelle inopportune divagazioni. La pessima notizia lo lasciò
interdetto: «Com’è possibile?! Non ti
sei ricordata di fare la spesa in questi ultimi giorni?!»
Stentava davvero a credere che un tipo tanto preciso e affidabile come
lei potesse aver trascurato una commissione tanto abituale.
«Eh, certo! Perché in questa cavolo di casa devo
sempre pensare a tutto quanto io! La spesa, la cucina, il bucato, le
pulizie, le bollette … Ti sei accorto che ci hanno pure
tagliato l’elettricità, o no?»
No, lui, in effetti, non lo aveva intuito, ma allora capì il
perché del televisore spentosi da solo e di tutte quelle
candele accese. Si sentì un idiota: gli era perfino balenata
l’ipotesi che potesse esserci un’implicazione
romantica in tutto ciò!
«Quindi non sei nemmeno andata a pagare le
bollette!», la rimproverò indignato,
così come un padre poteva esserlo nell’ammonire
una figlia disubbidiente. La sua convivente si stava lamentando
d’incombenze ordinarie di cui si era sempre occupata
meticolosamente e senza problemi. A dire il vero, se non ci fosse stata
lei ad occuparsene, lui non avrebbe avuto alcuna nozione di come
sbrigare quelle basilari mansioni casalinghe. Non si era mai trovato
nella necessità di imparare come affrontarle. Era inutile
negarlo: senza di lei sarebbe stato perso.
«Sono andata in banca l’altro ieri, ma purtroppo
eravamo già oltre la scadenza. Sono sempre così
fiscali per queste cose!», riprese a giustificarsi Kaori,
furente di rabbia. «Tu poi non allunghi mai un dito per
aiutarmi. Eh, no il signorino qui presente è sempre troppo
impegnato ad allungare le mani su qualunque sventola gli capiti sotto
il naso per chiedersi se io ogni tanto abbia mai bisogno di un briciolo
di supporto per portare avanti la baracca!»,
perseverò a rinfacciargli, camminando in tondo e
gesticolando, con i capelli dritti per il nervosismo.
«Se mi avessi chiesto di accompagnarti al supermercato mentre
tornavamo a casa, non mi sarei rifiutato di farlo», proruppe
Ryo, incrociando le braccia, sentendosi un po’ offeso e un
po’ colpevole per quelle critiche osservazioni al suo
meschino egoismo. Quella generosa ragazza si era sempre presa cura di
lui in maniera amorevole e impeccabile.
Anche se la sua difesa pareva sincera, la socia si figurò
immediatamente la scena: avrebbe fatto il cascamorto molesto con le
cassiere o con le clienti più appariscenti, costringendola
ad inseguirlo per evitare denunce. Non lo avrebbe sopportato, non quel
giorno, non dopo le frasi con cui le aveva fatto sussultare il cuore, e
che, adesso che avevano ripreso a litigare com’era
consuetudine, le pareva di avere solamente sognato.
«Scusami, ma dopo tutto il casino in cui siamo rimasti
invischiati, fare la spesa era l’ultimo dei miei
pensieri!», replicò con voce lievemente malferma.
Qualcosa di umido premeva per uscire dalle ciglia, ma non volle
dargliela vinta.
Lui accorciò le distanze, un luccichio malizioso nelle iridi
tenebrose: «E qual era il tuo primo pensiero?».
Kaori si sentì di colpo spogliata da quello sguardo
impertinente e inquisitorio: «Il letto»,
deglutì di riflesso, «Cioè, intendo
dire il riposo», si corresse subito, ritraendosi. Il viso del
suo socio le era improvvisamente arrivato talmente vicino da
destabilizzarla.
«Ero stanca, stanca morta. Ancora adesso sto praticamente
dormendo in piedi», insistette paonazza, simulando un gran
sbadiglio e accennando a volersene tornare di sopra.
«Ah», bofonchiò lui, rivolgendole
un’espressione sorniona. «Comunque sia, sono ancora
molto affamato, come la mettiamo?», tornò a
chiederle insofferente, versandosi un bicchiere d’acqua
direttamente dal lavandino, senza smettere di fissarla ambiguo e con
un’insistenza che non le aveva mai riservato in passato.
Kaori ebbe l’impressione che ci fosse un’allusione
erotica neanche troppo camuffata in quella constatazione.
Involontariamente le sue pupille guizzarono sui suoi ampi boxer, per
poi schizzare sul soffitto, un fiotto di vergogna a imporporarle le
guance. Si domandò se stesse sul serio cercando,
maldestramente, di farle capire che la voleva, o se piuttosto quel suo
bislacco blaterare a doppio senso non fosse tutta una presa per i
fondelli con cui l’avrebbe nuovamente schernita. In entrambi
i casi non volle reggergli il gioco, era ancora troppo amareggiata per
come l’aveva abbandonata a se stessa poco prima.
«Potresti andare a mangiare in qualcuno di quei localini per
debosciati che frequenti. Sono certa che lì troveresti di
che sfamarti», gli consigliò acidamente,
allontanandosi da lui confusa, non senza un velo di tristezza che
ricacciò in gola.
«Ma non hai visto che ha iniziato a piovere a dirotto? Non ho
alcuna voglia di uscire», si lagnò quello,
assumendo un broncio bambinesco.
La ragazza distolse la faccia sul picchiettio delle gocce che
copiosamente rigavano i vetri: «È solo una
pioggerella passeggera. E comunque io non ho nessuna intenzione di
andare a fare la spesa per te a quest’ora»,
borbottò irremovibile per poi rimettersi a trafficare,
sondando ancora l’esiguo contenuto della credenza e
allineando una serie di lattine e pacchettini sul tavolo.
Ryo sospirò, facendosi coraggio. Aveva finalmente avuto il
fegato di esporsi quella mattina, dopo che lei aveva urlato con
fierezza ai quattro venti che sarebbe stata disposta a morire per lui.
Che razza d’infimo uomo di merda poteva essere per ignorarlo?
La vigliaccheria se lo stava mangiando vivo. Anche se serbava
un’innata avversione ad esternare i suoi sentimenti
più intimi, più la guardava, più
sentiva divampare dentro il bisogno di farlo per alleviare
quell’infido formicolio alle budella. Da quando il tenero
affetto che aveva scoperto germogliare dentro di sé per lei
si era tramutato in un’invincibile attrazione, era diventato
un supplizio restarle accanto e immergersi in quegli occhi nocciola
senza poterla stringere a sé. E la forzata astinenza degli
ultimi tempi non lo aiutava per niente a scacciare quella tentazione,
avendola così a portata di mano.
Doveva agire e basta.
Si piegò leggermente su di lei, limitando il loro distacco
per tastare la sua reazione, non azzardando sfiorarla:
«Quanto sei prevenuta, Kaori. Cucinare per me non
è quello che ti sto chiedendo adesso …»
Il suo accento velato e sensuale fece vibrare l’aria,
costringendola a sospendere quella vana occupazione e a girarsi verso
di lui. Quando non si comportava da perfetto imbecille, c’era
una fiamma magnetica nei suoi penetranti occhi neri che la intimidiva
per la potenza con cui riusciva ad attanagliarle ragione e sensi. Aveva
un’assurda voglia di saltargli addosso senza ritegno. Se non
fosse stata tanto allenata a controllarsi, lo avrebbe già
fatto.
«Spiegati meglio, allora», balbettò
piccata, i pugni distesi a stirare verso il basso i lembi della maglia,
ultimo inutile tentativo di nascondere quanto intimamente lo stesse
agognando, al punto da sentirsi tremare le ginocchia
nell’essergli tanto vicina e poter sentire il suo ciuffo
ribelle vellicarle la frangia sbarazzina.
Due grandi mani estranee eppure conosciute le si agganciarono
improvvisamente alla vita sottile, una presa decisa e misurata. Fu un
attimo. Le labbra dell’uomo che amava invano da ben otto anni
catturarono le sue, morbidamente, con una dolcezza disarmante, che
doveva tenere confinata nei meandri del suo essere, ma della cui
esistenza lei non aveva mai dubitato perché
l’aveva intravista spesso affiorare in precise circostanze.
Quando quel contatto inebriante si interruppe, Kaori credette di
perdere l’equilibrio e istintivamente si sostenne alle sue
robuste spalle, che le trasmisero, come sempre, forza e sicurezza.
Il risentimento evaporò come rugiada al sole. Lo stava
già perdonando, contrariamente ai suoi ferrei propositi, ma
fece un po’ la sostenuta. Non le andava di mostrarsi troppo
arrendevole, anche se sapeva di essere una pessima bugiarda. Era
sicurissima che in ogni più microscopica particella del suo
corpo si leggesse palesemente quanto stesse gioendo.
«Credo di non aver capito bene», asserì
trasognata, non potendo fare a meno di stamparsi un sogghigno furbetto.
Ryo ridacchiò divertito: «Non ti facevo
così ottusa» sussurrò beffardo
poggiando la fronte contro la sua, un sorriso genuino ad addolcirgli i
tratti del bellissimo viso. La stretta delle sue dita divenne salda e
possessiva, mentre la attirava a sé facendola aderire al suo
profilo e si riappropriava delle sue labbra con più impeto,
arreso alla brama di assaporare quella bocca che aveva saputo sgridarlo
e confortarlo, criticarlo e consigliarlo, insultarlo e allietarlo,
sempre sincera nel bene e nel male, scoprendola deliziosa nella sua
purezza, proprio come lei.
Un torrente di emozioni lo travolse, lo sconcertò essere
riuscito a resisterle tanto a lungo ed essersi negato quel pezzetto di
paradiso. Baciarsi così, senza più filtri, freni
né paure, davanti alle finestre bagnate da quel temporale
primaverile, con le luci della strada che illuminavano le loro figure
avvinghiate, in piedi in mezzo alla stanza, sentire le sue dita
affusolate solleticargli la nuca, il suo soffice seno pressato contro
il busto, la sua lingua insicura ricambiare con curiosità la
sua, e immaginarsi che di lì a breve i loro corpi smaniosi e
accaldati si sarebbero fusi completamente, gli fece scalpitare dentro
una frenesia che non aveva mai sperimentato con nessun’altra
donna.
Kaori indietreggiò, travolta dalla sua incalzante foga,
ritrovandosi contro il tavolo e finendo per sdraiarcisi sopra
rovesciando tutto ciò che vi aveva posato. Lui la
sovrastò in un istante, ricoprendola di altri baci roventi e
al tempo stesso delicati, sulla fronte, sulle guance, sul mento, per
poi accanirsi sulla pelle sensibile del collo, trattenendola
energicamente per un fianco.
La sua indiscussa maestria la fece subito contorcere e gemere di
piacere. Affondò le dita tra i suoi folti capelli corvini.
Era indubbio che il suo partner non riuscisse proprio ad essere troppo
romantico, per lui era sicuramente più semplice eliminare
qualche feroce gang di spacciatori, ma sotto l’aspetto
galante aveva sempre sospettato che fosse imbattibile e alla fine le
era bastato meno del previsto per cedergli, si rammaricò,
beandosi di ricevere quelle spasimate attenzioni che le inondavano di
brividi terminazioni nervose di cui fino ad allora sconosceva perfino
l’esistenza.
I sempre più inquietanti scricchiolii dell’asse di
legno sotto di loro, però, le instillarono un briciolo di
buon senso. Spettava sempre a lei essere l’antipatica della
situazione, anche a suo stesso discapito.
«Ryo, non possiamo permetterci un altro tavolo …
» ansimò frustrata, puntellandosi sui gomiti per
tentare di spostare il suo piacevole ma ingombrante peso di dosso.
«Tesoro, quanto sei venale … »,
mugolò quello con strafottenza, continuando a mordicchiarla
lascivamente. Un’energica tirata di orecchie lo
sollecitò a desistere. Lei era la voce del cuore e della
ragione, immancabilmente finiva sempre per ascoltarla. Si
rialzò malvolentieri, sollevandola tra le braccia come fosse
un fuscello, strappandole un singulto di sorpresa.
«Però prendi qualche candela: voglio poterti
vedere» le intimò in un complice ed eloquente
sussurro, prima di incamminarsi al piano di sopra. Orientandosi alla
perfezione nella semioscurità della casa, raggiunse la sua
stanza da letto, depose la fondina sul comodino e adagiò
l’amata sulle lenzuola che sapevano di lui, intrappolandola
sotto di sé dopo che ebbe riacceso i moccoli.
«Qui ti va bene?», le domandò suadente,
sfiorandola di proposito con la sua malcelata erezione.
Lei annuì lievemente e, benché non potesse
scorgere bene il suo colorito per la scarsa luce, fu sicuro di averla
fatta arrossire come una pesca matura. Adorava il suo pudore.
Si chinò per riprendere a marchiarle la pelle nivea e
mielata con quella scia bollente di saliva, abbassandole una spallina,
scendendo con indolenza sempre più giù, ma
restando steso sul bordo del materasso, evitando di strusciarsi su di
lei per tenerla ancora un po’ sulle spine. Voleva farla
impazzire e portarla ad implorare il suo nome, per la prima volta senza
che il presupposto fosse negativo. Aveva un modo così
eccitante di urlare.
Sentirsi avvolgere dal suo dirompente calore di maschio, sentirlo
bruciare di desiderio per
lei, l’aveva stordita. Kaori si accorse di
essersi irrigidita e intuì che lui stava indugiando in
attesa di un suo più convinto sì.
Cominciò a lisciargli i bicipiti, delineandone ogni perfetta
venatura, e poi fece scorrere i polpastrelli sulle sottili cicatrici
della sua schiena, ancora coperta dalla maglietta di cui lui si
spogliò prontamente, gettandola sul pavimento, dandole
libero accesso a quegli scattanti muscoli che tante volte
l’avevano salvata da situazioni al limite
dell’impossibile e che ora la stringevano con veemenza, non
più solo per proteggerla, ma perché smaniavano
dal bisogno di toccarla.
Socchiuse gli occhi lasciandosi trasportare da quelle meravigliose
sensazioni. Le parve di fare qualcosa di proibito accarezzandogli il
torace e quegli addominali scolpiti che spesso aveva adocchiato con
imbarazzo da lontano, potendone saggiare la consistenza marmorea che
tuttavia del marmo non avevano affatto la freddezza, anzi scottavano.
Il sapore intenso di sale e tabacco della sua bocca si
riversò di nuovo nella sua, mentre un palmo si addentrava
sotto la sua maglia leggera, esplorando avidamente la sua pancia piatta
e tesa, per poi salire su a tirare l’elastico del reggiseno.
Come se non bastasse quello a surriscaldarle il bassoventre mandandola
nella più totale confusione, il suo inguine turgido e
pulsante si addossò prepotente al bacino, sgomentandola.
D’impulso gli conficcò le unghie nelle scapole,
ma, anziché frenarlo, quella mossa lo incitò a
far scivolare una mano tra le sue cosce tremanti, tastando lo
striminzito tessuto che celava il centro dei suoi desideri ...
Erano già arrivati proprio a quel punto?!
«Ti prego! Aspetta!» scattò su
scalciandolo via, la voce incrinata dall’assordante battito
che senza pietà le martellava il petto, mozzandole il fiato.
Ryo annaspò rimanendo carponi: «Che significa
“aspetta”?! Sono sette lunghissimi anni che
aspetto!», protestò con più schiettezza
di quanto non volesse, tappandosi subito la bocca.
Kaori fremette titubante. La sua lussuria così tangibile
l’aveva mandata nel panico, facendo riaffiorare angosce
vecchie e nuove su quanto stava per accadere. Inconsciamente era
terrorizzata che potesse farle del male, non in senso fisico, anche se
un po’ di naturale timore lo provava pure, ma dopo essersi
spinti tanto oltre sapeva che niente avrebbe mai potuto essere come
prima tra loro due. E temeva quanto disperatamente avrebbe sofferto se
lui l’indomani avesse ricominciato a respingerla. O forse in
fondo si era talmente abituata a quella loro strana relazione, fatta di
liti furibonde e riappacificazioni sussurrate, sempre sospesa tra la
solleticante convinzione che qualcosa potesse evolversi e la
rassicurante sensazione di ritrovare tutto come prima, che quel
radicale cambiamento la metteva a disagio. Si sentì una gran
vigliacca.
«Renditi conto, per me è pur sempre la prima volta
… », farfugliò impacciata con
un’innocente alzata di spalle, raccogliendo le ginocchia al
petto, cercando di rallentare i battiti ancora accelerati.
Ryo vedendola tanto indifesa si maledisse. Era stato un animale, con la
sua eccessiva irruenza doveva averla spaventata, quando il suo unico
intento era venerarla e farle capire finalmente quanto la amava. Viveva
da tanti anni accanto ad un uomo che aveva una vera e propria
ossessione per il sesso, non poteva non sapere come funzionano certe
cose, ma per certi versi era ancora una ragazzina candida e inesperta.
Forse aveva compromesso tutto irrimediabilmente. Era proprio un
disastro.
«Beh, anche per me è la prima volta»,
dichiarò spiccio, guadagnandosi un’occhiata
scettica e interrogativa da parte della ragazza. «Non sono
mai stato con una donna di cui sono innamorato»,
precisò senza vergognarsi di ammetterlo, perché
con lei era tutto così meravigliosamente spontaneo.
«Ma che dici! Tu ti innamori di continuo»
obiettò lei guardandolo in tralice, lottando contro uno
sgradevole groppo alla gola.
Quegli occhi rossi da cerbiatta ferita lo scossero. Non riusciva ancora
a credergli, non poteva darle tanto torto: «È
vero. Ho amato moltissime donne e sono stato corrisposto da tantissime
di loro», ostentò con un misto di
serietà e orgoglio. «Eppure ho scelto di rimanere
accanto a te».
«Perché sono l’unica cogliona che ancora
sopporta le tue cazzate», sentenziò demoralizzata
e irritata quella, ravviandosi una ciocca dietro l’orecchio,
raggomitolandosi ancora di più.
Anche un gesto così normale e irriflessivo lo rimescolava,
fomentandogli il bisogno di coccolarla. Ryo ribollì di
rimorso e disperazione. La cocciutaggine e la diffidenza di quella
ragazza erano qualcosa di tremendo. Possibile che riuscissero soltanto
a bisticciare? La sua idea di movimentare la serata stava assumendo
tutto un altro significato. Se voleva che le aprisse tutto il suo
cuore, l’avrebbe accontentata. Tanto le apparteneva
già da parecchio tempo.
«Kaori, su, non fare la bambina. Quello che provo per te
è totalmente diverso. Da quando sei entrata qui, queste
quattro mura spoglie e anonime si sono trasformate in una vera casa e
io non mi sono sentito più solo. Anche se spesso sei
intrattabile, isterica e avventata, sei anche la persona per cui ho
iniziato a voler vivere con dignità e onore, non
più soltanto a sopravvivere, senza alcuno scopo»,
fece una pausa distendendo quel cipiglio intenso e posato. «E
poi sei l’unica donna con cui riesca a discutere pur
trovandoci in un letto, seminudi e avendolo così in tiro da
star male».
Un sorriso commosso e intenerito si allargò sul volto
incredulo di Kaori, mentre dei minuscoli luccichii le solcavano le
guance rosate e lei si domandava quale malsano ascendente possedesse
quel mascalzone per risultargli tanto persuasivo anche con
un’asserzione del genere. La stava fissando con impazienza,
ma non c’era traccia della tipica faccia da pervertito, era
deciso, rapito, trepidante, come non l’aveva mai visto.
L’impenitente sciupafemmine Ryo Saeba aveva gettato via ogni
maschera per lei, solo per lei.
Gli si buttò incontro, affogando un singhiozzo
nell’incavo del suo collo: «Sei un
deficiente».
«Maledizione! Per un motivo o per un altro riesco sempre a
farti piangere!», la beffeggiò lui,
scompigliandole i capelli, sentendola sorridere piano e ricevendo un
puntuale pizzicotto sul fianco che lo rincuorò.
Tutte quei ripensamenti e tutti quei suoi repentini cambi di umore lo
stavano esasperando un po’, se si fosse trattato di
un’altra donna, probabilmente ci avrebbe già
rinunciato da un pezzo, ma per lei era disposto a pazientare ancora. Si
sentiva così sereno e appagato anche soltanto a cullarla tra
le braccia e inspirare il suo soave profumo di buono. Non che la sua
conturbante vicinanza avesse smesso di accendere pensieri pruriginosi
... Ma voleva comportarsi bene con lei.
La scostò leggermente da sé, sollevandole il
mento con due dita: «Se non te la senti di proseguire,
possiamo rimandare», le propose da vero gentiluomo,
stendendosi sul lato destro del materasso, incrociando le braccia
dietro la testa. «Resta qui se vuoi, ma non ti garantisco per
lui. Come si suol dire “non svegliare il cane che
dorme”!».
A Kaori sfuggì un sorrisetto divertito: diventava davvero
molto buffo quando si sforzava di contenere le sue pulsioni. A
giudicare da quell’evidente rigonfiamento nei boxer, il cane
incriminato non dormiva affatto.
«Oh, quindi il famigerato stallone di Shinjuku si tira
indietro? Che peccato …» lo punzecchiò
irriverente, prendendosi la libertà di strisciare un piede
sul suo polpaccio, sentendogli rizzare i peli e udendolo guaire
sommessamente. Fu come soffiare sulla brace. Oramai lo conosceva,
bastava il minimo tocco per mandarlo in escandescenze e, di
conseguenza, piegarlo al suo volere. Ammesso che fosse riuscita a
tenerlo a bada.
«Allora non ti faccio tanto schifo … Anche tu mi
vuoi», le si riavvicinò leggermente euforico
cingendola, rinnegando il contegno tranquillo e controllato che aveva
assunto poco prima.
La compagna smorzò il suo assalto, tracciando delle lievi
carezze sulla sua mascella appena irruvidita dalla ricrescita della
barba: «Certo che ti voglio. Moltissimo. Ti amo, dal primo
istante», l’ambra fusa dei suoi begli occhi divenne
liquida e luminosa a quella palpitante confessione. «Ma prima
voglio sapere dove te ne sei sgattaiolato dopo avermi lasciata
qui», puntualizzò con uno sguardo più
severo.
«Te l’ho detto. A fare il pieno alla
Mini», replicò lui evasivo, inclinandosi a rubarle
un bacio veloce ma intriso di ardore e poi schioccandone un altro
più peccaminoso sulla piega dei seni, che le aveva scoperto
tirandole giù la scollatura.
Kaori inghiottì un gemito. Doveva imparare a dominarsi o con
quelle sue indiscusse abilità l’avrebbe circuita:
«Tre ore per andare dal benzinaio? Non credere di potermi
abbindolare!», gli puntò contro l’indice
risoluta, reprimendo il languore che l’aveva avvinta
nell’avere di nuovo le sue esperte labbra a lambirle la pelle.
«Sei proprio frigida, allora» bofonchiò
con una smorfia il partner, levigandole le lunghe gambe e ostinandosi a
non rispondere.
La ragazza sbuffò. Con lui servivano sempre le maniere forti.
«Voglio la verità» gli ordinò
con piglio inflessibile, salendogli cavalcioni e inchiodandolo alla
testiera del letto, le mani serrate come grinfie rapaci attorno al
collo.
La posizione che avevano assunto gli faceva affluire poco sangue al
cervello, ma di fronte alla sua esitazione la stretta della sua amata
divenne asfissiante. Perché doveva sempre essere tutto
così combattuto e complicato con lei?
«La verità, Ryo! O puoi anche dimenticarti quello
che stavo per concederti», lo ricattò
irremovibile, quasi strozzandolo. Quelle sue seducenti curve che non
aveva ancora potuto del tutto assaggiare erano una invitante lusinga a
cui sarebbe stato un gran sacrificio rinunciare. Aveva argomenti molto
convincenti e una forza degna di un vulcano attivo quando si infuriava.
«E va bene», si arrese esasperato, tentando invano
di nascondere il sudore freddo che gli aveva già impregnato
le tempie, «Ho fatto un giro di ricognizione nei paraggi per
controllare che non ci fosse qualche altra trappola a darci il
benvenuto».
«E hai trovato qualcosa? Qualcuno?», lo
incalzò lei agitata, divenendo un fascio di nervi,
comprimendogli ancora di più il mokkori. Doveva essere un
po’ masochista, se perfino quelle discussioni violente lo
attizzavano.
«Solo due scimmioni appostati nel bar di fronte che ho fatto
fuori con facilità. Niente di allarmante. Saeko mi ha
assicurato di aver provveduto a sguinzagliare anche alcuni suoi agenti
di pattuglia mentre io e Umi eravamo impegnati nel tuo
inseguimento» raccontò svelto, rasserenandosi nel
sentire diminuire gradualmente la morsa delle sue dita. «Ora
possiamo riprendere da dove ci eravamo interrotti?», la
scongiurò, congiungendo i palmi con un sorriso docile e
speranzoso.
Kaori esalò un profondo sospiro di sollievo spostandosi alla
sua sinistra, poi la sua espressione si alterò e un basso
gorgoglio le ribollì in gola: «Dannato
delinquente! Mi hai piantato qui pur avendo il sospetto che potessi
ritrovarmi qualche brutto ceffo pronto a sgozzarmi!»
«Non essere sciocca, non sono uno sconsiderato. Per prima
cosa ho controllato proprio il nostro appartamento e quelli di tutti
gli altri piani», confutò con noncuranza,
bloccando tempestivamente col piede un martello da appena 100 t che la
ragazza stava per scagliargli contro.
La compagna rimase interdetta dalla sua insolita contromossa e
soprattutto da quella rivelazione: «Ma quando? Non
è possibile, io non mi sono accorta di nulla»,
bisbigliò sbigottita, lasciando cadere la fedele arma di
offesa. Si vergognò di averlo ritenuto tanto codardo e di
essere stata così sbadata.
«Eri troppo occupata a scegliere qualcosa di carino da
indossare per me. Ma sai, non ce n’era alcun bisogno: potevi
aspettarmi nuda», ammiccò malandrino lui,
sdrammatizzando il tutto com’era tipico del suo spirito
sardonico.
Questa volta non fece in tempo a scansare il sonoro ceffone che gli
fece scrocchiare la mandibola.
«Scemo! Io ero preoccupata da morire per te! Non hai la
più pallida idea delle pene d’inferno che mi fai
passare ogni maledetta volta in cui sparisci senza dirmi niente! Non
voglio perderti! Non posso immaginare che il mondo perda una persona
incredibile come te», stridette infervorata. Il suo volto era
in fiamme e allo stesso tempo madido di lacrime.
Quello struggente sfogo gli lacerò la carne, peggio di un
proiettile. Ryo si domandò come fosse possibile che una
brava ragazza come lei potesse amare tanto un uomo così
profondamente sbagliato come lui. Ma era così, nulla in
quegli anni aveva minato quel suo folle attaccamento.
«Cosa credi? Anch’io passo momenti
d’inferno quando qualche figlio di puttana ti porta via da me
o prova a farti del male» dichiarò cupo e
risentito, afferrandola bruscamente per le spalle, scosso da un cocente
fremito di passione e di collera.
Non scherzava più, anzi a Kaori parve anche abbastanza
arrabbiato, con se stesso oltre che con lei. Non avrebbe mai posseduto
il suo invidiabile autocontrollo, tantomeno la sua eccezionale
destrezza nel combattere. A volte continuava a sentirsi
d’intralcio per lui.
«Mi dispiace. Sono sempre così impulsiva e
imbranata», mormorò crucciata, asciugandosi le
palpebre con un mezzo sorriso discolpante.
«Giusto un tantino», la prese in giro bonariamente
Ryo, stuzzicandole i fianchi, «In compenso hai sempre avuto
coraggio da vendere, sugar
boy», le premette un pudico bacio sulla fronte
febbricitante per quel complimento, ma lei percepì
chiaramente che stava di nuovo infervorandosi, ogni suo poro
sprigionava calore contagiandolo ad ogni cellula del suo corpo e adesso
non voleva più opporsi a scoprire cos’altro le
avrebbe insegnato.
Raccolse quelle sue mani calde e ruvide, baciando dolcemente le
sbucciature sulle sue nocche e poi se le portò sul seno,
sentendolo trattenere uno spasmo di stupore e di eccitazione che le
rimbalzò addosso, inviandole un lungo brivido alla spina
dorsale. Era dannatamente difficile sostenere il suo sguardo acceso,
sentire il suo respiro caldo vellicarle le labbra, gridandole un
desiderio impetuoso e incontenibile. Dovette appellarsi a quello stesso
coraggio che lui aveva elogiato poco prima per parlare:
«Promettimi che d’ora in avanti qualsiasi ostacolo
lo affronteremo in due e che mi metterai sempre al corrente di tutto
ciò che ti accade. Me lo devi. Dopotutto io sono la
metà di City Hunter», gli rammentò
determinata e spavalda.
Ryo sorrise compiaciuto, percorrendo con dita vogliose le
sinuosità della sua morbida silhouette e liberandola della
maglia con un movimento fluido e quasi invisibile: «Mhh. Non
sei ancora del tutto la mia metà. E intendo rimediare
immediatamente a questa imperdonabile mancanza», le promise
trascinandola in un bacio ardito, facendola reclinare sul cuscino e
continuando a rimarcare la sua bramosia di possederla, tracciando un
arroventato sentiero di baci e carezze sul velluto della sua pelle
esposta.
Kaori in un imprevisto impeto di sfrontatezza si privò del
pezzo di sopra, anticipando il suo pensiero. Quelle forme non
più timide e acerbe, ma piene e sensuali lo lasciarono
incantato. Già sapeva che ne sarebbe diventato dipendente.
«Sei stupenda» le sillabe gli uscirono spontanee
facendola sciogliere in un sorriso radioso e confortato, mentre gli
acciuffava i capelli reclamando la sua bocca. Se ne separò
per tuffarsi tra quei dolci pendii inesplorati, ridisegnandone i
contorni con il tocco rovente della sua lingua, sentendola fremere in
maniera sempre più incontrollata e appigliarsi supplice a
lui. Quel suo tenero ardore lo incendiò ulteriormente,
incitandolo ad avventurarsi sempre più giù, come
un assetato attratto da una sorgente d’acqua incontaminata
che gli si offriva dopo interminabile girovagare. Perché lei
era questo, un’oasi di pace dopo tanto orrore. Era un
immeritato dono del cielo averla incontrata.
«Ryo?» ansimò lei trafelata, richiamando
con smarrimento e amorevolezza i suoi occhi, sobbalzando appena nel
vederlo quasi avventarsi con dissolutezza sul suo ventre madido.
«Lasciami fare. Sono un professionista», la
rassicurò con spudorata ironia, vezzeggiandole
l’ombelico.
La ragazza si piegò in avanti afferrandogli
l’avambraccio, rinnovandogli quella viscerale fiducia che gli
aveva sempre riservato e che aveva il potere di debellare qualsiasi
paura. Il suo squisito aroma femminile era così vicino da
stordirlo, ma si costrinse a non essere eccessivamente dissoluto,
almeno non per quella prima notte. Era pur sempre una novellina, non
voleva scioccarla troppo. Addentò il cinto di quel piccolo
pezzo di stoffa che custodiva la sua femminilità,
sfilandoglielo con estrema lentezza, godendo dei suoi adorabili piccoli
sussulti e della sensazione di essere da lei scrutato con ammutolita
agitazione. Poi si denudò a sua volta dell’ultimo
indumento che impediva la loro completa unione, sistemandosi con
cautela tra le sue accoglienti anche.
Kaori si sentì ghermire da lui i polsi e posizionarseli
sulle spalle nerborute, mentre una pressione consistente le schiacciava
l’addome e un calore vischioso la inumidiva. Si
aggrappò a lui come se potesse precipitare nel vuoto in caso
non lo avesse fatto, sentendo le sue mani spostarsi dietro le sue
cosce, sollevandole delicatamente il bacino verso il suo epicentro.
Perse qualche battito nel percepirlo duro e scalpitante contro di
sé. Allora la consapevolezza che stessero per unirsi anche
nel corpo divenne inequivocabilmente tangibile.
«Respira, Kaori. Rilassati. Non voglio farti del male. Mai
più», la voce bassa e controllata di Ryo
arrivò ad alleviare con ineffabile tempismo la sua residua
ritrosia, «Dovrai guidarmi tu, come hai fatto quando abbiamo
sparato insieme. Ti ricordi?»
Lei assentì, scaldandosi nel rievocare l’assoluta
sintonia di quel momento. Quel sorprendente affiatamento
l’aveva sconvolta, aveva creduto che non avrebbe mai potuto
esserci niente di più intimo tra loro due. Non si era mai
sentita tanto unita a nessun altro prima di allora. E capì
che non aveva ragione di preoccuparsi: loro erano già un
solo cuore che batteva in due casse toraciche separate, ma
all’unisono. Anche ora che erano così attaccati da
non distinguere chi dei due stesse palpitando più forte.
Cominciò ad ondeggiare lentamente, sentendolo assecondare i
suoi movimenti incerti e istintivi senza forzarla, osservando con
estrema devozione ogni increspamento delle sue labbra e della sua
fronte che baciò ripetutamente, con crescente trasporto,
spingendosi piano sempre di più dentro di lei.
I loro respiri si mescolarono, al pari delle mani e dei battiti, della
carne e dei gemiti, della pelle e dei pensieri, finché
l’incastro divenne indissolubile, legandoli in un amplesso di
fuoco a lungo represso e vagheggiato.
Salve :) Torno a fare
timidamente capolino in questa sezione a parecchi anni di distanza
dalla pubblicazione della mia prima ff dedicata a questi due, stavolta
con una one shot che ho deciso di suddividere in due capitoli, il primo
dei quali è questo qui, più sostanzioso, mentre
il secondo molto più breve e leggero conto di concluderlo a
giorni (nonostante dovrei concentrarmi su altro ^.^").
Sono consapevole di
non brillare per originalità, dato che che l'argomento
"prima volta" è stato trattato in tutte le salse, ma
casualmente ho ritrovato da poco online sia l'anime che il manga e la
mia vena scrittoria addormentata ha deciso di uscire improvvisamente da
un lungo letargo, sollecitandomi a comporre quanto sopra.
Dunque ringrazio chi
ha avuto la resistenza di arrivare a leggere fin qui e spero che questa
mia divagazione vi sia stata gradita e che magari mi farete avere
qualche opinone in merito.
Buone feste!)
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