Amore e Dolore sull'illusione di un effimero sogno
Già a quel tempo, io lo amavo.
Ero giovane, ingenua e
credevo che il mondo prima o poi avrebbe cessato di rivoltarsi contro
di me, avrebbe cessato di maltrattarmi, di emarginarmi, invece mi
sbagliavo.
Ma io lo amavo.
Volevo che fosse mio, solo mio, per sempre.
Che altro si poteva dire? Io lo amavo, semplicemente.
Lo sapevo, ne ero cosciente ed era per questo che ne soffrivo così tanto.
Soffrivo perché l’amavo.
Soffrivo perché, in fondo, avevo sempre saputo che non sarebbe mai potuto essere mio.
Era solo un effimero sogno destinato a rimanere irrealizzato, chiuso nel mio cuore da sempre e per sempre maltrattato.
Tuttavia, non riuscivo ad accettarlo.
Lo sapevo, ma non riuscivo a rassegnarmi all’idea che tu, Kouta, non potessi essere mio perché io ero diversa.
Era quella
diversità a rendermi incapace di essere una tua pari, di poter
sperare che tu, un giorno forse non troppo lontano, potessi ricambiare
i sentimenti che io provavo per te.
Soffrivo per questa
differenza che mi allontanava sempre più da te e che lentamente
mi trasformava, giorno dopo giorno, in un’assassina della quale
tu non avresti mai potuto avere pietà, verso la quale non
avresti mai potuto provare un sentimento bello e puro come
l’Amore.
Lo stesso innocente, puro sentimento che io provavo e provo tutt’ora per te, mio caro Kouta.
Quell’amicizia che
tu mi offristi era sincera e la accettai, felice che qualcuno, in quel
mondo sconosciuto, non fosse contro di me, ma io volevo di più,
volevo che tu fossi solo mio.
Fu per questo che ti tradii.
Ti tradii per la gelosia
che si era insidiata nel mio animo e che, subdola, mi spinse a compiere
il più grande peccato della mia intera vita, il peccato che ogni
giorno rimembro come monito della mia vita lontana da te, la mia unica,
illusoria felicità.
Ti resi infelice, condannato a vagare, ramingo e solo nel mondo, e di ciò mi pento ogni giorno di più.
Da quell’infausto
momento in cui decisi delle sorti dei tuoi cari seppi che ormai il mio
destino era segnato e che tu, amato Kouta, non saresti più
potuto essere mio.
Non credere che abbia
gioito di quelle morti compiute per volere della mi stolta invidia:
vederti soffrire è la pena più grande che possa essermi
inflitta, ma se è questo il dolore che il mio spirito deve
subire per il mio peccato, lo accetto senza rimorsi e senza lamenti,
perché so di aver sbagliato.
Perché sono conscia del dolore che ti ho inflitto e perché so di amarti.
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