contest
Questa
fanfiction partecipa all'iniziativa «Chi
fermerà il Natale? - I Edizione»
organizzata dal forum
Torre di Carta.
Prompt:
3. Canto di Natale di Topolino, 1983.
Citazione – A: “Sono il Fantasma dei Natali
Passati.”
B: “Oh, credevo fossi più alto.”
The
Ghost
of Christmas
Past
Come ogni anno, Shiki Granbell arrivò di fronte alla
lussuosa villa di Xiao Mei a bordo dell’auto di suo nonno
Ziggy (da lui stesso rinominata Edens
Zero) in compagnia delle tre zie Witch, Ivry e Hermit,
tutte rigorosamente zitelle per motivi diversi: la prima affermava di
non aver bisogno di un uomo, la seconda non lo trovava a causa del suo
caratteraccio, la terza si sentiva ancora troppo giovane per accasarsi.
Quasi nello stesso momento, arrivò a bordo di una piccola
Smart anche la quarta zia di Shiki, Valkyrie, la più grande
e la più docile delle quattro, accompagnata da sua figlia
Homura Kogetsu che aveva avuto in gioventù con un uomo che
diceva di amarla ma che poi era sparito nel nulla lasciandola sola con
la bimba scalpitante tra le braccia. Da allora Valkyrie, al pari delle
sue tre sorelle, non ne aveva voluto sapere più nulla degli
uomini e dell’amore: la sua cara Homura sembrava tutto
ciò di cui avesse bisogno.
Dei suoi genitori, morti di incidente stradale quando era molto
piccolo, Shiki ricordava poco e niente. E nonostante ogni tanto
sentisse la mancanza di una mamma e di un papà, nonno Ziggy
e le quattro zie si erano presi cura di lui egregiamente: il primo
l’aveva allevato come un figlio trasmettendogli i sani valori
della vita e la sua passione per le auto, le altre si erano prese il
compito di viziarlo e coccolarlo quando lo meritava ma di rimproverarlo
e menarlo (nel caso di zia Ivry) quando sbagliava.
Contento che la sua adorata famiglia si fosse, ancora una volta,
riunita al completo in occasione di Natale, Shiki suonò il
campanello di Xiao Mei, i cui ricchi genitori (da sempre amici di nonno
Ziggy) organizzavano ogni anno un buonissimo e divertentissimo cenone
per la vigilia di Natale invitando parenti e amici.
Xiao Mei, felicissima nel suo vestito rosso natalizio,
spalancò letteralmente la porta di casa gettandosi tra le
braccia di Shiki che considerava, fin da piccola, come il fratello
maggiore che non aveva mai avuto.
«Shiki, finalmente!», esclamò la
ragazzina stretta alla vita di Shiki che a sua volta le
accarezzò amorevolmente la testa commentando «Ti
trovo cresciuta, sai?».
«Ovviamente. Ormai sono grande!»,
specificò Xiao Mei con un sorriso furbo, per poi spostare lo
sguardo sul resto della combriccola che attendeva dietro Shiki.
«Oh, ma ci siete proprio tutti! Entrate, forza!».
E i Granbell non se lo fecero ripetere due volte.
La villa di Xiao Mei, abbellita in ogni angolo con luccicanti
decorazioni natalizie, profumava di festa, allegria e dolci appena
sfornati. Nella sala da pranzo svettava un grande albero di Natale
riccamente decorato e illuminato, ai cui piedi giacevano numerosi
pacchetti colorati con tanto di fiocchi e coccarde, pronti per essere
scartati al momento opportuno. Come ogni anno, i padroni di casa non
avevano badato a spese.
L’intera sala era attraversata da una lunga tavola
già imbandita alla quale la cugina di Xiao Mei, Rebecca
Bluegarden, bellissima nel suo vestito azzurro intonato al colore degli
occhi, non aveva saputo resistere: mentre i Granbell erano impegnati a
salutare e ringraziare i padroni di casa per l’invito,
Rebecca, affamata e impaziente come sempre, ne aveva approfittato per
allungare furtivamente una mano verso i piatti ancora coperti e
rubacchiare al volo un piccolo panino ripieno.
«Beccata!», disse Shiki toccandole una spalla.
Rebecca si voltò con la bocca piena e metà panino
stretto nella mano. «Ffiki!»,
esclamò arrossendo, per poi ingoiare il boccone in un colpo
solo rischiando quasi di strozzarsi. «Volevo dire…
ciao, Shiki»,
lo salutò più educatamente, strofinandosi le
labbra con le dita per togliere qualche briciola.
«Ciao, Rebecca». Shiki sorrise divertito, gli era
sempre piaciuta quella sua spontaneità… e non
solo a lui.
«Weisz dov’è?», gli venne
spontaneo chiedere.
Rebecca stava con Weisz Steiner da circa due anni,
tant’è che il Natale precedente Xiao Mei aveva
invitato al cenone della vigilia anche lui. Oltre che alto e biondo,
Weisz era un tipo maturo e intelligente (si era da poco laureato in
ingegneria informatica!), ma non per questo noioso, anzi. E Shiki era
certo che avrebbero potuto essere grandi amici se solo entrambi non
fossero stati innamorati della stessa ragazza.
Per capirlo, Shiki ci aveva messo parecchio tempo. Per
un’intera vita aveva creduto che l’amicizia, valore
che suo nonno Ziggy sembrava avergli iniettato direttamente nelle vene,
fosse tutto ciò di cui aveva bisogno, ma gli era bastato
vedere la sua preziosa amica d’infanzia sbaciucchiarsi con un
altro ragazzo per scoprirsi improvvisamente geloso di lei e desiderare
di poter stare al posto di Weisz, per sentire quelle labbra morbide
premute contro le proprie e stringere tra le braccia quel corpo sinuoso
che da allora era diventato protagonista dei suoi sogni più
segreti e inconfessabili.
Da quando Rebecca si era fidanzata, i rapporti tra Shiki e lei si erano
parecchio raffreddati: si limitavano a salutarsi quando si incontravano
e a mandarsi qualche messaggio di cortesia di tanto in tanto, ma i
sentimenti che Shiki provava per lei erano ancora ben saldi nel suo
cuore.
«Veramente…», rispose Rebecca abbassando
lo sguardo. «…io e Weisz ci siamo
lasciati».
Nella mente di Shiki, fu come se il mondo si fosse appena capovolto.
Di fronte a quella rivelazione, il giovane Granbell sgranò
gli occhi sentendosi investire da sentimenti del tutto contrastanti:
sollievo misto a un pizzico di felicità per aver appena
scoperto che Rebecca era di nuovo libera, ma anche rabbia per quei
bellissimi occhi azzurri improvvisamente adombrati di tristezza ad
opera di quel bastardo
che l’aveva fatta soffrire.
«Oddio, mi… dispiace», fu tutto
ciò che Shiki riuscì a spiccicare.
«Non preoccuparti». Rebecca mostrò un
sorriso tirato. «È Natale, no? Pensiamo a
divertirci», concluse affogando nuovamente il suo dispiacere
nel resto del panino che aveva precedentemente addentato.
Shiki non se la sentì di chiedere chi dei due avesse preso
la decisione e perché – l’ultima cosa
che voleva era rigirare il coltello nella piaga – per cui si
limitò ad annuire con un sorriso altrettanto tirato e a
rubacchiare un panino dalla tavola per tenerle compagnia.
A tavola, Shiki si ritrovò seduto tra zia Ivry –
che si lamentava di quanto gli uomini facessero schifo – e
zia Witch – che cercava di convincerla che la vita da single
era molto più bella e conveniente. Zia Hermit era invece
occupata a ridere e scherzare con la nipote Homura che, tra un boccone
e l’altro, si lasciava sfuggire come suo solito segreti che
sarebbe stato meglio tenere per sé, come le ricordava
(invano) sua madre Valkyrie. A capotavola, erano seduti da un lato
nonno Ziggy – già ubriaco, come dimostravano le
sue battute sconce capaci di provocare l’ilarità
dell’intera tavolata – e dall’altro
l’impeccabile padrone di casa, affiancato dalla moglie e
dalla figlia Xiao Mei.
Di fronte a sé, Shiki aveva Rebecca, il cui sguardo perso
nel vuoto gli impediva di godersi pienamente la festa.
Come aveva fatto Weisz a lasciarsela scappare, Shiki proprio non lo capiva. E se da una parte lo allettava l’idea di avere
finalmente campo libero, dall’altra lo bloccava il pensiero
che forse Rebecca, nonostante la rottura, fosse ancora innamorata di
Weisz o comunque non ancora pronta a cominciare una nuova relazione. E
poi, a dirla tutta, Shiki era piuttosto certo che Rebecca non fosse
interessata a lui da un punto di vista romantico. E come
avrebbe potuto, d’altronde? A differenza di Weisz, che
sembrava avere un brillante futuro di fronte a sé, Shiki
faceva il meccanico, mestiere ereditato da suo nonno. Perché
mai Rebecca avrebbe dovuto accontentarsi di uno come lui –
umile, rozzo, a tratti infantile e ancora ingenuo, tanto da non aver
mai avuto una relazione seria e da non essere capace di rivelare i
propri sentimenti alla ragazza che amava?
Masticando amaramente il boccone che aveva in bocca, Shiki si disse che
non poteva andare avanti così per tutta la serata, quindi si
alzò dalla sedia promettendo di tornare subito e si
recò in bagno per darsi una sciacquata al viso e riprendere
il controllo di se stesso. Non era da lui rimuginare sulle cose e
abbattersi in quel modo, non era quello che gli aveva insegnato suo
nonno.
Dopo essersi gettato un po’ d’acqua in faccia,
Shiki si asciugò con un panno asciutto e si
guardò allo specchio tenendo le mani aggrappate al
lavandino. Doveva essere forte e soprattutto paziente: per ora Rebecca
non provava per lui nient’altro che un sincero affetto, ma
forse – con il tempo e con un po’ di fortuna
– le cose avrebbero potuto cambiare, evolversi a suo favore.
Sempre, ovviamente, che in futuro Rebecca e Weisz non avessero deciso
di tornare insieme e in tal caso Shiki, seppur con uno sforzo immane,
si sarebbe fatto nuovamente da parte per il bene di Rebecca. In fondo,
tutto ciò che desiderava era vederla veramente felice.
Shiki stava per abbandonare il lavandino quando, con gli occhi fissi
nello specchio, notò il riflesso di una bambola poggiata
sulla mensola dietro di sé. Sembrava fissarlo con una
certa insistenza, ma forse era solo una sua sensazione dettata dal
sonno – non sarebbe stata la prima volta, dato che soffriva
di narcolessia fin da piccolo. Istintivamente si stropicciò
gli occhi e poi tornò a guardare nello specchio per
accertarsi di essersi sbagliato, ma la bambola era sparita dalla
mensola come per magia.
A quel punto, Shiki sgranò gli occhi e si voltò
di scatto chiedendosi se per caso non stesse sognando.
«Ciao!».
Shiki si guardò intorno tremendamente angosciato.
Sì, stava decisamente
sognando, perché gli era appena parso di sentire una vocina
infantile che lo salutava.
«Sono qui!», ripeté la vocina e stavolta
Shiki capì che proveniva dal basso.
Rivolgendo lo sguardo per terra, infatti, trovò la bambola
in piedi sul pavimento con un braccino alzato in segno di saluto. Tutto
sommato, non aveva nulla di inquietante, anzi. A dir la
verità, era molto tenera, una sorta di incrocio tra un
folletto, un robot e un coniglio alto una cinquantina di centimetri,
con tanto di lunghe orecchie appuntite che sbucavano dal caschetto
rosa. Il problema essenziale era il fatto che quella dannata bambola si
muoveva e addirittura parlava come se fosse viva.
«MA CHE-».
Tirandosi indietro per la paura, Shiki sbatté contro il
lavandino e scivolò per terra ritrovandosi faccia a faccia
con la bambola che ora lo fissava ancora più
insistentemente, forse turbata dal suo comportamento.
«Stai bene?».
Shiki si coprì il viso con le mani, ripetendosi mentalmente
che ciò che stava accadendo non era reale e che presto si
sarebbe risvegliato con la faccia spiaccicata nel piatto dove fino a
pochi minuti prima stava mangiando. Sì, doveva essere
così: si era addormentato come suo solito nel bel mezzo
della cena e stava semplicemente sognando… Ma che razza di
sogno, poi! Avrebbe preferito di gran lunga sognare di dichiararsi
finalmente a Rebecca e di scoprire che il suo amore per lei era
ricambiato, piuttosto che immaginarsi quella strana creatura parlante.
«Shiki?».
L’interpellato sentì una piccola mano sfiorargli
la spalla e a quel punto si convinse che altro non gli rimaneva da fare
se non attendere di potersi finalmente svegliare da quel sogno
così insolito. Quindi si tolse le mani dal volto e
guardò la bambola con attenzione per cercare di capire da
dove la sua mente malata avesse potuta tirarla fuori. Forse un film,
una pubblicità o magari un semplice ricordo, qualcosa che
aveva visto nelle vetrine dei negozi addobbati per Natale…
«Oh, finalmente!», esclamò la bambola
con un sorriso, avendo ricevuto l’attenzione che desiderava.
«Mi presento: sono Pino, il fantasma dei Natali
passati!» e nel dirlo allungò la manina verso
Shiki per farsela stringere.
Scioccato e inebetito dalla sua stessa fervida immaginazione, Shiki
strinse la mano di Pino chiedendosi come facessero a starci tutti i
Natali passati in quella cosina così piccola.
«Credevo fossi più alto»,
rifletté ad alta voce imitando un po’ Homura.
«Più alta», lo corresse Pino sbattendo
civettuola le ciglia e poggiando le mani sui fianchi come per
sottolineare la propria femminilità.
«S-scusa». Shiki si diede mentalmente dello
stupido. Perché diamine stava assecondando quel sogno
totalmente insensato? Ma soprattutto, perché diamine non si
svegliava all’istante? Di solito, ogni volta che capiva di
essere in un sogno, gli bastava sbattere le palpebre per ritrovarsi con
gli occhi fissi sul soffitto della propria camera. E lui le palpebre le
aveva già sbattute più volte, ma il sogno
sembrava farsi sempre più nitido e realistico.
«Sono qui per aiutarti», annunciò il
fantasma dei Natali passati con orgoglio.
«…aiutarmi a fare cosa?».
«Vedrai», rispose Pino tirando Shiki per la manica,
per poi aggiungere con tono enigmatico «Vieni con me, ti
mostrerò i tre Natali che hanno segnato la tua
vita».
E Shiki, sempre più sbalordito per quella forza invisibile
che lo spingeva a vivere il sogno come fosse reale, si rimise in piedi
e si lasciò trascinare fuori dal bagno, non senza una certa
curiosità per ciò che lo attendeva
all’esterno.
«Questo è il Natale dei tuoi undici
anni», esordì Pino quando entrarono nella sala da
pranzo.
Shiki non poteva credere ai propri occhi: per quanto incredibile fosse,
quello sembrava davvero il Natale dei suoi undici anni, trascorso come
sempre a casa di Xiao Mei.
«Cos’è, un viaggio nel
tempo?», chiese Shiki a Pino.
«Certo che no! È un viaggio nei tuoi ricordi,
potrai muoverti liberamente senza essere visto o sentito».
La sala da pranzo decorata a festa era più o meno la stessa,
ad eccezione di qualche soprammobile diverso dal solito. La padrona di
casa stringeva tra le braccia una minuscola Xiao Mei in fasce, mentre
il marito conversava con nonno Ziggy, il quale aveva meno capelli
bianchi e meno rughe di quello attuale. Le quattro zie, anche loro
molto più giovani, chiacchieravano sedute al tavolo intorno
al quale tre ragazzini dell’età di undici anni si
rincorrevano tra di loro urlando e ridendo.
In quei tre ragazzini, Shiki riconobbe un se stesso molto
più magrolino, ingenuo e scalmanato, una piccola Rebecca
spensierata e ancora piatta come una tavola da surf, e
un’Homura nelle vesti di maschiaccio con tanto di spada laser
avuta in regalo dalla sua mamma. Dopo diversi giri intorno al tavolo, i
tre sparirono in corridoio l’uno dietro l’altro e
le loro risate risuonarono come un’eco in lontananza.
Shiki, di fronte a quella scena, sorrise intenerito. Quanto avrebbe
voluto tornare a quel Natale per poter giocare liberamente lontano dal
mondo degli adulti, lontano da cose complesse come l’amore o
il futuro. Ma la vera domanda era…
«Perché mi stai facendo vedere questo?»,
disse Shiki confuso, abbassando lo sguardo su Pino.
O forse avrebbe dovuto dire: perché mi sto
mostrando questo? Ormai gli era chiaro che Pino era la voce della sua
coscienza, la personificazione del suo io interiore o qualcosa di simile,
ma perché gli stava facendo rivivere simili ricordi sepolti
nella sua mente?
«Non hai ancora visto niente, mio caro Shiki»,
rispose Pino con un sorriso furbo facendogli segno di seguirla in
corridoio.
E a Shiki non rimase altro che obbedire.
Svoltando l’angolo, trovò se stesso e Rebecca
l’uno di fronte all’altro e Homura che manteneva in
aria la sua spada laser indicando con la punta della lama un rametto di
vischio appeso al lampadario sopra le teste di Shiki e Rebecca.
«Forse non
dovrei dirlo», disse Homura sghignazzando. «Ma credo che ora
dovreste baciarvi».
«Cosa?!»,
esclamò il piccolo e ingenuo Shiki un po’
imbarazzato, mentre Rebecca arrossiva fino alle punte dei capelli. «Non ci penso nemmeno!
Sono cose da grandi queste! Forza, andiamo a
giocare…» e così dicendo,
Shiki se ne tornò in sala da pranzo lasciando le due
ragazzine da sole.
Homura abbassò la spada e scrollò le spalle. «Mi dispiace, Rebecca,
io ci ho provato».
Rebecca minimizzò con una risatina nervosa e un gesto della
mano. «Ma
figurati, non volevo veramente un bacio da quello
stupido…» e poi anche lei corse via
con le guance rosse come mele mature e una lacrima impigliata tra le
ciglia.
Con gli occhi pieni di stupore, Shiki – quello ventenne
– si rivolse a Pino alla ricerca di spiegazioni.
«Io questo non me lo ricordo. Cioè, mi ricordo
più o meno il momento in cui Homura ha tentato di far
baciare me e Rebecca, ma il dopo…
quello no».
«È perché non sei stato tu a viverlo!
Te l’ho detto, Shiki, ci sono un sacco di cose che non hai
ancora visto…», chiarì Pino sempre
più enigmatica, per poi allontanarsi dal corridoio.
«E-ehi, aspetta!», disse Shiki seguendola a passo
svelto.
In conclusione, ciò che aveva visto non appena il piccolo
Shiki era uscito fuori di scena, non faceva parte dei suoi ricordi. Ma
allora cos’era? Un ricordo di Rebecca? E lui come aveva fatto
a finire improvvisamente nei ricordi di qualcun altro? Shiki scosse la
testa: no, non era possibile, quello era un sogno, era solo il frutto
della sua immaginazione. Eppure la scena gli era sembrata
così dannatamente reale che, di fronte alla delusione di
Rebecca per quel bacio mancato, per un attimo aveva sentito il cuore
stringersi in una morsa dolorosa.
Quando Shiki e Pino rientrarono in sala da pranzo, lo scenario era
cambiato: nella solita sala da pranzo, c’era nonno Ziggy un
po’ più vecchio rispetto allo scenario precedente
e Xiao Mei che ormai sgambettava per la casa.
«È il Natale dei miei quindici anni,
vero?», chiese Shiki rivolto a Pino che annuì.
La pubertà aveva cambiato radicalmente tanto Shiki, quanto
Rebecca e Homura: il primo era cresciuto notevolmente in altezza e
aveva sviluppato spalle più ampie, mentre a Rebecca era
spuntato un bel seno gonfio e Homura aveva abbandonato i vestiti da
maschiaccio e le spade laser. In piedi di fronte all’albero
di Natale, tutti e tre si sforzavano di fare in modo che il primo video
di Rebecca per il suo canale YouTube riuscisse alla perfezione.
«Ciao,
ragazzi! Sono Rebecca e lui è Happy!»,
disse la youtuber con un sorriso a trentadue denti stringendo tra le
braccia il suo gattino. «Benvenuti
su Aoneko Channel!».
Shiki e Homura riprendevano il tutto con due telecamere diverse in modo
da inquadrare Rebecca da diverse angolazioni.
«Questo me lo ricordo», ammise lo Shiki ventenne
divertito. «Mi annoiavo da morire, eppure ero sempre pronto
ad aiutare Rebecca con quei ridicoli video…».
«Si vede che ti annoiavi…»,
commentò Pino indicando lo Shiki quindicenne che sbadigliava
assonnato da interi minuti, tanto che la telecamera rischiava di
scivolargli dalle mani da un momento all’altro.
«Ehi, non è colpa mia! Sono
narcolettico!», precisò Shiki indispettito.
A conferma di quelle parole, il se stesso in versione adolescente aveva
definitivamente chiuso gli occhi, dando l’impressione di
essersi appena addormentato in piedi.
«Shiki!»,
protestò la giovane Rebecca saltando su tutte le furie e
strappandogli la telecamera dalle mani, ma questo non servì
a far rinsavire l’amico.
A quel punto, la youtuber, seppur a malincuore, fu costretta ad
interrompere il video. Nonno Ziggy si scusò per
l’inconveniente spiegando che Shiki quella mattina si era
svegliato molto presto per aiutarlo ad aggiustare un’auto,
quindi se lo caricò in spalla e con l’approvazione
dei padroni di casa lo portò al piano di sopra per infilarlo
nel letto degli ospiti e lasciarlo dormire tranquillamente.
Shiki pensò che in quello scenario non sembrava esserci nulla di particolarmente
eclatante, o almeno fin quando non si accorse che Rebecca,
approfittando della confusione generale, si era avviata su per le scale
con passo felpato. Incuriosito, Shiki la seguì e insieme
arrivarono di fronte alla stanza degli ospiti.
Rebecca aprì la porta, entrò nella stanza buia e
accese l’abat-jour, la cui luce illuminò il volto
del giovane Shiki dormiente e ignaro.
Il silenzioso e invisibile spettatore si avvicinò ai due
adolescenti desiderando osservare meglio la scena a lui sconosciuta.
Anche questa, al pari della scena successiva al mancato bacio dei suoi
undici anni, non faceva parte dei suoi ricordi e per questo Shiki non
riusciva ancora a capacitarsi che si trattasse di qualcosa di realmente
accaduto. Eppure era lì, curioso di vedere e di sentire cosa
sarebbe avvenuto.
Rebecca si inginocchiò ai piedi del letto sfiorando con la
mano la fronte del bell’addormentato.
«Shiki?».
«…becca»,
farfugliò Shiki rigirandosi nel letto verso di lei.
«Mi senti,
allora», sussurrò Rebecca con un
sorriso imbarazzato. «Mi
dispiace per essermi innervosita prima. Non sapevo che avessi lavorato
tutto il giorno…».
Shiki non rispose, ma Rebecca non si scoraggiò. Continuando
ad accarezzargli i capelli neri, avvicinò il volto a quello
rilassato di Shiki e prese a parlargli ad un soffio dalle sue labbra.
A quel punto, lo spettatore, incuriosito più che mai, si
avvicinò ancora di più ai due per sentire cosa si
dicessero.
«Shiki…
c’è una cosa che io devo assolutamente dirti e che
probabilmente non ti direi se tu non fossi mezzo
addormentato».
A conferma delle ultime parole, Shiki si limitò a strofinare
il naso contro il cuscino.
«Ma
forse…», continuò Rebecca
arrossendo deliziosamente sulle guance. «…più
che dirtela, farei meglio a mostrartela».
Protendendo le labbra in avanti, Rebecca sfiorò appena
quelle di Shiki in un bacio casto e innocente, attendendo una reazione
che però non arrivò. Avendo avvertito la
pressione sulle labbra, Shiki si limitò a fare una smorfia, poi strattonò le coperte e si
voltò dall’altro lato dando le spalle a Rebecca.
«Shiki…»,
sussurrò la ragazza tirandosi indietro un po’
delusa.
«Svegliami, dannazione! Non vedi che sto
dormendo?!», esclamò lo Shiki ventenne rivolto
alla giovane Rebecca, ma lei ovviamente non poteva sentirlo.
Amareggiata, Rebecca si allontanò dal letto, spense
l’abat-jour e uscì dalla stanza per tornarsene al
piano di sotto facendo finta che nulla fosse accaduto.
E Shiki, ormai non più convinto di trovarsi in un sogno,
capì finalmente perché Pino gli stesse mostrando
pezzi dei Natali passati di cui lui non era a conoscenza. La
verità era che Rebecca teneva a lui molto più di
quanto pensasse, ma Shiki – un po’ per
ingenuità, un po’ per distrazione – non
se n’era mai minimamente accorto e alla fine se
l’era pure lasciata sfuggire dalle braccia fino ad affidarla,
anche se involontariamente, a quelle di qualcun altro.
Nello scenario successivo, il terzo ed ultimo, Shiki sapeva
già cosa ci avrebbe trovato, ma non era sicuro di volerlo
rivedere.
«Natale dell’anno scorso»,
annunciò Pino dando voce ai pensieri di Shiki.
La sala da pranzo era la solita di sempre così come gli
invitati alla festa, ma quel Natale aveva una novità
rispetto ai precedenti, una novità alta un metro e ottanta
che recava il nome di Weisz Steiner e non smetteva di tenere Rebecca
per mano nemmeno per un secondo, quasi avesse paura di lasciarsela
sfuggire.
Con gli occhi fissi su quelle mani intrecciate, i due Shiki –
tanto quello del Natale precedente, quanto quello del Natale attuale
– si ritrovarono ad abbassare lo sguardo nello stesso
momento, incapaci di sostenere un’immagine così
dolorosa.
Shiki se lo ricordava benissimo quel Natale. E come avrebbe potuto
dimenticarsene, d’altronde? Era stato il peggior Natale della
sua vita. E se riusciva a malapena a pensarci, figuriamoci a rivivere
quei ricordi dall’esterno…
«Questo non voglio vederlo», affermò
perentorio rivolto a Pino.
«Io invece sì», rispose Pino mettendosi
comoda sul divano accanto a nonno Ziggy che non poteva vederla.
«Quindi me ne starò qui a guardare. Tu
fa’ come vuoi».
Shiki sbuffò. Pino voleva forse fargliela pagare per non
essersi accorto in tempo dei sentimenti di Rebecca nei suoi confronti?
Be’, ci stava riuscendo alla grande!
Shiki strinse i pugni lungo i fianchi, invaso da un certo nervosismo.
«L’ho capita la lezione, sai?».
«Ma io non volevo darti nessuna lezione»,
protestò Pino con tono innocente. «Volevo solo
mostrarti come stanno realmente le cose, affinché tu possa
sistemarle».
«Sistemare le cose?!», esclamò Shiki
infuriandosi. «Non capisci che ormai è tardi?
Rebecca ama Weisz ora!». Per quanto gli costasse dirlo,
quella era la dura verità.
«Ti ricordo che Rebecca e Weisz si sono lasciati»,
disse Pino con aria chi la sa lunga.
«Sì, ma i sentimenti non muoiono così,
dall’oggi al domani…».
Pino, all’improvviso, sorrise dolcemente. «Esatto,
Shiki, è proprio così: i sentimenti non muoiono
dall’oggi al domani».
Shiki si ammutolì, non capendo dove Pino volesse andare a
parare con quel tono così allusivo.
«Osserva cosa è successo veramente lo scorso
Natale, Shiki. Sono sicura che rimarresti molto sorpreso»,
continuò Pino. «Te l’ho detto
all’inizio, no? Ci sono un sacco di cose che tu non hai
visto».
E Shiki volle crederci sul serio, volle fidarsi di quelle parole, per
cui decise che sarebbe rimasto lì ad attendere pazientemente
il momento più tragico di quel Natale con la speranza di
scoprire qualcosa di nuovo, di diverso, in grado di poter ribaltare le
carte in tavola, come Pino si ostinava a fargli credere.
Ad un certo punto della serata, come lo Shiki spettatore ben ricordava,
Weisz e Rebecca sparirono con la scusa di dover andare entrambi in
bagno e dopo qualche minuto anche lo Shiki protagonista di quel ricordo
fece lo stesso, desideroso di potersi rintanare nella stanza degli ospiti
per poter sbollire in solitudine un po’ di gelosia e
sofferenza.
A quel punto, anche lo Shiki spettatore salì le scale
seguito da Pino e rivisse attimo dopo attimo ciò che aveva
reso il Natale precedente il peggiore della sua intera vita: aprire la
porta della stanza degli ospiti e scoprire che Rebecca e Weisz,
anziché recarsi in bagno come avevano detto, erano finiti a
baciarsi stretti l’uno all’altra sullo stesso letto
dove Rebecca, anni prima, aveva strappato a Shiki il suo primo bacio.
Era stato allora che il cuore di Shiki del Natale precedente era andato
in frantumi. Perché un conto era guardare Rebecca e Weisz
tenersi per mano e scambiarsi di tanto in tanto brevi baci a stampo, e
un conto era trovarli avvinghiati in quel modo, l’uno addosso
all’altro, con le labbra incollate e le mani che scorrevano
curiose e disinibite al di sotto dei vestiti, come se avessero voglia
di fare l’amore lì, a casa di Xiao Mei, alla
vigilia di Natale, a riprova del fatto che loro l’amore
l’avevano già fatto. Che Rebecca non era
più una bambina, perché Weisz l’aveva
resa donna.
Quando Weisz e Rebecca si accorsero di essere stati beccati, Rebecca
spalancò gli occhi e buttò Weisz fuori dal letto
con una spinta. «S-Shiki!»,
esclamò paonazza sistemandosi al meglio i vestiti
stropicciati, mentre Weisz, accasciato sul pavimento, si massaggiava la
schiena dolorante.
«S-scusate…»,
balbettò Shiki altrettanto rosso in volto, stringendo la
maniglia della porta con tanta forza che avrebbe potuto distruggerla.
Voleva disperatamente andarsene, ma non riusciva a staccare gli occhi
dalla figura di Rebecca, da quei capelli biondi arruffati e da quel
collo arrossato di baci ad opera di Weisz.
«Nessun
problema, Shiki», rispose Weisz rimettendosi in
piedi. «Vai
pure, tranquillo».
Suonava quasi come un invito ad andarsene e Shiki, incapace di
sopportare quella situazione un secondo di più, non se lo
fece ripetere due volte. Tirando vigorosamente la maniglia verso di
sé, richiuse la porta della stanza quasi sbattendola e
ignorando la voce di Rebecca che lo chiamava («Aspetta,
Shiki!»).
E mentre lo Shiki dell’anno precedente correva giù
dalle scale in preda al dolore, lo Shiki spettatore si addentrava
invece con coraggio nella stanza degli ospiti dove Rebecca e Weisz si
stavano parlando animatamente dai due lati opposti del letto.
«Perché
l’hai mandato via in quel modo?!»,
diceva Rebecca con la fronte aggrottata e le braccia incrociate sotto
il seno florido.
«In che modo?
Mi sembra di essere stato abbastanza gentile!»,
replicò Weisz perplesso. «Non smetteva di
fissarti! Che dovevo fare, chiedergli di unirsi a noi?».
Rebecca arrossì e voltò gli occhi in
un’altra direzione.
«Amore, ti
prego, non voglio litigare per così poco»,
ammise poi Weisz con tono tenero, facendo il giro del letto per
raggiungere Rebecca. «Dov’eravamo
rimasti…?», aggiunse cercando di
baciarla nuovamente.
Rebecca voltò la testa dall’altro lato. «Non mi va
più», concluse inaspettatamente,
allontanando Weisz con le mani.
«Perché?»,
chiese Weisz turbato.
«Mi
è passata la voglia».
Weisz, dopo un attimo di esitazione, sorrise comprensivo. «Va bene, ho capito,
non è la serata adatta. Io vado un attimo in bagno ora,
okay?».
Rebecca annuì e Weisz la lasciò sola.
Ciò che Shiki non si aspettava era di vedere Rebecca
accasciarsi per terra ai piedi del letto con il volto tra le mani nel
tentativo di trattenere i singhiozzi che le opprimevano il petto.
«Oh,
Shiki…», la sentì
mormorare tra le lacrime.
E ogni sua lacrima era come una pugnalata per il cuore di Shiki. Ora
gli era tutto più chiaro: nonostante si fosse fidanzata con
Weisz, in realtà Rebecca non l’aveva mai veramente
dimenticato. E se solo lei avesse potuto vederlo, sentirlo, toccarlo,
Shiki sarebbe andato dritto ad abbracciarla, a dirle che andava tutto
bene perché lui l’amava, l’aveva sempre
amata e non era tardi per vivere quell’amore rimasto a lungo
segreto. Ma purtroppo quegli eventi che Pino gli stava mostrando erano
già accaduti e quindi immodificabili.
Nonostante ciò, Shiki si sentì inondato di una
forza nuova: se non poteva cambiare i Natali passati, poteva almeno
sfruttare ciò che aveva scoperto su di essi per cambiare i
Natali futuri.
«Pino», disse rivolto alla sua piccola amica.
«Ti ringrazio».
«Oh, non c’è di che», rispose
Pino orgogliosa del lavoro svolto. «Pronto a tornare alla
realtà?»
«Certo, ma prima voglio sapere una cosa: perché
l’hai fatto?».
«Te l’ho detto, per aiutarti!»,
spiegò Pino come se fosse la cosa più naturale
del mondo.
«Sì, ma perché proprio a me?».
«Perché era
mio compito aiutarti! Sono o non sono il fantasma dei
tuoi Natali passati?!»
Shiki sorrise capendo che non avrebbe avuto risposte chiare da quella
creatura che con ogni probabilità esisteva solo nella sua
mente, ma comunque al momento non gli importava: aveva assoluta urgenza
di tornare alla realtà e dare una svolta alla sua vita.
«Andiamo», concluse sollevando Pino da terra e
mettendosela in spalla.
Quando Shiki aprì gli occhi, si ritrovò con la
guancia premuta contro il tavolo e di questo se ne rallegrò:
per lo meno, non si era addormentato con il viso spiaccicato nel piatto
come aveva supposto all’inizio.
Sollevando la testa e stropicciandosi gli occhi, però, non
poté fare a meno di chiedersi se ciò che aveva
vissuto era stato semplicemente un sogno o qualcosa di più
– una sorta di visione mistica o magari un miracolo di
Natale. Non era nemmeno sicuro che i ricordi che Pino gli aveva fatto
rivivere fossero del tutto veri, ma valeva la pena tentare di trarne
qualcosa di positivo. Nel migliore dei casi, Rebecca gli avrebbe
gettato le braccia al collo confermando di amarlo da quando aveva
undici anni; nel peggiore dei casi, gli avrebbe tirato uno schiaffo in
faccia chiedendogli come gli fosse venuto in mente di pensare una cosa
del genere e allora Shiki avrebbe capito di essersi immaginato tutto
quanto, Pino compreso.
«Dormito bene?».
Shiki incrociò gli occhi azzurri di Rebecca che gli
sorrideva dal lato opposto del tavolo, mentre il resto della tavolata
continuava a mangiare e chiacchierare.
«Benissimo». Shiki le sorrise raggiante.
«Quanto ho dormito?».
«Circa cinque minuti. Non se n’è accorto
nessuno, tranquillo», rispose Rebecca ridacchiando.
Shiki annuì senza dire nulla e – nonostante il
cuore gli dicesse di trascinare Rebecca in qualche angolo isolato della
casa e comportarsi finalmente da uomo – si impose di
aspettare, di rimanere fermo al proprio posto finché il
cenone non fosse giunto al termine, altrimenti la sua assenza e quella
di Rebecca avrebbero destato sospetti in tutti gli invitati,
soprattutto le sue quattro zie ficcanaso. Non doveva avere fretta,
c’era ancora tempo.
Per tutto il resto della serata, quindi, Shiki si limitò ad
osservare Rebecca alla ricerca di qualche indizio che confermasse
ciò che aveva sognato, ma ottenne solo occhiate veloci e
sorrisi appena accennati. Allo scoccare della mezzanotte, quando
finalmente il cenone sembrava essere giunto al termine, Shiki
scattò dalla sedia a dir poco euforico.
La prima a cui si rivolse fu Homura: le sussurrò poche
parole all’orecchio e lei, con gli occhi a cuore,
annuì vigorosamente dando segno di aver capito. In seguito,
Shiki raggiunse Rebecca posandole una mano sulla spalla.
«Posso parlarti un secondo?».
Incuriosita, Rebecca annuì e si alzò dalla sedia
per seguirlo.
Quando tutti e tre si ritrovarono da soli in corridoio lontano dalla
festa, prima che Rebecca chiedesse cosa stesse succedendo, Shiki diede
il via ad Homura con un occhiolino e quest’ultima, seguendo
le sue precedenti indicazioni, indicò con una mano il
rametto di vischio che pendeva, di nuovo, sulle teste di Shiki e
Rebecca.
«Forse non dovrei dirlo, ma credo che ora dovreste
baciarvi».
Rebecca ebbe appena il tempo di metabolizzare quelle parole, che Shiki
si lanciò letteralmente su di lei e le stampò
sulle labbra dischiuse un lungo bacio mozzafiato. E mentre Homura
dietro di loro batteva felicemente le mani, Shiki avvertiva il proprio
cuore esplodere dall’emozione nel sentire finalmente quella
bocca tanto bramata premere contro la propria.
Quando Shiki si scostò, trovò Rebecca rigida come
un pezzo di marmo, le guance arrossate e gli occhi sgranati per lo
stupore. «S-Shiki…?».
«Avrei dovuto farlo molto tempo fa, Rebecca».
Rebecca rimase in silenzio per diversi secondi e lì Shiki
ebbe seriamente paura di essersi immaginato tutto quanto, ma poi le
labbra della ragazza si piegarono in un bellissimo sorriso.
«Te ne ricordi allora…»,
mormorò Rebecca con gli occhi che si riempivano di lacrime
di felicità, mentre si avvicinava a Shiki e nascondeva la
testa nel suo petto.
«Certo che me lo ricordo». Shiki la
circondò con le braccia e la strinse forte a sé.
«E sai cos’altro mi ricordo?».
Rebecca cercò il suo sguardo. «Cosa?».
Mimando con le labbra un «grazie» rivolto ad Homura
che gli sorrise dileguandosi, Shiki afferrò la mano di
Rebecca e la condusse lungo le scale fino alla stanza degli ospiti. Non
appena aprì la porta e accese la luce, Shiki si
buttò a capofitto nel letto sistemandosi su un fianco e fece
segno a Rebecca di avvicinarsi.
Rebecca, avendo compreso, sgranò nuovamente gli occhi e si
coprì la bocca con una mano.
«Ti ricordi addirittura questo…?».
«Ricordo tutto», precisò Shiki in attesa
che lei lo raggiungesse.
Tra un sorriso emozionato e una lacrima rotolata lungo la guancia,
Rebecca si inginocchiò ai piedi del letto e
allungò una mano verso la fronte di Shiki che faceva finta
di dormire. Infine, ripeté le esatte parole che aveva
pronunciato la notte del Natale dei suoi quindici anni, parole che mai
avrebbe dimenticato perché avevano preceduto il loro primo
bacio.
«Shiki… c’è una cosa che io
devo assolutamente dirti e che probabilmente non ti direi se tu non
fossi mezzo addormentato».
Shiki sorrise ad occhi chiusi, perfettamente conscio di cosa stesse
accadendo. Questa volta non si sarebbe girato dall’altro
parte, no, tutt’altro.
«Ma forse…», continuò
Rebecca, «…più che dirtela, farei
meglio a mostrartela».
Le labbra di Rebecca si posarono nuovamente su quelle di Shiki, il
quale altro non aspettava se non di ricambiare quel bacio con tutta la
passione che aveva represso fino a quel momento. Svelto,
aprì gli occhi e attirò Rebecca sul letto fino a
spalmarsela addosso per sentire finalmente cosa si provasse a stringere
tra le braccia il corpo della ragazza amata. Con la lingua si fece
spazio nella bocca calda e disponibile di Rebecca, mentre con le mani
prese ad accarezzarle la schiena fasciata dal vestito azzurro.
Sentirsela addosso, poterla finalmente baciare e toccare come
preferiva, gli faceva nascere voglie e desideri da uomo che non aveva
mai provato per nessun’altra ragazza.
All’improvviso, Shiki sentì il bisogno di
stringerle il volto tra le mani e guardarla direttamente negli occhi
azzurri come il cielo d’estate.
«Io ti amo, Rebecca, e avrei tanto voluto rendermene conto
prima. Ma se tu mi ami quanto ti amo io, se per te Weisz non significa
più niente, allora noi…».
Rebecca non gli diede il tempo di dire altro, perché lo
baciò sulle labbra quasi con disperazione infilando le dita
tra i suoi capelli. «Sono stata io a lasciare Weisz
perché non riuscivo più a mentire a me
stessa…», gli soffiò direttamente sulle
labbra, guardandolo da sotto le lunghe ciglia bionde. «Per
quanto io ci abbia provato, non sono mai riuscita a mettere da parte
ciò che provo per te».
Shiki ingoiò a vuoto, improvvisamente a corto di fiato.
«Rebecca…».
«Facciamo l’amore, Shiki».
Quelle parole, pronunciate con un tono così dolce eppure
così sensuale, ebbero il potere di spiazzarlo ed eccitarlo
al tempo stesso. «Qui…?». Se i genitori
di Xiao Mei li avessero scoperti, li avrebbero certamente cacciati
dalla loro casa a calci.
«Sì, ti prego». Rebecca gli
accarezzò amorevolmente il volto. «Ne ho bisogno ora. Non ci
scoprirà nessuno».
«Aspetta… lo sai che per me tu sarai la prima,
vero?», si sentì in dovere di specificare, non
perché si vergognasse di essere ancora vergine a
vent’anni, ma perché voleva farle capire che lui
non aveva l’esperienza di Weisz, che non sapeva nemmeno da
dove cominciare, ma che comunque era disposto ad offrirle tutto
ciò che voleva, ogni respiro e ogni bacio.
Rebecca sorrise intenerita. «Sì, Shiki, lo so. E
tu lo sai che io… invece…». Abbassò lo sguardo, quasi sentendosi colpevole.
«Credevo veramente di amare anche lui e gli ho concesso tutta
me stessa, ma se io avessi saputo che tu…».
Shiki lo sapeva che lui per Rebecca non sarebbe stato il primo, ma al
momento non gli importava più nulla del passato.
«Vorrà dire che io per te sarò
l’ultimo, quello definitivo».
Di fronte a quella promessa di amore eterno, Rebecca annuì
emozionata e le loro bocche si ricongiunsero in un nuovo bacio lento e
umido. Più tardi, ribaltarono le posizioni sul materasso e
Shiki, ritrovandosi Rebecca sotto di sé, fu libero di
baciarla e accarezzarla in ogni parte del viso e in ogni parte del
corpo, a mano a mano che i vestiti di entrambi scivolavano via e si
afflosciavano ai piedi del letto con un fruscio.
Quando finalmente Shiki, guidato da Rebecca, affondò con
impazienza nel suo corpo caldo e fremente pronto ad accoglierlo,
pensò che ne era davvero valsa la pena aspettare e anche
soffrire pur di ritrovarsi stretto tra le braccia e le gambe nude di
Rebecca che gli sussurrava all’orecchio che lo amava da tutta
la vita, che era sua e di nessun altro, e che non aveva mai, mai
provato sensazioni del genere.
“Questo”, pensarono entrambi guardandosi negli
occhi al culmine del piacere, “è davvero il
più bel Natale di sempre”.
Ciò che Shiki non si aspettava era che, tornando al piano di
sotto seguito da Rebecca, avrebbe trovato Xiao Mei inginocchiata ai
piedi dell’albero che stringeva tra le mani una bambola in
tutto e per tutto uguale a Pino.
«Guarda, Shiki, è il mio regalo di
Natale!», esclamò la ragazzina con gli occhi che
brillavano, per poi mettere la bambola in piedi per terra e schiacciare
un pulsante dietro la sua schiena.
«Ciao, sono
Pino! Vuoi essere mio amico?», disse la bambola
con voce robotica, drizzando le lunghe orecchie da coniglio.
Shiki sussultò sul posto, gli occhi fissi in quelli immobili
della bambola. Forse, pensò con un sorriso, non si era
immaginato proprio tutto…
Note dell'autrice:
Grazie a chi ha letto tutto fino alla fine, circa 6500 parole... un
parto, davvero, ma ne è valsa la pena! Spero che vi sia
piaciuto il modo in cui ho cercato di adeguare i personaggi, i loro
lavori e interessi, al nostro mondo (l'unica un po' OOC forse
è Pino, ma mi serviva ai fini della trama). Soprattutto
spero che non vi siate persi tra i ricordi dei Natali passati, ho
cercato di essere il più chiara possibile anche usando il
corsivo per le battute dei personaggi del passato. Inoltre mi sembrava
giusto limitare la parte dell'amplesso a poche righe, dato che il succo
della storia sta più che altro nel viaggio di Shiki
attraverso i ricordi.
Mi dispiace solo di essermi servita di Weisz come "antagonista", ma
sappiate che non era mia intenzione abbattere la coppia Rebecca/Weisz,
anzi, la trovo molto carina! Però nella mia storia, Weisz
doveva fare la parte del rimpiazzo per pure esigenze di copione.
Grazie a chi leggerà e vorrà farmi sapere cosa ne
pensa. Alla prossima!
Soly Dea
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