Tempesta nel Vetro

di Sabriel Schermann
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Tempesta nel Vetro

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando Alex vide delle palline di vetro campeggiare solitarie su una bancarella natalizia, il viso le si illuminò.
Adorava quelle sfere lucenti e il loro magico contenuto: immediatamente, il suo sguardo si posò su un massiccio pupazzo di neve intrappolato nella bolla, avvinghiato a un prosperoso arboscello poco più grande.
Il fantoccio somigliava in tutto e per tutto a uno di quelli che usava realizzare insieme a suo fratello Lukas durante i lunghi inverni nordici.
Rovesciò d’istinto la sfera al contrario, sorridendo alla vista dei minuscoli globi candidi fluttuare nel liquido, raggiungendo senza fretta l’estremità del pupazzo capovolto.
Con la coda dell'occhio, notò lo sguardo di David su di sé: un'espressione sublime e raggiante gli si era incollata in viso.
I loro pensieri, in quell’istante, dovevano essere gli stessi.
Lo sentivano, era inciso nell'aria: finalmente, nei loro cuori, era tornata la pace.

 

 

 

 

 

Alex si avvicinò alla bancarella illuminata seguita dal compagno che, imitandola, si accostò al bancone, seguendone con attenzione i movimenti.
La vide afferrare una minuscola palla di vetro da un cestino colorato posto sul bordo.
Tra le tante sfere trasparenti, lei ne aveva scelto una dipinta di uno sbiadito color cremisi, contenente un voluminoso omino di neve in miniatura.
Alex capovolse la boccetta in un movimento repentino, mostrando l’intera dentatura alla vista dei corpuscoli nivei fluttuare nella sostanza trasparente, ornando i rami floridi dell'arbusto che campeggiava accanto al pupazzo come palline.
La giovane osservava quella sfera innevata come David scrutava il viso di Alex, sorprendendosi nel trovarlo più fresco e gioioso di quando aveva avuto occasione di ammirarlo l'ultima volta.
Finalmente, la serenità era nuovamente approdata nel suo cuore; dopo tanta pena, Alex era tornata in vita.

 

 

 

 

 

Qualcuno lo aveva afferrato violentemente, trascinandolo per aria e scuotendolo con veemenza.
Un vortice infinito gli annebbiava la coscienza, accompagnato da quella tipica sensazione nauseabonda a cui, ormai, aveva fatto l’abitudine.
Quale gesto tanto tragico aveva mai compiuto per meritarsi di spendere la propria intera esistenza ad essere percosso in tale modo?
Tentò di riprendersi un poco, aggrappandosi al misero e sempreverde alberello che gli giaceva accanto inerme, per poi essere nuovamente scosso con foga.
Ogni volta era la stessa solfa: i granelli sintetici gli volavano addosso, si insinuavano negli occhi e nelle narici: un'intensa tempesta prendeva vita attorno a sé, una bufera a cui solo il tempo avrebbe potuto porre termine.
Era stanco ma, in fondo, non poteva sapere che cosa significasse realmente esistere: non aveva conosciuto altro che il mondo nella propria boccia.






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