Salve gente :)
Ritorno a scrivere su questo mitico fandom, spinta dalla ritrovata
ispirazione per questi personaggi, proponendovi stavolta una raccolta
di one-shot fra loro slegate ma tendenzialmente di successione
cronologica, affrontando alcuni missing moments, con i toni della
commedia e dell'introspezione.
Nello specifico questo primo capitolo mi è stato ispirato
dalla brusca cesura tra l'episodio della morte del buon Hideyuki e il
trasferimento di Kaori nell'appartamento di Ryo.
Ho immaginato che fra i due potesse esserci qualche altro momento di
confronto e riflessione.
Non dilungandomi oltre, vi saluto ricordandovi che commenti, critiche e opinioni sono sempre graditi.
Alla prossima!)
ps. Chiedo scusa per eventuali somiglianze con altre ff già pubblicate gli scorsi anni.
I
– Estranei ma non troppo
Non
c’era niente di superfluo, niente fuori posto in quel modesto
appartamento pulito e accogliente, arredato con gusto sobrio e
funzionale. Ogni più piccolo dettaglio, dai mobili privi di
fronzoli alle tende di un tenue color rosa antico, dalle foto
incorniciate sparse sugli scaffali alle consunte pattine lasciate sulla
soglia d’ingresso, dal fresco profumo di detersivo per il
bucato all’invitante odore di cibo tradizionale, emanava una
sensazione di calore e di genuinità, di condivisione di
valori semplici e autentici. Ogni oggetto racchiuso tra quelle mura
rifletteva un vissuto colmo di sapori, ricordi e sentimenti a lui
pressoché ignoto, che gli incuteva un penetrante senso di
disagio, mescolandosi al rammarico.
Non era riuscito a
salvare l’unica persona al mondo con cui negli ultimi anni
avesse instaurato un rapporto significativo, il suo socio, il suo
migliore amico, l’unico che potesse definire tale nella sua
travagliata esistenza priva di affetti duraturi.
E adesso che si
trovava a casa sua, dove di rado era entrato in passato, e riusciva a
percepire perfino l’aroma del suo scadente dopobarba che
ancora aleggiava nell’aria, la consapevolezza che Hideyuki
Makimura in realtà per lui fosse quasi un estraneo gli
torceva ulteriormente le budella.
Di colpo Ryo Saeba
cominciò a sentirsi uno sgradito intruso e
avvertì il bisogno urgente di fuggire lontano, magari in
qualche posto vicino al mare, per cercare di alleviare quel senso di
impotenza e di rimorso che gli opprimeva il petto. Ma erano trascorsi
minuti e non riusciva ancora a decidersi ad andare via da
lì. Gli pareva che le scarpe gli si fossero inchiodate al
pavimento, forse perché si sentiva colpevole per quanto era
accaduto al suo collega o forse perché non voleva che la sua
amata giovane sorella si sentisse completamente sola nel suo dolore.
Pur conoscendo il loro forte legame, non poteva comprendere a pieno
cosa significasse per lei averlo perduto così, brutalmente e
prematuramente.
Non aveva termini di
confronto, d’altra parte lui non aveva mai avuto una vera
famiglia. Ed era stato talmente addestrato a sopprimere le emozioni da
essere diventato incapace di esternarle, tuttavia pensò che
fosse giunto il momento di lasciarla libera di sfogare la sua
sofferenza, che la sua presenza la stesse costringendo a trattenere
ciò che la sua indole femminile avrebbe dovuto manifestare
naturalmente.
Il fatto che invece
lei fosse rimasta così silenziosa e non si fosse abbandonata
ai singhiozzi e alle lacrime gli faceva formicolare una strana
inquietudine. Se fosse scoppiata a piangere, avrebbe almeno potuto
tentare di consolarla in qualche modo, anche se in verità
non era poi così bravo con le parole. Non aveva neanche
fazzoletti a portata di mano e forse un abbraccio sarebbe stato troppo
indiscreto.
«Mi
occuperò io del funerale. Di tutto quanto»,
mormorò evasivo, riuscendo finalmente a trarsi
d’impaccio, dando le spalle alla giovane orfana che aveva
promesso al fratello di proteggere e che, a sua volta, si era detta
disposta ad aiutarlo a vendicarne la morte.
Aveva ammirato la
sua audacia, ma non poteva permetterglielo davvero, o avrebbe infranto
il giuramento che il suo amico gli aveva strappato nel suo ultimo
drammatico refolo di vita. Era così giovane e innocente e
tale sarebbe dovuta rimanere.
Lei mosse un passo
incerto verso di lui: «Dove si trova adesso? Vorrei
vederlo», bisbigliò misurata, le labbra tirate in
dentro a soffocare il profondo turbamento che rendeva rallentati i suoi
riflessi.
Ryo si
voltò e rimase qualche secondo a osservare quel visino
pallido su cui spiccavano due grandi occhi lucidi, restando
meravigliato dal suo atteggiamento fermo e composto che denotava una
notevole forza interiore. Ma non volle mettere ulteriormente alla prova
la sua resistenza. Poteva sentire ancora il corpo crivellato di colpi
del suo amico accasciarsi esanime tra le sue braccia, l’odore
della polvere da sparo e del sangue rappreso misto alla pioggia che gli
aveva infradiciato il lacero cappotto. No, non era il caso che quella
tenera ragazza serbasse per sempre quell’immagine straziante
nel suo cuore. Aveva volutamente taciuto di rivelarle troppi dettagli
su come fosse stato ucciso.
«Ricordalo
com’era. Anche lui avrebbe voluto così»,
le intimò lapidario, cercando di smussare
l’asprezza del suo tono nel ricordare quella fine ingiusta.
Kaori
annuì, una piccola lacrima silenziosa le sfuggì
dalle ciglia, solcandole una guancia e a lui parve di poterci annegare.
Doveva allontanarsi.
«Rimarrò
di guardia in macchina, se mai qualche bastardo della Union Teope
dovesse azzardarsi a venire a trovarti», la
informò sbrigativo, iniziando a dirigersi alla porta.
«Resta
… resta qui. Per favore», mormorò
d’impeto la ragazza. La sua voce flebile ma decisa lo
raggiunse come una lama sottile, dritta nel costato.
Ryo la
guardò di sottecchi, un po’ combattuto
sull’accettare o meno, sciogliendosi immediatamente di fronte
al triste sorriso supplice che gli inviò. Non poteva opporsi
ad esaudire quella sua richiesta dolcissima e pregna di sconforto. In
fondo il suo istinto gli suggeriva che non sarebbe riuscito davvero ad
andarsene, ma il suo orgoglio e la sua poca confidenza volevano che
fosse lei a chiedergli esplicitamente di rimanere.
Si avvicinò
discreto alla tavola imbandita da una ricca varietà di
pietanze il cui aroma prelibato gli aveva già stuzzicato le
narici ancora prima di aver varcato la soglia. Al centro spiccava anche
una bella torta di compleanno, le cui candeline sarebbero rimaste
mestamente spente. Non poté fare a meno di considerare che
il suo arrivo, come una sciagura, avesse frantumato
quell’atmosfera di schietta armonia domestica che regnava
nella vita del suo collega e in quella della sua amata sorella. Era
stato ancora una volta portatore di sofferenza e lutto. Doveva essere
una maledizione, la sua.
Conosceva appena
quell’uomo schivo e misterioso che condivideva con suo
fratello una quotidianità scandita dalla coraggiosa lotta ai
crimini che si consumavano nei bassifondi della città,
eppure per qualche inspiegabile ragione la sua sfuggente presenza le
infondeva sicurezza, conforto, gratitudine. In altre circostanze non
avrebbe mai desiderato di restare da sola in compagnia di un soggetto
così losco, ma ora sentiva che lui era l’unica
persona in grado di capire quale indicibile angoscia le stesse
straziando l’anima, anche se era riuscita a dissimularlo.
Purtroppo era
cosciente che, svolgendo quel mestiere, Hideyuki affrontasse ogni
giorno pericoli mortali e che avrebbe dovuto mettere in conto
l’eventualità che, prima o poi, non tornasse
più, ma la sua indole ottimista si rifiutava sempre di
lasciarsi scoraggiare da quei brutti pensieri.
Strinse al petto il
piccolo cofanetto con l’ultimo suo regalo,
quell’anello che aveva comprato per lei chissà
quando e con quali sacrifici, ricacciando un grumo amarissimo di
saliva, mentre i polmoni le bruciavano al pari delle tempie.
A Saeba voleva
dimostrare di essere forte, che se la sarebbe cavata anche da sola, ma
non era vero, e quasi non si era accorta di averlo invitato a rimanere
con lei. Le sillabe si erano fatte strada da sole, ne aveva ascoltato
il suono leggermente incrinato dagli ansiti che tratteneva a fatica
come se provenisse da un’altra bocca.
Il socio di suo
fratello si era seduto a tavola e aveva esaminato pensieroso ogni
portata da lei preparata con apparente interesse, ma non aveva osato
toccare nulla. Sembrava tanto stanco e triste, nonostante il suo
sguardo fosse quasi inespressivo. Doveva essere scioccato quanto lei da
quanto era accaduto, non aveva neppure finto di consolarla.
Sentendosi da lei
osservato con una certa indiscrezione si decise finalmente a spiccicare
un noncurante: «Ti dispiace?», ammiccando alle
cibarie che giacevano intonse da quando ore prima aveva apparecchiato.
Kaori cercò
di mettere a suo agio quell’ospite taciturno, anche se lei
stessa provava una certa soggezione nel parlargli, temendo di
sembrargli sciocca o inopportuna: «Ma no. Mi spiace solo che
ormai si è tutto freddato, ma se hai la pazienza di
aspettare un paio di minuti, posso riscaldarlo», si
premurò di reagire, accingendosi a ravvivare i fornelli, ma
si fermò notando con la coda dell’occhio che lui
aveva già inforcato due bacchette e si era avventato sul
primo piatto di ramen, con la voracità di chi non toccasse
cibo da giorni.
La ragazza si sedette
di fronte a lui, appoggiando il mento su una mano: «Hideyuki
mi aveva accennato che sei un buon gustaio …» si
lasciò scappare sottovoce, imprimendosi
un’espressione sbalordita quando gli vide spazzolare in pochi
secondi anche due porzioni abbondanti di sushi e sashimi, chiedendosi
se riuscisse almeno a sentire il sapore di ciò che stava
divorando.
«Perciò
hai cucinato per un reggimento?», masticò Ryo,
inghiottendo rumorosamente in un solo boccone un grosso onigiri. Si
pentì subito dopo di quell’ironica osservazione,
giacché era evidente che la ragazza avesse profuso tutto il
suo amore e la sua abilità nel preparare quella squisita
cena, magari pensando anche ad allietare il suo palato, sapendo che
sarebbe stato loro ospite a quella che avrebbe dovuto essere una
tranquilla festicciola.
«È
che la tensione mi apre sempre l’appetito», si
discolpò lievemente imbarazzato, malgrado lei non sembrava
essersi offesa più di tanto, porgendole, per scusarsi della
sua ingordigia, una bacchettata di riso al curry, con un mezzo sorriso
incoraggiante.
«A me invece
si chiude lo stomaco», rifiutò gentilmente la sua
offerta Kaori, cominciando ad avvertire una leggera nausea pervaderle
le viscere nel notare degli schizzi cremisi sul suo spolverino
sforacchiato, che non aveva neanche avuto l’accortezza di
togliersi prima di sedersi a tavola e cominciare a mangiare. Qualche
minuto prima si era limitato a dirle che aveva già
“sistemato” il mafioso mandante
dell’omicidio di suo fratello, ed ora le fu più
che chiaro cosa intendesse con quella laconica frase. La disinvoltura
con cui riuscisse a condurre quello stile di vita la fece rabbrividire.
Lo sweeper non
insistette perché si unisse a lui in quel lauto pasto, pur
ammonendola: «Però rammentati che quegli stronzi
là fuori ci stanno cercando. Devi mantenerti in forze, in
caso dovessimo essere costretti a scappare da un momento
all’altro», asserì sorseggiando un
bicchiere di birra. «Mica posso portarti sempre sulle
spalle».
Ryo si
mozzicò la lingua non appena ebbe finito di pronunciare
quella battuta, temendo di aver sproloquiato, mentre la ragazza
strabuzzava i begli occhi castani, stranita e intimorita:
«Come?»
Le sue guance
s’infiammarono all’istante, ma poi si disse che lui
non poteva ricordarsela sul serio, erano passati più di
cinque anni e all’epoca di quel loro primo incontro neanche
aveva capito che fosse una femmina, scambiandola per tutto il tempo per
un ragazzino. E lei era certa di non aver fatto nulla per dargli motivo
di dubitarne … però adesso le venne il sospetto
che magari, mentre era svenuta in macchina, potesse aver
visto qualcosa ... Ad ipotizzare quella possibilità, Kaori si sentì invadere dalla vergogna e dalla
rabbia, ritrovandosi a tremare sensibilmente.
«Me
l’ha raccontato Hide, che a volte ha dovuto portarti lui sul
groppone, perché eri troppo esausta per
camminare sulle tue gambe», proruppe con accento macchiato di scherno Ryo, sbirciandola da dietro la scodella di udon,
speranzoso di essere riuscito a districarsi da quel non voluto equivoco.
I nervi della ragazza
parvero rilassarsi e anche la sua aura ostile si stemperò:
«E cos’altro ti ha raccontato di me?»,
incrociò le braccia lanciandogli un’occhiata
timida e permalosa, le labbra imbronciate, le pupille sagaci e un
adorabile rossore ad imporporarle le gote.
Il consumato
seduttore, cui bastava sfoderare uno sguardo da duro per far crollare
ai suoi piedi miriadi di donne, sentì sgretolarsi per un attimo
tutta la sua determinazione. La sorellina del suo amico era diventata
anche più graziosa di quanto già non lo fosse da
adolescente, ma lui doveva comportarsi da ineccepibile protettore, non
poteva permettersi di lasciarsi fuorviare da certi pensieri fuori luogo.
«Niente di
particolare», glissò scrollando le spalle con
naturalezza, tacendole quanto spesso Maki, commovendosi dietro le sue
lenti spesse, avesse tessuto le sue lodi, descrivendola come una
ragazza sveglia, affettuosa e responsabile, col difetto di essere solo
un po’ troppo caparbia e precipitosa, impensierendolo per
certe situazioni azzardate in cui si era cacciata talvolta.
«E lui di
me cosa ti ha detto?», le domandò con un
involontario sorrisetto sornione ad accendergli quegli occhi neri e
liquidi come inchiostro.
Kaori
gonfiò le guance, facendo uscire uno sbuffo annoiato:
«Niente di interessante», mentì svelta,
mantenendosi sul vago, esattamente come aveva fatto lui, pur rimarcando
con il suo tono la sua estraneità e il suo disinteresse nei
suoi riguardi.
Maki, quando lei, dopo
aver scoperto che lavoravano insieme, gli aveva esposto i suoi dubbi
circa quella frequentazione, sistemandosi gli occhiali sul naso
l’aveva sempre rassicurata descrivendolo come un uomo leale e
di sani principi, un professionista serio e affidabile,
all’occorrenza spiritoso, che aveva un unico grande tallone
d’Achille, ossia le donne, alle quali non riusciva proprio a
resistere, rendendosi spesso molesto.
Per quanto
effettivamente fosse proprio un bel tipo e avesse un modo di fare
abbastanza intrigante, lei giurò a se stessa che di certo
non ci sarebbe mai cascata. Innamorarsene era fuori discussione,
specialmente se avrebbero dovuto lavorare insieme.
«Ma dimmi
…. Il fidanzato ce l’hai?»
Saeba ruppe quella
già palpabile tensione scagliando distrattamente quella
domanda così personale, senza una ragione comprensibile.
Per poco Kaori
sputò l’acqua che aveva appena bevuto:
«Eh? Perché ti interessa?», esclamò
allarmata, alzandosi di scatto come se la sedia sotto il suo sedere
scottasse.
Lui la
scrutò intensamente, impassibile come un pezzo di ghiaccio:
«Rispondimi», la incitò secco, tirando
fuori dal taschino dell’impermeabile la pistola e
appoggiandola sul tavolo.
La ragazza fremette
alla vista di quel lucente pezzo di metallo, sdegnata oltretutto dal
sentore che quel bell’imbusto, nonostante ostentasse
serietà, ci stesse provando anche con lei e addirittura la
minacciasse per farla sbottonare.
«No, non ce
l’ho!», gridò quasi, in preda
all’agitazione, «Non ho più
nessuno», balbettò poi rattristata, abbassando la
fronte.
Ryo si
alzò, dirigendosi verso una poltroncina che aveva
adocchiato, su cui si sistemò, sempre con la sua Phyton in
pugno: «Ottimo. Una potenziale vittima in meno a cui
badare», sostenne riacquistando la sua proverbiale
professionalità, che conferì ai suoi lineamenti
l’apparenza di una maggiore durezza e maturità.
Kaori tornò
a respirare con maggiore calma, insultandosi mentalmente per essere
stata così suscettibile. Avrebbe dovuto imparare a fidarsi
di più di lui, in fondo lo aveva già fatto la
prima volta in cui l’aveva tratta in salvo, lo aveva potuto
vedere in azione, sapeva quanto fosse abile e ligio al dovere, malgrado
la pessima fama che lo accompagnava.
E poi era pur sempre
stato il partner di suo fratello. Non era un completo estraneo.
La sua attenzione
finì improvvisamente sulla torta di compleanno, che neanche
il suo affamato ospite aveva osato assaggiare, e di nuovo un magone le
strinse la gola. La testa pulsava e girava, cominciava a
sentire le ginocchia cedere allo stress di quella lunga e orribile
giornata, che avrebbe tanto voluto cancellare e dimenticare.
«Adesso
va’ a riposare», la esortò benevolmente
Ryo, accorgendosi che era rimasta in piedi ma vacillava, come se
stesse per svenire da un secondo all’altro.
«Ci
proverò», bisbigliò lei, congedandosi
con un composto cenno di assenso.
Ryo allungò
il collo, vedendo svanire speditamente la sua figura aggraziata tra le
ombre del corridoio, chiedendosi con un certo scombussolamento se
sarebbe stato opportuno tenerla accanto a lui come protetta e rimpiazzo
del suo perduto collega, o se invece non avrebbe fatto meglio a
considerarla soltanto una delle tante clienti di passaggio.
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