Il
mio personale buongiorno al mondo è un profondo sospiro con
la testa
ancora affondata nel cuscino. Con i movimenti lenti ancora dettati
dal sonno, tiro giù un piede dopo l’altro per
alzarmi.
Stiracchiandomi, poi, inizio il concerto di ossa che scricchiolano in
cui mi esibisco ogni mattina.
Tutti
i giorni immagino la stessa scena, un piccolo inchino al pubblico
davanti a me e che ora mi concede l’ovazione che merito.
Questo,
come accade solitamente, mi apre un sorriso in faccia che mi
accompagna fino in cucina, Mi chiedo se troverò mai qualcuno
che sia
demente come me. Mettendo la vecchia moka sul fuoco mi rendo conto
del silenzio che aleggia all’interno dell’ambiente.
Mi
volto verso la gabbietta, appesa vicino alla porta finestra del
balcone, e vedo che Dodo non è appollaiato sul suo trespolo.
Che
strano.
Avvicinandomi,
un brivido mi percorre la schiena. Ci ho pensato solo ora alla fine
che può aver fatto quel povero canarino. La mia paura fa
scopa con
il corpo supino dell’uccellino, le zampette puntano verso
l’alto
e i suoi occhi sono spenti dalla morte, sicuramente giunta durante la
notte. Chissà per quale motivo, chissà cosa gli
è successo, chissà
se gli ha fatto male.
Sinceramente?
Mi ero affezionato a lui il giusto. Nel senso che l’avevo
preso un
paio d’anni prima in un negozio d’animali
probabilmente spinto da
un bisogno di alleviare la solitudine di casa unito a quello di
prendermi cura di qualcuno. Andare a vivere per conto mio era stata
una scelta di pancia e ogni tanto faceva capolino quell’ansia
che
pareva echeggiare nel silenzio di un’abitazione vuota. Eppure
non
ero riuscito a legarmi troppo a quel piccolo uccellino, forse
sarà
che i nostri contatti erano pochi e distaccati durante la giornata.
Giusto un po’ di attenzioni quando gli cambiavo
l’acqua e
aggiungevo qualche seme alla sua piccola mangiatoia.
-
Cazzarola… - questa è la mia unica manifestazione
di dolore.
Non
è un evento tragico, non storcerà a tal punto la
mia giornata da
riportarmi il pensiero sempre qui, però mi fa un certo
effetto
guardare quel piccolo corpo rigido davanti ai miei occhi.
Una
leggera scrollata di spalle, come a simboleggiare di esser
già
passato oltre, sancisce la fine di questo lutto. Mi porto una
sigaretta alla bocca mentre penso all’unica vera domanda: il
corpo
lo potrò gettare nell’umido?
Il
mio personale buongiorno al mondo è un mentale vaffanculo
lanciato
direttamente nell’aria afosa del mattino. I fumi
dell’alcool
della sera precedente mi annebbiano il pensiero inquinato di sogni;
la bottiglia giace ancora affianco al letto, vuota. O piena
d’aria.
O dei vaffanculo sopracitati che potrò elargire ai
disgraziati con
l’ego traboccante che mi toccherà incontrare anche
oggi,
incravattati e inamidati. Nel vorticare di questi pensieri pieni di
postumi e sonno, vengo distratto dalla turgida erezione che preme
contro i miei boxer.
-
Piccolo bastardo… Già sveglio, eh?
La
mano corre lenta sotto lenzuolo e arriva fino alla base del mio
organo sessuale per impugnarlo saldamente.
Ho
sempre pensato che la masturbazione fosse una piccola dimostrazione
d’amor proprio e ormai questi liquidi sfoggi
d’autoerotismo sono
entrati a far parte del quotidiano.
Sto
per terminare. Lo sento. Mi guardo attorno ma non vedo nessun tipo di
fazzoletto, pezzo di carta o simili. Ho sempre attribuito particolare
importanza a quello che è l’ultimo pensiero che mi
induce
all’orgasmo perché penso possa darmi una sorta di
identità
sessuale. Sì, lo so che è stupido ma ognuno ha le
proprie
convinzioni, no? In questo caso è il girone degli accidiosi
all’inferno. Posto che mi sto meritando sin dalle prime luci
dell’alba oggi visto che non ho voglia di alzarmi neanche per
procurarmi un pezzetto di carta igienica. E ho persino il bagno in
camera.
-
Cazzo… - mi lascio sfuggire tra i denti mentre mi vengo
direttamente nella biancheria. In un attimo mi sento umido, sia
addosso che sulle lenzuola che mi circondano. Okay, è giunto
il
momento di alzarsi, fare colazione e poi una doccia veloce. Oggi ho
un colloquio di lavoro. Finalmente.
La
moka è ancora mezza piena del caffè che ho
preparato ieri, o mezza
vuota per tutti i pessimisti del mondo, così che non devo
neanche
prepararne di nuovo. Mi basta versare il liquido in una tazzina non
troppo sporca poggiata sul lavandino e il gioco è fatto.
L’amaro
del caffè in bocca è un ottimo contesto per la
sigaretta che lo
segue in bocca mentre mi dirigo verso il bagno. Scoregge al gusto di
chicchi tostati, il titolo della poesia di oggi.
Il
silenzio della cucina però mi trattiene prima della
deiezione
mattutina. Torno sui miei passi e cerco Dodo con lo sguardo. Ah,
vecchio canarino, non hai passato la notte, eh? Beato te. Almeno ti
sei tolto questo supplizio di arrivare a fine giornata ogni volta.
Sbuffando il fumo denso direttamente all’interno della
gabbietta mi
ritrovo a pensare alla mortalità umana e animale. Buon dio,
siamo
come marionette nelle mani del destino e, troppo spesso, non ci
rendiamo neanche conto di quanto siano sottili i fili con cui esso ci
tiene sospesi. Me compreso. Dovrei cercare di far qualcosa della mia
vita prima che sia troppo tar… Un’altra scoreggia
spezza il
momento di filosofia spicciola. Forse sarà meglio dedicarmi
prima a
questo stronzo che a quanto sono stronzo.
Il
personal buongiorno che riservo al mondo è il disio
d’aprir
l’occhi e affrontar la giornata con spirito allegro,
così com’è
abitudine mia da ch’ero fanciullo e compresi la
caducità
dell’esser umano. Per un pugno di secondi rivolgo un moto di
profonda gratitudine al sole che trapela dalle veneziane e che anche
oggi è giunto a far capolino in codesta stanza. Alzandomi di
buona
lena, poi, m’avvio a passo sostenuto verso la cucina cercando
di
dar battaglia al sonno che ancora alberga le mie palpebre nel
tentativo di farle calar nuovamente. Caffè, dolce nettare
ch’ogni
giorno funge da balsamo al tedio del sonno, vorrei dedicare un
sonetto al gusto con cui mi approccio alla moka. L’attesa che
mi
separa dalla bevanda calda è soffice e ovattata, par quasi
di
poterla toccar con mano, addivenendo tangibile nell’acquolina
che
mi si crea in bocca tant’è spasmodica siffatta
bramosia.
Quand’ecco che, finalmente, il dolce suon di traboccante
gorgoglio
riempie l’ambiente di aromatico odor tostato. Questo pone
fine al
dissidio interiore dettatomi dalla pigrizia che suole accompagnarmi
nei primi minuti di veglia, allontanandomi definitivamente dalle
carezze del cuscino e d’un giaciglio caldo.
Il
solenne silenzio attrae, poi, la mia attenzione. Par quasi liturgico,
come nella navata d’una cattedrale se non in orario di messa.
Volgo
lo sguardo direttamente alla gabbia cui abita il mio compagno di
colazioni: Dodo, il canarino che quotidianamente incastona di canti
l’atmosfera dell’ambiente.
Nell’avvicinarmi lentamente,
l’immagine del suo corpicino si dipinge come olio su tela
nella mia
immaginazione, trovando poi riscontro nella realtà e nella
rigidità
della morte che deve averlo colto senza preavviso. Immediatamente
divengo preda per il dolore che, pervasomi da cotanta visione, mi
muove il cuore a compassione.
Fato
beffardo.
Il
calar delle tenebre ti fu fatale, mio piccolo coinquilino. Non
nascondo che una singola lacrima mi bacia il volto, bagnando e
salando la profonda convinzione che move il corpo mio in qualsiasi
momento: ogni vita è cara a un’altra vita. Non
sentirò più
l’aria dello zelante cinguettio tuo che portava allegria
nelle
mattinate comuni in cui solevamo scambiare futili chiacchiere nel
lambire i confini della razionalità che contraddistingue la
specie
cui appartengo. Le dolci parole che ti riservavo eran rivolte ad
allietar la tua prigionia. Ma le sbarre ora rimangon solo che dorati
monoliti funebri e celebranti, come un mausoleo funebre. Libero,
finalmente.
Com’è
vero ch’ogni vita è cara a un’altra,
forse lo è di più che è
cara alla morte, sicché l’accarezza perpetuamente
con tocco lieve
e intangibile anche quando sotto lo sterno non batte più il
cuor.
A
me non resta che alzare la tazzina a mo’ d’ultimo
saluto e mandar
giù un altro sorso amaro e salato di questa bevanda.
L’ultimo
caffè insieme.
A
te, piccolo amico mio.
N.d.A.
Ho
scelto questo pacchetto perché mi sembrava quello
più divertente da
scrivere, è così è stato
effettivamente. Ho cercato unire i tre
registri diversi allacciandomi all’ultima nota di ognuno
(realistico → pessimistico, pessimistico → romantico
e infine
romantico) così da passare per un unico filo conduttore in
tutta la
storia. Spero che la storia vi abbia intrattenuto e intanto ringrazio
chiunque le abbia dedicato qualche minuto d’attenzione per
leggerla.
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