Se Severus Snape avesse potuto rinchiudere ad Azkaban una persona,
dopo aver gettato la chiave in pasto agli Inferi, quella sarebbe stata
senza ombra di dubbio Neville Longbottom.
Con la sua goffaggine, quel ragazzino avrebbe potuto dare alla luce
le magie più virtuose e le pozioni più innovative – più capace
addirittura del Principe Mezzosangue.
E invece no.
Era andato oltre.
I suoi maldestri tentativi di preparare una basilare pozione
erbicida si erano tramutati in un potenziale genocidio di massa, dato
non dalla pericolosità dell’intruglio nel calderone che era scoppiato
addosso a Snape, ma dall’umore del docente stesso.
Quella poltiglia viscida di un inquietante color rosa shocking si
era aggrappata all’abito in stile talare di Severus, avviluppandosi
alle maglie del tessuto fino a fondersi con esso, dando a tutto
l’outfit dell’oscuro professore un tocco di raccapricciante luminosità.
Le risate dei Griffyndor e degli Slytherin furono molto difficili da
frenare, tanto che, per la prima volta nella propria carriera, Snape fu
tentato di togliere punti anche alla Casa verde-argento.
Una volta mandati via gli alunni, però, Severus comprese che la
situazione era molto più tragica del previsto: nonostante gli
incantesimi, quella tinta non andava via.
Scocciato oltre misura e con un Imp per capello, andò ad attingere
degli ingredienti dalla propria dispensa, preparando delle pozioni per
pulirsi. I risultati furono inconcludenti e insoddisfacenti, o per
meglio dire nulli. Solo tempo e ingredienti sprecati; oltre alla
pazienza, che stava per azzerarsi.
Snape si spogliò, mettendo da parte l’orgoglio e gettando quella
lordura nel cesto dei panni sporchi che avrebbero lavato gli elfi
domestici – sperava davvero che la loro magia potesse fare qualcosa a
riguardo.
Solo quando andò a prendere dall’armadio un abito pulito, capì
veramente cosa era accaduto: quella pozione era stata assorbita dalla
sua pelle. Ne fu certo non appena toccò un mantello nero e anche questi
divenne completamente rosa.
Disgustato, stava per pensare a quale atroce punizione potesse
attendere Longbottom, quando un’eterea creatura felina gli si
materializzò vicino.
“L’Ordine si riunisce oggi in seduta straordinaria alle
diciannove. Solito posto”, comunicò essa, per poi scomparire.
Severus impallidì.
L’Ordine della Fenice in riunione straordinaria? Doveva essere
successo qualcosa, non poteva mancare!
I suoi occhi scuri andarono allo specchio appeso al muro, guardando
la propria immagine riflessa che, in mutande rosa shocking, teneva tra
le mani il mantello del medesimo – volgare – colore.
Non poteva uscire dalla propria stanza in quelle condizioni, tanto
meno presentarsi proprio davanti a Sirius e Remus. Anche James Potter
avrebbe riso dall’oltretomba.
Circondato da tutto quel rosa, gli venne in mente una sola idea per
scampare all’onta che lo attendeva a Grimmauld Place numero dodici.
Non era di certo una buona soluzione, ma almeno qualcosa
per
tamponare finché l’effetto di quella maledizione non si fosse esaurito.
*
Severus Snape si presentò all’entrata di Casa Black in ritardo di
soli cinque minuti.
L’espressione, già severa per natura, era ancora più dura, quasi
arcigna.
«Severus, tutto bene?», gli domandò Molly Weasley, quando il docente
di pozioni si presentò nel salone dove gli altri membri dell’Ordine
erano già tutti presenti. Sfoggiava la solita tunica nera, triste e
lugubre, e camminava con passo più affrettato del solito.
«Ho avuto un contrattempo fastidioso a Hogwarts. Niente di cui
preoccuparsi», rispose lui, andando a sedersi con gli altri. Purtroppo,
il suo piede andò a pestare la parte anteriore della tunica e solo la
spalliera della sedia alla quale si aggrappò gli permise di non
capitombolare a terra.
Tutti lo fissarono preoccupati, ma Severus fu lesto a raddrizzare la
schiena e a prendere posto a sedere, come se nulla fosse accaduto.
Minerva gli lanciò un’occhiata perplessa, ma non commentò.
«Di che contrattempo parli? Torturare mio figlioccio, magari?». La
domanda caustica e retorica di Sirius uscì con una non troppo velata
nota di rimprovero.
Remus, seduto accanto all’altro Malandrino, lo richiamò sottovoce.
Non voleva che i due ricominciassero a litigare come era accaduto
subito prima che il signor Weasley fosse dimesso dal San Mungo, dove
era stato ricoverato a causa delle ferite inflittegli da Nagini. Sirius
sapeva fin troppo bene che Lupin necessitava di Snivellus per la
pozione antilupo e, per quanto i due insegnanti fossero in discreti
rapporti tra di loro, odiava l’idea che Severus potesse fargli pesare
quella sua dipendenza.
Snape non perse il proprio aplomb, e prima di rispondere a
Sirius lo
guardò come se fosse una cacca di cane schiacciata. «Dolores riesce
meglio di me in questa impresa, non voglio toglierle il primato con
Potter. Ho avuto problemi con Longbottom».
Sirius lo fissò in tralice e non infierì oltre solo per amore di
Lupin, il quale si stava chiedendo perché, per una volta, il cognome di
Neville non avesse avuto come prefisso “goffo” o “incompetente”.
Severus si guardò intorno, notando un’altra sedia vuota, a parte
quella di Dumbledore. «Non sono l’ultimo, a quanto pare...».
Minerva si sistemò meglio gli occhiali sul ponte del naso. «Alastor
ci stava giusto informando del fatto che Tonks ha avuto un contrattempo
a lavoro e dunque non potrà presenziare, il preside Dumbledore, invece,
è impegnato con delle questioni con la Umbridge», spiegò in maniera
concisa.
Severus si limitò ad annuire, rimanendo serio. Sirius si sarebbe
aspettato qualche sottile cattiveria verso Nymphadora – come “Che ci
sia o meno, non fa differenza” –, invece l’altro rimase in silenzio a
sistemarsi una ciocca di capelli unticci davanti all’orecchio.
«Vogliamo iniziare?». Bill Weasley sembrava particolarmente agitato
quella sera, con quel piede che batteva ritmicamente sul pavimento a
scandire i secondi.
«Visto che ci hai fatto precipitare tutti qui d’urgenza, mi pare il
minimo. Prima iniziamo, prima finiamo», disse Alastor Moody, con il suo
solito modo di fare sgarbato.
Bill fece un sorrisetto che palesava tutto il disagio che aveva in
corpo, Molly lo fulminò con lo sguardo.
«Qual è il punto del giorno?», chiese Severus, capendo che ci fosse
qualcosa di strano nell’aria.
Bill si alzò in piedi, schiarendosi la voce con un colpo di tosse.
«Richiedo in maniera ufficiale l’entrata nell’Ordine di un nuovo
membro: la strega Fleur Isabelle Delacour». Appena il primogenito dei
Weasley disse quel nome, sua madre fece roteare gli occhi, sospirando
pensante.
Sarebbe stata una riunione lunga e noiosa, ma “Severus Snape” quella
sera si stava divertendo come non le capitava da mesi.
*
Due ore prima della riunione, Nymphadora Tonks ricevette un messaggio
dalla cerva di Snape. Poche ma semplici parole: “Ti aspetto nel mio
ufficio a Hogwarts prima della riunione. Non farti vedere”.
La prima cosa che pensò fu di aver combinato qualche guaio, ma non
le venne in mente nulla che potesse riguardare Severus. Nonostante
questo sollievo, aveva addosso una pessima sensazione, che la seguì da
quando uscì dalla sede del Ministero della Magia a quando sgattaiolò
nelle stanze di Severus, usando la vecchia divisa da Hufflepuff e
prendendo le sembianze di Hannah Abbott per poter passeggiare
liberamente per l’istituto scolastico.
Scoprì di avere un sesto senso molto raffinato quando, una volta
entrata nell’ufficio di Snape, trovò a illuminarlo solo qualche candela
dalla buia luce verdastra.
«Severus?», lo chiamò preoccupata, riprendendo il suo vero aspetto,
ma con i capelli tinti di color rosa bubblegum.
«Tonks». La voce di Severus proprio accanto a lei la fece trasalire
di colpo. La strega si girò, ma non vide nessuno.
«Severus, perché hai un mantello dell’invisibilità addosso?».
«Incantesimo di disillusione», la corresse lui con pacatezza.
Tonks castò un Lumos dalla propria bacchetta, e con quella forte
luce poté vedere appena i contorni opalescenti del mago. Sospirando, la
mise via. «Che succede?», chiese, non proprio sicura di voler sapere la
risposta.
«Ho bisogno che tu mi faccia un favore. Saprò ripagarti». La voce di
Severus era fin troppo lenta e chiara perché Tonks avesse potuto avere
il dubbio di aver sentito male. Che cosa avrebbe mai potuto volere
Severus da lei?
«Che tipo di favore?», chiese, sentendo un brivido freddo scorrerle
giù per la schiena.
«Ricordo chiaramente quando eri una giovane Hufflepuff e frequentavi
questa scuola...», cominciò Severus. Tonks poteva sentire i suoi passi,
mentre camminava attorno a lei. «Una volta tolsi cinquanta punti alla
tua Casa perché ti trovai a scimmiottarmi, vestendo una
vecchia tunica
nera trafugata chissà dove».
Tonks rise a quel ricordo. Le era costato tanti punti, ma aveva
fatto divertire tutti gli Hufflepuff e i Ravenclaw presenti a quella
lezione, in attesa del docente.
«Ho bisogno che tu faccia lo stesso, prendendo in prestito uno dei
miei vestiti».
La risata le morì in gola. «Cos’è che… che devo fare?».
«Quello che ho detto: prendi un mio abito, assumi le mie sembianze
con il tuo potere innato e vai alla riunione dell’Ordine al posto mio»,
ripeté Severus, abituato a dover fare sempre il bis per gli alunni meno
svegli.
Nymphadora sbatté più volte le palpebre. «Perché tutta questa
farsa?». Se Severus era arrivato a chiederle tanto, allora dovevano
esserci dei gravi problemi.
«Perché mi trovo impossibilitato a presenziare fisicamente alla
riunione se non con un corpo simil-invisibile».
«Potresti non venire, non è un’urgenza...».
«Non esiste: devo esserci». Lui era una spia: doveva sentire con le
proprie orecchie e vedere con i propri occhi tutto ciò che accadeva.
Era molto importante, ma non poteva andarci mentre era vestito come la
Umbridge. «Prenderò una pozione restringente modificata e mi nasconderò
nel tuo orecchio, così potrò sussurrarti ogni risposta, nel caso
qualcuno parli con te», disse l’uomo, usando un Accio su un’ampolla
color verde acido, che poi posò sulla scrivania.
Tonks non pensava fosse una buona idea: era certa che nelle vesti
dell’oscuro professor Snape qualcuno l’avrebbe scoperta, ma, in fin dei
conti, ci avrebbe guadagnato la gratitudine di Severus e non aveva
niente da perdere. Sarebbe stato divertente tornare a fare l’imitazione
del suo ex-docente di pozioni. «Va bene, ma se qualcosa andasse male,
non ci saranno ripercussioni. Ok?».
«D’accordo, ma questo non ti autorizza a fare la tua solita
confusione».
«Non mi vuoi dire perché non puoi mostrarti agli altri, Severus?».
«Colpa di Longbottom, questo ti basti».
Tonks sospirò, ci aveva provato.
Ed ecco che la Hufflepuff era seduta al tavolo di casa Black travisata
alla perfezione in Severus – non era una Metamorfomagus per niente! –,
rispettando anche le proporzioni del suo grosso naso adunco e
riproponendo la patina cerosa dei suoi capelli corvini. Per rendere il
tutto credibile alla perfezione, aveva anche manipolato la propria
laringe affinché il tono di voce fosse identico a quello di Severus. Se
l’avessero messa accanto all’originale, nessuno si sarebbe accorto di
alcuna differenza.
La giovane Auror cercò di seguire l’argomento del diverbio tra i
membri dell’Ordine della Fenice, intervenendo il meno possibile per
limitare le interazioni tra lei e gli altri.
Il vero Severus – fatto piccolo piccolo e nascosto dietro al trago
del padiglione auricolare di Tonks – ascoltava annoiato, commentando
acido tutta quella lite familiare camuffata da riunione. Era come un
continuo e molesto rumore di fondo pregno di misantropia che avrebbe
fatto scoppiare a breve il cervello di Tonks.
Alla fine, l’Auror aveva ragione: Severus avrebbe potuto benissimo
evitare di presentarsi.
Bill Weasley voleva che la propria fidanzata, Fleur Delacour,
prendesse parte all’Ordine della Fenice. Tutti sembravano abbastanza
concordi, a parte Molly, che faceva serrato ostruzionismo. A quanto
pareva, non scorreva buon sangue tra lei e la strega francese.
«È per un quarto Veela, potrebbe charmare ogni uomo come
ha fatto con te, Bill».
«Fleur non farebbe mai una cosa del genere...».
«È stata anche la prima a farsi eliminare al Torneo Tremaghi».
«Mamma! Fleur si è battuta con onore e lealtà. Non sarà stata la
migliore, ma non ha mai imbrogliato».
«Solo perché nessuno l’ha beccata in flagrante non vuol dire che non
l’abbia fatto...».
«Come può aver barato e non aver nemmeno vinto!?».
«Perché non è brillante come ti sta facendo credere di essere!».
Severus sospirò piano e fece roteare gli occhi. Come se l’avesse
visto, Tonks fece altrettanto – in modo che tutti sentissero il
disappunto che provava per quello scambio di opinioni tra Molly e Bill,
i quali avevano monopolizzato la riunione –, e posò anche un gomito sul
tavolo, appoggiando la guancia contro il palmo della mano. Severus era
stato per anni il suo professore: era così prevedibile, quasi noioso
nei suoi comportamenti… a parte l’averla cercata per l’aiuto che gli
stava dando. L’Auror ancora si chiedeva cosa gli fosse successo, e
avrebbe senz’altro indagato.
Nonostante la farsa rasente la perfezione di Tonks, due occhi
argentati non si erano mai staccati da “Severus”, fin da quando era
entrato un po’ barcollante.
Sirius seguiva solo di sfuggita la vicenda dell’entrata nell’Ordine
di Fleur – non vedeva l’ora che Alastor perdesse quel poco di pazienza
che aveva ancora in corpo, si passasse democraticamente ai voti per
alzata di mano e la storia si risolvesse –, molto più interessato a
osservare Snivellus.
Qualcosa in lui gli sembrava sbagliata, se lo sentiva nelle viscere.
Dopo che l’anno precedente Barty Crouch Junior aveva assunto le
sembianze del professor Moody, non si fidava più di nessuno.
Quello che sedeva accanto a Minerva era Severus, almeno nel corpo e
nei vestiti; anche la voce, la cadenza e i modi di fare erano proprio i
suoi. Ma c’era qualcosa che non gli tornava.
Quello scivolone all’inizio, quel modo di aggiustarsi i capelli e
quella seduta scomposta che teneva al tavolo, esteriorizzando fin
troppo la sua noia a riguardo… Per le mutande di Merlino! Stava per
impazzire!
Sirius fece quasi per alzarsi dalla sedia per prendere la parola, ma
Tonks sbottò ad alta voce un acido: «Insomma, ora basta! Taci!».
Bill ammutolì di colpo, non potendo credere di essere stato zittito
in maniera così cafona proprio da Severus – che solitamente non aveva
modi così incivili –, il quale non lo stava nemmeno guardando, ma
fissava con aria annoiata davanti a sé.
Tonks, sentendosi osservata, si girò verso la platea, rimanendo per
qualche secondo inebetita, poi si alzò con fare arruffato, portandosi
una mano poco sotto il collo, a stringere il mantello.
Cavolo! Gli infiniti sproloqui di Severus che commentava
arido
quella riunione l’avevano talmente esasperata che non si era accorta di
aver sbuffato ad alta voce.
«Perdonate la mia “entrata a gamba tesa”, come direbbero i babbani»,
sospirò Tonks, copiando la flemma di Severus. Il docente gemette a quel
modo di dire: lui non lo avrebbe mai usato! «Ho altro da fare che non
dover sopportare questo litigio che poteva rimanere sotto il tetto di
casa Weasley. Abbiamo sentito più che a sufficienza: mettiamola ai voti
e chiudiamo una volta per tutte la questione». Tonks camuffata alzò
appena la mano dalle dita pallide e sottili. «Io sono favorevole
affinché la signorina Delacour entri a far parte dell’Ordine della
Fenice. Qualcun altro?».
Mini-Severus ronzò il proprio disappunto a proposito del voto, ma
Tonks non lo degnò. Le streghe valenti erano troppo poche in quel
gruppo: bisognava aumentare le quote rosa!
Bill fu il primo a seguirlo nell’alzata di mano, sorridendo grato a
Severus per essersi espresso comunque in maniera positiva.
Mentre le braccia di Molly rimanevano conserte, molte altre si
alzarono, creando la maggioranza che serviva all’approvazione.
«Dunque non serve nemmeno chiedere chi è contrario, a quanto pare.
Se non c’è altro, io andrei, prima che Molly abbia ancora da ridire».
La signora Weasley si alzò, furibonda per come si stava esprimendo
Severus, ma il figlio la trattenne, non volendo che facesse qualche
sciocchezza, mossa dalla rabbia per aver perso ai voti.
«Mamma, niente pazzie», la fermò il primogenito, vedendola estrarre
la bacchetta.
La donna cambiò in maniera repentina il proprio bersaglio,
puntandogliela contro. «Figlio degenere! Quando capirai che quella
donna ti ha solo stregato!?».
«Mamma!».
«Mollywobbles! È nostro figlio!», cercò di fermarla Arthur.
Molti altri si alzarono dai loro posti, soprattutto per andare a
bloccare Molly.
«Diamoci tutti una calmata!», sbottò Alastor, con la mano che
formicolava al pensiero di prendere lui stesso la propria bacchetta e
usare un Incarcerous su entrambi i faziosi.
Tonks approfittò di quel momento di panico generale per defilarsi di
gran classe, ignorando l’ammorbante sprono di Severus nell’orecchio che
la invogliava ad alzare veloce i tacchi per non rischiare altre uscite
inopportune. L’Auror era così presa dall’evitare di ficcarsi un dito
nell’orecchio e spiaccicare Severus, che non si accorse di essere
seguita da un passo felpato fin quasi all’ingresso.
«Snivellus». La voce di Sirius era severa e decisa, ma Tonks, non
essendo abituata a essere appellata con quel nomignolo, non si girò.
Fu l’originale Severus nel suo orecchio a ricordarglielo. «Sta
chiamando te».
La Metamorfomagus si fermò, ruotando lenta verso il parente. «Oh,
sei tu. Cosa vuoi, Black?», chiese ostile.
«Oggi sei strano, che succede?».
«Mi permetto di dissentire. Sono uguale a tutti gli altri giorni».
«È per Harry, vero?».
La domanda a bruciapelo non venne colta né da Snape, né da Tonks.
«Che intendi?».
«Per quello che tu e Harry fate, con la copertura delle ripetizioni
di Pozioni!». Sirius cercava di mantenere la calma, ma tutta la rabbia
che provava dentro per le lezioni di Occlumanzia di Harry, affidate
proprio a Severus, gli corrodeva il fegato.
Snape roteò gli occhi. Avevano già avuto modo di discutere proprio
pochi giorni prima su quella stessa cosa, e, ancora, il maggiore dei
Black continuava a mettere il coltello nella piaga. Cosa credeva? Che
gli facesse piacere leggere nella mente di un quindicenne? Il solo
pensare che non avrebbe potuto togliere dei punti a Gryffindor per
tutto ciò che scopriva dalla mente di Harry lo faceva morire dentro.
Avrebbe potuto far finire quella Casa con un valore negativo nel
segnapunti, ma aveva le mani legate, perché secondo Dumbledore non era
corretto. Era lui a rimetterci, non Potter! «Digli di non impicciarsi»,
suggerì Severus a Tonks.
La strega continuò a stare ai patti e a impersonarlo, anche se non
le piaceva quell’extra fuori programma. «Non dovresti impicciarti dei
miei affari privati con Potter».
«Sono il suo padrino! Mi impiccio quanto voglio! Al contrario tuo,
gli voglio bene!».
Tonks rimase un attimo in silenzio, non sapendo bene quanto
sbilanciarsi: Sirius sembrava davvero furibondo. Severus ebbe così modo
di dire al suo orecchio: «Il ragazzo ne ha bisogno ed è stata un’idea
di Dumbledore, ti ricordo», cosa che Tonks ripeté tale e quale.
L’insegnante di pozioni non voleva che anche Tonks venisse a sapere del
collegamento mentale tra il Signore Oscuro e Harry, quindi sparava che
non si andasse troppo nello specifico. E che quel pulcioso di Sirius la
smettesse di essere così possessivo, per la barba di Merlino!
«Infatti, ancora non capisco come il preside possa permetterti di…»,
Sirius si volse per controllare che non ci fosse nessuno, prima di
soffiare piano: «… di fare ciò che fai con Harry». Nemmeno lui voleva
che la voce sul problema del figlioccio si spargesse.
Tonks ebbe un brivido di disgusto lungo la schiena, che le si
dispiegò anche in faccia, rendendo la sua imitazione di Severus ancora
più calcante. «Aspetta, sii più chiaro. Forse fraintendo. A cosa ti
stai riferendo tra me e Harry?», chiese, senza che il docente le avesse
suggerito niente. Perché qualunque cosa fosse, lei stava capendo
malissimo. E a nulla valevano i richiami di Severus.
Sirius, però, non fu più interessato all'Occlumanzia.
Solo una parola gli rimbombava in testa: Harry.
Da quando Snivellus chiamava il figlio di James Potter per nome!?
Sirius non fu mai così veloce ad estrarre la propria bacchetta da
sotto il mantello e puntarla contro un avversario.
«Revelio!», disse forte, colpendo Tonks con la magia.
Ciò sarebbe stato vincente se il bersaglio avesse bevuto una pozione
polisucco o se avesse usato un incantesimo per plasmare nuove
sembianze. Ma Tonks era un Metamorfomagus: quel potere faceva parte di
lei. Come non era possibile lanciare un Revelio contro un Molliccio per
fargli assumere la propria forma originale, lo stesso valeva per Tonks:
nessuna magia sarebbe mai stata in grado di svelare l’inganno.
Sirius vide Snivellus ancora davanti a lui, e la sua faccia non gli
fu mai così odiosa.
«Hai finito, Black?», chiese annoiato “il docente”, guardandolo con
gli occhi a mezz’asta.
Sirius strinse i pugni così forte che le braccia gli tremarono e
sollevò di nuovo la bacchetta, ma venne raggiunto da Lupin.
«Che succede, Padfoot?», gli chiese preoccupato. «Ho sentito un
incantesimo rivelatore». Dal chiasso che proveniva dalla cucina, la
lite non era ancora finita, ma l’udito di Remus era sempre stato buono,
soprattutto se si trattava del maggiore dei fratelli Black.
«È colpa di Snivellus, maledizione! Non ti sembra strano oggi!?».
Remus osservò lo Slytherin, facendo una smorfia, marcata appena da
una delle tante cicatrici che aveva sul volto. «Ho capito. Temi in un
altro infiltrato. In effetti oggi è strano», concordò, avvicinandosi al
docente di pozioni. «Ma c’è un modo più semplice per sapere se è
davvero lui. Dimmi, Severus: qual è il regalo più brutto che hai
ricevuto questo Natale?».
Tonks era tranquilla: Snape glielo avrebbe sussurrato nell’orecchio,
lei lo avrebbe ripetuto e sarebbero andati via. Facile, semplice e
pulito.
Severus, però, tardò qualche attimo, prima di sussurrare un qualcosa
che fece inasprire l’espressione della Metamorfomagus: «La penna di
fenicottero che mi hai regalato tu, Tonks...».
La maga prese un profondo respiro, dilatando le narici come fossero
le froge di un toro. «La penna di fenicottero rosa che mi ha regalato
quella stupida di Tonks...», ripeté, aggiungendosi da sola di essere
stata davvero un’imbecille ad averlo fatto.
Gliel’aveva scelta con tanto affetto… e per cosa poi!? Per sentirsi
dire che era brutta!? Era molto rara e pregiata: non tutti i
fenicotteri potevano vantare quel bellissimo colore!
Remus e Sirius parvero soddisfatti dalla risposta e lasciarono
finalmente andare Snape. Tonks varcò la porta senza nemmeno salutare,
nera di vestiti e di umore.
Sirius rimase a guardare “Severus” dalla finestra, nascosto dietro
la tenda: scendeva le scale e stava bofonchiando qualcosa di inudibile.
«Non ne sono ancora del tutto convinto», sbuffò Sirius, grattandosi
la testa dai lunghi capelli neri.
«Cos’è che ti impensierisce tanto?», gli domandò Lupin,
affiancandolo per poter spiare a propria volta.
«Ha chiamato Harry per nome…», rispose tombale.
«Magari alla fine si sta solo affezionando al nostro Harry, non ci
sarebbe nulla di male: combatteranno fianco a fianco, un giorno».
«Harry è figlio di Prongs, ti ricordi cosa ne pensa di lui?».
«Ma Harry è anche figlio di Lily. Lei e Severus erano molto amici,
prima che litigassero al quinto anno».
«Poi ha odiato anche lei».
«Chissà… può essere che Severus non l’abbia mai odiata davvero.
Forse era solo ferito. Ti ricordo che Dumbledore si fida di lui: magari
fa davvero da spia per noi presso i Mangiamorte e scopriremo che si è
sempre prodigato per proteggere Harry in questi anni, senza averci mai
legato per paura di soffrire nel caso non fosse sopravvissuto alla
guerra, come è successo con Lily».
Sirius si girò verso l’amico, guardandolo a occhi spalancati e
stringendosi le braccia al petto. «Moony, smettila! Sei agghiacciante!
Mi hai fatto venire la pelle d’oca».
L’ex-docente ridacchiò, scusandosi a mezza voce pur non sentendosi
per niente in colpa.
Intanto, all’esterno di casa Black, nella cupa e fredda sera
invernale, illuminata dalle fioche luci aranciate dei lampioni, Tonks,
mentre scendeva le scale, si chiedeva se la Maledizione Cruciatus fosse
comunque considerata un reato su un essere di qualche millimetro di
altezza o se avesse fatto prima a schiacciare Severus con la suola
della scarpa come il nero scarafaggio che era.
«Non l’avrei mai detto, Tonks, ma sei stata all’altezza della...».
«Zitto, tu!», ringhiò la strega. «Mi chiedi aiuto quando pochi
giorni prima ti faccio un regalo e a te nemmeno piace!?».
«Il gesto in sé è stato tanto inaspettato quanto gradito; era
l’oggetto scelto a essere un po’...».
«Dillo, forza».
«… un po’ pacchiano».
Tonks ne aveva abbastanza di quella vocina insopportabile
nell’orecchio senza riuscire a vedere colui che le diceva tutto quello.
Reclinò il capo sulla spalla, con una mossa secca, facendo scivolare
via Severus, il quale, non volendo fare un volo di circa ottocento
volte se stesso, si aggrappò ai capelli neri della maga.
«Ora me lo ridici in faccia. Hai capito, Severus!?», disse lei,
furente. Solo quando la chiamavano Nymphadora si offendeva in quella
maniera.
Il docente tentò di far ragionare la ragazza, ma ormai la sua voce
era solo un fiato, troppo piccolo e lontano perché lei lo potesse
sentire. Cercò almeno di reggersi forte, ma i suoi capelli oleosi
furono per lui la disfatta: la presa gli venne a mancare e scivolò nel
vuoto. Con le mani ancora tese, si aggrappò alla prima cosa che gli
capitò.
Non ci pensò nemmeno per un attimo, prima di afferrarsi alla propria
tunica che stava indossando Tonks. Fu solo una questione di secondi,
prima che la Maledizione Rosa si attaccasse anche alle fibre di quel
capo d’abbigliamento, estendendosi fino alle maniche, al colletto e al
risvolto finale.
L’Auror, vedendosi vestita di rosa shocking, bloccò di colpo la
propria ira, cedendo il posto alla sorpresa.
«Severus? Che hai… Che è successo al tuo abito!?». Prima ancora che
Snape potesse urlarle di smaterializzarsi, la finestra del piano terra
di Grimmauld Place numero dodici si spalancò, nonostante il freddo.
Gli occhi argentati di Sirius e quelli color miele di Lupin si
incatenarono a quelli neri di Tonks, trovandovi la stessa espressione
di sorpresa, mista a disagio.
Il cielo notturno di Grimmauld Place si riempì con i rombi delle
risate dei due Malandrini, seguito dalla luce turchese del più potente
Oblivion mai lanciato nella storia della magia.
Approfittando del periodo di stasi sui bersagli, Severus tornò
visibile, delle proprie dimensioni normali. Aveva indosso l’esatta
copia della tunica rosa che aveva Tonks, la quale lo guardava
pietrificata.
«Una parola, una sola parola, Nymphadora Tonks, e mi implorerai di
usare un Avada Kedavra su di te. Mi sono spiegato?», disse alla
Metamorfomagus, impugnando ancora la bacchetta in legno di betulla.
Tonks, a bocca aperta, riuscì solo ad annuire.
«Bene. Ora fila a casa tua. La tunica te la regalo. Addio».
La strega non fece in tempo a chiedergli come avrebbe fatto a
tornare a Hogwarts, non potendo usare la smaterializzazione entro i
confini della scuola, che il docente svanì con un rumoroso crack.
*
Minerva McGonagall aveva sempre un punto fisso dove si materializzava
quando doveva spostarsi da Hogwarts: era un cottage a Hogsmeade, la
casa che il suo defunto marito, Elphinstone Urquart, aveva comprato
anni prima. Quel luogo aveva un ricordo agrodolce nel suo cuore.
Mentre stava guardando l’impronta della vecchia targa sul portone,
si sentì chiamare.
«Minerva, ti sarei grato se evitassi di ridere. Non sono dell’umore
adatto».
Sorpresa di sentire la voce di Severus, Minerva si chiese perché
dovesse ridere in un momento così solenne.
Si girò verso il collega, e quando lo vide spalancò gli occhi
chiari. Solo la sua compostezza le permise di essere stoica e di non
ridergli in faccia. Il massimo che si permise fu un colpo di tosse per
soffocare una flebile risata. «Severus, non credevo che il rosa ti
donasse così tanto», disse, cercando la cosa più carina da
dire in una
situazione come quella.
«Minerva, non mettere il dito nella piaga...».
«Cosa è accaduto, Severus?».
«Un incidente, Minerva. Un tragico incidente».
«Non metto in dubbio la tragicità dell’evento», disse, porgendogli
un composto sorriso di cortesia.
Severus sospirò. Era stanco, voleva solo abbozzolarsi tra le coperte
e fingere che tutto quello fosse stato solo un sogno. Un brutto
sogno.
Raccontò a Minerva della pozione, ma nemmeno la donna ne sapeva
nulla a riguardo.
«Andiamo dal preside Dumbledore, sono sicura che saprà cosa fare»,
disse lei. «Meglio se ti trasfiguro in qualcosa di più adatto per non
dare nell’occhio nelle tue condizioni». Minerva utilizzò un incantesimo
non verbale per cambiare l’aspetto di Severus, che venne trasfigurato
in un piccolo, adorabile e vaporoso Fwooper, un uccellino africano
simile a un gufo, dal piumaggio rosa sgargiante.
Severus arruffò le piume, offeso, e cinguettò qualcosa che, dal
tono, non pareva molto gentile. Salì sul dorso della mano della
collega, come fosse un falchetto, formando una morbida pallina
imbronciata, attento a non toccarle l’abito verde scuro.
Mentre Minerva lo portava a Hogwarts, le venne in mente una cosa:
«Non preoccuparti, Severus. Se ci fosse bisogno di tempo per sciogliere
la maledizione potremmo coprirti noi altri insegnanti… oppure, Tonks
potrebbe fingersi te, come ha fatto durante la riunione dell’Ordine.
Pensavi che non me ne fossi accorta, con la goffaggine che la
caratterizza? Devo dire, però, che è stata molto brava...».
Severus incrociò le alucce piumose, l’umore sempre più cupo. Ne era
certo: quello sarebbe stato l’ultimo anno in cui avrebbe insegnato
pozioni. Molto meglio Difesa Contro le Arti Oscure. E quella volta
avrebbe fatto carte false pur di ottenere la cattedra!