Parte prima:
Uno sguardo indiscreto
Tutti voi conoscete
la storia. Tutti voi conoscete Amu, Ikuto, Tadase e i Guardians, nonché le loro
mirabolanti avventure.
Dimenticatele.
Perché quello che
voglio farvi scoprire oggi è ciò che sta dietro le quinte di questa
favolosa storia.
Lasciate dunque che
vi accompagni dove tutto ebbe inizio ma mai avrà una fine: in una stanza buia,
piuttosto stretta, illuminata solo dalla fioca luce di una decina di schermi
addossati ad una delle pareti. Di fronte agli schermi v’è una poltrona, una
grande poltrona, di quelle che solo i peggiori malvagi avrebbero il diritto di
avere. Giriamo ora attorno a questa poltrona, svelandone l’occupante...
...
...
...eh?
Ehm... c’è nessuno?
Abbiamo sbagliato orari? L’occupante della poltrona è andato al bagno?
«Ehi, sono qui!»
...hmm?
«Ho detto che sono qui! Abbassa quella telecamera,
troglodita mongoflettico d’un cameraman!»
D’accordo,
d’accordo, ma che modi...Ehm. Comunque sia.
Ed ecco che ci
ritroviamo davanti a... ehm... aspettate... regia? Credo che ci sia qualcosa
che non va. Questa è una bam-...
«Piantala di blaterare! Qui l’unica autorizzata a farlo
sono io! E si può sapere chi ti ha dato l’autorizzazione di venire qui? Hai un
permesso scritto? Ah, no? Allora smamma, e in fretta, anche!»
“...e così venimmo sbattuti fuori.”
La piccoletta, alta sì e no un metro e una ciliegia,
assomigliava pericolosamente ad un personaggio disegnato da POP,
non fosse stato per la strana aura che emanava, così simile a quella di un
essere umano ed altrettanto pericolosa.
Teneva la testa leggermente inclinata verso sinistra, la
guancia paffuta abbandonata sul palmo della mano, e sgranocchiava lentamente un
pawky al cioccolato (sì, lo so, voi normalmente lo chiamereste “mikado”, ma non
vi consiglio di farlo in sua presenza...), fissando gli schermi di fronte a lei.
In uno di questi, su cui il suo sguardo era focalizzato
in quel momento, si potevano vedere tre ragazzi: gli eroi della storia di cui
parlava prima il nostro sfortunato cameraman.
Attualmente stavano confabulando sul da farsi, dato che
il cattivo di turno («Quel dannato direttore... mi chiedo, perché non sono
ancora andata a farlo fuori? Perché? E’ lui la causa di tutti i mali!» urlò la
bambina, alzandosi in piedi sulla poltrona e puntando il dito contro lo schermo
– e per poco non soffocandosi con il pawky) era riuscito a rubare il tesoro di
turno e portarselo nel suo malefico covo (di turno).
L’aitante ragazzo dai capelli neri tirò fuori dalla tasca
qualcosa di simile ad una carta di credito, mostrandola ai compagni.
«Microfono sulla cinque» sussurrò la bambina, mentre le
s’illuminavano gli occhi.
In quel momento, una voce rimbombò nella stanza: «Questa
carta attiva l’ascensore che porta all’ufficio di Gozen. L’ho rubata qualche
tempo fa. »
«Oh, Ikuto, sempre il migliore!» sorrise la bambina,
tutta contenta. «Che cosa faremmo senza di te?»
«Ma possiamo andarci solo in tre» continuò il ragazzo
«Altrimenti rischieremmo di venire scoperti»
La bimba roteò gli occhi per l’ovvietà della scelta.
Ikuto, Amu e Tadase; il primo perché il suo arco ancora
non era finito, la seconda perché era la protagonista e il terzo... perché era
il fastidioso ed egocentrico completamento del triangolo e purtroppo non se ne
poteva fare a meno.
«Quasi quasi cambio e ci mando Utau» borbottò la bambina,
annoiata «Insomma, tanto per cambiare. Tadase non può essere sempre lì in mezzo
a rompere le uova nel paniere, santa carota» e concluse l’affermazione dando un
morso secco al suo pawky.
I ragazzi nello schermo si apprestarono ad entrare
nell’ascensore per mezzo della carta, ma... la porta non si aprì. Tutti e tre
rimasero scioccati; in particolare, Amu aveva assunto la sua tipica espressione
da “...eh?”.
Il pawky cadde a terra con un sordo “tac”.
La bambina era scioccata più di tutti gli altri messi
insieme.
Balbettò qualcosa d’insensato, gli occhi che scorrevano
sullo schermo come alla ricerca di un cartello “Sorridi! Sei su Candid
Camera!”.
«No... » disse, stringendo i pugni «No, no, no, no, no,
NO!»
Iniziava a girarle la testa. Cosa stava succedendo? Le
cose non dovevano andare così! Se i ragazzi non avessero scoperto chi era Gozen
e tutto il resto, Ikuto non sarebbe mai stato veramente libero, e allora addio
alla sua Amuto Ending! Non poteva succedere!
E mentre la bambina si disperava, mani tra i capelli
(urlava qualcosa del tipo “ohnno, ohnno, ohnno,
stupidastupidastupidaimpiccionarompiuovanelpanierechecosadevofarciconteseisemprelìprontaaincasinarmilavita[...]”
- il resto lo lascio alla vostra fantasia, perché questa conosce parole più
lunghe di quelle di Mary Poppins), la porta del suo piccolo studio si aprì, e i
nostri tre eroi fecero il loro ingresso... dove non avrebbero mai dovuto.
«Seriamente, Ikuto, e io che credevo che fossi certo che
dovessimo passare di là... » si stava lamentando Amu.
«Io ne ero certo...»
borbottò lui in risposta.
«Avanti, Ikuto-niisan, a tutti può capitare di
sbagliarsi... » lo rassicurò un bonario (ed alquanto irritante) Tadase,
entrando per ultimo.
La bambina, ancora le mani tra i capelli come una
perfetta idiota, si girò lentamente e li vide.
«AH!» esclamò, e i tre risposero con un “ah!” spaventato
di rimando.
Poi silenzio.
Tadase guardò Amu.
Amu guardò Ikuto.
Ikuto guardò la bambina con un’espressione incredula che
per nulla gli si addiceva.
«...io l’avevo detto che non era la porta giusta».
«Kyaaaaa!» un secondo urlo da parte della bambina lacerò
i loro timpani facendoli sobbalzare; di contro, lei perse l’equilibrio e ci
mancò poco che cadesse dalla poltrona, non fosse stato che riuscì ad aggrapparsi
al bracciolo appena in tempo e rimase lì, coi piedi a penzoloni (già, era bassa
fino a quel punto), indicandoli con l’indice dell’altra mano.
«C-c-che ci fate voi qui?!» esclamò, impanicata. Amu
avrebbe potuto giurare di vedere la sua anima uscirle dalla bocca e il suo
sguardo farsi vacuo per lo shock.
«Chi sei tu, piuttosto!» chiese Tadase, in un attimo di
inaspettato coraggio.
Ma nessuno fece in tempo a ricevere una risposta, perché
proprio in quel momento una parte perfettamente circolare di soffitto cadde
davanti a loro.
Dal buco che si era creato, scese a quel punto un bambino
biondo vestito stile “Mission Impossible”, calandosi con un rampino. Atterrò e
sfoderò quello che doveva essere un sorriso affascinante, ma sul suo volto di
bimbo sembrava più che altro la smorfia di chi si è trovato un panino ammuffito
nello zaino.
«Hikaru!» esclamò la bambina, riprendendo improvvisamente
coscienza di se stessa e spostando l’indice dai tre eroi al nuovo arrivato.
«Taiyaki Kid!» strillò invece Amu, esterrefatta,
indicandolo a sua volta.
Il bimbo, con un ghigno di sufficienza, fece “no” con il
dito, per poi batterlo un paio di volte sulla spilla argentea che portava sul
petto.
«Ero stufo di farmi chiamare così da tutte le fangirls
inglesi che girano per il web. Ora sono uno Spy Kid!» dichiarò, accompagnando
l’ultima frase con una posa che più che altro si addiceva ad una Superchicca.
...silenzio, rumore di cicale provenienti da chissà dove.
Ora le anime che cercavano la strada verso l’aldilà erano
quattro.
«Okay, okay, ragazzi, è ora che ci pensi io a sistemare
le cose»
Queste parole vennero pronunciate da una voce sconosciuta che sembrava
provenire da sotto terra (e, dico, chi mai poteva avere la malsana idea di
nascondersi là sotto? Il Bau-bau? Il mostro di Loch Ness? Heidi?). Quando un
dolce aroma di tè pervase l’aria, comunque, tutti capirono chi stava arrivando.
Con il suo solito sorriso e l’immancabile tazza di tè in
mano, Tsukasa-san, il primo King’s Chair, emerse dal pavimento dopo aver
scardinato una lastra di quest’ultimo.
La bambina ebbe nuovamente qualcuno contro cui puntare il
dito, e questa volta era furente.
«Ma insomma, vi siete messi in combutta per distruggermi
la tappezzeria o cosa?!» strillò, esasperata «Non ce l’avete un contegno? Una
morale?»
«Scusate il disagio, sono venuto a prendere questo bel
bambino e riportarlo a casa» rispose Tsukasa, rivolgendo ad Hikaru un sorriso
ancor più dolce del suo tè e ignorando la povera bambina.
Il piccoletto, al contrario delle aspettative, parve
terrorizzato dalla proposta del custode del Planetario. «NO!» urlò,
improvvisamente a un passo dalle lacrime. Si voltò verso Amu, unico viso a lui
noto, lo sguardo supplicante «Non credete a quello che dice! In realtà non è
una brava persona! Lui... lui mi ha... mi ha...»
«Ti ha...?!» esclamarono i ragazzi, sconvolti al solo
pensiero di cosa un uomo adulto come Tsukasa potesse aver fatto a quel povero e
tenero bambino.
«...mi ha costretto a bere tè con lui tutto il giorno, e
parlava di strane uova che non vengono fuori dalle galline, e poi ogni tanto mi
diceva che avevo perso il mio uovo o che strappare le pagine ai libri dovrebbe
essere un crimine, e io avevo tanta paura perché sono sicuro di non saper fare
le uova, ma lui...».
“Spatatunf!” fu più o meno il suono dei corpi dei ragazzi
che caddero a terra.
«Avanti, Hikaru-chan, fa’ il bravo e vieni con me, o a
casa si preoccuperanno...» disse gentilmente Tsukasa, uscendo dal buco nel
pavimento («E’ irreparabile, irreparabile... la giornata di oggi mi costerà una
fortuna, porca carota!» fu il borbottio sommesso della bambina).
«Non voglio!» piagnucolò Hikaru, e grossi lacrimoni gli
scorrevano lungo il viso «Io... io voglio fare lo Spy Kid! Lo voglio davvero!»
«Abbi pazienza, piccolo, non si può diventare spie così, da
un giorno all’altro... »
«Già, ha ragione Tsukasa-san, ci sono cose che non si
possono fare così in fretta» confermò Amu, intromettendosi nella discussione.
«Esatto. Come conquistare il mondo, ad esempio» le diede
man forte Tadase.
«O ritrovare la libertà perduta» aggiunse Ikuto, che si
era sentito in dovere di dire qualcosa anche lui.
«Oppure... imparare a cucinare»
«Oh, fare gli onigiri, ad esempio... ci ho messo secoli
ad imparare per bene» annuì ancora Tadase, seriamente. //“onigiri are
serious business” u_u//
«Davvero?» chiese Amu, interessata «A me ha insegnato mia
mamma... lei è un genio, in queste cose, pensa che il suo tempura fatto in
casa...»
«ORA BASTAAAAAAAA!»
Chi aveva urlato era la bambina, che finalmente aveva abbandonato
la posizione a penzoloni dalla poltrona (seppur con un po’ di fatica) e adesso
era di fronte a loro, i pugni stretti sui fianchi con fare autoritario.
«Non. Ne. Posso. Più. Porca. Carota.» disse,
accompagnando ogni parola con un colpo sulla testa di uno dei malcapitati.
«Tu!» ordinò, indicando Hikaru «Smetti di piagnucolare e
torna a casa immediatamente. Che poi a tuo nonno vengono i complessi e pensa
cose complicate come catturare l’Embrione, cercare distruggere quei poveri
scemi dei Guardians per poi fallire miseramente e cose del genere. E tu!» passò
ora ad indicare Tsukasa «Accompagnalo. Non dirgli cose strane che potrebbero
spaventarlo, fila dritto a casa sua E BASTA. Ah, e mi aspetto un risarcimento
per la tappezzeria. E per quanto riguarda voi
tre...» lanciò ora un’occhiataccia ai protagonisti «Visto che ormai vi
siete introdotti qui e non c’è modo di rispedirvi nella vostra storia senza
aver prima risistemato le cose, vedrò di trovare qualcosa in cui possiate
rendervi utili. Quindi, seduti!».
Il trio deglutì all’unisono e obbedì. Perfino Ikuto
era stranamente spaventato dal quella stramba bimbetta.
Mentre Tsukasa ed Hikaru sparivano nel buco del pavimento
(«E ricordate, ragazzi: io sapevo tutto» sorrise l'uomo con fare misterioso), la padrona di casa tirò fuori da
chissà dove un altro pawky e se lo mise in bocca come farebbe un ispettore di
polizia con il suo sigaro.
«Allora, Trio Medusa, la situazione è questa» spiegò,
autoritaria, senza nemmeno lasciare che si fossero ripresi dal trambusto di
poco prima «Normalmente, io controllo le storie in modo che tutto vada per il
meglio. Sono una specie di “Destino vivente”, comando i vostri mondi come mi
pare e piace. In particolare, in questo momento stavo cercando di fare in modo
che tu» indicò Amu «capissi bene che cosa provi per lui» e spostò l’indice su un
perplesso Ikuto.
I due si scambiarono una fugace occhiata; Amu arrossì e
rischiò di mettersi a fumare come una pentola a pressione, mentre Ikuto
semplicemente distolse lo sguardo, perso per un attimo nei suoi pensieri.
Tadase, col cervello bacato che si ritrovava, non capì
esattamente cosa intendesse la bambina. Alzò la mano come uno studente che
chiede la parola alla maestra.
«Scusa... ma il lavoro di cui parli... insomma...
solitamente non è ciò che fanno gli dei?» chiese, indicando poi verso l’alto.
(La cosa incredibile era che avesse creduto ad ogni singola parola, cosa che in
condizioni normali non dovrebbe accadere).
«Tsk» sospirò la bambina «Parlo spesso con gli dei, che
credi»
«Quindi... il Destino è una parte scissa dagli dei, ma
tuttavia crede in loro... » ragionò lo shota biondo tra sé.
«Certo che no» rise lei «Ma ti pare? Li conosco troppo
bene. Sarebbe come credere nel postino» ridacchiò un attimo, poi tornò seria e
autoritaria come poco prima «Dunque, io stavo facendo benissimo il mio lavoro,
quando c’è stato... come lo chiamereste, voi? Un bug di sistema.»
«Il Destino può subire un bug? Come un computer?» chiese
una perplessa Amu appena ritornata di un normale colore rosa, più dissimile dai
suoi capelli di quanto non fosse poco prima.
«Non proprio» spiegò la bambina, scuotendo la testa
«Normalmente non dovrebbe accadere. Assolutamente. Voglio dire, che
succederebbe se ogni due per tre il sistema si bloccasse e l’equilibrio dei
mondi si alterasse? Sarebbe un disastro!» si morse la punta del pollice,
nervosa e irritata al contempo «Il problema è derivato da un agente esterno.
Come un virus, che si è infiltrato e ha creato il bug»
I tre inclinarono la testa di lato. Tutto quel paragonare
il sistema del Destino ad un computer era piuttosto ridicolo.
«Ma... chi si metterebbe mai a creare un virus per
alterare il Destino?» chiese dunque Ikuto, dopo un’attenta riflessione (di
circa un paio di secondi, perché dopotutto lui era Ikuto).
Gli occhi della bimba s’illuminarono. Finalmente una
domanda sensata. «So perfettamente chi è. In effetti, è proprio...».
Ci fu un silenzio carico di aspettativa.
Passò un secondo. Ne passarono due. Rapidamente i secondi
erano diventati dieci.
La bambina stava stringendo i pugni fino a far sbiancare
le nocche; lo sguardo, che pareva improvvisamente assatanato, era puntato verso
il basso, e le labbra erano curvate in un sorriso malefico. Emanava un’aura
peggiore di quella di Utau Hoshina alla scoperta dei veri sentimenti di Ikuto.
I ragazzi rabbrividirono.
«Fate...» disse la bambina con tono lugubre. «Quella
dannata, dannatissima Fate!» urlò poi, puntando il dito verso un punto
indefinito di fronte a lei senza apparente motivo (a quella piccoletta doveva
proprio piacere indicare le cose, nonostante sia un gesto altamente maleducato
e disprezzato da molte società).
«Perciò» dichiarò, lo sguardo non meno assatanato di
prima «Dobbiamo andare a prenderla. Quella codarda si nasconde in un altro
mondo sperando che io non riesca a trovarla. Ma!» fece una pausa e tirò fuori
dal nulla l’ennesimo pawky compiendo un ampio arco con il braccio con fare
teatrale «Io so perfettamente come
fare».
Amu e Tadase, terrorizzati, si erano entrambi
istintivamente aggrappati a un braccio di Ikuto.
La bambina chiuse gli occhi e agitò il pawky nell’aria, e
attorno a lei apparve un cerchio magico che pareva appena uscito da un certo maho-shoujo delle CLAMP. Dalla
punta cioccolatosa del pawky si sprigionò dunque una luce accecante, mentre la
piccola mormorava delle parole inudibili.
Quando la luce si spense, sembrava che non fosse cambiato
nulla. Ma, sbattendo le palpebre e guardando più attentamente, si poté notare
che davanti alla bambina era comparso qualcosa.
Un onigiri... un onigiri dotato di occhi e bocca, che ora
sonnecchiava con una grossa bolla che si gonfiava e ritirava al ritmo del suo
russare.
«Ci si rivede, eh, Konami?»
disse soddisfatta la bambina, con un ghigno che ancora pareva malefico.
Prese dunque in mano l’onigiri vivente (al tocco della
sua mano, la bolla scoppiò e quello si svegliò di soprassalto) e tornò ad
avvicinarsi ai ragazzi.
«Quest’affare ci porterà nel mondo in cui si trova quella
stupida codarda traditrice del suo sangue» disse, lasciandolo cadere di
malagrazia in mezzo a loro. «Pronti? Tre, due, uno...»
I ragazzi, volenti o nolenti, furono avvolti da una luce
giallastra e degli strani simboli iniziarono a girare loro intorno (simboli
che, a quanto pare, erano stranamente simili a ciliegie, mele, mirtilli e
frutta in generale... non esattamente gli ideogrammi sconosciuti e misteriosi
che si vedevano nei manga, ma bisogna dire che facevano comunque la loro bella
figura), mentre l’onigiri chiamato Konami sorrideva allegramente.
Solo allora ad Amu venne in mente una cosa.
«Non ci hai ancora detto il tuo nome!» esclamò, curiosa.
La bambina sorrise, enigmatica. «Ma certo» disse,
rimettendosi il pawky in bocca e scostandosi i capelli dal viso con l’altra
mano «Il mio nome è Kim.
Destino del mondo al vostro servizio»
E avrebbe aggiunto un breve inchino, se solo non fossero
scomparsi tutti un attimo dopo.