Ti stai divertendo?
Le risate gioiose della piccola
Marie, provenienti dalla stanza 302, riempivano di allegria il
corridoio del terzo piano dell'Hotel Carnot. Da un paio di giorni, la
bambina era lì in vacanza con i suoi genitori, una vacanza
all'insegna del relax organizzata per festeggiare il ritorno del padre
dalla guerra. Sì, la guerra. Era finita da poco e l'Europa
non
si era ancora ripresa. D'altronde, come avrebbe potuto dopo
quell'inutile strage, quella carneficina di corpi e anime schiacciate
nelle trincee dal peso del fango e del piombo? In quell'inverno del
1919, nella sua accogliente cittadina del nord della
Francia, Marie era stata così contenta di vederlo varcare di
nuovo la soglia di casa, dopo quattro lunghi anni! Gli era saltata al
collo e lo aveva stretto forte a sé, come a voler
recuperare, in
un solo istante, tutto il tempo perduto. Da lì, la decisione
di
partire per l'Italia era stata presa subito: era
sempre stato il loro sogno immergersi nella bellezza delle
Alpi, e così avevano fatto. L'Hotel scelto, poi, si
trovava proprio alle pendici del Monte Bianco, completamente immerso
nel verde, senza altri
edifici o distrazioni per un raggio di almeno dieci chilometri. Ovunque
si guardasse, c'erano solo neve e vegetazione. La vacanza perfetta!
Una volta arrivati lì, erano
stati accolti da Laura, la
receptionist dell'Hotel, che con gentilezza e cortesia li aveva
invitati a prendere possesso di una delle stanze più belle e
luminose, con vista direttamente sulla valle. In quello strano
dopoguerra, così duro e faticoso, l'Hotel
non aveva molti clienti: la gente preferiva curare le proprie ferite,
fisiche e spirituali, nel silenzio delle proprie case. Inoltre, anche
il proprietario della struttura, il
Conte Francesco Borio, nobile da cinque generazioni, era partito per la
guerra e aveva lasciato Laura a lavorare da sola, costringendola a
ridimensionare il numero di prenotazioni accettate. "Non preoccupatevi,
però! Ho ricevuto una lettera dal fronte: il Conte sta per
tornare! Dovrebbe essere qui in pochi giorni e vedrete
che le cose cambieranno all'istante non appena lui sarà
qui!"
aveva detto con gioia ai suoi ospiti.
E in effetti, quando il Conte
rientrò in Hotel tre giorni
dopo,
le cose cambiarono davvero a vista d'occhio. Non
appena Laura sentì dal sentiero il rollio del motore
dell'automobile che lo riportava a casa, corse ad accoglierlo, ma
l'uomo che si trovò di fronte era profondamente diverso da
quello che aveva conosciuto fino a tre anni prima. Era sempre un
bell'uomo, certo, ma riportava chiaramente sul volto i segni, fisici ed
emotivi, della guerra. La sua voce aveva lo stesso tono suadente di
sempre, ma adesso era molto più cupa, quasi malinconica. Il
suo abbigliamento sempre elegante, ma non più curato come
allora. Attese il saluto di Laura e lo ricambiò con un
rapido
gesto della mano. Poi disse: "Ciao, L., sono contento di vederti",
prese la valigia e s'incamminò verso l'Hotel, dove si
rinchiuse per tutto il resto della giornata. Laura restò
lì, sorpresa e confusa.
Quando finalmente uscì dalla
sua stanza, la mattina dopo, si
diresse verso la reception. Si rivolse immediatamente a Laura e, con
tono calmo ma fermo, chiese:
"Quanti clienti abbiamo in Hotel, L.?"
"Oh, buongiorno, Conte! Riposato bene? Dev'essere stato stanco dopo
quel viaggio così lungo. Solo una famiglia di turisti
francesi, per il momento. Sa, è stato un periodo difficile,
la guerra ha spento gli animi, ma sono sicura che presto ci
risolleveremo. Alloggiano nella stanza 302."
Senza dire altro, il Conte si allontanò, lasciando
interdetta Laura. "L.? Mi ha chiamata ancora L.? Che strano... La
trincea dev'essere stata un inferno per ridurlo così",
pensò, prima di rimettersi al lavoro.
Nella stanza 302, Marie si
svegliò nel suo lettino. Aveva
fatto uno strano sogno in cui veniva attaccata da un mostro grosso e
peloso, ma fin da piccola aveva imparato che a volte, quando si dorme,
si vedono cose che possono far paura, ma che non sono vere. Gliel'aveva
detto la mamma la prima volta che era successo e la sua esperienza
quotidiana gliel'aveva confermato più e più
volte: nessuno dei mostri che aveva visto nei suoi sogni era mai
tornato la mattina dopo a tormentarla.
Quella di ieri era stata una giornata
molto intensa. Il papà
l'aveva portata sulla cima della montagna da un istruttore molto
simpatico che le aveva insegnato a fare i primi passi sugli sci. Non
l'aveva mai fatto prima e si era divertita molto, ma quando erano
rientrati in Hotel erano stanchissimi. Perciò, i suoi
genitori avevano deciso di dormire un po' più a lungo
stamattina. La bambina si alzò piano, per non svegliarli, e
andò in bagno, chiudendo la porta dietro di sé,
come le aveva insegnato il suo papà. "Non è bello
vedere cosa fanno le persone in bagno", le aveva detto e lei aveva
capito che aveva ragione. Pochi minuti dopo, dunque, tirò lo
sciacquone e tornò in stanza, per rimettersi a dormire, ma
la sua mamma non era più a letto e le coperte dal suo lato
erano sfatte.
"Uh? Mamma? Sei già sveglia?"
chiese la bambina, guardandosi
attorno. Nella stanza non c'era nessuno e il papà era ancora
a letto, addormentato come prima. La porta della stanza,
però, era aperta. "Forse è uscita nel corridoio"
si disse, e andò a controllare. Guardò a destra,
nessuno. A sinistra, nessuno. "Mamma?" chiamò, e
cominciò a camminare lungo l'elegante corridoio decorato con
quadri raffiguranti stupende vedute di montagna. Si fermò
all'intersezione con un altro corridoio e si guardò di nuovo
attorno. Nulla. Girò l'angolo e arrivò davanti
all'ascensore: il display segnava terzo piano, il che significava che,
se sua madre era scesa, doveva per forza aver preso le scale. Marie si
avvicinò dunque alla rampa di scale e si sporse dalla
ringhiera, per guardare di sotto: "Mamma? Sei scesa?". Nessuna
risposta. Preoccupata, decise di tornare in camera per svegliare il
papà.
La porta era ancora aperta e, una volta
dentro, vide con orrore che
adesso il letto era del tutto vuoto! "Papà? Papà?
Dove sei? Non trovo mamma! Non so dov'è andata!". Si
avvicinò al letto e notò un piccolo pezzo di
carta con una scritta in italiano, che non sapeva leggere. Se lo
infilò nella tasca del pigiama e provò a cercare
il papà: guardò in bagno e niente,
riprovò a guardare nel corridoio, stavolta nella direzione
opposta, e niente. Tornò all'ascensore, ma non si era mosso.
La paura stava cominciando a crescere, ma la bambina si
ricordò degli insegnamenti della mamma sulla distinzione tra
sogno e realtà. Certo, doveva essere così. Stava
solo sognando, e quando si sarebbe svegliata si sarebbe sicuramente
ritrovata di nuovo nel suo lettino accanto ai suoi genitori. Si diede
dunque un forte pizzicotto sulla guancia per confermare di star davvero
sognando, ma il dolore che provò le sembrò fin
troppo reale.
Per un momento, restò
lì pietrificata, non
sapendo che fare, ma infilando la mano nella tasca tastò il
biglietto che aveva trovato prima e pensò che forse quella
signorina gentile che c'era all'ingresso avrebbe potuto aiutarla a
capire cosa c'era scritto. Scese dunque le sei rampe di scale con
grande
cautela (i gradini erano ancora un po' alti per lei) e una volta al
piano terra si diresse verso la reception. Laura la vide
avvicinarsi, interruppe il suo lavoro e le disse, in francese:
"Buongiorno. Cosa ci fai qui tutta sola? Cos'è quella
faccia?"
"Buongiorno, signorina", rispose lei, porgendole il biglietto. "Mi
legge questo, per favore?"
Laura prese il biglietto e gli lanciò un'occhiata. Era
scritto a penna, da una mano stranamente familiare, ma molto
tremolante. Diceva: "Ti stai divertendo, L.?". I suoi occhi si
spalancarono. No, non lo trovava affatto divertente.
"Dove l'hai trovato?", chiese dunque alla bambina.
"Sul letto dei miei genitori. Mi sono alzata per andare in bagno, ma
quando sono uscita dal bagno non c'erano più. C'era solo
questo. Non li trovo, signorina Laura. Ho paura. Mi aiuta a cercarli?"
La donna sentì il sangue gelarsi nelle vene. Cosa stava
succedendo? Gli occhi della bambina riflettevano la luce mattutina che
penetrava dalla vetrata d'ingresso, facendoli sembrare ancora
più spaventati di quanto non fossero. Fece dunque un respiro
profondo e si calmò. Poi prese la bambina per mano e,
incamminandosi verso le scale, le disse: "Sta' tranquilla, piccola,
sono sicura che sono solo usciti nel corridoio. Andiamo a cercarli."
Insieme ripresero le scale e salirono al
terzo piano. Le camere erano
tutte chiuse a chiave e i corridoi erano deserti. La stanza 302,
invece, era aperta e il letto ancora vuoto e sfatto. Non c'era traccia
della coppia. "Proviamo al secondo piano", disse Laura. "Magari sono
scesi a fare una passeggiata". Anche lì la situazione non
era diversa, così come al primo piano.
"Forse sono usciti in strada?" chiese
speranzosa la piccola Marie, che,
terrorizzata, stringeva forte la mano di Laura.
"Sono stata in reception tutta la mattina e non li ho visti uscire, ma
forse sono passati mentre eravamo sulle scale", rispose lei. "Vale la
pena tentare".
Tornarono dunque al piano terra, ma quando fecero per uscire
in strada notarono con orrore che la porta era stata sprangata
dall'esterno. Un secondo biglietto, scritto con la stessa grafia
tremolante, era attaccato alla maniglia. Diceva: "Visto, L.? Li ho
chiusi tutti dentro. Spero ti piaccia."
Laura sbiancò in volto. I
sospetti che aveva avuto dal primo
biglietto ora stavano diventando certezza. Il Conte
l'aveva chiamata L., e quella grafia continuava a sembrarle
estremamente familiare. Certo, era diversa, più incerta,
forse per il trauma della trincea, ma era abbastanza sicura di
riconoscere la stessa mano che fino a tre anni prima aveva firmato i
documenti dell'Hotel.
"Cosa c'è scritto, signorina Laura?", chiese Marie con una
vocina flebile.
"Nulla, piccola. Chiamiamo la polizia e cerchiamo di uscire di
qui. Loro ci aiuteranno a trovare i tuoi genitori. Non mi piace questa
storia".
Laura portò dunque la bambina dietro al bancone della
reception e fece per alzare la cornetta, quando uno strano odore
cominciò a diffondersi nell'aria. Laura riconobbe subito
l'odore del legno bruciato che aveva sentito tante volte nel camino
della casa dei suoi genitori, durante i freddi inverni sulle nevi delle
Alpi.
"Marie, usciamo di qui, subito! Sta per scoppiare un incendio!"
Le due corsero a perdifiato per i
corridoi, alla ricerca di una
finestra, ma ogni porta di ogni camera era chiusa a chiave. Inoltre,
Laura non aveva idea di dove fosse il Conte, dopo la brevissima
conversazione di quella mattina. Ad ogni angolo temeva di ritrovarselo
di fronte e non sapeva se sarebbe stata in grado di proteggere la
bambina, che intanto era scoppiata in lacrime. "Mamma! Papà!
Dove siete? Ho paura!" continuava a gridare, e Laura non riusciva
più a trovare le parole adatte per calmarla.
L'odore di fumo, intanto, continuava a
diffondersi, sempre
più pungente, fiinché, svoltato l'ennesimo
angolo, le due donne si ritrovarono di fronte un muro di fuoco che
avanzava rapidamente verso di loro. L'incendio si stava diffondendo.
Laura allora prese Marie in braccio e cominciò a correre
nella direzione opposta, ma un secondo muro di fuoco le si
parò di fronte. L'intero edificio stava venendo inghiottito
dalle fiamme! Si gettò dunque in un corridoio laterale e
continuò a correre per la vita, la sua e quella della
bambina che portava in braccio. Riuscì a tornare alla
reception e provò, senza risultato, a forzare la porta
d'ingresso. Le fiamme si avvicinavano e Marie, rannicchiata dietro al
bancone, piangeva sempre più forte. Prese dunque l'oggetto
più pesante che trovò e cominciò a
colpire forte il vetro. Dopo un paio di colpi, si sentì uno
scricchiolio e una piccola crepa s'intravide sulla superficie
trasparente. Rincuorata, Laura riprese dunque a colpire, ancora
più forte di prima. Pochi colpi dopo, la vetrata s'infranse,
aprendo la porta verso la salvezza. Nello stesso momento, tuttavia, la
stanza venne avvolta dalle fiamme. Laura si gettò sulla
bambina, per portarla in salvo, ma, proprio mentre la prendeva in
braccio, una grossa trave incandescente si staccò dal
soffitto, investendole in piano. Il fuoco le ricoprì, non
lasciando più nulla né di loro, né
dell'Hotel.
***
Quando, pochi minuti dopo, la polizia e
i pompieri giunsero sul luogo,
dell'elegante edificio non era rimasto più nulla. Dopo aver
spento le fiamme, i vigili del fuoco si attivarono immediatamente per
cercare eventuali superstiti. Laura e Marie furono le prime ad essere
ritrovate. La piccola era rimasta carbonizzata tra le braccia della
donna, che si era inutilmente gettata su di lei cercando di
proteggerla. Qualche ora dopo, nei resti di quella che doveva essere
stata la soffitta, vennero ritrovati altri due corpi: un uomo e una
donna, con mani e piedi legati. L'autopsia confermò che i
due erano stati narcotizzati. Per ultimo, fu ritrovato, in una delle
stanze, il corpo di un uomo. Dalla posizione del cadavere, steso sul
letto, e dal fatto che la finestra era aperta, si dedusse che, pur
avendone la possibilità, non aveva tentato di fuggire. Che
fosse stato lui a rapire la coppia della soffitta e ad appiccare
l'incendio, per poi tornare tranquillamente a letto ad attendere la
morte?
Accanto al cadavere, fu ritrovato un
piccolo scrigno, salvatosi
miracolosamente dall'incendio. Al suo interno, ben conservato, c'era un
diario che raccontava l'esperienza dei tre anni sul fronte
vissuta dal Conte. Il commissario lo portò con sé
nel suo ufficio e cominciò a leggerlo, sperando di trovarvi
le motivazioni di un così folle gesto.
La narrazione si apriva nel 1915, con il
racconto della chiamata alle
armi e del lungo viaggio in treno verso il fronte. Proseguiva poi con
il racconto delle varie battaglie combattute in trincea, della
sporcizia, del fango, della puzza che si sentiva ogni singolo giorno in
quelle topaie. Poi era raccontata la battaglia di Caporetto, la
più grande disfatta militare che l'esercito italiano avesse
mai subito. Il Conte era riuscito miracolosamente a salvarsi e nella
sua folle fuga aveva incontrato un uomo, descritto come un sapiente,
che l'aveva introdotto in uno strano culto di cui il diario descriveva
in dettaglio e con stile macabro riti e dottrine, tutti volti a onorare
uno strano dio che veniva chiamato soltanto con la sigla "L.". In
particolare, si faceva frequente riferimento a una "verità
suprema" che quest'uomo che tanto lo aveva sedotto sosteneva di aver
scoperto, senza però mai rivelarla. Fino all'ultima pagina.
Datata il giorno prima dell'incendio, infatti, l'ultima pagina del
diario recitava:
"Finalmente, è giunto
il tempo di interrompere la mia esistenza in questo mondo di finzione,
creato da qualcuno d'ignoto al solo scopo di intrattenere, per pochi
minuti, il dio di cui non è permesso pronunciare il nome
sino al momento in cui calerà il sipario di questo macabro
spettacolo. Ecco dunque il mio momento: il mio sipario sta per calare e
posso dunque chiamarTi per nome. Domani porrò fine alla mia
vita e ti offrirò in sacrificio, per il tuo intrattenimento,
la vita di chi mi sta attorno.
Spero ti divertirai, o mio Lettore."
Traccia scelta:
Horror n. 2 - Cattivi
si nasce
Numero di parole (titolo
escluso): 2472
Numero di parole (titolo incluso): 2475