Jean Kirstein stava scorrendo annoiato la sua Home di Instagram,
quella sera.
Cibo, scollature, foto della pioggia, cibo, gattini, cosce all’aria,
gattini, cibo, pioggia, cibo, foto in intimo, cibo, pioggia, cibo…
Una monotonia capace di ucciderlo.
Meno male che c’erano le tette, ogni tanto.
Stava giusto tentando di capire perché la gente mettesse frasi
poetiche prese da qualche libro di Pablo Neruda, seguite da improbabili
hashtag sulle asperità della vita, in accompagnamento a delle foto che
sarebbero andate bene sui siti per escort, quando gli arrivò un
messaggio su Line.
Abbassò la tendina delle notifiche, rimanendo basito leggendone il
mittente.
Armin Arlert.
“Ciao. Scusa per il disturbo… Posso chiamarti?”.
Armin era un amico di un amico, che frequentava la sua stessa
classe, ma si erano sempre parlati a stento.
“Ok…”.
Non si odiavano, si limitavano a ignorarsi, per diversi motivi.
Il loro amico in comune, Marco, la chiamava incompatibilità.
La canzone Shōnen no Hate dei GRANRODEO suonò solo per
qualche secondo, prima che Jean rispondesse alla chiamata di Armin.
«Che succede?», domandò spiccio. In realtà era un po’ preoccupato:
cosa mai avrebbe voluto Armin Arlert proprio da lui?
«Ciao… Scusa per l’ora... avrei un favore da chiederti… Marco mi ha
detto che sei a casa, così...».
*
Erano passati solo dieci minuti da quando i due avevano staccato la
chiamata e si erano ritrovati nella macchina di Jean, diretti verso il
parco vicino a casa di Marco.
Jean era passato a prendere Armin sottocasa – non abitavano poi
tanto distanti – e l'altro ragazzo si era limitato a salutare, mettersi
la cintura e chiudersi in un religioso silenzio, mentre fissava il
telefono.
«Di che emergenza si tratta?», chiese Jean, tanto per fare
conversazione e coprire la lagnosa musica alla radio.
«Scusa, io non… non posso dirtelo», pigolò il ragazzo, in palese
imbarazzo.
«D'accordo», disse l'altro, seccato. Se non glielo voleva dire non
poteva certo estorcerglielo con la forza, ma lo aveva fatto uscire di
casa in tutta fretta durante la tempesta… Un po' glielo doveva,
insomma!
«Non capiresti», disse Armin, a mo' di scusa, stringendosi nelle
spalle.
«Non sono un cervellone come te e Marco, d'accordo, ma non trattarmi
da stupido. Ho ottimi voti anche io», gli ricordò Jean.
«Sì, lo so… Non intendevo quello…». Armin aveva il terrore che Jean
non volesse più accompagnarlo oltre e, arrabbiato, lo scaricasse sul
marciapiede sotto la pioggia.
In una situazione normale non avrebbe mai pensato di chiedere a lui,
ma era stato Marco a suggerirglielo, poiché Jean era l’unico nella loro
cerchia ad avere la macchina.
Jean sospirò e a quel mutismo selettivo non trovò altro rimedio che
aumentare il volume dell’autoradio. Meglio quella stupida musichetta
pop che quel silenzio martellante.
Davvero, come si era lasciato convincere?!
*
Casa di Marco era solo a qualche chilometro di distanza dal
quartiere dove abitava Armin, verso la periferia.
Bastava attraversare la strada per entrare in un parco, attrezzato
con un’area relax con panchine, una fontana monumentale, delle
giostrine per bambini e una statua che ricordava i caduti dell’ultima
Grande Guerra.
«Non so come ringraziarti, Jean. Ti farò i compiti per un’intera
settimana», disse Armin, mentre il guidatore parcheggiava accanto
all’entrata principale, a quell’ora ormai chiusa. «Ci vediamo domani a
scuola».
«Ma ci metti tanto?», chiese però Jean.
Armin si tolse la cintura ancora prima che l’auto fosse del tutto
posteggiata. «N-no, qualche minuto...».
«E allora ti aspetto», disse Jean serio. Era considerato un cattivo
ragazzo che si atteggiava da bulletto, ma non avrebbe mai lasciato
Armin fuori con il nubifragio. Le spazzole della macchina si muovevano
sul parabrezza, ma la pioggia era talmente forte che riuscivano a
pulire il vetro solo per un battito di ciglia. Gli occhi nocciola di
Jean andarono all’ombrellino richiudibile di Armin, che non sarebbe
riuscito nemmeno a sopravvivere alla prima folata di vento senza che
tutte le stecche si rompessero. Nemmeno il peggiore degli stronzi
avrebbe potuto essere così meschino da lasciare un conoscente lì.
«Ma… ti bagnerei la macchina...», mormorò Armin, stupito.
«Quante storie. Asciugherà. Non voglio che ti prenda la polmonite.
Muoviti a fare le tue cose e poi ti riaccompagno a casa».
Armin lo guardò con occhi commossi. Non si aspettava certo un gesto
così altruista proprio da Jean; ora capiva perché Marco era suo amico,
nonostante il caratteraccio che aveva. Il ragazzino annuì e si tirò su
il cappuccio. «Grazie davvero», disse, uscendo nella tempesta.
Jean lo spiò, per vedere cosa dovesse fare di tanto urgente, e
rimase basito nel vedere che il ragazzino, con nonchalance, aveva
scavalcato il basso muretto del parco, dirigendosi nella zona non
illuminata al suo interno.
Che diamine stava succedendo?!
Jean era ancora fisso a guardare il punto dove Armin era sparito,
che una luce dietro di sé attirò la sua attenzione. Una moto,
sfrecciante a tutta velocità, frenò dietro di lui, lasciando
sull’asfalto il segno delle ruote. Jean lo guardò dallo specchietto
retrovisore e, grazie alla luce dei lampioni, lo riconobbe: era lo
scooter rosa di Historia! Si stava appunto chiedendo da quando
quell’angelo guidasse come una pazza spericolata che dal veicolo non
scese la sua minuta compagna di scuola, ma la ragazza di questa: Ymir.
Jean rimase a osservarla, sperando che non lo notasse, e vide anche
la ragazza avvicinarsi in fretta e furia al muretto, fino a scavalcarlo
e sparire tra gli alberi.
Si accorse di star trattenendo il fiato solo quando i polmoni
iniziarono a fargli male.
Davvero, che stava succedendo?!
Jean dovette aspettare solo un altro minuto, prima di vedere Armin
uscire dal parco nello stesso modo in cui era entrato. Nessun segno di
Ymir.
Armin scrollò l’ombrello prima di entrare macchina, quindi si
sedette e richiuse la portiera. Aveva in volto un sorriso radioso –
Jean era certo di non averglielo mai visto prima di quel momento.
«Grazie, Jean… Davvero io...», iniziò il giovane.
Jean però pigiò il bottone della chiusura automatica, facendo
scattare tutte le chiusure dell’abitacolo, in modo che niente potesse
entrare, e nessuno potesse uscire.
«Jean?», lo chiamò piano Armin, vedendo che il giovane rimaneva
fermo, senza muoversi o accendere il motore, nonostante il freddo.
«Ora mi spieghi che succede, Armin Arlert», disse serio il
guidatore, fissando la strada davanti a sé.
«In che senso, Jean?», chiese Armin, sentendo un brutto
presentimento.
«Mi hai chiesto di portarti all’ingresso principale del parco con
urgenza, alle nove di sera, mentre c’è in corso un nubifragio… E poi ti
introduci in un posto chiuso e scuro… e vieni raggiunto da Ymir, che
pare aver rubato lo scooter di Historia e che abbia il diavolo alle
calcagna… Sappiamo entrambi che quella ragazza non ha una buona
reputazione…». Solo a quel punto Jean si girò verso l’altro ragazzo,
volendolo guardare in faccia. «Armin, ti sei invischiato in un giro di
droga?».
Gli occhi celesti di Armin si allargarono appena, prima che il
ragazzo scoppiasse a ridere. «Jean, ti stai preoccupando per me?».
«Non è divertente!», sbottò Jean, assottigliando lo sguardo. «Ti
rendi conto in che guaio ti sei cacciato?! Invischiarsi in qualcosa del
genere… per cosa?! La consumi o spacci?».
Armin tossicchiò, cercando di calmare la sua risata davanti all’ira
dell’altro.
«C’è un equivoco, Jean», disse, alzando le mani in segno di
innocenza.
«E sentiamo, cosa ci fai nel parco chiuso, per qualche minuto, di
sera, con meteo avverso?!».
Armin ci pensò su un attimo, indeciso sul come rispondergli. «Io,
be’... so che entrare nel parco dopo l’orario di chiusura è sbagliato,
ma non abbiamo fatto niente di male ed era per una ragione...». Mentre
iniziava con la sua spiegazione, i due videro la luce dello scooter
dietro di loro e poco dopo il mezzo sfrecciò via. Anche Ymir era andava
via dopo essere rimasta solo un paio di minuti nel parco, come Armin,
quasi come se non avessero voluto uscire ed entrare nello stesso
momento per non essere visti assieme.
«Armin spiegami subito cosa avete fatto!», pretese a quel punto
Jean, decisamente alterato.
Armin sospirò. «So che ti arrabbierai, ma… in realtà non sono le
nove, sono le otto e cinquantacinque e questo dato è molto importante,
come il fatto che non stia piovendo ma nevicando, almeno secondo PoGo».
Jean guardò fuori dal finestrino, dove la pioggia ancora cadeva
copiosa. Ecco la prova che metteva nel sacco Armin: se pretendeva di
dire che stava nevicando, allora era proprio fatto. «Chi è questo tizio?
È il nome in codice di qualche trafficante?», domandò, cercando di
capire quanto fosse grave e quante persone c’erano coinvolte in tutto
quello.
«Non è il nome di un tizio, Jean. È il nome di un gioco… E da circa
un’ora c’è un bug in questo gioco. A volte lo fa: dà un meteo sbagliato
rispetto a quello che c’è in realtà. Come ora. Nel gioco c’era meteo
neve… l’ideale per trovare pokémon Acciaio e Ghiaccio boostati».
Jean trasalì di colpo. Aveva detto… Pokémon?! «Cosa c’entrano adesso
i pokémon?», chiese, prossimo allo sfinimento.
Armin, imbarazzato, girò verso di lui lo schermo del cellulare sul
quale c’erano ancora alcune goccioline d’acqua. Jean non aveva mai
giocato a quel gioco, ma lo riconobbe subito dal quantitativo di meme e
screenshot che trovava giornalmente su Instagram. «Ma è Pokémon Go…»,
mormorò.
L’altro ragazzo annuì e gli indicò un’icona con i contorni bianchi a
formare uno stilizzato pupazzo di neve. Cliccandovi sopra, si aprì la
schermata “Condizioni Atmosferiche – Neve” che mostrava un pupazzo di
neve più realistico, con tanto di sciarpa e cappellino rossi, e sotto
due bottoni – uno celeste e uno verderame – che indicavano i “Tipi
Potenziati” – Ghiaccio e Acciaio, appunto.
Jean continuò a guardare quello schermo come se fosse scritto tutto
in arabo. «Armin! Spiegami bene cosa cazzo stiamo facendo qui o giuro
che rimpiangerai questa sera».
L’altro ragazzo si passò una mano tra i biondi capelli ancora
bagnati di pioggia e sospirò. A quel punto l’unica cosa da fare era
vuotare il sacco o Jean non lo avrebbe mai lasciato in pace. «Io,
Marco, Ymir, Historia e altri ragazzi giochiamo a PoGo… Pokémon Go».
«È incredibile ci sia ancora gente che ci giochi… Pure Historia?!»,
esclamò Jean. Non lo avrebbe mai detto! Anche la capitana delle
cheerleaders della Shingeki era una nerd?
Armin, però, scosse il capo. «No, no… Historia gioca solo per far
contenta Ymir. Non le dispiace, ma non è molto attiva. Infatti Ymir è
venuta qua portandosi appresso anche il telefono di Historia, perché
lei non è voluta uscire di casa con questo tempaccio».
«Ecco, a proposito, quindi perché vi siete riuniti?».
«Perché è apparso un pokémon molto raro e molto forte. Marco abita
qui vicino, quindi è venuto a prenderlo e ci ha detto che era un
livello trentacinque, con IV 100%».
Jean si perse proprio sulla fine. «Cosa vuol dire IV?».
«È un numero che si ottiene con la somma delle tre caratteristiche
primarie… No, ascolta… non importa. Sappi che era il miglior Swinub che
si poteva trovare selvatico e c’era anche la possibilità di trovarlo in
variante cromatica! Però quando appare un pokémon c’è un tempo limitato
di tempo, in più se cambia il meteo i suoi valori di statistica
cambiano», spiegò Armin. «Ti ho chiesto di accompagnarmi qui perché…
dovevo catturare quello Swinub, Jean».
Il guidatore lo fissò per eterni secondi, come se stesse cercando di
capire se fidarsi o meno. In realtà era una cosa talmente assurda che
aveva senso.
«E voi nerd uscite con questo tempaccio per… un pokémon?».
«Fuori evento è raro, Jean! È con quelle statistiche è praticamente
introvabile. Era un colpo di fortuna troppo grande per non
approfittarne. Una volta evoluto sarà ottimo contro i tipo Drago!».
«Mi prendi per il culo o sei serio quando dici queste cose, Armin?».
«Serissimo».
«Mi chiedo perché Marco non mi abbia mai detto che gioca a questo
giochino merdoso per sfigati».
«Credo ti sia risposto da solo...».
Jean sentì il principio di un’emicrania trapanante.
Senza dire nulla, accese finalmente la macchina, mettendo l’aria
condizionata calda – soprattutto per Armin, che stava tremando mentre
sorrideva soddisfatto al suo trofeo catturato poco prima.
Con lo stesso silenzio che aveva caratterizzato l’andata, Jean guidò
nel senso opposto, tornando a casa.
Avrebbe fatto una bella telefonatina a Marco.
***
La mattina dopo, la pioggia sembrava un lontano ricordo di cui
rimanevano solo le pozze d’acqua in giro per le strade. Il sole era
sbucato dalle nubi, regalando alla città una mattina soleggiata e
serena. Tempo ideale per il boost del meteo su pokémon di
tipo Fuoco,
Erba e Terra.
Armin venne svegliato da una chiamata, ancor prima che suonasse la
sveglia. Prese il cellulare a tentoni e inforcò gli occhiali, leggendo
poi il
nome “Marco Bodt” sul display illuminato. Cosa voleva il suo compagno
di scuola alle otto di domenica mattina? «Pronto?», rispose un po’
trafelato, cercando di trattenere uno
sbadiglio.
«Armin, uno del team Valor ci ha buttato giù tutte le palestre!»,
disse disperato. Aver perso le palestre tutte insieme voleva dire avere
avuto solo cinquanta pokémonete e ritrovarsi con un mucchio di Pokémon
da
revitalizzare e curare.
«Ma chi è? Abbiamo degli accordi in città...».
«Non si sa… è uno nuovo al livello dieci».
Armin e Marco si incontrarono poco dopo. Non sapendo chi fosse
questo nuovo giocatore che non rispettava la netiquette,
decisero di
fare una passeggiata sperando di trovarlo ancora in giro.
Arrivarono alla piazza principale proprio mentre era in corso un
raid di livello uno con Shinx.
«Faccio il raid, magari stavolta trovo Shinx cromatico...».
«Ancora non lo hai?», ridacchiò Marco.
«Ne ho fatto cinquanta e ancora nu—». Armin si fermò, vedendo che
c’era già un giocatore nella stanza. Uno del team rosso, di livello
undici. «Per caso, il tizio che stavamo cercando si chiama
“KirschPoGo”?».
«Sì, è lui!», esclamò stupito l’altro.
Armin girò il telefono, facendogli vedere la stanza d’attesa del
raid con due giocatori. Uno era il personaggio del Team Mystic al
livello quaranta di Armin, l’altro era il giocatore misterioso.
I due iniziarono a cercarlo con lo sguardo. A meno che non
utilizzasse dei metodi poco puliti per manomettere il GPS e giocare da
casa, non doveva essere molto lontano se si stava preparando anche lui
al raid.
C’erano diverse persone in piazza, ma nessuna sembrava al telefono
in attesa che il raid iniziasse.
«Ehi, quindi ti chiami “SeaBorNEmo”, che nickname stupido». Una voce
conosciuta alle loro spalle li fece trasalire. Si girarono insieme,
vedendo davanti a loro Jean in tuta la ginnastica e occhiali da sole,
che reggeva in mano il proprio cellulare. «Tu, Marco non entri a fare
il raid? O ti vuoi conservare il biglietto per qualche pokémon
migliore?».
I due nerd sbarrarono gli occhi. Sentir parlare Jean Kirstein di
quelle cose, in totale tranquillità, era come essere entrati in
contatto con un alieno.
«Jean sei… sei proprio tu?», chiese Marco.
Jean si tolse gli occhiali, strizzando appena le palpebre a causa
della luce. «Certo che sono io», rispose, sorridendo come un divo di
Hollywood.
«Ma… Che è successo…», borbottò Armin, con
l’elettroencefalogramma piatto.
«Non credere che io abbia cambiao idea: alla fine è un gioco di
merda, però credo sia divertente da fare quando esco a fare
jogging. Macino un sacco di chilometri. Ho già schiuso un uovo da dieci
e mi è uscito un robo strano a forma di candela; ma ha solo novantuno
percento di IV, perché è molto basso in attacco...».
«Ha trovato un Litwick… non ci credo...», sbuffò Marco.
«E sa come sono influenzati gli IV...», disse sconvolto Armin.
«Be', internet è pieno di guide. Comunque che faccio con questo
moccolo, lo butto?».
«NO!». Urlarono insieme i due nerd. «È uno dei migliori Fuoco!
Tienilo finché non ne troverai uno migliore!».
«Va bene...», borbottò Jean, guardando poi il proprio telefono.
«Armin, non ti deconcentrare, sta iniziando il raid. Vedi di aiutarmi,
non ho pokémon forti. Ho iniziato solo stamattina».
Armin tornò concentrato su Shinx, iniziando a combattere. Come al
solito, sarebbe durato pochi secondi contro i suoi pokémon Terra.
Peccato che nessuno dei due fosse boostato dal meteo.
«Quindi… come mai hai deciso di giocare anche tu?», chiese Armin,
mentre pigiava veloce sullo schermo per far attaccare il proprio
Groudon.
«Ieri, dopo che ti ho accompagnato a casa, ho chiamato Marco e mi ha
spiegato un po’ di cose… così mi è venuta voglia di provare anche io»,
spiegò Jean, tappando anche lui veloce con il dito.
«E perché non me lo hai detto?», chiese giustamente Marco.
«Perché non volevo essere nel Team Giallo con te, e sapevo che
avresti insistito. Inoltre, non sapevo se mi sarebbe piaciuto. Alla
fine non è male!».
«Vuoi che ti aggiungo alla nostra chat su Telegram?», chiese il
ragazzo con uno dei suoi sorrisi radiosi.
«Non ho Telegram e non intendo mischiarmi con voi nerd. Gioco quando
mi pare». Mentre Jean sbuffava, lui e Armin riuscirono a battere Shinx
e il gioco elencò loro gli oggetti che avevano vinto.
«Ma non potrai catturarli tutti, così...».
«Che vuoi che me ne freghi! Non sono come voi che sfidate la legge
per catturare queste cazzatine… Ehi! Perché il mio cane è dorato?!
Prima era blu!», esclamò arrabbiato Jean, non sapendo di aver trovato
la variante cromatica di quel pokémon che Armin desiderava tanto, ma
che nemmeno questa volta gli era capitata.
Armin lo guardò malissimo e gli puntò il dito contro. «Jean
Kirstein, non sei autorizzato a droppare il gioco finché non mi hai
scambiato quello Shinx, capito? E ora dacci il tuo Codice Allenatore,
così diventiamo amici. Almeno sul gioco».
Marco rise a quell’ultima specifica. Negli anni avevano acquisito e
perso molti giocatori, ma Jean gli dava come l’impressione che non si
fosse mai avvicinato al gioco più per stupido orgoglio che per puro
disprezzo. Finalmente si era deciso a fare un passo in avanti, a
guardare quel gioco senza gli occhi velati di pregiudizio, e aveva
scoperto quanto fosse bello. Nonostante lui continuasse a negarlo in
parte, Marco lo conosceva fin troppo bene e sapeva che, piano
piano, avrebbe accettato anche di entrare in chat con loro, e avrebbe
smesso di passare i sabato sera da solo ad annoiarsi su Instagram.
Ora che c’era un nuovo giocatore in città, sarebbe stato tutto
ancora più divertente!