Rubaiyyàt

di Fiore di Giada
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Mi disse il cuore: “Ho voglia della scienza mistica
delle verità superne;
insegnamela tu, se ne sei capace”.
A...”, dissi io, ed egli : “Non dir più altro;
se c’è Qualcuno nella casa, una parola basta”.





Il dolore dilania il corpo di Rashid.
Gli occhi luccicano di dolore. Gli sembra di essere collocato su una graticola ardente.
Si irrigidisce. Quel veleno, malgrado il tempo, non è scomparso.
Anzi, si è diffuso nel suo corpo, come un cancro crudele.
Che razza di veleno è?
Cosa ha racchiuso Fang in quelle unghie?
Guarda il biancore del soffitto. Per ora, nessuno sa nulla di quel dolore straziante.
Sul suo viso, mantiene la maschera di salute e felicità.
Non vuole angustiare qualcuno e, per questo, ha detto ai medici di non dire nulla alle persone a lui più care.
Non desidera vedere la loro sofferenza.
Se deve morire, vuole lasciare ai suoi amati un ricordo felice.
Non desidera opprimerli con le sue sofferenze.
La porta dell’ospedale si apre e una infermiere appare.
Che cosa c’è? – domanda Rashid.
Tuo nonno Azam desidera entrare. – risponde lei.
Va bene. – acconsente il lottatore arabo.
La donna annuisce, si allontana e, al suo posto, entra Azam.
Nelle sue mani, stringe dei libri.
A cosa ti servono? – domanda il giovane, sorpreso.
Signore… – mormora, dispiaciuto. Sa che gli piacciono le storie de “Le mille e una notte”, ma, in quel momento, le parole gli muoiono in gola.
Perché Rashid deve soffrire tanto?
Non lo merita.
La sua natura, malgrado l’apparenza vuota, è eroica e gentile.
Rashid sorride. Azam, di solito, è sempre stato un musulmano devoto.
Eppure, la sua amarezza è l’effigie del dubbio.
Quanto è solido l’affetto di quell’uomo?
Azam… L’unica realtà della nostra esistenza è Allah… Non dimenticarlo mai… –






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