Fandom: Stranger
Things
Personaggi:
Steve Harrington, Dustin Henderson
Words: 1365
Genere: Hurt/Comfort
Rating: giallo
Contesto: 2x09
Beta: Nais
Disclaimer:
i
personaggi non mi appartengono.
Note:
Scritta
per il I don't remember
driving here Challenge del
gruppo Hurt/Comfort
Italia - Fanfiction & Fanart con il prompt immagine.
Reality
is lost
in
fears and ghosts
Il
mazzo di rose, lo stesso che Steve aveva cercato di dare a Nancy come
una sorta di scusa, anche se non gli è proprio chiaro per
cosa si
stesse scusando, giace ancora sul sedile posteriore della sua auto. I
petali si sono un po' sciupati, ma per il resto è ancora
tutto
intero: è evidente che Dustin abbia cercato, nonostante
tutto, di
non rovinarlo, poggiandolo lì con estrema cura.
Cribbio,
sembra passato un secolo da quella mattina.
Si
era svegliato con l'unico intento di presentarsi alla porta dei
Wheeler e, se necessario, implorare in ginocchio il perdono di Nancy,
chiederle un'altra chance, un'altra ancora, perché Steve era
un
idiota e continuava a commettere un errore dopo l'altro, non importa
quanto si sforzasse per essere una persona migliore.
Sbuffa
una risata che è più un gemito di amarezza e apre
la portiera
posteriore, afferra il mazzo e dopo averlo contemplato solo per una
manciata di secondi, in un impeto di rabbia finisce per lanciarlo
verso gli alberi che accostano la macchina.
Se
tra quegli arbusti c'è ancora un democane, Steve spera che
ci si
strozzi con quelle rose. E poco gli importa se sono tutti morti,
perché – cazzo - la testa gli fa male e quel
lancio gli è
costato più fatica di quanto avrebbe dovuto.
Si
china su se stesso con le mani sulle ginocchia, il respiro un po'
affannato e la vista non totalmente a fuoco, ed è allora che
si
accorge di una rosa per terra. Deve essergli caduta dal mazzo durante
lo slancio.
Pare
sorridergli beffarda.
La
afferra senza pensarci con tutta l'intenzione di ricongiungerla con i
suoi simili, ma le spine che ne addobbano lo stelo gli penetrano le
carni come se avessero vita propria e per un attimo gli sembra che i
petali si stiano aprendo in un ringhio famelico.
Sibila
di dolore. Lascia cadere di nuovo la rosa a terra e si afferra la
mano ferita.
Cerca
di constatarne il danno, ma fuori è troppo buio,
così entra
finalmente in macchina e accende le luci sul tettuccio.
Ha
la mano ricoperta di sangue.
“Steve,
questa cosa... è attratta dal sangue”
Nancy
aveva cercato di spiegargli tutto quella notte, quando Steve non
riusciva a smettere di pensare che un fottuto mostro con la faccia da
fiore era spuntato dalla parete e aveva cercato di ammazzarli, quando
aveva le mani strette attorno ad una mazza da baseball chiodata e per
quanto si ripetesse che se ne era andato, che erano salvi, non
riusciva ad allentare la presa, quando pur di non farsi prendere dal
panico aveva afferrato la mano di Nancy e le aveva chiesto se stava
bene, perché Nancy stava ancora sanguinando.
“È
attratta dal sangue”
Steve
non riesce a respirare: qualcosa si sta avvicinando.
Guarda
fuori dal parabrezza e poi su entrambi i lati: è troppo buio
e non
riesce a vedere nulla, ma ne sente lo scalpiccio dei piedi –
delle
zampe? - farsi sempre più vicino.
Di
riflesso allunga la mano verso il sedile del passeggero, ma poi
ricorda che si è dimenticato la mazza a casa Byers e
– cazzo cazzo
cazzo – adesso è completamente indifeso.
Sta
per morire.
«Steve?
Steve!»
La
portiera viene spalancata e Steve si ritrova all'improvviso il volto
e le mani di qualcuno su di lui.
Sussulta
e si ritrae spaventato e solo quando sente quelle mani ritrarsi tanto
velocemente che si accorge di chi ha di fronte.
Dustin.
«Steve,
respira.» gli dice, la voce che trema appena, forse per lo
spavento,
e quindi Steve ci prova a respirare, perché a conti fatti,
tra loro
due, l'adulto resta sempre lui.
«Dustin?»
chiede incerto. I ricordi di quella sera sono un po' confusi, ma
è
abbastanza sicuro di averlo lasciato a casa Byers con gli altri
ragazzini. Non dovrebbe essere lì, non con lui in mezzo al
nulla,
dove quella cosa sta per raggiungerli e adesso sono entrambi in
pericolo.
Sente
il panico percuotergli il petto come un rullo di tamburi.
«Dustin,
dobbiamo andarcene» non respira
«sta arrivando!»
Lo
afferra per un braccio. Non è sicuro se lo fa per
trasmettergli
l'urgenza della situazione o perché gli sembra di cadere in
avanti,
perché è troppo e non sa quando ancora
l'adrenalina che ha in corpo
possa davvero mantenerlo ancorato alla realtà.
Dustin
si guarda attorno preoccupato.
«Chi?
Chi sta arrivando?»
«Quel
coso... il demo-coso, dobbiamo... » ed è sul punto
di uscire
dall'auto per costringere di peso l'altro ad entrare in macchina,
così che possano scappare e mettersi in salvo.
Adesso
che Dustin è lì, Steve non può
permettersi di andare nel panico.
«Steve!»
esclama, urla quasi, e Steve si blocca per fissarlo sbigottito. Lo
sguardo di preoccupazione sul volto di Dustin è stato
rimpiazzato da
uno fin troppo comprensivo per un bambino della sua età.
«Steve,
non c'è più nulla qui. Sono tutti morti,
ricordi?»
Piano,
con cautela, avvicina una mano e solo quando è sicuro che il
teenager non balzerà via al primo tocco, si permette di
poggiarla
sulla sua spalla.
«Hai
una concussione. Va tutto bene.»
In
qualche modo la sua voce – calma, decisa - riesce a penetrare
il
fitto bianco del panico in cui Steve si era ritrovato ad annegare.
«Dustin?»
Ed
è come se lo vedesse per la prima volta.
Pian
piano i contorni iniziano a consolidarsi di nuovo e sente il proprio
battito rallentare man mano che lo scalpiccio e il soffio di una
belva iniziano a scomparire.
Dustin
se ne accorge e sospira sollevato.
«Oh,
meno male!» poi lo schiaffeggia su quella stessa spalla che
aveva
toccato per dargli conforto e tutta quella serietà che lo
avevano
fatto sembrare più vecchio di quanto in realtà
fosse scompare
all'improvviso «Steve, mi hai spaventato a morte! Mi giro per
due
secondi e scompari!»
Lo
dice come se Steve avesse tre anni e si fosse appena slacciato dal
passeggino per scampare alle mani del proprio babysitter.
Da
che pulpito, insomma.
«Scompa...
stavo tornando a casa, idiota!» esclama, indignato. Dustin
non può
fargli la predica, non dopo tutto quello che è accaduto: i
tunnel e
il non ascoltarlo in generale e, oh sì, il fatto che lo
hanno
praticamente rapito quando era incosciente invece che starsene buoni
e seduti come i bravi bambini della loro età.
«Non
puoi guidare con una concussione! Ti stanno cercando tutti!»
«Tutti
chi?» decide di concentrarsi su quello. Non vuole ammettere
che
Dustin potrebbe in fondo avere ragione.
«Be',
non proprio tutti... Hopper e Jonathan e Nancy... gli altri volevano
aiutare, ma Hopper gli ha proibito di venire.»
Steve
sospira esasperato.
Voleva
davvero tornare a casa. Non gli era sembrato giusto imporsi alla
signora Byers dopo tutto quello che era accaduto. Senza contare che
dormire nella stessa casa con Nancy, e Jonathan, Nancy e
Jonathan,
non gli era parso proprio allettante. Si era sentito un po' come un
cane ferito e aveva così deciso di mettere fine alle proprie
sofferenze scivolando via dallo sguardo di tutti per tentare di
ritrovare la propria auto e tornarsene a casa. Almeno così
avrebbe
potuto leccarsi in santa pace le proprie ferite.
Si
passa una mano tra i capelli e contorce il volto in una smorfia
quando finisce per toccare il bozzolo che si è ormai
accasato tra di
essi.
Vaffanculo,
Hargrove.
«E
tu?»
In
fondo Dustin non ha ancora risposto al perché si trovi
lì quando è
chiaro che gli era stato nettamente vietato il permesso di uscire.
«Io
sarei... scappato?» mormora appena «Ma va tutto
bene! Ti ho
trovato, no?»
Come
se fosse quella la cosa importate.
Lo
fissa perplesso per una manciata di secondi e sa benissimo che
dovrebbe rimproverarlo, perché avventurarsi da solo per i
boschi
dopo tutto quello che è successo è stupido e
pericoloso, ma non ce
la fa ad arrabbiarsi.
Dustin
era preoccupato. Per lui. E Steve deve ammettere che è una
bella
sensazione.
«Grazie,
Dustin» gli dice con un altro sospiro, stanco ma sincero.
Dustin,
colto di sorpresa per un momento, gli regala poi un sorriso
smagliante che è sinceramente adorabile, anche se Steve,
questo, non
lo ammetterebbe a nessuno, manco ai morti.
E
poi deve essere la concussione a parlare.
Sì,
certo, come no.
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