Albania,
15 Luglio 1997
L’orologio
a pendolo di un piccolo salottino aveva suonato otto rintocchi anche
quella
sera. Una mano segnata dal tempo scostava le tende di una finestrella
logora.
«Non
riuscirò mai ad aggiustare questa maledettissima
finestra» disse una
donna, tra sé e sé, che con un lieve cenno di
bacchetta fece comparire dei
piccoli secchielli agli angoli dell’infisso. Fuori stava
impazzando un
temporale e l’acqua sbattendo contro i vetri riusciva, come
sempre, a
infiltrarsi in casa. «Stai cadendo a pezzi anche tu, cara
mia» affermò
guardando la casa in cui aveva vissuto per oltre ventisette anni.
Come
ogni sera, ormai da tre anni, dopo
aver cenato si sedeva solitaria davanti al camino scoppiettante che le
donava
un po’ di luce durante le ore serali, così da
poter trascorrere qualche ora
leggendo.
Era
chiusa in quella casa senza poter uscire da così tanto tempo
che aveva già
letto tutti i libri che aveva accumulato negli anni. C’era un
periodo in cui ogni
giorno si recava dal libraio, ai mercatini o in qualsiasi rigattiere
potesse
avere dei testi diversi da quelli che già aveva messo di
lato: una parte di sé
sapeva che sarebbe arrivato il momento in cui sarebbero tornati utili.
La
libreria che aveva in casa era di modeste dimensioni, perciò
vi era un angolo
tra le scale e il camino, che era stato occupato da diverse pile di
libri
ordinati, suddivisi per argomento.
Fuori
continuava a piovere a più non posso, era un temporale
estivo in piena
regola: alla pioggia si erano uniti in cielo tuoni e fulmini.
Quando
l’orologio rintoccò per dieci volte, la donna
chiuse il libro di rune
antiche che aveva cominciato per la terza volta quell’anno,
ripose gli occhiali
sul mobile accanto al sofà di tessuto scuro sul quale era
seduta.
Aveva
le sue abitudini ormai, le aveva decise nel momento in cui dovette
segregarsi in casa. Le regole, aveva pensato, l’avrebbero
aiutata a conservare
almeno la sanità mentale. Per questo, nonostante le sue
giornate fossero vuote
e solitarie, ogni mattina spegneva la sveglia alle otto, si occupava
del
giardino dopo aver fatto colazione: era molto orgogliosa dei suoi
alberi da
frutto e dell’orto che era riuscita a far crescere,
previdentemente, negli
anni. Fu grazie a quell’orto e un piccolo pollaio che
riuscì a non morire di
stenti: poteva provvedere a quasi tutto con la magia e con le pozioni,
ma non
al cibo. Per procurarselo sarebbe dovuta uscire e lei non aveva
intenzione di
mettere neanche la punta del piede al di fuori dell’aria
protetta che si era
creata.
Così,
come ogni sera, stava risalendo le scale che l’avrebbero
portata in
camera da letto, quando, d’un colpo, tutta la terra
tremò. La scala era stretta
e cinta da mura, cercò di non cadere, nonostante ormai non
fosse più agile da più
di qualche anno.
La
casa scricchiolò, lasciando cadere polvere e piccoli detriti
su tutto il
piano inferiore. Le candele si spensero.
«Lumos»
disse agitando la bacchetta.
Sentì
il cuore batterle a un ritmo più sostenuto. Disperati
pensieri le si
affollavano in mente. Scese nuovamente le scale, con molta calma.
Poteva
essere stato una scossa di terremoto, pensò, o qualcuno era
riuscito a
infrangere i suoi incantesimi di protezione e occultamento sulla casa.
Andò
lenta verso la stessa finestra che continuava a perdere, il secchio
pieno
d’acqua si era rovesciato a causa della scossa.
«Nox»
Quando
fu al buio scostò nuovamente la tenda, sperando di non
vedere nessuno.
Strinse
un poco gli occhi per vedere meglio: vide qualcosa che si avvicinava ma
non poteva ancora capire bene. Stringeva la bacchetta, come forse non
aveva mai
fatto. Piano piano, tra la fitta pioggia, cominciò a
delinearsi una figura
sempre più nitida, grazie anche alla luce che i fulmini
procuravano: una
ragazza dai capelli ondulati di colore castano raccolti in una coda,
media
altezza, giovanissima.
Non
poteva essere né un auror, né tanto meno un
mangiamorte data la giovane età,
pensò la donna all’interno della casa.
Rimase
a fissarla dalla finestra, fin quando questa non arrivò a
bussare alla
porta con un tocco deciso delle nocche.
Sapeva
che qualsiasi intenzione avesse quella ragazza, non era certo una porta
mangiata dalle termiti che avrebbe potuto proteggerla.
Strinse
la vestaglia in vita e piano si diresse verso la porta.
Esitò
un attimo quando mise la mano sulla maniglia.
La
ragazza dall’altra parte bussò nuovamente.
La
donna all’interno, si fece coraggio e, sempre tenendo ben
stretta la
bacchetta, aprì la porta.
«Cosa
cerchi da me, ragazza?» chiese con voce inizialmente un
po’ rauca, erano
anni che non parlava con qualcuno. Le puntò contro la
bacchetta.
«Emily
Fawley?» chiese la ragazza esitando un attimo. Davanti a lei
vi era una
donna alta, sulla settantina, che si stringeva in una vestaglia di raso
verde.
Nonostante l’età, la postura era eretta e gli
occhi scuri la scrutavano
velocemente. Il viso, che riportava tutti i segni del tempo, era
circondato da
ciocche di capelli lunghi, lisci e scuri.
«Chi
lo vuole sapere?»
«Ha
ragione, non mi sono ancora presentata» disse la ragazza
porgendo una mano
che però non ricevette mai la stretta che aspettava
«mi chiamo Hermione
Granger, vengo per conto di Silente»
«Albus
Percival Wulfric Brian Silente? Quel Silente?»
La
ragazza annuì.
«È
stato lui a dirti dove trovarmi?» domandò ancora
la donna, che continuava a
tenere la bacchetta alzata.
«Si»
La
squadrò ancora un attimo, poi le fece cenno di entrare.
La
ragazza era zuppa a causa della pioggia, così la donna,
rigirando la
bacchetta tre volte, la fece tornare asciutta.
«Accomodati»
le disse la donna indicando una poltroncina dal tessuto scuro e
logoro, proprio accanto al sofà.
La
donna continuava a puntarle contro la bacchetta.
«Da
quando Albus Silente usa come gufo delle ragazzine di…
quanto, quindici
anni?»
«Quasi
diciassette» affermò la ragazza «e non
sono venuta a riferire alcun
messaggio da parte sua» continuò Hermione che si
fece più scura in volto «perché
Silente è morto poche settimane fa»
Emily
abbassò lievemente la bacchetta a causa del dispiacere. Non
pianse.
«Come?»
chiese la donna sedendosi sul sofà. Aveva lasciato quanto
più spazio
poté tra lei e la ragazza. Abbassò anche la
bacchetta, pur continuando ad
impugnarla.
«Alla
fine dell’anno scolastico c’è stata
un’irruzione da parte dei mangiamorte
ad Hogwarts. Lui era l’obiettivo»
bisbigliò Hermione.
Non
sapeva bene cosa provare per quella notizia, così disse
l’unica cosa che le
venne in mente e che poteva augurare a chiunque finisse la propria vita
per
mano di un mangiamorte.
«Spero
sia stata una cosa veloce»
Hermione
si stupì nel sentire la risposta, poi annuì.
«È
stato Severus Piton»
Ci fu
un attimo di silenzio. Emily aveva unito le mani, come per darsi forza.
Era una notizia difficile da digerire.
Anche
Hermione restò silenziosa a guardare la donna di fronte a
lei. Aspettava
una risposta o una reazione, ma non ci fu nulla a parte silenzio e lo
sguardo
basso di Emily.
Dopo
qualche minuto, l’anziana donna alzò il volto,
incrociando di nuovo lo
sguardo di Hermione.
«Se
Silente è morto, per quale motivo sei qui?» lo
sguardo della donna era
guardingo, pronto a scovare una qualsiasi discrepanza in ciò
che avrebbe detto
la giovane ragazza.
«Poco
prima di…» cominciò Hermione
inclinandosi verso la donna e prendendo
fiato «morire, il preside ci ha parlato di lei.»
«A
te e a chi altro?»
«Ero
con i miei amici, Ronald Weasley ed… Harry Potter»
«Harry
Potter» disse la donna ridendo. Era una risata strana, che
riempì la
stanza «Il ragazzo che è sopravvissuto…
che continua a sopravvivere». Emily
rideva di gusto.
Hermione
rimase interdetta.
«Dov’è
ora, il famoso Harry Potter? Come mai non è qui con
te?» il tono era
curioso ma sempre divertito.
«Ha
ancora la traccia, e se si dovesse smaterializzare o anche solo
accennare a
usare la magia, temiamo, anzi, abbiamo la certezza che potremmo essere
intercettati da…»
«Voldemort»
terminò la Emily.
Hermione
non si aspettava che la donna pronunciasse quel nome con tanta
facilità, non erano molte le persone che lo facevano.
«Io
quindi sono qui» riprese la ragazza «per farle
delle domande. Silente ci ha
solo accennato qualcosa, non sappiamo praticamente niente su di lei, ma
pensiamo che ci possa aiutare»
«Credo
ti sia rivolta alla persona sbagliata» tagliò
corto la donna «non ho mai
preso parte alla guerra magica, non sono un auror né tanto
meno un mangiamorte.
Quindi suppongo che tu possa anche andare cara» concluse la
donna alzandosi e
facendo cenno ad Hermione di fare altrettanto. Ma non lo fece.
«Stiamo
cercando di capire come distruggerlo» asserì
fermamente Hermione, non
dando cenno di cedimento, non sarebbe uscita da lì senza le
risposte che
desiderava.
«È
evidente che io non ne conosca il modo» sibilò la
donna girando intorno alla
poltrona su cui continuava a stare seduta la ragazza.
«Ci
deve essere qualcosa, esattamente come c’è stata
la prima volta» disse
Hermione ora alzandosi «Ci deve essere qualcosa che possa
farlo cadere
definitivamente»
Emily
cercò di scrutare tra i pensieri della ragazza, ma
evidentemente era
molto brava in occlumanzia.
«Le
chiedo solo di raccontami la sua storia e sarò io a trarre
le conclusioni»
La
donna restò un attimo in silenzio, doveva riflettere
velocemente. Mentre
svariate ipotesi le ingolfavano i pensieri, lo sguardo ricadde sulla
sua
vecchia mano, la rigirò come la stesse vedendo in quel
momento per la prima da troppo
tempo. Guardò il palmo segnato da profonde cicatrici.
«Va
bene» disse la donna riemergendo dai meandri dei suoi ricordi
«siediti e ti
racconterò di lui… ma credo che per farlo
avrò bisogno di un po’ di vino»
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