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1. You're free, alright – [2008]
Il punto è che il materasso è troppo morbido. Non è terra battuta, non sono asperità che gli si incastrano negli spazi intercostali con troppa poca carne a nasconderli e troppi lividi a punteggiarla. L'insonnia è una naturale conseguenza, un'amica fidata che gli dà il bentornato.
Si inclina sulla balaustra. Vertigine. Le onde gli risucchiano lo sguardo, lo fanno perdere tra i flutti. Vertigini, scintille nello stomaco di una montagna russa troppo breve.
È così, essere vivi? Una caduta a precipizio verso la sabbia, la morte? Non l'ha guardata, la morte. Ha scorto il cielo terso oltre le fessure dell'elmo, a sostituire la claustrofobia asfittica del sottosuolo. Lo opprime anche ora, annidata nel buio, nelle ombre spesse che proietta la luna dimezzata.
La brezza notturna del Pacifico gli si insinua nel petto. Aria salmastra e familiare che gli punge i polmoni, scacciando l'odore di chiuso e umido, di fumo intrappolato sottoterra, di morte e occhi spenti. Il reattore pulsa rassicurante, doloroso, con l'alone azzurrino che gli lambisce le dita. Un marchio vuoto, un memento. In basso, le onde formano gorghi profondi e labirintici che gli annegano gli occhi. C'è ancora un brandello del suo cuore chiuso in quella grotta, a dibattersi nell'oscurità densa come pece in cerca dell'uscita.
Non la troverà; eppure lui è qui, e respira il mare e il vento. È qui, vivo, a cercare e inseguire le vertigini.
Reclina il collo verso il cielo e si inebria delle stelle.
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