Aldilà del mare

di Keeper of Memories
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«Le strade sono aperte. La scelta spetta a te» disse il bambino incorporeo, la mente dei razziatori, prima di svanire.
La scelta era sua.
Sapeva cosa fare, sperava fosse la scelta giusta per tutti o comunque il male minore in quella carneficina senza fine.
Camminò lentamente, ogni centimetro del suo corpo dolorante urlava in agonia. Le costole rotte, forse anche un braccio, tagli e graffi un po' ovunque oltre alla profonda ferita al fianco che non sembrava smettere di sanguinare.
Arrivò al bivio.

Guardò attentamente la pistola che stringeva nella mano meno ferita, prima di lanciarla lontano. Non poteva distruggerli. Non dopo aver lottato così tanto per riappacificare geth e quarian. Non dopo aver visto sbocciare l’amore tra Joker e IDA. Non avrebbe rubato il futuro a nessuno di loro.

Guardò brevemente alla sua sinistra. Non poteva nemmeno controllarli. Nulla garantiva che non sarebbe diventata come l’Uomo Misterioso. Nulla le garantiva che, una volta persa la sua umanità, non avrebbe raggiunto la stessa conclusione dei razziatori. Non sarebbe diventata un mostro.

Guardò davanti a sé, la colonna di luce faceva male agli occhi ma era lì che doveva andare. Premette entrambe le mani sulla ferita e fece un respiro profondo. Ora o mai più Maya, si disse. Prese la rincorsa e scattò in avanti, verso la luce.
 
Faceva male, tutto faceva male, il dolore per le ferite non era nulla a confronto. Si sentiva bruciare ovunque, come se fosse appena precipitata nel plasma incandescente di una stella. Voleva gridare, ma nessun suono uscì dalla sua bocca.

Era insopportabile.

Com’era apparso, il dolore si assopì fino a svanì del tutto. Si sentì cadere, non saprebbe dire per quanto ma a lungo precipitò nel nulla, in un baratro senza fine.

Cos’era quel baratro?

Aprì gli occhi sull’oscurità più totale, il nulla. Si guardò attorno ma niente, tutto era nero come le notti più buie, un cielo senza stelle lontano dalla frenetica città. Provò a parlare ma solo una bolla si formò vicino alla sua bocca.

Era sott’acqua?

Non appena quel pensiero le attraversò la mente, si sentì soffocare mentre i suoi polmoni appena risvegliati chiedevano a gran voce ossigeno. Si dimenò, i movimenti rallentati dall’acqua. L’istinto le disse di guardare in alto, verso la superficie.

Cos’era quella chiazza luminosa che si rifletteva sull’acqua?

Nuotò con tutte le sue forze in quell’oceano, i polmoni in fiamme mentre scalciava, allungava la mano verso quella luce. Su, ancora più su, verso la superficie.

Finalmente uscì, tossendo e sputando l’acqua salmastra, respirando a pieni polmoni l’aria tiepida, il cielo limpido sopra di lei, la riva vicina.

Uscì dall’acqua, a carponi, finché le mani non affondarono nella sabbia morbida. Lì si lasciò cadere a terra e rotolò sulla schiena, troppo stanca per proseguire, la sensazione della sabbia calda sulla pelle troppo invitante.

Si guardò le mani. Nessuna ferita, nessuna cicatrice, la sua pelle era liscia. Aveva ancora l’uniforme addosso ma nulla ai piedi. Guardò il cielo terso, una mano sugli occhi a proteggerli dal sole.

«Siha?»

Se l’era immaginato?

«Siha.»

Di scatto si mise a sedere, gli occhi a scrutare l’orizzonte, il cuore che tentava di uscire dal petto. Lui era là, a pochi metri di distanza.

«Thane.»

 Si alzò, leggera, nemmeno la sabbia riusciva a rallentarla mentre correva verso di lui. Braccia forti l’accolsero, un abbraccio delicato che profumava di casa.
Era a casa.

«Sei proprio tu…» disse, facendo scivolare le dita sul profilo della guancia.
«Ti avevo promesso che ti avrei aspettato aldilà del mare, Siha» bisbigliò lui, posando la fronte sulla sua.
«E io che ti avrei raggiunto, Thane.»

Le labbra s’incontrarono, morbide, il sapore di salsedine, la carezza tiepida del sole. Lui era lì, erano di nuovo insieme. Gioia e sollievo sgorgarono dagli occhi, seguiti dalla stanchezza, la fatica e il dolore che in quegli ultimi anni aveva racchiuso in un angolino del suo cuore, affinché quell’immensa carneficina potesse finalmente aver fine e la Galassia una speranza di respiro. Le sue labbra cercarono quelle di Thane con più foga, le braccia strette attorno alla sua vita, affamata della pace che quel contatto riusciva a darle.

«Sono stanca» sussurrò, il respiro affannato interrotto dai singhiozzi, le membra pesanti.
«Puoi riposare. Non devi più combattere, Siha.»
Nuove lacrime le bagnavano il volto, che decise di nascondere nell’incavo della sua spalla. Un sussurro nel suo orecchio, la voce rassicurante della persona che ama.
«Ce lo siamo meritato, Siha. Ce lo siamo meritato.»




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