Capitolo
III –
Cicatrici.
Mi
sono fatto
randagio per poter sfiorare tutto ciò che era, ho bruciato
di
tenerezza per tutto ciò che non sa dove scaldarsi, ed ho
appassionatamente amato tutto ciò che è vagabondo.
André
Gide, I
nutrimenti terrestri.
La
casa di Finterra è
tutta pervasa di un profumo che Link non riesce subito a
identificare.
È
vuota. Non si
aspettava diversamente. Non ha mai pensato di trovare qui Zelda
–
Link è venuto qui solo per cercare le sue tracce nei luoghi
dov'è
passata, per riposare un istante gli occhi nel silenzio di questa
casa che di pace non gliene ha data mai, perché era lui a
non sapere
dove cercarla; ma ora che lo sa, la casa gli pare d'improvviso
più
estranea eppure più accogliente, come la casa di un altro.
Solo le
sue armi appese alle pareti parlano di lui; tutto il resto gli appare
bello e pulito, ma anonimo e distante come se non gli fosse mai
appartenuto.
Il
letto è rifatto con
una cura che non è certo la sua. Zelda deve averlo
riordinato prima
di partire, Link riesce quasi a intravedere il percorso delle sue
mani che lisciano le lenzuola odorose di bucato e di fresco.
Non
è da lì che
proviene il profumo che ha sentito entrando, ma socchiudendo gli
occhi Link riesce quasi a vedere la principessa che dorme in questo
letto e la grande massa dorata come grano dei suoi capelli sul
cuscino. È contento che questa casa abbia potuto darle un
po' di
serenità, per qualche giorno; ma a differenza sua, Zelda non
si è
nascosta. Per qualche giorno soltanto, Zelda ha concesso a se stessa
il privilegio di una vita normale, esattamente come ha fatto lui a
Daccapo, ormai una vita fa; ma non si è illusa mai che
quella vita
fosse la sua. Finterra esiste soltanto per questa gente semplice e
accogliente per la quale entrambi hanno sacrificato la loro vita,
cento anni della loro vita, e questa casa non è altro che un
piccolo
angolo perfetto e irreale di una quiete che loro non hanno avuto e
non potranno avere mai, e che proprio per questo è tanto
più dolce.
Zelda ha concesso a se stessa di assaporare quel mondo, per qualche
giorno solamente, e ha visto che cosa ha difeso e che cosa si
è
negata per sempre, con la tenerezza di una madre che osserva
l'inconsapevole serenità dei soli figli che avrà
mai, e che sia
contenta d'essersi sacrificata per loro senza che essi sappiano che
è
stata lei.
Ma
quella vita, che
pure le piacerebbe, non le appartiene, e il destino che Zelda si
è
scelta è troppo distante da Finterra perché ella
potesse
permettersi di rimanervi più a lungo: è il
destino che suo padre e
sua madre e le sue antenate hanno scelto per lei, ma che a sua volta
lei ha accettato e ha deciso di adempiere nell'unico modo che le
appartiene: quel potere sacro e violento che s'è destato in
lei e
poi subito assopito non ha più ragion d'essere. Zelda
è vicina alla
divinità, ma non è nata per essere una
sacerdotessa: Zelda è una
studiosa e una maga, è una scienziata, e sarà in
grado di
ricostruire Hyrule servendosi di nient'altro che delle sue mani e del
suo ingegno, del suo sacrificio totalizzante, abnegante: ed
è per
questo che Link sa esattamente dove andare a cercarla.
Passa
accanto al tavolo
prima di uscire, e d'un tratto il profumo si fa più forte e
penetrante, improvvisamente più acuto e dolce che mai.
Adagiate su
uno spesso panno di cotone grezzo, forse per isolarle dal legno,
stanno essiccando ampie corone di fiori azzurri intrecciati. Sono
principesse serene.
Prima
di lasciare la
casa, Link ne solleva una e l'accosta al cuore, e la porta via con
sé.
C'è
un unico percorso
sicuro per raggiungere il Castello senza venir individuati dai
Guardiani. Con la sua consueta accortezza, Zelda l'ha fatta segnalare
nel modo più chiaro e inequivocabile possibile, disegnando
nella
piana un tortuoso sentiero di cartelli e segnali di pericolo e di
cordoni, di modo che chiunque voglia recarsi ad aiutarla, e a
costruire con lei la nuova Hyrule, possa farlo. Al di là di
questo
percorso sicuro, gli ultimi guardiani corrotti rimasti imperversano
ancora, solitari e disperati, quale ultima vera effigie dell'antico
dominio di Ganon sulla terra. Link aveva sperato fino all'ultimo che
i guardiani sarebbero tornati al loro antico proposito, una volta
esauritosi su di loro il mefitico influsso della Calamità;
ma a
quanto pare, non più guidati da nessuno, anch'essi hanno
finito per
impazzire, e ora continuano ad aggirarsi follemente per la piana,
cercando ovunque nemici senza scopo. Anche loro saranno qualche cosa
da risolvere nei prossimi mesi; ma per fortuna non costituiscono un
pericolo immediato, al momento. La gente di Hyrule potrà non
essere
particolarmente coraggiosa, certo, ma quantomeno è
estremamente
resistente, e ha imparato ben presto a convivere con mostri e
guardiani a pochi passi da loro.
Il
Castello non è già
più quel rudere solenne ma inquietante, maestoso e
terrificante che
Link ricorda dal suo scontro. Non si tratta solo della foschia
purpurea. Un rudere lo è ancora, certo, ma è
evidente che non lo
rimarrà ancora per molto: a quanto pare sono stati in molti
ad
accogliere l'appello della rediviva principessa, e ora un gran numero
di operai e di maestranze di tutte le razze, dai Goron alle Gerudo,
sono accorsi a ricostruire il palazzo e il regno. Tutto il palazzo
è
un cantiere d'ogni popolo e di ogni attività, che freme di
vita e di
lavoro incessante. Non c'è più spazio per i
mostri, ormai, e in
mezzo a questo brulichio ininterrotto di attività e
d'entusiasmo, a
questa folla vociante che lo attornia e lo circonda e lo soffoca,
Link si sente sperduto e insignificante e inutile, come un veterano
di una guerra conclusa da secoli. Ci vorrà del tempo per
abituarsi a
vivere in un mondo che non ha più bisogno di un eroe per
salvarsi.
A
presiedere questi
lavori dev'esserci per forza un esperto, e a giudicare
dall'incolmabile mancanza che ha notato nella fauna umana di
Finterra, Link sa benissimo anche di chi si tratta. A quanto pare
Zelda ha deciso di ascoltare il suo consiglio. Percorrendo a ritroso
il tortuoso tragitto di questi operai che si affannano e si scambiano
attorno a lui, Link risale lentamente alla sorgente di ogni
movimento, perché dev'essere lì, egli ne
è certo, che troverà chi
sta cercando.
E
in effetti, a
discutere con Cercida davanti a un colossale progetto su carta della
facciata del castello, Link trova ben presto Cerada impegnato a
coordinare i lavori di ristrutturazione.
È
l'inizio di una
nuova epoca, questo, un'epoca della quale egli non sarà mai
parte
del tutto come del resto non lo è stato mai di questa, ed
egli la
percepisce con distinta precisione quando per la prima volta avvicina
il nuovo Architetto Reale.
«Niente
più
succursale di Akkala, eh?»
Quando
Cerada alza
seccamente gli occhi dal progetto e si volta verso il suo
scocciatore, con quella strana e ambigua esuberanza che a Link
è
sempre piaciuta, il suo sconcerto dura giusto il tempo necessario a
realizzare chi lui sia e che diamine ci fa lì.
«Oh,
caro! Sei sempre
una visione ispiratrice» è tutto il suo commento.
«Se sei venuto
per un'altra casa, ho paura che dovrai aspettare un po'. Oppure sei
venuto a unirti ai lavori? Cercida, lo sai che è lui che ha
parlato
di noi alla principessa Zelda? L'avresti detto mai che era un eroe,
di'?»
Travolto
da questo
torrente d'informazioni, Link trova appena la forza d'insinuarvisi
per dire la sua. «Veramente cercavo solo la principessa
Zelda.»
Cerada
schiocca appena
la lingua in un vago segnale di delusione e di risentimento assieme.
«Ah beh, un po' d'aiuto ci avrebbe fatto comodo,
sai?»
Link
aggrotta la fronte
per un attimo. «Ma il mio nome non finisce mica in da.»
«Ah,
se è per quello»
borbotta Cercida scrollando il capo, e Cerada ritiene opportuno
intervenire per specificare: «Abbiamo dovuto fare
un'eccezione, per
quello. La questione del castello è troppo impegnativa e
urgente, e
la principessa ci ha chiesto di soprassedere come favore personale. E
poi è tutto lavoro volontario» ci tiene a
puntualizzare con aria di
grande importanza. «Perciò, se tu dovessi aver
voglia di darti da
fare, sai dove trovarci. Tornando a noi, comunque... la principessa
non è qui.»
Il
cuore di Link, per
un momento, ha un sobbalzo che pare volerlo risprofondare in cento
anni di oscurità. «E dov'è?»
«Sulla
collina»
risponde Cerada con tutta la naturalezza di una risposta
abitudinaria, indicando un punto da qualche parte alle sue spalle.
«Ci va a cavallo tutte le mattine, non so per quale motivo.
Suppongo
che cerchi di avvistare qualcosa... comunque puoi aspettarla qui fino
a stasera. Ah beh, fai un po' come vuoi» conclude con voce
piena di
scetticismo, non appena Link risale a cavallo senza neppure finire di
ascoltarlo. «Ma perché fare tanta strada quando
puoi aspettare che
torni?»
«Non
sono fatto per le
attese» risponde Link sorridendo. «E poi non sono
neppure certo di
poter aspettare fino a stasera. Può darsi che abbia bisogno
di
ripartire.»
«Bah!
Non ho mai visto
qualcuno così ansioso di comprare una casa per poi non
abitarci
affatto» lo rimprovera Cerada, tanto distrattamente che Link
quasi
non capisce se si stia rivolgendo a lui oppure a Cercida; e il suo
commento lo farebbe sorridere, se solo la parola casa non
gli
facesse tornare in mente un'altra cosa importante che era venuto a
dire e della quale per poco non si era dimenticato.
«Spero
che possiate
assentarvi dal lavoro almeno per qualche giorno» aggiunge
perciò a
mo' di commiato. «Miceda si sposa, perciò credo
che gli farebbe
piacere vedervi alle sue nozze. Ci vediamo a Daccapo, va
bene?»
Dopodiché, ridendo sotto i loro sguardi stupefatti, sprona
Draphen e
si allontana verso la collina.
Il
crinale sinuoso
della collina è spazzato dal vento, e l'erba freme e
scricchiola
sotto i suoi stivali che la solcano piano, quasi senza suono. Ha
lasciato il cavallo a pascolare poco più in basso, vicino a
quello
della principessa, e ha risalito a piedi, da solo, gli ultimi metri
che lo separavano da lei.
Zelda
non indossa più
l'abito sacerdotale che Link le ha visto addosso quando l'ha salvata,
ma morbidi abiti azzurri simili a quelli che indossava nei suoi
ricordi, quando non pregava. È un altro lato di Zelda,
questo,
quello della studiosa che cerca di supplire con l'impegno e la
determinazione e il continuo sacrificio di se stessa là dove
non
arrivavano i suoi poteri e la sua fede. Link non può ancora
dire di
conoscere appieno l'antica Zelda, perché i ricordi che ha
strappato
con fatica dalle nebbie del secolo sono ancora troppo frammentari e
incompleti, ed egli non è neppure certo che ce ne saranno
ancora;
tutto ciò che ricorda è che un tempo anche in
Zelda questi aspetti
erano conflittuali e contraddittori, e che come lui anche la
principessa non riusciva a trovare pace. Ma con maggior precisione
rispetto alla sfilacciata trama dei suoi ricordi, Link è
consapevole
che la principessa che ora si staglia davanti a lui sulla collina,
coi lunghi capelli scompigliati dal vento, ha trovato una nuova pace
che a lui sfuggirà per sempre. Non la invidia. Prova per lei
una
grande dolcezza, ora che finalmente l'unica sorella concessa alla sua
carne, gemella al suo destino, ha trovato la quiete che meritava.
Per
non saper bene come
iniziare, Link si schiarisce la voce e dice: «Ho trovato i
tuoi
fiori sul tavolo, a Finterra. Erano molto belli.»
Zelda
si volta
bruscamente in un vorticare di lunghi capelli biondi al suono della
sua voce, e i suoi occhi si colmano e si trasfigurano di gioia per un
momento. Ma già un attimo dopo, quando sembra in procinto di
corrergli incontro, qualche cosa di oscuro dentro di lei pare
trattenerla là dove si trova.
«Link»
mormora a
mezza voce. È veramente felice di vederlo, Link questo lo
sa, lo
sente; ma neppure lei si aspettava di vederlo qui così come
lui non
s'aspettava di tornare; e forse non sa cosa pensarne. «Sei
tornato.»
La
sua reazione è
tanto impacciata e imbarazzata che Link si ferma sull'erba a pochi
metri da lei, indeciso se proseguire, e risponde: «Avresti
preferito
che non lo facessi?»
«No,
Link, io... è
solo che non era questo che volevo per te. Non era per questo che ti
ho sciolto dal tuo giuramento, e tu lo sapevi, questo. Volevo che tu
fossi finalmente libero di scegliere.»
«Ma
è stata una mia
scelta, Zelda» ribadisce gentilmente Link.
«È proprio qui che
volevo essere.»
Gli
occhi di Zelda,
luminosi e semitrasparenti come ghiaccio nell'aria limpida che
precede il tramonto, hanno una sfumatura dolce e melanconica al
tempo. C'è tutta una parte di lei, molto più
forte di quella che è
felice di riaverlo con sé, che pare sul punto di piangere e
che
forse vorrebbe urlargli di andarsene e lasciarla: ed è
proprio a
quella parte di lei ch'egli vuole parlare. Ma tutto ciò che
Zelda
esprime dell'universo di emozioni che la dilaniano è:
«Avrei
preferito che andassi là dove ho sentito il tuo cuore quando
io ero
nel castello.»
«Nel
cuore delle terre
selvagge?»
Zelda
annuisce appena.
«Sì»
«Ci
sono stato... per
qualche giorno.»
Zelda
lo ascolta
parlare senza distogliere gli occhi da lui, segue ogni suo movimento
come a voler leggere ogni parola direttamente dalle sue labbra.
«Allora perché sei tornato?»
Perché,
se c'è
qualcosa che ha imparato dalle leggende che gli ha narrato Impa,
questa è che l'eroe e la principessa saranno legati per
sempre,
nell'infinita serie di vite che li attendono; perché Zelda,
che è
approdata al presente dopo anni di assenza, è oggi sola al
mondo
esattamente come lo era lui il giorno del suo risveglio; e infine
perché, per quanto entrambi sappiano che il Link di cento
anni
addietro è morto nella battaglia alla Muraglia di Finterra,
egli
sente egualmente che il giuramento che l'eroe le ha prestato quel
giorno nel Padiglione coinvolge lui direttamente. L'eroe puro e privo
di dubbi che brandiva la Spada che esorcizza il male è
morto; ma
Link, che malgrado le sue paure ha scoperto d'esser in grado di
impugnarla a sua volta e dunque degno quanto lui, almeno questo
glielo deve: restare accanto alla principessa che si era scelto, fino
alla fine.
«Sono
così stanco di
sentirmi diviso in due, Zelda». Link non riesce a dirlo senza
sorridere, e Zelda appare confusa e inquieta per via del suo sorriso.
«Quando abbiamo parlato nella casa di Impa, la notte prima
che io me
ne andassi, avevi ragione su tutto. Negavo solo perché non
volevo
ammettere che era così: che la mia volontà era
con te, ma che il
mio cuore era altrove, era a Daccapo, era nel respiro delle terre
selvagge... e per quanto ci sia e ci sarà sempre una parte
di me che
vorrebbe solo scappare e nascondermi, a Daccapo o sull'Altopiano
delle Origini, nessuna parte di me ha mai voluto abbandonarti.
È
soltanto che questa contraddizione mi è sembrata
insanabile...»
Link
ha lottato contro
questa verità per quasi tutta la sua vita senziente,
sfiancandovisi
contro come contro un ostacolo inamovibile, che gli bloccava il
cammino senza ch'egli riuscisse a comprenderne la natura, e
s'è
sforzato d'ignorarla come se fingere che non esistesse potesse
permettergli di vincere. Non era vero. Dopo Ganon, dopo Sidon, in un
momento non precisato di questo suo viaggio, d'improvviso Link ha
smesso di combattere e si è arreso a quest'evidenza come un
animale
che si sottomette mostrando il ventre, e inaspettatamente ha scoperto
che smettere di lottare era riposante e confortante, e che quella
verità da cui fuggiva non era lì per fargli del
male. Non era un
ostacolo: era un piccolo oggetto duro da tenere in mano come una
pietra o una freccia, e senz'altro significato che quello di doverne
tener conto.
Link
ha cercato per
mesi una soluzione ostinandosi a rifiutare la semplice
verità che di
soluzioni non ce n'erano perché quello contro cui combatteva
non era
un problema – era una tragedia. Arrendersi a questa scoperta
è
stato un sollievo improvviso e insperato, come riemergere finalmente
dopo minuti di apnea e sentire il petto gonfiarsi d'aria: alle
tragedie non esistono risposte né vie di fuga, e non esiste
alcuna
alternativa che convivervi. C'è una strana melanconica
dolcezza
nell'accettare tutto ciò.
«Ci
sono stati giorni
in cui non avrei mai voluto tornare» ammette semplicemente.
Confessarsi così, ad alta voce, è quasi
voluttuoso.
«In
cui avresti
preferito restare a Daccapo?»
«Sì...
ma non
solamente. Non è stata sempre Daccapo.»
«E
che cosa è stato,
gli altri giorni?» Nella voce di Zelda echeggia appena lo
spettro
tremulo di una risata, i suoi occhi hanno un velo leggero di lacrime.
Link
si stringe appena
nelle spalle perché a questa domanda non esiste modo di
rispondere.
Si domanda se Zelda sapesse, cento anni fa, e magari se si ricordi
tuttora che cosa voglia dire Hyrule – Hebra che non trova
fine
nella vastità del cielo notturno né nella
solitudine delle montagne
silenti, sconfinate, deserte fin dove il suo occhio può
spaziare, e
più ancora; il respiro ritmico, segreto, delle foreste che
pulsano
all'unisono con lui, con la luce che penetra attraverso le fronte e
s'indora nel sottobosco come fosse fatta di polvere... Ma qualcosa
gli dice di no. Zelda non ha mai provato la sua libertà e la
sua
solitudine, la consapevolezza dei suoi doveri l'ha accompagnata
sempre, dolorosamente, tanto da non lasciarla libera mai, non
è
stata mai libera e selvatica come lo è lui; e Hyrule allora
era
diversa, più civile e popolata, e né Zelda
né suo padre devono
averla vista come l'ha conosciuta lui. Neppure Revali,
pensa
fugacemente per un istante; eppure Revali, quando si sono incontrati
per un attimo lassù, su Medoh, pareva saper bene quanto
selvatico e
indomabile egli fosse, e quanto il suo cuore fosse errabondo e
incostante. Revali ha conosciuto il Link del passato, ma quando si
sono incontrati, quel giorno, è stato l'unico dei Campioni
che ha
parlato davvero con lui, col Link del presente, e gli ha dato l'unico
dono che il suo cuore bramasse...
«È
stato l'Altopiano,
qualche volta» risponde un po' a malincuore,
perché per quanti
sforzi faccia non c'è modo di esprimere a parole tutto
ciò che
prova. «Ma non solamente. Ci sono stati giorni in cui
è stata
Finterra, notti in cui è stata Hebra, albe in cui
è stato il
deserto; e a volte – non so se potrai capire, ma a volte non
ho
alcun desiderio di un posto specifico. Ho solo paura che Hyrule
finisca per me all'orizzonte, mentre io desidero che prosegua ancora
e ancora, fino all'infinito; e oggi, invece...»
«E
oggi?» lo incalza
Zelda quando la sua bocca non trova più parole da
pronunciare; ma la
risposta a questa domanda è così ovvia che la sua
voce si colma di
stupore quando parla.
«Oggi
sei tu»
risponde allargando le braccia: gli pare evidente, poiché
sono l'uno
di fronte all'altra, stagliati sulla collina che guarda il Castello.
«Sono venuto qui per te.»
«È
questo che hai
deciso?» domanda finalmente; ma per quanto ella si sforzi di
mascherare di naturalezza il tremito confuso della sua voce, Link sa
che la verità è che è questo che Zelda
spera. Che lo ha
allontanato da sé, quella notte al villaggio Calbarico, per
nient'altro che un oscuro senso di dovere nei suoi confronti, per la
gratitudine che gli porta per aver accettato di salvarla senza
neppure ricordarsi di lei – ma la verità,Link lo
sa, è che Zelda
vorrebbe ricostruire Hyrule al suo fianco, o meglio vorrebbe che
fosse lui a volerlo. Link non sa se la decisione che ha preso possa
farla felice, ma alternative non ce ne sono. Afferrare questa
consapevolezza è stato talmente doloroso che non
può più
permettersi di metterla da parte e rischiare che gli sfugga ancora.
«Ci
saranno giorni in
cui sarà questa» assente con semplicità
sotto il suo sguardo. Lo
sguardo di Zelda che non si distoglie un istante da lui, s'è
fatto
acuto, attento, e parlare sotto la pressione dei suoi occhi
è quasi
doloroso. «Ci saranno giorni in cui vorrò
veramente ricostruire
Hyrule con te, Zelda... ma non tutti quanti. Finalmente ho capito che
quella contraddizione mi sembrava tanto insanabile perché lo
era.
Spero che potrai accettare che in me convivranno sempre il Link del
passato e il Link delle terre selvagge, e che per quanto possa
apparirti strano, o ipocrita, o assurdo... quelli saranno giorni in
cui vorrò davvero stare con te, e non ci
saranno altri luoghi
in cui preferirò stare che al tuo fianco. Lo
capisci?»
Le
contraddizioni non
si possono sanare, quel Link misterioso e alieno che abita dentro di
lui è solo uno dei tanti che si contendono e si alternano ,
si
scambiano l'uno con l'altro per trovare pace. Anche quella parte di
lui, esattamente come tutte le altre, ha diritto a esistere.
Appare
un lampo di
comprensione negli occhi di Zelda. «E cosa farai quando non
sarai
con me?»
Ma
lei stessa,
accorgendosi della sciocchezza della propria domanda, ride con gli
occhi che brillano di lacrime, e Link non può fare altro che
allargare la braccia e ridere a sua volta. Nessuno lo
sa,
perché Daccapo ancora deve finire d'esser costruita,
perché troppa
gente ancora ha troppo bisogno del suo aiuto, e perché
Hyrule, per
fortuna, è ancora vasta e sconosciuta a sufficienza per la
sua
avidità; e dopo, chissà.
È
calata su di loro
una strana melanconica pace, ora. È un'altra pace da quella
che
riscalda Hyrule al di sotto di loro: là fin dove si estende
l'orizzonte, tutto attorno a loro, Hyrule sta palpitando e
rinascendo. È un unico grande organismo che cresce, come un
seme che
lavora meticolosamente sotto la terra per venire alla luce: Link, che
è parte di Hyrule alla stessa stregua di un cerbiatto o di
un
albero, percepisce il ritmo di quella crescita come il pulsare del
sangue nei suoi polsi. Molto presto, sotto la guida di Zelda,
rinascerà quella civiltà fiorente e prospera
ch'egli intravvede
appena ai margini dei suoi ricordi, riprenderanno gli scambi
commerciali, Hyrule sarà un po' meno selvaggia di come lui
l'ha
conosciuta; a volte si domanda se ci sarà ancora posto per
lui, quel
giorno. Ma la risposta, che in fondo alla sua coscienza egli conosce
già, è che se vi sarà una nuova
Hyrule, allora ci sarà anche una
nuova avventura.
Non
ci sono più
lacrime ora negli occhi di Zelda. Il suo volto sembra ora parte di
quella pace che avvolge Hyrule, improvvisamente più quieto e
calmo
ora che ha capito; ma non felice – perché per
trovare quella
serafica pace e accettare il suo destino, Zelda ha dovuto rinunciare
a una parte troppo grande e importante della sua umanità, e
ora
somiglia un poco più a una dea e un poco meno a una donna ,
vicina
eppure irraggiungibile allo stesso modo di una sua statua.
«Sei
cambiato così in
fretta, Link.» Link fatica per un istante a distinguere le
sue
parole dal mormorio del vento. «Ieri soltanto credevi d'esser
l'unico al mondo, sperduto solo in mezzo alle terre selvagge; eppure
mi pare che tu ora abbia capito qualcosa per cui io ho impiegato
più
di cento anni...»
«Sono
stato aiutato»
risponde Link.
Non
parlano più, di
parlare no, non c'è bisogno tra loro, non ce n'è
stato mai. Tutto
al di sotto di loro, il costante brulicare di Hyrule che lavora
silenziosa come un formicaio nascosto sotto la terra dice
già
abbastanza per tutti e due, ed entrambi si accontentano di riposare
per qualche minuto in quel brulichio e in quella pace. È
confortante
restare vicini così, senza più bisogno di parlare
perché ormai
hanno compreso entrambi tutto ciò che l'altro aveva da dire,
ad
ascoltare il frusciare del vento nel flettersi dell'erba.
Zelda
sa chi lo ha
aiutato nel suo viaggio, e forse anche per questo non c'è
bisogno di
parlare – lei sa chi ha incontrato e che cosa li legava, e sa
quali
di loro hanno parlato al Link guerriero del passato e chi invece,
l'unico, ha parlato al cuore che abita nelle terre selvagge. Urbosa
gli ha fatto dono della sua furia e Daruk lo ha protetto, e per il
grande amore che gli portava Mipha lo ha addirittura salvato, ma
Revali, ah! - Revali gli ha insegnato a volare.
Fine.
Eccomi
finalmente
qua, dopo un tempo abominevolmente lungo. Non ho scuse né
giustificazioni per questo ritardo: semplicemente ci ho impiegato il
tempo che questa storia ha richiesto nel pastrocchio informe della
mia vita e dei miei casini, e se nonostante tutto non l'ho
abbandonata è stato perché l'ho amata sempre, con
i suoi ostacoli e
le sue difficoltà. Questa storia esprimeva qualche cosa che
mi
premeva molto dire, e se non son riuscita a dirlo nel modo migliore,
è stato proprio perché ci tenevo troppo ed era
troppo grande per
me. Ma confido che si capisca ugualmente qualche cosa di quello che
speravo di trasmettere.
Giunta
alla fine
della mia corsa, non posso che fermarmi un attimo a ringraziare
Myriel e An13Uta per le loro recensioni, Vicky96 per aver aggiunto la
storia ai preferiti e Destyno e Kyuketsuki per averla aggiunta alle
storie seguite. Questi piccoli gesti sono per me incredibilmente
significativi e ve ne ringrazio tanto.
Infine,
un
ringraziamento enorme e doveroso a Fiulopis, beta infaticabile e
insostituibile amica, per il suo continuo aiuto alla mia storia e a
me come persona.
Questo
periodo di
riposo forzato mi ha dato ovviamente il tempo per sedermi con calma a
ricopiare e sistemare il capitolo, e mi sono sforzata di trovarne i
lati positivi. Ma ci tengo tanto a mandare un enorme abbraccio a
tutti quanti, in questo momento, sono rinchiusi in casa separati
dalle persone care, hanno problemi lavorativi, hanno perduto qualcuno
o si trovano in situazione potenzialmente a rischio a causa del
covid-19: per quello che valgono le mie parole, non siete soli e vi
mando un enorme abbraccio a distanza, ovviamente a norma igienica!
Restiamo a casa e speriamo che tutto questo finisca presto.
Nell'attesa
di tempi
migliori, vi mando mille baci.
A
presto, e grazie
ancora!
Afaneia
|