Salve a
tutti!
Torno a
scrivere su
questo sito dopo molti anni: in questo periodo così
complicato, ho pensato di
prendere in mano un'idea piuttosto insolita che mi saltava in testa da
parecchio tempo, e di provare a scrivere una fanfiction sulla mia saga
preferita in assoluto: quella di Harry Potter. Premetto che al momento
ho in
mente l'idea di base, ma che, come faccio spesso quando scrivo, ho solo
dei
flash su quello che sarà l'intreccio, quindi io stesso
dovrò vedere dove mi
porterà la storia.
Un ultimo
appunto: il
protagonista della storia è in gran parte autobiografico. Ho
cambiato nome ed
età, ed avrà qualche esperienza diversa, ma
diciamo che all'80 % è me.
Buona
lettura!
PROLOGO
Si sente dire spesso che, quando si
è in punto di morte, la
vita passa letteralmente davanti agli occhi, come un film a
velocità ridotta o
una partita alla moviola. Sinceramente ho sempre avuto dei dubbi su
questi
racconti, anche perché mi sono chiesto molte volte chi abbia
potuto riferirli, se si tratta di visioni che si hanno subito prima di
morire.
Nel mio caso, nessuna visione. Solo
un momento che sembrava
dilatarsi all’infinito, mentre il mondo si rovesciava intorno
a me con una
lentezza esasperante, in un terrificante stridore di lamiere. I fari
della
macchina che si stava disintegrando tagliavano il buio come una lama
impazzita.
Che cosa era successo? Non avrei saputo dirlo sinceramente. Solo pochi
istanti prima
stavo tornando a casa. Era tardi, e stavo rientrando da una festa in
campagna,
ma non ero particolarmente stanco, non avevo sonno e non avevo bevuto
quasi
niente. Ricordavo solo un lampo scuro che attraversava la strada di
corsa, un
capriolo, o forse un cinghiale, come se fosse cambiato qualcosa;
l’istinto
aveva mosso le mie mani senza che il cervello avesse il tempo di dire
la sua.
L’improvvisa combinazione tra strappo sul volante e
inchiodata disperata erano
state più che sufficienti per spingere il pesante SUV a
rovesciarsi fuori
strada, senza che io avessi neanche la minima possibilità di
trattenerlo.
Mentre fissavo l’airbag esploso dallo sterzo davanti a me,
con la cintura che
mi scavava nel petto, pensavo all’ironia della sorte: in
venticinque anni di
vita ne avevo combinate parecchie, a volte rischiando anche di brutto,
senza
farmi mai un graffio, e andavo ad ammazzarmi per colpa di uno
stramaledetto
animale. Cazzo!
Con la coda dell’occhio,
vidi dal finestrino sfondato
avvicinarsi un albero piuttosto grosso, forse una quercia, mentre la
macchina
si rovesciava per la terza o quarta volta. Ancora troppo violentemente,
il
botto sarebbe stato devastante. Chiusi disperatamente gli occhi, come
se non
vedere avesse potuto proteggermi in qualche modo. Venticinque anni
erano
veramente troppo pochi perché tutto finisse in un modo
così assurdo, senza
poter fare nulla per evitarlo, senza poter dire addio a nessuno.
Lo schianto fu perfino peggiore del
previsto, il rumore
indescrivibile, il dolore intollerabile. Attraverso le palpebre serrate
vidi un
lampo rosso, che rapidamente venne divorato
dall’oscurità. La sofferenza
scompariva, sostituita da un senso di intorpidimento. Era
così morire? Tutto
sommato poteva andare peggio. Davanti a me si era aperto una sorta di
tunnel
bianco. Senza riflettere troppo, mi lanciai dentro.
Dall’oscurità emerse una
luce accecante, poi non capii più niente.
“Come sta? E’
ancora vivo?”.
“Ma certamente, signorina
Bell! Non era messo poi così male.
Il signor Potter era conciato decisamente peggio. Dovrebbe rinvenire a
minuti”.
“Ha incassato un colpo
molto violento, è caduto da quasi
quindici metri. Per fortuna madama Bumb ha rallentato il volo,
altrimenti
avremmo dovuto raccoglierlo con un cucchiaino”.
“Due cadute dalla scopa in
una sola partita. Una delle
peggiori giornate negli ultimi anni. Maledetti
Dissennatori…”.
“Nel suo caso non
è stata colpa dei Dissennatori, ha preso
un Bolide in testa sparato da poco più di un
metro”.
“Mi dispiace
tanto… l’ho visto andare verso gli
anelli… è
spuntato all’ultimo secondo, in mezzo alla
pioggia… ho agito d’istinto… non
volevo fargli male!”.
“Lo sappiamo che non volevi
fargli male, Rickett. Per questo
sei ancora sano e la tua stessa mazza non è ancora finita
sulla tua testa”.
“Signor Weasley!”.
“Scherzavo, madama Chips,
scherzavo naturalmente…”.
La coscienza di me stesso stava
tornando un po’ alla volta,
come onde che si abbattevano pigramente sulla riva. Dal modo nel quale tutto mi faceva
male, compresi di
essere ancora nel mondo dei vivi. La testa sembrava pesare il doppio
del
normale. Provai ad aprire gli occhi, ma anche le palpebre
sembravano
diventate di piombo. Nel cervello mi sembrava di avere
l’ovatta: avevo sentito dei
discorsi che non avevano alcun senso, anche se suonavano stranamente
familiari.
Madama Bumb…madama
Chips…Dissennatori…Bolidi…Weasley…Potter.
Potter?Un momento,
doveva essere la botta. Probabilmente ero stato in coma, ed il mio
cervello,
mentre provava a riavviarsi, aveva attinto ai miei ricordi di
ragazzino,
creando quell’assurdo dialogo, giustificando quello che mi
era successo grazie
alla fantasia. Ecco, doveva essere quella la soluzione.
Facendomi quasi violenza, aprii gli
occhi, aspettandomi di
trovarmi in un’asettica stanza di ospedale, collegato alle
macchine, con gran
parte del corpo avvolto da bende e ingessature, circondato da dottori e
infermieri, con accanto la mia ragazza e la mia famiglia. Feci
viaggiare gli
occhi da una parte all’altra, e quello che vidi mi fece
pensare di aver subito
un danno grave al cervello: ero in una lunga stanza dai muri in pietra,
occupata da due file di letti dalla foggia antiquata, senza macchine
per la
respirazione artificiale o monitor per il battito cardiaco, divisi
l’uno
dall’altro da dei separé di stoffa verde.Buttai un
occhio al mio corpo, e con
estrema sorpresa mi resi conto di non avere bende o ingessature:
indossavo quello
che sembrava un normale pigiama; per assurdo, sembravo sano come un
pesce. Aspettandomi
di non riuscirci, provai a sollevare il braccio e a portarmelo al viso.
Inaspettatamente, sia pure con qualche dolore e una certa esitazione,
la mia
mano si sollevò dalla coperta e andò a toccare la
mia guancia. Alla lista di
sorprese, se ne aggiunse un’altra: erano almeno cinque anni
che portavo poco
meno di un centimetro di barba, mantenuta ad un lieve livello di
trasandatezza.
Quello che sentii sotto i polpastrelli fu invece un viso
pressoché liscio, con
appena un lieve accenno di peluria. Con una punta di qualcosa che solo
dopo
avrei riconosciuto come il primo accenno di una crisi di panico, mi
resi conto
che non mi avevano rasato, neanche il miglior rasoio del mondo avrebbe
potuto
fare un lavoro così perfetto. Quello che stavo toccando era
il volto di un adolescente,
al quale la barba stava ancora pensando se iniziare a crescere.
‘Non mi sono
svegliato’ pensai ‘Sono ancora in coma, e sto
facendo una specie di sogno
estremamente vivido. Non c’è altra spiegazione: un
incidente stradale quasi
mortale non può certo farti ringiovanire di una decina
d’anni!’.
I miei movimenti attirarono
l’attenzione del capannello di
persone che circondavano il mio letto, le quali si voltarono
all’unisono verso
di me. Solo a quel punto la mia attenzione si concentrò su
di loro, e a quel
punto conclusi che la mia mente doveva essere veramente partita per la
tangente:
c’erano diverse persone vicino a me, la maggior parte delle
quali indossavano
quelle che sembravano delle insolite divise sportive, simili a lunghe
tuniche
corredate da imbottiture, tutte zuppe di acqua e fango. La maggior
parte erano
di colore rosso e oro, mentre una era gialla e nera. Ad indossarle era
un
eterogeneo gruppo di ragazzi e ragazze, a prima vista trai tredici e i
diciassette anni. Tra di loro, spiccavano due ragazzi sulla quindicina,
entrambi con i capelli rossi e identici fino all’ultima delle
numerose lentiggini
che occupavano i loro volti. Credetti di essere sul punto di svenire di
nuovo:
sapevo per certo di non averli mai visti, e sapevo con altrettanta
sicurezza di
conoscere i loro nomi. Questo mi fece sperare di essere veramente
ancora in coma,
perché altrimenti avrei avuto la certezza di essere caduto
nella più totale
follia. L’alternativa era talmente assurda da non potere
neanche essere presa
in considerazione.
L’unica adulta del gruppo,
una donna di una certa età
vestita con una divisa che la faceva assomigliare ad una crocerossina
della
prima guerra mondiale, si avvicinò a me e mi chiese:
“Vedo che è sveglio,
signor Carter. Come si sente? Ha fatto un brutto volo dalla
scopa”.
Incredibilmente, non fu il fatto che
una donna vestita con
un costume centenario mi avesse appena detto che ero caduto da una
scopa a
colpirmi nel profondo, bensì il nome che aveva detto:
Carter? E chi diavolo
era? Io mi chiamavo Matteo Simoncini! E oltretutto mi ero reso conto
che quella
strana tipa mi aveva parlato in inglese, non in italiano! Non ero
proprio
pessimo in quella lingua, ero in grado di capirla e di farmi capire, ma
non
certo di assimilarla come se fosse stata la mia lingua madre, come
invece avevo
fatto pochi istanti prima.
“C…come mi ha
chiamato?” furono le sole cose che riuscii a
dire, e furono più che sufficienti perché il mio
cuore saltasse un battito:
secondo me, avevo parlato in italiano. Avevo pensato le parole in
italiano.
Credevo di averle pronunciate in italiano. Invece erano uscite in
inglese, ed
io le avevo capite perfettamente. Impossibile!
La crocerossina mi si
avvicinò con aria preoccupata,
passandomi una mano sulla fronte per sentire se avevo la febbre:
“Non si
ricorda il suo nome?”.
“N…non ricordo
nulla” dissi, cercando di pendere tempo. Ero
nel caos più totale: ancora una volta le parole erano uscite
in inglese, ma il
mio cervello le aveva tradotte all’istante, come se fosse la
cosa più normale
del mondo. E la mano di quella donna…nei sogni di solito le
sensazioni legate a
tatto e udito erano ovattate, semplificate, ridotte al minimo. Io
invece
l’avevo sentita perfettamente. Al mio naso arrivavano gli
odori tipici di
un’infermeria, ma anche altri che non avrei saputo
identificare in alcun modo,
ma che mi sembravano misteriosamente familiari. E, naturalmente, il
pesante mix
tra sudore e stoffa bagnata che emanava dai ragazzi intorno al mio
letto. Tutto
chiaro. Tutto…vero. E non poteva, non DOVEVA esserlo.
“Ha preso una bella botta
in testa, signor Carter – disse la
crocerossina (un nome saltellava nella mia testa, cercando di trovare
la strada
per la parte razionale della mia mente, ma stavo facendo del mio meglio
per
respingerlo: se l’avessi chiamata in quel modo, anche solo
nel mio cervello,
avrei dovuto ammettere di aver imboccato la strada che conduceva ad una
casa di
cura) –Un’amnesia non è del tutto
insolita”.
“Si riprenderà,
Poppy?” chiese una voce proveniente dalla
mia destra. Mi voltai, temendo quello che avrei visto: accanto al
capannello di
ragazzi era comparsa una donna alta, dall’età
indefinibile, con i capelli neri
severamente stretti in una crocchia, che indossava un paio di occhiali
squadrati. Il mio stomaco fece una doppia capriola: non era
possibile…
assolutamente non lo era! Non poteva essere lei!
“Ma certo, Minerva
– disse impietosamente la crocerossina –
Oltre a diverse ossa rotte o comunque malandate, aveva una piccola
incrinatura nella
parte posteriore del cranio. L’ho sistemata, naturalmente, ma
il colpo deve
avere intaccato la sua memoria. Gli tornerà, ne sono certa.
Per il momento, è
meglio che si faccia un’altra dormita. Una bella pozione per
il sonno, e sono
certa che al suo risveglio sarà come nuovo”.
“Sono perfettamente
d’accordo” – concordò con
autorità la McGr…
la donna con i capelli a crocchia (dovetti farmi violenza per non
completare il
nome, non dovevo chiamarla in quel modo, dovevo ricordare di stare
sognando, altrimenti
il mio cervello non avrebbe avuto la minima possibilità di
riprendersi). Un
istante dopo, la prof… la donna si rivolse a me con quello
che somigliava ad un
sorriso comprensivo: “Un brutto debutto per lei, signor
Carter, ma non deve perdere
fiducia in se stesso: visto il tempo atmosferico disastroso e
considerato che
era il suo debutto in una vera partita di Quidditch, ha giocato molto
bene. Ha
messo anche a segno trenta punti. Come ho già detto al
signor Potter, non deve
assolutamente colpevolizzarsi per la sconfitta, in questo gioco si
può vincere
o perdere, l’importante è dare sempre il massimo e
giocare con impegno e
lealtà”.
“G…grazie”
riuscii a balbettare. A parte lo shock, a
impedirmi di elaborare una risposta leggermente più
articolata fu il fatto che nel
mio cervello era ormai in corso una rivoluzione. In teoria, il fatto
che fossi
convinto di essere in un sogno avrebbe dovuto spingermi a stare al
gioco, a
divertirmi fino al risveglio. In altri casi, se mi fossi trovato a
sognare una
situazione del genere, lo avrei fatto. Ma in quel momento non mi stavo
divertendo per niente: a parte la preoccupazione per le mie condizioni
fisiche
(se stavo davvero immaginando tutto, dovevo essere in coma, ed era per
assurdo
la spiegazione meno negativa), nel mio cervello avevano iniziato ad
accavallarsi due ricordi differenti, e questo mi sembrava del tutto
impossibile.
In uno, rivivevo l’incidente in macchina.
Nell’altro, mi vedevo volare in aria
a cavallo di una scopa, attraverso un fortunale, con la pioggia che mi
sbatteva
violentemente in faccia, diretto verso un anello che a stento si
intravedeva attraverso
le cascate d‘acqua. In mano stringevo una palla rossa.
Nell’esatto istante nel
quale portavo in alto il braccio per lanciarla, sentivo un colpo
violentissimo
dietro la testa, e la vista mi si oscurava di colpo. Uno splendido
film…che non
poteva che essere un delirio di una mente che cercava di riprendersi
dopo i
danni subiti nell’incidente immortalato nell’altro
ricordo, perché quello che
vedevo NON POTEVA ESSERE SUCCESSO!
Fortunatamente la prof…la
donna scambiò la mia scarsa
loquacità per le conseguenze dei colpi subiti, e dopo avermi
concesso un ultimo
sorriso di incoraggiamento si avviò verso una grande porta
di legno per uscire
dall’infermeria. Madama Ch…- LA CROCEROSSINA,
maledizione! –si avvicinò al mio
letto tenendo in mano un bicchiere pieno di un liquido incolore. Doveva
essere
la ‘pozione soporifera’ che aveva citato prima. La
presi e la vuotai senza
pensarci: qualsiasi cosa fosse, non poteva farmi male, visto che stavo
sognando
tutto, e se il mio cervello era veramente convinto che si trattasse di
un
preparato capace di farmi addormentare, forse avrebbe funzionato
veramente, e
la volta successiva mi sarei svegliato sul serio. Mi stavo attaccando a
qualsiasi cosa, perché smettere avrebbe significato
ammettere un’opzione che
semplicemente, in quel momento, volevo lasciare fuori.
Potenza della mente umana!
Nell’arco di pochi secondi
iniziai a sentire le palpebre pesanti, e sentii la sonnolenza piombarmi
addosso. Appoggiai la testa sul cuscino e detti un’ultima
occhiata alle persone
che mi circondavano, certo che non le avrei più riviste. Una
ragazza nera con i
capelli a treccine mi sorrise: “Riprenditi presto”
mi disse. Ricambiai il
sorriso. Uno dei ragazzi rossi fece una smorfia: “Non ci ha
portato molta
fortuna il fatto che tu abbia sostituito Alicia, ma vedi di riprenderti
lo
stesso”.
“E lascialo in pace,
George! Se la colpa deve essere di qualcuno,
è sicuramente mia. Josh ha fatto più di quello
che chiunque potesse aspettarsi,
considerando che era al debutto”.
L’ultima voce non sembrava
provenire dai ragazzi di fronte a
me, bensì dal letto alla mia sinistra. Mentre gli occhi
iniziavano a chiudersi,
girai la testa per guardare oltre il capannello, favorito dal
separé aperto.
Vicino all’altro letto c’erano due giovani,
apparentemente entrambi sui tredici
anni, vestiti con lunghe tuniche nere che sul petto mostravano un
simbolo rosso
e oro. Il ragazzo era alto e allampanato, con capelli rossi e
lentiggini che ne
attestavano la parentela con i due gemelli. La ragazza era
più bassa, con i
capelli castani ed estremamente ricci, ed era piuttosto carina, se si
escludevano i denti davanti, che erano piuttosto grandi. A colpirmi fu
però il
ragazzo sdraiato sul letto, che indossava un pigiama molto simile al
mio: era
alto e magro, con capelli neri e ribelli e due lucenti occhi color
verde
chiaro, sopra i quali portava un paio di occhiali rotondi. A dare il
colpo di
grazia a quel poco che restava della mia salute mentale fu
però la cicatrice a forma
di saetta che campeggiava al centro della sua fronte, subito sotto
l’attaccatura dei capelli. A quel punto mi arresi, era
perfettamente inutile
fare finta di niente: avevo riconosciuto quel posto da quando avevo
aperto gli
occhi la prima volta, e avevo riconosciuto la maggior parte delle
persone che
avevo intorno in quel momento. In qualsiasi altra occasione, sarei
stato felice
di sognare una cosa del genere, ma in quella situazione sembrava
veramente
troppo reale per godermi la situazione. Ancora non ero arrivato a
pensare
quella che era la verità, non potevo minimamente immaginare
quanto profondi
fossero i guai nei quali mi trovavo. La mia mente non era pronta, e la
speranza
di potermi semplicemente svegliare nella realtà non era
tramontata.
In ogni caso, vedere quella
particolare persona mi spinse a
cedere le armi, a porre fine alla mia tattica del rifiuto a tutti i
costi.
Mentre mi addormentavo, lanciando nel tempo e nello spazio la speranza
che la
successiva volta che avrei aperto gli occhi tutto sarebbe stato
normale,
sorrisi al ragazzo sul letto e mormorai: “Grazie,
Harry”.
Eccoci alla
fine di
questo prologo. Spero veramente di avervi interessato. Vi chiedo, se
possibile
di dedicare un minuto alla scrittura di un commento, mi interessa molto
conoscere la vostra opinione. Prometto che risponderò a
tutti!
Salvo
complicazioni,
credo che pubblicherò un capitolo a settimana, quindi ci
rivedremo il prossimo
mercoledì!
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