Ciao
a tutti! Come state passando questo periodo? Io purtroppo sono
rimasta completamente da sola in casa, i miei genitori non possono
uscire dal Piemonte e le mie sorelle non mi possono raggiungere. Mi
sento così sola sob :,(
Comunque spero che stiate tutti bene,
facciamoci coraggio!
Non ho un/una beta, perciò cerco sempre di
rileggere con attenzione ma se vedeste lo stesso errori vi prego non
fatevi problemi a dirmeli!
Buona
lettura!
Link
al secondo capitolo in inglese:
https://archiveofourown.org/works/22111321/chapters/52803364
Capitolo
2 – Inception
Katsuki
era seduto al tavolo di un familiare ristorante per famiglie,
non
lontano dalla casa dei suoi genitori. Aveva ricordi nitidi dei
tanti
pranzi fatti lì con la famiglia Midoriya, sia di quando aveva
partecipato con entusiasmo che di quando si era sentito più un
prigioniero trascinato a forza. Suo padre era seduto alla sua
sinistra mentre sua madre aveva preso posto dall'altra parte del
tavolo. Nessuno disse una parola fino a quando Midoriya Inko non
arrivò trafelata, con in spalla una borsa dai colori vivaci e un
bimbo irrequieto al seguito. Dopo aver assicurato un seggiolino
plastico alla sedia frontale rispetto a Katsuki, sollevò il
bambino
per metterlo seduto. Il biondo guardò con una smorfia
l'esserino.
Le
sue
uniche esperienze con i bambini erano dovute agli incontri con i
fan, agli inevitabili salvataggi e alle sue poche interazioni
con i
gemelli Todoroki. Quello che poteva dire dei bambini era che
tutti
risultavano essere sempre
inevitabilmente appiccicosi, avevano sempre
un odore strano - di Play Doh e di talco, nello specifico - e
che
nessuno di loro aveva un minimo di fottuto decoro. Hisami
dimostrò
palesemente di non essere una rara eccezione, quando si dimenò
giù
dal seggiolino per lanciarsi sul tavolo e prendere la faccia di
Katsuki tra le sue manine sporche e paffute.
“Signor
Kacchan! I tuoi capelli somigliano a un'esplosione!”
Katsuki
mugugnò disgustato, indietreggiando sulla sedia per allontanarsi da
quelle piccole appendici.
“Hisami!
Che cosa direbbe tuo padre se sapesse che sei salito sul
tavolo?”
Inko, agitata e rossa in viso, afferrò quel selvaggio di suo
nipote
e lo fece sedere di nuovo, da bravo bimbo, nel seggiolino.
Hisami si
strofinò le guance coperte di lentiggini, come se sapesse che
quel
gesto lo avrebbe fatto sembrare più tenero, e rispose, “Papà
direbbe Ti
voglio
bene, amore di papà,
perché io sono dolce dolce.”
“Tremendamente
dolce,” commentò sua madre con un tono così gentile da fargli
venire la nausea, per poi fissarlo -tre secondi dopo- con occhi di
ghiaccio. “Quando diavolo ti deciderai a darmi dei nipoti tu?”
“Linguaggio,”
pronunciarono solennemente sia Inko che Hisami.
Katsuki
dovette reprimere l'istinto di strapparsi i capelli e urlare Sono
un
cazzo di gay, Mamma, perché quello non era né il luogo né
il momento adatto per tale conversazione. Inko lo salvò dal dover
rispondere alla domanda.
“E'
passato così tanto tempo, Katsuki. Ho saputo che hai già conosciuto
Hisami.”
Il
biondo annuì. Gli era sempre piaciuta Inko. Aveva tutto quello che
si potesse desiderare in una mamma – la dolcezza, la premura, la
comprensione.
“Brevemente.
Ero di pattuglia. Che ci faceva Deku in centro?”
“La
sua clinica si trova lì. Si è trasferito in centro qualche anno fa
per stare più vicino.”
“Nonna,
cos'è una clinica?”
“E'
dove lavora papà,” spiegò lei pazientemente.
“Lui-”
“Scusatemi,
sono in ritardo!” Deku comparve andando immediatamente a sedersi
tra sua madre e suo figlio. Nel momento in cui il suo sguardo
incrociò quello di Katsuki, i suoi occhi si spalancarono
all'inverosimile e rimase a bocca aperta, come un pesce lesso.
Katsuki trattenne un ghigno – era una persona migliore ora, ma Deku
gli provocava una reazione così automatica sin dall'infanzia, che a
stento riusciva a controllarsi.
“Papà!”
esultò Hisami, aggrappandosi alla manica del maglione di Deku.
“Ciao
tesoro,” mormorò dolcemente. “Hai passato una buona giornata?”
“La
migliore! La nonna mi ha lasciato giocare con gli sticker! Ho
decorato il bagno.”
“Oh,
no. Mi dispiace, mamma.”
Katsuki
osservò vagamente meravigliato lo scambio di battute. Il fatto che
qualcuno potesse essere così rapito da un esserino di tre anni lo
lasciava alquanto perplesso. Stavano tutti lì seduti, come
ipnotizzati, mentre un mocciosetto teneva banco da un sedile
rialzato. Erano tutti avvolti da una disgustosa atmosfera domestica.
Katsuki non riusciva a immaginare il perché delle persone potessero
decidere, volontariamente, di avere quel tipo di vita. Gli occhi
verdi di Izuku che, a scatti, si soffermavano su di lui salvo poi
spostarsi rapidi come fulmini cominciavano a dare sui nervi al
biondo.
“Allora,
Deku,” cominciò, stanco di avere le orecchie piene del blaterare
di un marmocchio. Non era venuto fino a lì per niente.
“Cos'è
Deku? Il nome del mio papà è Izuku!”
“Hisami,
voce interiore, per favore.”
“Scusa
papà” rispose, riducendo la sua voce a un sussurro, le mani
piegate a coppa davanti alla bocca. Deku lo guardò sorridendo e poi
allungò la mano dietro di sé per raccogliere qualcosa. Tirò fuori
un quaderno -proprio identico a uno di quelli che era solito
portarsi
dietro a scuola- e una piccola scatola di pastelli. Hisami si lasciò
catturare dalla loro visione e, trasformatosi in un bimbo calmo e
obbediente, cominciò a scarabocchiare con un pastello arancione, la
punta della lingua che spuntava fuori dalle labbra chiuse e il naso
tremendamente vicino alla superficie del foglio.
“Come
ti vanno le cose, Kacchan?” gli chiese Deku, distogliendo
finalmente lo sguardo dal bambino che -Katsuki doveva ammetterlo-
poteva sembrare anche un po' carino, quando non era occupato ad
urlare a pieni polmoni o ad aggrapparsi a lui.
“Pieno
di impegni. Punto ad essere l'eroe numero uno,
come sempre" pronunció gonfiando il petto.
"Sono
sicuro che ce la farai," gli rispose Deku educatamente, ma senza
la minima traccia di quella venerazione per il biondo che lo
caratterizzava da ragazzo.
"Tu
invece? Tua mamma diceva che stai lavorando in una clinica."
Deku
sembrò irrigidirsi di nuovo, a giudicare dalle spalle tese. Annuì,
muovendo a scatti la testa. Un mmmmh
gli uscì dalla bocca prima che cambiasse argomento.
"Ma
di sicuro non ti interessa sentirmene parlare."
"Perché
mai non vorrebbe? Il tuo è un lavoro importante, tesoro!"
Alle
lodi di sua mamma Deku rispose con un sorriso tirato, e poi i
genitori di Katsuki decisero di intervenire.
"Il
tuo Quirk ha qualcosa di magico,” disse Masaru e Katsuki si sentì
scoppiare un aneurisma in testa. Deku non aveva un Quirk.
“Non
avresti avuto Hisami senza il tuo Quirk. Sei l'uomo che fa
miracoli.”
“Io
sono un miracolo,” mormorò Hisami, un pastello verde stretto nel
pugno, con il tono di chi ha già sentito quelle parole un milione di
volte nel corso della propria breve vita.
“Di
che state parlando? Hai un Quirk, Deku?”
“Il
Quirk del mio papà fa i bambini.”
Katsuki
si strozzò con la sua stessa saliva. “Hah?”
Deku
nascose il volto tra le mani, buttando fuori un lungo sospiro.
Katsuki non comprese perché le parole Quirk magico e uomo
che
fa miracoli potessero causare una simile reazione.
Deku sollevò il viso dalle mani e puntò uno sguardo
imperturbabile dritto verso Katsuki, prima di spiegare tutto.
“Il
mio Quirk è comparso quando avevo 6 anni. E' un Quirk potente legato
alla fertilità, chiamato Procreate. Mi hanno registrato come senza
Quirk, perché in mani irresponsabili può diventare estremamente
pericoloso. Posso creare figli biologici a partire da due essere
umani, a prescindere dal loro sesso. Dirigo una clinica, siamo
specializzati nella FIVET e in gravidanze surrogate, offriamo il
supporto di ginecologi-ostetrici direttamente a casa. Ho la licenza
per impiegare il mio Quirk su coppie consenzienti. Ora, possiamo per
cortesia smetterla di parlare di lavoro?”
Katsuki
inarcò un sopracciglio al sentire non solo quella marea di
informazioni, ma anche la tensione che impregnava la voce
dell'altro.
Deku era sempre stato un tipo un po' strano e nervoso, ma mai
l'aveva
visto comportarsi come in quel momento. Non era sicuro se si
trattasse di una sorta di retaggio dei loro turbolenti anni da
adolescenti, o se Deku fosse semplicemente pazzo – con molta
probabilità entrambe le cose. In ogni caso, si poteva dire che il
suo mestiere aveva dato ottimi, impressionanti frutti. Guardò Hisami
di nuovo, domandandosi chi diavolo potesse essere l'altro suo
genitore. Qualcuno biondo, chiaramente.
Il
cameriere arrivò finalmente a liberare tutti quanti dal loro
supplizio, e Katsuki giurò quasi di aver sentito Deku mormorare un
Cristo grazie velato da un pesante sospiro. Elencarono i loro
ordini e Katsuki rise quando sentì sia Deku che Hisami ordinare un
katsudon.
“Assicuratevi
che il suo sia bello carico, per favore. Non lo mangerà se non è
abbastanza piccante,” si rivolse Deku al cameriere, lievemente
terrorizzato all'idea di servire un piatto piccante “di livello
tre”
ad un caspita di bambino seduto sul seggiolino. Nonostante ciò, li
accontentò. Katsuki si ricordò così di quando sua madre doveva
abusare verbalmente il personale di sala perché gli servissero un
ramen piccante abbastanza da farlo sudare. Accennò un sorriso,
rivedendo un po' di se stesso nel bambino.
Hisami
tirò il maglione di suo padre, invitandolo a chinarsi verso di lui
perché gli potesse sussurrare nell'orecchio. Izuku annuì e spinse
indietro la sua sedia.
“Scusateci,”
disse, mettendo Hisami a terra così che potessero sgattaiolare verso
il bagno. Quando i due si furono allontanati, Katsuki si sentì un
poco più rilassato. Sentimento condiviso apparentemente dal resto
della tavolata.
“Izuku
si sente bene?” tentò Masaru, il primo come sempre a percepire la
tensione imbarazzante delle situazioni.
“Non
lo so, ma sono abbastanza sicura che Katsuki sia il responsabile,”
rispose sua madre sorseggiando il drink con la cannuccia.
“Oi!”
le urlò di rimando il biondo, anche se –in un certo senso- era
cosciente che la donna avesse ragione. Pensò che tutta quella fosse
una pessima idea e si domandò perché, in primo luogo, avesse deciso
alla fine di partecipare all'uscita. Tralasciando giusto il
desiderio
di soddisfare la sua morbosa curiosità.
“Papà,
sei arrabbiato con me perché sono salito sul tavolo?” chiese
Hisami, mentre asciugavano le mani nel bagno del ristorante.
“Hai
fatto cosa?”
“Scusami
papà. Per favore non essere più arrabbiato con me,” gli disse,
alzando le mani umide in alto, nel gesto universale che significava
prendimi in braccio. Izuku lo accontentò.
“Non
sono arrabbiato, tesoro.”
Izuku baciò la testa bionda e riccioluta di Hisami, sentendosi in
colpa per il fatto che il suo turbamento interiore avesse fatto
preoccupare suo figlio.
“Sei
arrabbiato con Mr. Kacchan?”
“Non
esattamente, ma sento come un brivido
quando lo vedo.”
“Paura!
No, papà, non avere i brividi!” Hisami avvolse completamente la
testa di Izuku tra le sue piccole braccia, nel tentativo di farlo
stare meglio. Funzionò, effettivamente. Suo figlio era la sua
sicurezza più solida e costante nella vita- non era una cosa un po'
triste?
“Okay
tesoro, andiamo a mangiare.” disse, divincolandosi dal suo
dispensatore di coccole per rimetterlo con i piedi per terra.
Uscirono dal bagno mano nella mano, Izuku con un passo più lento per
compensare la lentezza delle gambe più corte di suo figlio. Quando
tornarono al tavolo, Hisami si prodigò in un nuovo siparietto,
lasciando la mano di sua padre per portarsi poi il dorso della
propria sulla fronte con un gesto melodrammatico, imitando una star
del grande schermo in procinto di svenire.
“Oh,
papà, sto così male!” Hisami collassò a terra nel bel mezzo del
ristorante, e Izuku dovette sinceramente fare del proprio meglio per
non scoppiare a ridere e incoraggiarlo a continuare. Hisami stava
chiaramente cercando di creargli una via di fuga e il pensiero gli
fece scaldare il cuore. Era un bimbo davvero troppo sensibile per la
sua età. Izuku si inginocchiò di fronte alla figura prona del
figlio.
“Stai
male, huh? Così tanto da dover rinunciare a un buon katsudon
piccante?”
Hisami
si irrigidì. Chiaramente non aveva considerato le implicite
conseguenze del suo fingersi malato per potersene andare via.
“Sto
bene, ora, papà,” sussurrò infine.
“Come
immaginavo.” Izuku rise e sollevò da sotto le braccia quel
birbante di suo figlio. “Niente più soap opere per te quando sei
dalla nonna.”
Kacchan
osservò tutta la scena con occhi increduli, ma un sorriso gli sfuggì
quando notò l'espressione imbarazzata sul volto di Hisami. Scoppiò
in una risata che sorprese pure lui stesso e... Izuku non seppe come
prendere la cosa.
Faceva
male più di quanto avrebbe dovuto. Pensarci gli faceva ribollire
l'intestino in un brodo di sensi di colpa e pentimenti. Il peso del
segreto gli pesava sul cuore. Oltretutto, se era orribile tenerlo
nascosto a Katsuki, esserne direttamente responsabile lo era ancora
di più.
Note
della Traduttrice:
Ora,
non so voi, ma io ho dovuto sacrificare un polmone per le risate che
mi sono fatta leggendo il ricco vocabolario che Katsuki usa per
definire Hisami.
In inglese ci sono delle sfumature tanto
particolari, ho cercato di riportare i toni comici di certi termini
senza cadere nella volgarità, ditemi se ci sono riuscita <3
Prime
impressioni sul piccolo Hisami?
Vi
mando un caldo abbraccio
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