Per Giuliana,
che dopo potrà
picchiarmi.
Imparare di nuovo
Il petto si alza e si abbassa al
ritmo del sonno. Allunga la mano a toccare i capelli scuri sparsi sul cuscino. Un
tempo, quando erano piccoli, piccolissimi, era convinto che i capelli di Sasuke
dovessero essere morbidissimi, impalpabili come la notte. Ha scoperto che sono
spessi e un po’ secchi quando li ha stretti la prima volta che lo ha baciato e,
questo lo ricorda bene, ci è rimasto più male per quella consistenza fallata
che per il bacio goffo e impacciato che si sono scambiati.
Ancora oggi, a molti anni – e baci
– di distanza, Naruto s’inganna sulla loro morbidezza e spezza la propria
illusione con delle carezze curiose. Ha smesso di restarci male, di pensare che
Sasuke non potesse avere imperfezioni – fisiche, perché il suo carattere di
merda lo conosce fin troppo bene – e sorride di fronte a quel microscopico difetto
che solo lui conosce così a fondo.
Per altri sono solo capelli, per
lui è la seta che muta in cotone grezzo. E questo rende il compagno così umano
che non può fare a meno di sorridere, mentre lo guarda dormire, il profilo
appena illuminato dalla luce dei lampioni che filtra dalla finestra.
Lui non dorme, invece. Non ce la
fa. Ogni volta che chiude gli occhi si sente soffocare. Il silenzio dell’esterno
lo angoscia e gli ricorda che abitano in una delle strade più trafficate della
città, che quella quiete è innaturale, sbagliata.
Da quanto non ci sono più rumori?
Naruto non lo ricorda. Ha perso il conto dei giorni da un bel po’, ormai e, assieme
allo scorrere del tempo, ha dimenticato anche come si dorme.
Ho scordato troppe cose,
riflette. E cerca di ricordarsele tutte, una per una. La prima è la sensazione
del sole sulla pelle, la carezza del vento e il profumo frizzante delle mattine.
La sua pelle non è mai stata così pallida e la confronta subito con quella di
Sasuke, che pare più chiara del solito. Sembra, e Naruto ha un brivido al
pensarlo, che una gomma da cancellare sia passata sulle loro epidermidi e abbia
sottratto il colore, lasciando sotto vene bluastre e muscoli stanchi.
La seconda è il camminare, il
vagare senza una meta per strade e parchi. Ha un vago ricordo di passeggiate al
gusto di gelato d’estate e di cioccolata calda d’inverno; di lui che ride, ride
e Sasuke che lo rimprovera per qualche buffonata, ma in fondo ride anche lui,
di quel riso che Naruto adora. Perché quando Sasuke ride lo fa in modo tutto
suo, sollevando appena l’angolo sinistro della bocca e con un suono sommesso,
riservato. E lo devi cercare, quell’angolo, perché Uchiha è velocissimo a
riabbassarlo, imbarazzato dal suo stesso gioire, ma Naruto è rapido e ruba
sempre quella risata con un bacio. Ora è un po’ che Sasuke non ride ma, se ci
pensa bene, è un po’ che non ride neppure lui. Quindi la terza cosa che non si
ricorda bene è come si fa a ridere. Ha la sensazione che un peso si sia
appoggiato sulle sue labbra e le tiri verso il basso. E sì che un tempo lo
faceva tanto e a lungo. Rideva per ogni cosa. Rideva quando era felice, rideva
quando era triste perché ridere era più facile che piangere.
Giusto ora gli è venuto in mente
che non sa più neanche come si piange. Perché è chiuso in casa da giorni,
perché Sasuke non vuole che escano se non per fare la spesa, perché si deve
bardare come in un’apocalisse zombie e anche questa battuta non fa più ridere.
Perché almeno agli zombie puoi sparare in testa, ma a un virus che gli fai? Nulla,
così anche le lacrime si sono seccate nel grigiore quotidiano, tra mascherine
impersonali, odori di disinfettanti, guanti in lattice pieni di talco che
puzza, si appiccica, s’addensa in grumi di polvere e amuchina e allora sì che
si sente davvero male, perché il pensiero va a Sakura, in ospedale, che fa
turni massacranti e ha a malapena tempo di mettersi cinque minuti la sera con
loro su Skype. E lo vede, che è stanca; così si sente in colpa perché lui in
fondo sta bene, Sasuke pure, devono solo stare in casa mentre lei è là fuori a combattere
un nemico invisibile. Perché l’amica torna ogni sera in una casa vuota e loro
sono assieme e così le sue lamentele, le sue paure, per il breve tempo della
chiamata, divengono vacue e stupide. Però è Sakura a rassicurare loro, a dirgli
che andrà tutto bene, che devono stare a casa, fare esercizio e non uscire se
non necessario. Così stringe la mano di Sasuke, che stringe la sua e assieme
hanno forse un po’ più paura, perché c’è il peso dell’altro.
«Cosa succede se mi ammalo?» si
chiedono a vicenda con gli occhi «Cosa succede se ti lascio solo? Cosa succede
se…?». E nessuno dei due ha il coraggio di finire quella domanda. È meglio
preoccuparsi per Sakura, che sta da sola, che ammettere che la paura più grande
è stare in casa, assieme, vedersi uscire e non sapere se sarai fortunato, o se
hai portato la morte per entrambi. E litigare, perché lo spazio è poco, e hai
bisogno di privacy, e fai troppo rumore, e c’è puzza di ramen, e basta comprare
pomodori che tanto vanno a male, e…
Naruto sente troppo rumore dentro
la sua testa, ché ha dimenticato, tra le altre cose, come si spegne. Guarda
Sasuke, che ora non dorme più e lo guarda con gli occhi scuri vispi, attenti e
stanchi; gli occhi di chi ha solo finto di dormire per prendersi qualche
carezza, perché neanche una pandemia farà ammettere a Uchiha di apprezzare le
coccole.
«Non dormi?» gli chiede. Naruto
scuote il capo.
«Non ci riesco».
Sasuke sospira.
«È questo fottuto silenzio»
commenta. E il fatto che l’abbia detto, che abbia constatato che è vero, che è
un grumo tumorale nello scorrere della notte, rende la consapevolezza un po’
più leggera.
«Già».
«Vuoi che metto la musica?» gli
chiede, prendendo il cellulare. Non aspetta una risposta. Apre Youtube, una
melodia rilassante riempie la stanza. Ma Naruto non vuole la musica. Vuole
rumore, vuole qualcosa che gli ricordi che là fuori il mondo esiste ancora, che
il tempo scorre e non si è fermato con loro all’interno di una stanza, perché
chi dice che l’amore è due cuori e una capanna non capisce un cazzo. Perché ha
paura che alla fine di tutto, se mai ci arriveranno alla fine, saranno saturi l’uno
dell’altro. Perché la convivenza può uccidere l’amore e una convivenza forzata
rischia di lasciarlo a terra, agonizzante, senza concedergli la pietà di un
colpo secco.
Perché vuole sentirsi vivo, attivo,
e non immobile. Vuole scrollarsi di dosso la stasi che lo soffoca, la vischiosa
sensazione di essere cristallizzato nel tempo. Ed è grato quando Sasuke spezza
il flusso dei suoi pensieri e dà voce al groviglio di sensazioni che lo divora.
«Ho paura». Lo dice con un fil di
voce, un sussurro fragoroso che spazza via il silenzio. Ha paura anche lui e
questo fa sentire Naruto meno stupido e Sasuke un po’ più umano.
«Ho paura di un sacco di cose a
cui non so dare un nome» continua Uchiha. Si tira su, appoggia la schiena al
muro. Naruto osserva il lenzuolo raggrumarsi sul suo ventre nudo. Ombra scura
sulla pelle chiara. Sasuke sembra uscito da un film in bianco e nero e Naruto
ha una stretta allo stomaco, nel pensare a come il mondo si sia ingrigito all’improvviso.
«E forse è questo che mi spaventa. Se sapessi come chiamarle, forse…»
«…se le cose hanno un nome le
puoi sconfiggere» conclude Naruto. Si morde la lingua, quando Sasuke lo guarda.
È così raro che Uchiha parli di cosa lo turba e spezzare quell’improvvisa
confidenza gli dispiace, ma la voce gli è uscita dalla pancia e Sasuke non
sembra arrabbiato.
«Già» afferma «Queste, di paure,
non so come si chiamano».
«Neanche io» ammette Naruto. E
posa la mano sul ventre di Sasuke. Gli si avvicina, cercando un po’ di calore
anche se non fa freddo. Vuole solo ricordarsi come si fa ad abbracciarsi. «Io
ho paura del dopo» aggiunge, poi «Ho paura di scordarmi le cose, Sasuke. Ho paura
che quando usciremo da qui non sapremo più voler bene».
Ecco, lo ha detto. E come lo dice
Sasuke alza l’angolo della bocca, forse faticando un po’ più del solito, ma lo
alza e il riso arriva agli occhi che anche se non si vedono bene nella penombra,
Naruto li sente che stanno ridendo.
«Questo non è possibile, idiota»
il tono è sprezzante, ma la mano che passa tra i suoi capelli no «Non si può
disimparare a voler bene. Non tu, almeno».
«E perché ne sei così sicuro?»
sbotta Naruto. Sasuke gli attappa il naso e gli risponde: «Che sai sempre
abbracciarmi,» Naruto si libera dalla presa «perché sei una piovra. Ora dormi,
che io domattina devo lavorare e non ho tempo di stare dietro alle tue
paranoie».
Si sdraia, tenendo Naruto contro
di sé. Lo stringe talmente forte che si sente soffocare da quell’abbraccio in
cui si avvolge, al sicuro. E sono i battiti del cuore di Sasuke che lo cullano,
il suo respiro che riempie il silenzio, mentre i suoi singhiozzi si sbloccano
assieme alle lacrime. Ché forse, a piangere, ha finalmente imparato di nuovo. E
se ci si può stringere in qualche modo, tanto da far uscire le lacrime, allora
ci si può ricordare anche di come si fa a volersi bene.
N/A: Tanti auguri Giuliana
e scusa. So che mi avevi chiesto raiting arancione (e non lo è), fluff (e forse
un poco lo è) e SasuNaru (va be’, questo c’è no?), ma la quarantena ha preso il
sopravvento sulle altre richieste e così mi è uscito questo Naruto un po’ angosciato.
E boh, ammetto che non è neanche lo stile che uso di solito, non so neppure se
mi piaccia o meno, ma spero che piaccia a te e che non ti metta ansia, ma non
ci riesco a scrivere cose buffe in questo periodo.