ReyloAU
La sua vita
era stata noiosa negli ultimi anni. Tendenzialmente monotona e vuota.
Un pomeriggio primaverile sarebbe dovuto essere soltanto un altro
giorno non diverso da tutti gli altri.
Noioso e monotono e
vuoto.
Programmi delle sue ultime giornate erano ore e ore di niente in cui
rigirarsi pigramente e in cui sfilare tra debolezze e solite
autocommiserazioni.
E poi non era riuscito a prevederlo e non era stato pronto e il suo
pomeriggio era cambiato
– ogni
cosa della sua esistenza era cambiata.
Lei era entrata nella sua vita ed era scesa nella sua pelle e nel suo
sangue e aveva stravolto le sue certezze.
Era seduto ad annoiarsi sul divano quando Rey gli aveva scritto un
messaggio e gli aveva proposto di passeggiare insieme al parco
cittadino. Lui le aveva risposto di sì senza neppure
pensarci un secondo. In meno di mezz’ora erano riusciti ad
organizzarsi e ad incontrarsi alla fermata dell’autobus
principale che tagliava una delle vie centrali della città.
Ben era arrivato in anticipo di pochi minuti e non era stato un bene.
Un errore sciocco che aveva comportato delle conseguenze sciocche.
Scorgere la panchina della piazzola vuota gli aveva morso lo stomaco.
Non vedere Rey gli aveva stretto il cuore in una strana morsa
fastidiosa che aveva cercato di ignorare il più possibile,
di seppellire in un punto inaccessibile della sua anima e di
dimenticare subito. Un pugno di nervi e sangue che gli aveva scosso il
cervello e la curva della nuca.
Perché mi
tormenta questa stranissima sensazione di panico e di soffocamento?
Perché mi sento perso?
Non aveva avuto modo di riflettere. Rey aveva urlato il suo nome nel
tentativo di richiamare la sua attenzione e lui l’aveva
salutata con un movimento accennato del mento. Non si era avvicinato ad
abbracciarla o a baciarle il capo. Aveva costretto le sue mani a non
abbandonare le tasche del suo giubbotto e il suo atteggiamento era stato frainteso ed era risultato troppo scontroso e distaccato. Ma
aveva un’immensa paura di invadere i suoi spazi. Conviveva
con il costante terrore di sbagliare qualcosa e di perdere la sua
amicizia. Era una prospettiva che lo atterriva e che gli atrofizzava
arterie e muscoli.
Come in questo momento
in cui passeggiamo in silenzio e ci scambiamo soltanto poche parole o
cenni.
Sembravano impacciati e Ben maledisse il suo strano atteggiamento di
prima e la sua inesperienza. Non era inusuale che trascorressero del
tempo insieme senza avere alcuna motivazione pratica ed era una
quotidianità che lo atterriva. La sua mente si confondeva ad
ogni nuova proposta di Rey – beviamo un caffè
insieme dopo il lavoro? pranziamo insieme prima di andare in palestra?
ti va di passeggiare insieme?
Si era domandato se era questo il comportamento degli amici. Amici non
ne aveva mai avuti e dunque non poteva saperlo. Nessuno aveva
desiderato avvicinarsi a lui e Ben aveva preferito creare una costante
distanza con chiunque. Era stato più semplice e se lo era
ripetuto mentalmente più volte.
La distanza mi
impedirà di ferire e di essere ferito. È meglio
così. Sì, è meglio così.
Non sapeva come avesse potuto legarsi così tanto a Rey, non
ne era certo. La loro conoscenza era nata per caso a causa di una
bicicletta rotta e di un passaggio a casa. Ben credeva di essere suo
amico. Sperava con ogni briciola folle di se stesso di non essere
più considerato un simpatico conoscente incontrato in
palestra. Ma non poteva domandarglielo in maniera diretta. Sarebbe
stato ridicolo e controproducente.
E allora che cosa
sarebbe stato giusto fare? Ignorare il caos che lo scombussolava dentro?
Da tempo conduceva in quel modo la sua vita. La sua mente aveva
imparato una sola reazione e una sola soluzione: vivere alla giornata e
non aspettarsi alcunché da niente e da nessuno. Non
concedersi delle aspettative significava salvarsi dalla
possibilità di ritrovarsi intrappolati in delle cocenti
delusioni. Era un comportamento infantile? Codardo?
Non gli interessava. La domanda più insistente nella sua
mente era un’altra.
Perché Rey aveva scelto di essere sua amica?
Forse mi chiede di
trascorrere del tempo insieme perché ha pietà di
me. Forse ha compreso che io provo qualcosa di molto più
forte dell’amicizia e cerca ogni volta di dirmelo e non sa
come fare. Credo di essere sempre stato molto attento e molto
distaccato. O forse non sono sempre riuscito a nascondere
ciò che provo. Forse ho sbagliato ogni cosa e non comprendo
più niente. Mi ha completamente accecato e non distinguo il
vero dal falso.
Continuavano a camminare in silenzio e la sua mente si stava perdendo
in uno strano dedalo di insicurezze.
Ricordò il venerdì sera in cui aveva comprato un
bicchiere di cioccolata calda da Starbucks e l’aveva portato
a Rey alla fine del suo giro di allenamenti in palestra. Quando le
aveva offerto il bicchiere con il suo nome scarabocchiato sopra
– un
Rey svolazzante – lei lo aveva osservato con
un’aria basita. Secondi interminabili erano trascorsi prima
di vedere il suo sorriso e di sentire le loro mani sfiorarsi. Aveva
avuto paura di aver oltrepassato un limite invisibile, di aver
calpestato un’ombra
solida e chiara. Si era ripromesso di prestare
più attenzione e di non agire senza aver prima riflettuto
attentamente. Aveva funzionato ma non sempre.
Ricordò un’altra passeggiata. Avevano camminato
per ore senza mai smettere di parlare e all’improvviso Rey
era caduta a faccia in giù sul prato. Le sue scarpe da
ginnastica si erano rotte, completamente scucite alle suole. Troppo
vecchie, usate e logore. L’aveva aiutata a rialzarsi e non
era riuscito a sopportare il suo sguardo triste e imbarazzato.
L’aveva convinta a salire a cavalcioni sulla sua schiena e
l’aveva riaccompagnata a casa così. Rey aveva
intrecciato le braccia intorno al suo collo e aveva riso fra i suoi
capelli e con le gambe gli aveva stretto fortissimo i fianchi. Una
continua frizione sulla sua schiena che gli aveva occluso il respiro e
scaldato il ventre. Si era comportato da stupido pur di farla ridere.
Gli ultimi due isolati aveva corso e la sua risata gli aveva riempito
la testa. Era
stato stordito dalla felicità.
Ricordò un pomeriggio al cinema. Rey era troppo stanca a
causa dei turni asfissianti nel suo negozio di antiquariato e si era
addormentata durante il film. Aveva posato la testa contro la sua
spalla destra e si era abbarbicata al suo braccio. Si era costretto a
rimanere ancorato al bracciolo della poltrona. Per più di
un’ora si era mosso il minimo indispensabile e aveva cercato
di seguire le ultime scene dello sceneggiato. Un tentativo che era
fallito in maniera misera. Nel momento in cui i titoli di coda avevano
iniziato a scorrere lui non aveva più pensato e le aveva
spostato i capelli dalla fronte e dalla bocca aperta. Rey si era
svegliata intontita dalle luci ed era rimasta ferma ad osservarlo senza
dire una parola. L’ansia di aver nuovamente oltrepassato un
limite invisibile lo aveva spinto ad alzarsi dalla poltrona e a
camminare svelto verso l’uscita del cinema. Entrambi avevano
deciso di far finta di nulla e Ben era stato grato del miracolo che non
avrebbe mai meritato.
Cosa altro dovrei fare?
Come altro posso comportarmi? Cosa devo cambiare ancora?
Ma il suo vero problema era non aver considerato adeguatamente la
naturale capacità di Rey di ingarbugliare e di sfaldare i
suoi propositi prefissati con grande impegno. Ben non riuscì
ad impedire che ogni sua buona intenzione fosse brutalmente arenata da
una semplice frase scherzosa, da un tocco innocente delle loro mani.
Rey gli sfiorò il polso della mano destra con le dita e lui
– di
nuovo e ancora e sempre – non comprese
più nulla.
“Prova a prendermi.”
Glielo chiese con un sorriso strano e una smorfia triste. Poche parole
che erano riuscite a sbriciolargli la ragione. Come poteva impedire che
le sue sensate decisioni non crollassero scomposte dinanzi allo
scorrere impazzito dei suoi nervi? Soltanto camminare al fianco di Rey
era un logorio di concentrazione e di controllo. Una tempesta di
volontà contrastanti che era costretto a soffocare e a
trasformare in uno strappo nero della sua mente. E ogni giorno
diventava sempre più complicato e deludente. Perché i suoi piani
riuscivano sempre a scolorire e a perdere di significato? Che cosa
doveva fare? E che cosa era giusto fare? Lei era troppo
splendida e magnifica per un uomo come lui. Lei era giovane, troppo
giovane. Diciannove anni e un’energia indomabile, un
ottimismo impossibile da schiacciare. Un’assurda bellezza
talmente tanto prorompente da risplendere in ogni suo gesto. Il suo
petto tremava quando era in grado di strapparle una risata. Ben
bruciava nella sua luce. Era
come rinascere.
“Che cosa hai detto?”
Tentò di mascherare la sua scarsa concentrazione con un tono
di voce monocorde e con un colpo di tosse. Il sorriso di Rey era sempre
più triste.
“Secondo me sei lentissimo e non riuscirai mai a
prendermi.”
Non ebbe neanche il tempo di risponderle o di poter pensare ad una
risposta sensata. Lo aveva lasciato lì, così. Rey
aveva iniziato a correre e lui si era fermato ad osservarla.
Un’espressione stupidamente basita in volto e le mani ancora
testardamente nascoste nelle tasche del suo giubbotto.
Ma come era successo?
Perché una tranquilla e rilassante passeggiata aveva assunto
una nuova piega? Cosa aveva sbagliato? Perché Rey correva e
si voltava a guardarlo?
Era stato troppo immerso nei suoi pensieri e nei suoi squilibrati
discorsi mentali. Non era stato attento, non era stato preparato. La
spina nel cuore era tornata.
Continuò ad osservare Rey che correva, che rideva e che
sembrava felice e spensierata – lontana da lui, sempre
più lontana da lui.
Qualcosa gli scosse il petto e lo stomaco. Un’altra strana
sensazione di panico e di inadeguatezza gli morse le viscere e gli
soffocò il respiro. Cosa avrebbe dovuto fare? Cosa
era giusto fare?
Correre. L’unico pensiero coerente. Quasi inciampò
nei suoi stessi lacci e iniziò a correre. Lei rise e non si
fermò, non rallentò il passo. Rideva e gli urlava
qualcosa che il vento aveva strappato via dalle sue orecchie e dalla
sua coscienza. Correre. Rey era vicina e il suo giubbotto chiaro
svolazzava verso la sua mano. Correre. Afferrò i suoi
fianchi e coprì la sua schiena con il suo petto.
Scivolò di lato e travolse entrambi. Le protesse il capo e
il corpo nella caduta, cercando di attutirle il colpo. La strinse forte
e respirò tra i suoi capelli sciolti sul suo volto. Erano
sdraiati sull’erba umida e Rey gli strinse la camicia e il
suo cuore impazzito – un grumo macchiato di atti
odiosi e crudeli.
“Avrei potuto farti male! Ma cosa ti è saltato in
mente?”
Non smise di stringerla tra le braccia. Le sembrò piccola,
una bambina. Temeva di poterla spezzare tra le sue mani. Sapeva che lei
avrebbe potuto spezzargli il cuore.
“Hai ragione. Che cose assurde devo sempre inventare pur di
riuscire ad averti vicino. Pur di riuscire a sentirti. Non ho alcuna
speranza?”
Ancora una volta non ebbe modo di risponderle o di pensare a qualcosa
di adeguato da dire. Rey gli stava accarezzando il volto e le guance.
La sua risata si era spenta con un’eco di delusione e il suo
sorriso triste scavava voragini nel suo cuore. Gli sfiorò il
mento e gli sembrò che le sue mani tremassero.
Si sporse e lo baciò.
E la sua reazione istintiva fu di stringerla più forte.
Lasciarsi stringere e baciarla. Schiudere le labbra e assaporarla.
Mille spine nel sangue, tagli alle ginocchia e calli aperti sulle mani
e sui piedi. Una sofferenza dolorosa che avrebbe anche vissuto in
eterno. Lividi sulle ossa e tendini strappati. Non riusciva a fermare
il bacio. Non riusciva a non ricambiarla. Non era in grado di
riflettere e di domandarsi in che modo la situazione aveva potuto
capovolgersi. Un’onda acuta di felicità
indolenzì le sue membra e ovattò i suoi pensieri.
Le sue costole contenevano con difficoltà il tamburellare
scoordinato delle sue vene. Non importava più niente.
La amava e forse glielo disse.
************
Non aveva piena coscienza di se stesso. Non sapeva bene come potesse
trovarsi sul divano dell’appartamento di Rey. E con Rey tra
le sue braccia. Non lo sapeva. Ricordava soltanto il bacio. Pensava a
tutti i baci che avevano continuato a scambiarsi. Qualcuno gli aveva
urlato contro che entrambi meritavano una gravosa multa per atti osceni
in luogo pubblico e che c’erano dei bambini a passeggiare nel
parco e che non potevano rotolarsi in quel modo sul prato.
E poi basta, non ricordava altro – ma forse ricordava anche
abbastanza.
Rey era tra le sue braccia e sorrideva e gli baciava le guance e il
mento, cosa altro avrebbe dovuto ricordare?
“Devo dirti una cosa importante.”
Ben annuì e continuò a stringerla fortissimo al
suo petto. Gli sembrava di vivere un miracolo. Un miracolo di carne e
ossa e sangue. Aveva i suoi capelli vicino alla bocca e sentiva le sue
labbra vicino al lobo del suo orecchio sinistro. Gli tremava il cuore
dall’emozione. Gli tremava tutto il corpo.
“Devi averlo già capito, però io... no,
in realtà devo dirti due cose. O forse di più.
Credo di doverti dire tre cose, ho perso il conto. Sono un disastro,
non so come iniziare e mi sento molto stupida. Anzi, sono una stupida
perché ho agito senza pensare e adesso non riesco a
spiegarmi.”
Rey si allontanò da lui torturandosi malamente le dita e i
palmi delle mani. Era persa ad osservare le cuciture del divano e Ben
deglutì, scavando alla ricerca di stralci di calma dentro se
stesso.
Si è
già pentita? Il bacio era soltanto un gioco senza alcuna
reale importanza e adesso non sa come dirmelo? Perché mi ha
baciato? Perché mi ha abbracciato vicino al portone di casa
sua e mi ha chiesto di salire nel suo appartamento?
Ha detto che dovevamo
parlare ma ci siamo seduti sul divano e non abbiamo smesso di baciarci.
È stato spontaneo e ha reso ogni altra cosa superflua. Lei
con il sorriso e aggrappata alla mia camicia mentre io con il suo
sapore sulla lingua e le sue forme sul mio corpo. Un miracolo.
E non riuscivo comunque a smettere di chiedermelo. Perché mi
hai baciato? Perché mi stai baciando ancora?
Ben deglutì più rumorosamente e senza
accorgersene posò la fronte contro la sua spalla sinistra.
Il suo cervello aveva bisogno di ossigeno ma non poteva smettere di
pensare al modo in cui Rey si era staccata improvvisamente. Gli aveva
già fatto comprendere ogni cosa. Si morse la guancia e
sospirò rassegnato.
“Dimmelo. Sono pronto.”
Lei giocò con i capelli vicino alla sua nuca e gli
sfiorò il collo senza dire una parola. Il cuore
ricominciò a tremargli talmente tanto forte da strappargli
il respiro e da chiudergli la gola in una tempestosa apnea.
Perché mi hai
baciato? Perché?
Spine nel fianco cominciarono a piegargli la volontà e gli
impedirono di chiederglielo.
Le sue costole gracidarono e un crampo gli colpì la bocca
dello stomaco e ogni muscolo del suo addome.
Sollevò il capo e si bloccò a guardarla negli
occhi. Rey aveva ricominciato a tormentargli la camicia ed era agitata.
Lo percepiva tra l’angolo dei suoi gomiti che le stringevano
la vita. Lo sentiva fra i suoi palmi che continuavano ad accarezzarle
piano la schiena. Non aveva mai potuto sfiorarla. Si era imposto di non
avvicinarsi e di non invadere mai i suoi spazi. Adesso sembrava
impossibile poterne fare a meno. Era una tortura di vuoto e di
solitudine non toccarla. Non sentire il peso del suo corpo contro il
suo petto e la morbidezza delle sue braccia intorno alle sue spalle.
Desiderava accarezzarle le labbra con i polpastrelli e dirle che aveva
un sapore dolce. Che lo aveva sognato ogni notte e che si era maledetto
ogni mattina. Mai abbastanza.
Ho cercato di
nasconderlo a te e a me stesso. È stato impossibile non
innamorarmi di te. Ti amo. Sono innamorato di te. E tu l’hai
capito ed io ho già rovinato ogni cosa. Per questo devo
allontanarmi e deve tornare tutto come prima. O non saremo neanche
più amici? È finita e basta?
Raffazzonò ogni frammento di coraggio ancora intatto e
cominciò a sciogliere l’abbraccio. Rey
fermò il suo movimento afferrandogli le braccia. Il suo
volto era spaventato ma senza alcuna incertezza.
“Ben. Non so come altro dirtelo, tu sai che non sono brava
con le parole e che la comunicazione non è il mio punto
forte e che certe cose mi spaventano ma...”
Non
c’è bisogno, ho già capito.
Era il pensiero che avrebbe voluto urlare.
Non
c’è bisogno, ho già capito, va bene
così.
Cercò di intervenire al fine di tranquillizzarla e
rasserenarla ma non venne ascoltato.
“Ben. Tu mi piaci. Mi piaci moltissimo.”
Lui sbatté le palpebre in uno sfarfallio e tentò
di razionalizzare. Si rivelò l’ennesimo fallimento
di quella giornata perché Rey si sporse e lo
baciò labbra contro labbra e non gli concesse il tempo di
ricambiare. Lo baciò come a voler suggellare ciò
che gli aveva appena detto – le mani ferme e che non
tremavano più e che gli avvolsero le guance a coppa.
Si scostò di poco e gli parlò contro il mento.
“Da diverso tempo volevo chiederti se anche tu provavi
qualcosa per me e ci ho provato, ci ho provato tanto, ma non ci sono
mai riuscita. A volte mi sembrava di sì. Altre volte credevo
di aver sognato e di aver frainteso ogni gesto. Sei più
grande di me e sei tu. Insomma, sei tu. Mi accusavo di essere troppo
egocentrica. Mi costringevo a tornare con i piedi per terra e mi
chiedevo cosa avresti potuto trovare di bello e attraente in una
ragazza-nessuno come me. Proveniamo da due realtà molto
diverse. Nella mia testa mi ripetevo a cantilena che il nostro rapporto
era abbastanza e che la nostra amicizia era tutto e che era bellissimo
essere legata a te come amica. Soltanto come amica.”
Era sconvolto.
“Che cosa stai dicendo?”
“Ma oggi eri così freddo e distaccato e volevo
soltanto farti ridere e vederti felice insieme a me. Tu mi rendi sempre
spensierata e io non riesco sopportare che tu sia triste. E ci siamo
ritrovati vicini e tu lo sai. Certo che lo sai.”
Mi hai baciato. Eravamo
vicini e mi hai baciato. E ci siamo baciati e abbiamo continuato a
baciarci e ho sentito macchie di lividi formarsi sulle ossa.
Riuscì un secondo ad inserirsi nel suo discorso e lo fece
con una domanda sbagliata.
“Quindi mi hai baciato perché non volevi vedermi
triste?”
Il suo sguardo avrebbe potuto incenerirlo e maledirlo in eterno. Rey
arricciò la bocca in maniera oltraggiata e gli
colpì la spalla con un blando pugno.
“No! Ti ho baciato perché mi piaci! Mi piaci tanto
e non sapevo come dirtelo e ti ho baciato. Non ho mai avuto un ragazzo
prima e non mi è mai piaciuto nessuno e non so come bisogna
agire in queste situazioni. Le parole che mi ero preparata sono
scomparse e ti ho baciato.”
Rey smise di picchiarlo e si morse le labbra. Raddrizzò la
schiena e gli mostrò come la paura non fosse in grado di
smorzare un animo coraggioso come il suo. Era sempre stata
più forte e intraprendente di lui. Lei non
tentennò più e gli toccò il centro
dello sterno con la punta delle dite. Aveva un sorriso nervoso che gli
spezzò il fiato.
“Io provo qualcosa per te. Non è una stupida cotta
o una semplice infatuazione. Voglio essere sincera con te. Io provo
qualcosa di molto forte per te.”
Non possedeva le parole giuste. Non aveva proprio parole. La sua mente
operava vari tentativi di sbrogliare in fili sottili le frasi di Rey e
la sua vista sembrava punteggiata da macchioline bianche.
Strizzò gli occhi e le palpebre con confusione. Un senso di
nuova inadeguatezza gli avviluppò le tempie.
Che cosa?
Era confuso.
È vero?
Era confuso e senza una bussola. Non c’era nessun aiuto
possibile all’orizzonte che avrebbe potuto calmargli il caos
nella sua testa.
È
un’illusione?
C’erano soltanto immagini e ricordi che si mescolavano
incessantemente e che gli mostravano i mesi passati sotto una luce
diversa. Il silenzio cresceva e diventava pesante e non
riuscì più a sostenerlo.
“Tu sei una cerca-rottami.”
Si masticò le labbra e le trattenne tra i denti prima di
lasciarle andare. Il suo respiro non era regolare e sul palato aveva il
sapore del sangue. Riprese con un filo di voce il suo ragionamento
sgangherato.
“Sei una cerca-rottami e vieni dal nulla, è
vero.”
Il modo in cui Rey si alzò dal divano lo bloccò
– era
come scottata e ferita.
Camminò all’indietro fino a quando non
sfiorò il tavolo e poi incrociò le braccia in un
atteggiamento di difesa. Ben si alzò e fece il gesto di
avvicinarsi ma lei mosse la testa in segno di diniego.
Cosa aveva detto?
Improvvisamente si era chiusa a riccio e
un’ondata di panico gli aprì il petto con il
rischio di ucciderlo.
“Rey, no.”
“Se devi prendermi in giro e sminuirmi non
c’è assolutamente bisogno che ti
disturbi.”
“Rey.”
Le afferrò il polso e lo circondò soltanto con
due dita. Sotto il suo polpastrello c’era il battere
accelerato del suo polso. Ebbe il desiderio feroce di sbattersi la
testa contro il muro a causa del senso di colpa. Lo sguardo di Rey era
fiero ma c’era del dispiacere intorno all’angolo
dei suoi occhi. Riportò il suo palmo al centro del suo petto
– gli
aveva afferrato il cuore tutto il tempo, perché adesso no?
– e avvolse il suo piccolo pugno nella sua mano. In un primo
momento mosse le labbra a vuoto. Poi avvertì una scarica tra
le sue vertebre e una bolla sgonfiarsi dal suo sterno.
“Ti ricordi la prima volta che abbiamo bevuto una cioccolata
calda da Starbucks?”
“Cosa c’entra adesso?”
“Mi parlasti del tuo lavoro. Avevi trovato
un’occasione nel negozio di antiquariato di Maz ed eri
felice. Hai detto che eri una cerca-rottami e sorridesti. Te lo
ricordi? Perché ti piaceva vedere gli oggetti in maniera
diversa da Maz e trovavi la bellezza anche nei rottami. Eri
felice.”
C’è bellezza anche negli oggetti rotti o sbeccati,
c’è bellezza nei rottami. Ben, credo ci sia
bellezza ovunque.
L’espressione di Rey si ammorbidì e il suo corpo
si curvò verso il suo.
“Io sono un rottame di uomo. Un rottame di essere
umano.”
Hai trovato la bellezza
anche in me ed è il più grande e meraviglioso
miracolo. La meraviglia delle meraviglie che non avrei mai potuto
credere possibile.
“Rey. Tu lo sai cosa provo per te.”
Tu lo sai che io ti amo
più della mia vita.
In entrambi qualcosa si spezzò. Sentimenti e ragione si
dispersero a terra e un’emozione più grande li
avvolse. Ben si massaggiò la fronte con la mano libera e
strinse la radice del naso. Si rese conto che avrebbe voluto dirle
altro.
Non sono bravo con le
parole. Ti amo. Mi hai preso nella tua luce e non voglio più
lasciarti. Sto combinando un disastro perché non mi sembra
vero.
Rey guardò le loro mani intrecciate e si avvicinò
a baciargli le nocche. Le sue labbra bruciarono la sua pelle che si
increspò al sospiro delle sue parole.
“Tu non sei un rottame.”
Lui le baciò la testa e la fronte e il naso. Lei rideva e il
suo cuore era colmo.
“Non è vero che sei nessuno. Non è vero
che sei niente. Non pensarlo mai.”
Le parlò sulla bocca e sul mento. Sulla mandibola e sulle
lentiggini che divorò. La sua risata nelle orecchie lo
inebriava e lo spingeva a continuare.
Avrebbe ancora voluto dirle altro. Che il suo corpo era caldo. Che non
aveva mai visto le sue lentiggini tanto da vicino e che erano
un’arma in grado di vincere guerre e battaglie tra galassie.
Che amava le sue ciglia e il colore dei suoi occhi. Che la amava e
basta.
C’era il suo sapore sulla lingua e sul suo palato e sui suoi
denti. Glielo restituì sul labbro superiore e le
strappò un gemito.
C’è
davvero bisogno di parlare?
Lui era un rottame. Un mostro, secondo l’opinione delle persone a cui
aveva fatto del male. Ma a lei non avrebbe fatto del
male. Avrebbe protetto Rey dai suoi errori e dal suo passato. Sarebbe
stata la sua missione costante: proteggerla da chiunque e soprattutto
da se stesso. Mai e mai e mai le avrebbe fatto del male.
Non posso perderti. Non
possiamo perderci.
Angolo autrice.
Ciao a tutti! Lo so, è schifosa. Mi dispiace tantissimo ma
sembra che questa storia meglio di così non voglia essere
scritta. È il prequel di “Just us
together”. Nell’altra storia viene soltanto citato
il loro primo bacio e io ho voluto approfondire la scena di questo
primo bacio e come Ben e Rey sono diventati una coppia. Questo finale
non è un lieto fine. Le decisioni e i pensieri di Ben sono
totalmente sbagliati ma è il tema centrale di
“Just us together” ed è in quella storia
che vengono – si spera meglio? – analizzati. Mi
dispiace davvero, spero possa piacervi almeno un po’. Grazie
mille e scusatemi se Ben e Rey non vi sembrano IC. Ho provato in ogni
modo a lasciarli loro stessi anche in un contesto AU. Li amo tantissimo
e mi dispiace se non sono stata all’altezza.
|