DALLA PARTE DI GREGOR

di JAPAN_LOVER
(/viewuser.php?uid=1060942)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


UN NUOVO INCARICO
 

GREGOR

Mi presento, sono Gregor Startseva, allenatore della nazionale italiana maschile di pallavolo.
Io e la mia squadra abbiamo appena ottenuto un altro successo: dopo tanto lavoro siamo riusciti a conquistare la medaglia d'argento ai mondiali in Brasile. Grande prestazione quella dei miei ragazzi, che purtroppo a Brasilia hanno capitolato in finale contro la formazione cinese.
Non ho niente da recriminare a me stesso, nulla da rimproverare ai miei ragazzi, semplicemente la Cina si è dimostrata superiore e, in alcune occasioni, anche molto fortunata.
Esco dalla doccia, mi asciugo e mi vesto, mentre lo specchio di fronte a me mostra un giovane uomo di 34 anni alto 1, 97 m e con un fisico ancora ben scolpito. Mi piace mantenermi in forma, sebbene non entri in campo ormai già da qualche anno. I miei occhi di un grigio acceso, la carnagione diafana e la mascella pronunciata sono tratti che tradiscono le mie origini sovietiche, mentre i miei capelli neri ribelli mi sfiorano la nuca.

Mi infilo in tutta fretta la polo azzurra da CT e mi sistemo il colletto un po' sgualcito. Quella azzurra è una maglia che ho sempre onorato: in panchina e in campo, da riserva e da titolare, e continuo a onorarla anche adesso in veste di allenatore. Sono un tipo piuttosto preciso e amo la puntualità, quindi mi catapulto fuori di casa e guido fino al Polasport. Spero con tutto me stesso di essere all'altezza delle aspettative anche questa volta, ma guidare nella nazionale una squadra femminile già schierata, che non conosco, a soli sette giorni dall'inizio delle competizioni è dura, anche per un tecnico abile come me.
Appena scendo dall'auto, mi viene incontro il signor Mengaldi, un rappresentante della dirigenza sportiva, insieme a Paolo Nastasi, il secondo allenatore della squadra. In mezzo a questo gran casino, sono felice di trovare il mio vecchio amico Paolo, che sarà il mio compagno di sventura in questa impresa.
Mengaldi è un signore di mezz'età stempiato e piuttosto in carne, mi stringe calorosamente la mano con un'espressione desolata stampata sul volto, che ha davvero il potere di indispormi ancora di più.
"Starsteva, ancora congratulazioni per la medaglia conquistata in Brasile! I ragazzi sono stati eccezionali e le sue strategie vincenti. Un vero trionfo!" dice, asciugandosi con un fazzoletto la fronte sudaticcia.
E per lui non posso che provare compassione. D'altronde, il signor Mengaldi ha solo l'ingrato compito di mediare fra me e chi mi messo in questa situazione, che vigliaccamente si nasconde dietro le sue spalle.
"La ringrazio molto, signore!" rispondo semplicemente.
Ci addentriamo nella grande struttura sportiva, la stessa in cui solitamente mi alleno anch'io con i miei campioni.
Lungo i corridoi sento le grida e le risate delle ragazze provenire dagli spogliatoi. Quanto baccano, sono più rumorose dei miei atleti, di quegli azzurri che ho scelto e selezionato personalmente con cura per la mia impresa e che si sono guadagnati, con spirito di sacrificio, il secondo posto sul tetto del mondo. Quei ragazzi che ho seguito fin da giovanissimi e di cui conosco perfettamente la tecnica e le capacità, i punti deboli e i punti di forza sui quali pianificare azioni vincenti.
"Signor Startseva, la dirigenza ci tiene molto ad esprimerle tutta la gratitudine per quello che ha fatto in Brasile e per quello che farà a Tokyo, a prescindere dall'esito!"
"Faremo tutti del nostro meglio!" assicuro.
Ed è vero, mi impegnerò anche questa volta, anche in questa causa già persa in partenza.
"Non ho dubbi! Non ho dubbi - si affretta a rispondere l'omaccione - infatti adesso tolgo il disturbo, vi lascio al vostro lavoro. In bocca al lupo per tutto!"
Non posso fare a meno di sorridere divertito, mentre lo vedo sparire di gran carriera. La verità è che mi sento preso in giro da una federazione, per la quale ho dato anima e corpo fin da quando ero solo un ragazzino.
"Il povero Mangaldi non vedeva proprio l'ora di svignarsela! Certo che lo hai intimorito parecchio!" ride Paolo.
"Chi? Io?"
"Sei stato così freddo e formale - osserva il mio amico - so che sei arrabbiato, Gregor, ne hai tutto il diritto visto la patata bollente che ti hanno affidato, ma ambasciatore non porta pena. È con quegli stronzi della dirigenza che devi prendertela!"
Paolo ha ragione, lo so, e mi limito semplicemente ad annuire. Perché sono veramente arrabbiato, perché so che di punto in bianco la mia carriera piena di successi verrà irrimediabilmente segnata da qualcosa che non dipende assolutamente da me.
Quindi mi siedo sulla panchina e comincio a consultare gli appunti di Pandolfi, il mio predecessore che, senza preavviso, ha abbandonato la nave e ha ceduto a me il timone impazzito. Poi, passo in rassegna le schede informative delle mie giocatrici, tutte giovanissime. Osservo che l'età media si aggira intorno ai 22 anni, merda!
Sgrano i miei occhi grigi e increduli.
"Ti prego, dimmi che tra loro c'è già qualcuna con un po' di esperienza nella nazionale... anche come riserva...anche come mascotte o raccattapalle...!"
Paolo scoppia a ridere, anche se non vorrebbe data la situazione veramente critica.
"Si, rilassati. Sono giovani, ma quasi tutte sono state convocate agli Europei di due anni fa!"
"Grazie al cielo!" tiro un lungo sospiro di sollievo, e un po' mi rilasso davvero.
Finalmente è una buona notizia, quanto meno lavorerò con ragazze che hanno già dimestichezza sul parquet internazionale. Inoltre, Paolo, il mio secondo, è una persona di cui mi fido e conosce già molto bene le giocatrici schierate da Pandolfi.
E mentre discutiamo nella panchina, ben dodici chiassose ragazze fanno il loro ingresso e, con disinvoltura, animano il campo deserto fino a un attimo prima. Tutte alte, tutte belle, tutte prestanti, ma anche fin troppo vivaci. E un po' mi dispiace, ma non riesco a impedirmi il paragone con i miei eroi dalla medaglia d'argento, certamente vivaci anche loro, ma assolutamente ben disciplinati.
Paolo mi dà una pacca fraterna sulla spalla. Mi conosce abbastanza da leggere nei miei occhi insondabili tutto lo sconforto che ho dentro, e mi rendo conto che non potrei fare a meno di lui in questa impresa.
"Amico, ricordati che siamo una squadra! Sono qui per loro, ma sono qui anche per te! Voglio che tu sappia che puoi fare affidamento su di me in ogni momento!" sussurra.
Sfodero finalmente un sorriso convinto e annuisco, profondamente grato.
Paolo ricambia il sorriso e porta alla bocca il fischietto che porta al collo, per attirare l'attenzione delle atlete. Come richiamate all'ordine, le ragazze si avvicinano subito in silenzio, chiudendoci in un semicerchio. Sento la mia schiena rigida, rilassarsi improvvisamente. Forse, queste ragazze non sono poi così indisciplinate come credevo.
Mi presento subito, abbiamo poco tempo per entrare in confidenza, manca solo una settimana alla partenza per il Giappone, devo imparare a conoscerle e loro devono imparare a conoscere me, a fidarsi soprattutto.
"Buongiorno a tutte, il mio nome è Gregor Startseva. Sono un ex-palleggiatore e attualmente alleno la nazionale maschile. Nel 2006 sono stato medaglia d'argento ai mondiali di Londra, nel 2008 medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Rio De Janeiro e nel 2010 medaglia d'oro agli Europei"
Passo in rassegna i miei successi, ma non amo affatto vantarmi: semplicemente so che devo far di tutto per conquistare la loro stima e la loro fiducia. Se voglio guidarle, queste giovani ragazze devono pendere dalle mie labbra. Quindi continuo, sperando vivamente che questo possa servire a qualcosa:
Come vi dicevo, durante la mia carriera sono stato un palleggiatore. Chi di voi, occupa questo ruolo in squadra?"
Un profondo silenzio aleggia per qualche istante.
"Nessuno!" risponde finalmente una ragazza dal grazioso viso tempestato di lentiggini e con gli occhi nocciola e i capelli rossicci raccolti in una coda.
"Non abbiamo una palleggiatrice" risponde con più decisione, un'altra ragazza con il caschetto nero e chi occhi azzurri.
"Prego?" replico.
Che abbiano voglia di scherzare? Cerco con gli occhi Paolo che, costernato, si morde le labbra e mi bisbiglia all'orecchio:
"Non te l'hanno detto? Anche la palleggiatrice di punta, Anna Valente, ha abbandonato. Non ha fornito spiegazioni, si presume un lutto improvviso!"
Mi passo una mano sulla fronte e prendo seriamente in considerazione l'idea di mollare tutto e andarmene. Respiro profondamente, reprimo quest'idea così allettante e prendo di nuovo la parola:
"Ok... ho qui l'elenco delle vostre generalità e dei vostri ruoli. Vi chiamerò una per una, così... tanto per cominciare a conoscerci."
Le ragazze non fanno cenno, restano perfettamente immobili, tranne qualcuna che si limita ad annuire.
"Bene, partiamo dal capitano. Capparelli Lucia"
Nessun risposta, comincio seriamente a perdere la pazienza.
"Ho detto Capparelli Lucia! C'è?"
"Eccomi!" una voce decisa precede l'entrata di corsa della ragazza interpellata.
E' alta, ha due grandi occhi nocciola, un naso piccolo regolare e sbarazzino, capelli mossi biondo cenere legati indietro in una lunghissima coda. Con disinvoltura affianca le sue compagne in cerchio e io, davvero, non riesco a sorvolare:
"Ma buongiorno!"
"Buongiorno!" risponde, ignorando volutamente il mio tono di rimprovero.
E alzo i toni, mentre quei due grandi occhi sostengono sfacciatamente il mio sguardo, giustamente severo:
"Puntualità, apprezzerei più puntualità da parte vostra. Sono già le 9:30!"
E alla fine sono io stesso che interrompo questo teso contatto di sguardi. Mi impongo di calmarmi e smetto di stritolare fra le falangi questi poveri fogli, che proprio non mi hanno fatto niente.
"Mandelli Giulia, libero" proseguo.
La ragazza con i capelli rossi e le lentiggini di prima alza la mano.
"Bigonciari Camilla, schiacciatrice"
La ragazza dal caschetto corvino alza la mano.
"Deledda Cristina, centrale"
Una ragazza con la carnagione olivastra e due grandi occhi neri solleva, a sua volta, la mano.
Ho una memoria discreta. Quando finisco l'appello sono già in grado associare un nome alla maggior parte dei loro volti. Abbiamo ancora tanta strada da fare e continuo, consapevole di ciò:
"Bene, vedo che siete in dodici. Direi che possiamo cominciare con mezz'ora di riscaldamento, dopo di che vi suddividerò in due squadre. Ho bisogno di vedervi giocare...e trovare assolutamente una palleggiatrice"
Le congedo così, e le ragazze cominciano a correre lungo il campo.
Sprofondo sulla panchina, mi passo una mano sugli occhi e poi continuo a osservarle ridere e chiacchierare tra loro, chiedendomi come sia possibile che proprio io sia finito in una situazione del genere.
La mano di Paolo arriva calorosa sulla mia spalla.
"Mi hanno proprio incastrato!" sibilo.
"Nessuno pretende l'impossibile da te! Credimi, la tua carriera non verrà intaccata, la federazione ti ha messo in una situazione di merda, ma sa quanto vali!"
E vorrei tanto crederci, ma sono fatto così: ci metti l'impegno, il cuore, l'anima e, quando vedo le cose sfuggirmi di mano senza che possa farci niente, ne soffro.
"Sarà dura, sono abituato a collaborare con una squadra che sento mia, che sento che ha fiducia in me. Qui è diverso, lo so che a loro non piaccio"
"Come puoi dirlo? Ti hanno visto questa mattina per la prima volta!" replica il mio amico.
"Non lo so... forse mi vedono troppo giovane. Loro sono abituate a un coach come Pandolfi che ha 60 anni. È normale che lui esercitasse su di loro una certa autorevolezza, mentre io sembro il loro fratello maggiore che brontola e le bacchetta"
Paolo ridacchia e anch'io mi lascio andare. Questa situazione è davvero assurda, e non so se ci sia più da ridere o da piangere.
"Eh già, Pandolfi le faceva rigare dritto!" conviene Paolo.
"A proposito, perché diavolo si è ritirato così all'improvviso? Non poteva aspettare, portare a termine questa maledetta competizione e andare dopo in pensione!"
"Ne so quanto te, amico. Sono qui da un anno e davvero non mi capacito. La sera prima ci dà appuntamento al giorno dopo e al mattino non si presenta agli allenamenti. Che posso dire? Magari ha scoperto di avere qualche problema serio di salute!"
Scuoto la testa con perplessità, ormai non ha importanza.

 

LUCIA

Corro veloce facendo il giro del campo. Dietro di me, Cristina mi racconta l'ennesimo tentativo fallito con il suo storico ex fidanzato:
"Credimi, la serata era andata benissimo. Cena deliziosa, vino pregiato, chiacchiere come ai vecchi tempi, mi riaccompagna sotto casa e... niente! Se ne va, dicendo che questa mattina si sarebbe dovuto svegliare presto!"
"Magari è proprio così!" le rispondo, senza però crederci fino in fondo.

"E anche se fosse? - sbotta lei, atterrita - anche se mi fossi dovuta svegliare alle 5, io sarei salita lo stesso da lui, avrei bevuto un altro bicchiere di buon rosso, avremmo fatto una sana scopata e, anche senza rimanere necessariamente a dormire, me ne sarei tornata a casina mia! Lui invece che fa? Molla tutto sul più bello!"
Cristina conclude il tutto lasciandosi andare ad un urlo di rabbia liberatore.
E' precisamente da un mese che la mia amica tenta di ricucire i rapporti con Michele, il suo fidanzato storico. Quello che io, in tutto questo tempo, sto tentando di farle capire è che una volta che il vaso si rompe, non c'è nulla da fare. Anche rimettendo insieme i cocci, non ritornerà più quello di prima.
Stesso concetto che, senza successo, tento di trasmettere a Mirko, il mio attuale ex, anche lui pallavolista di professione.
Questa mattina, mi ha fatto un certo effetto arrivare in palestra e trovare il suo coach. Ho sentito salire il sangue al cervello nel trovare questa mattina Gregor Startseva, ora anche mio allenatore. Mi ha portato alla mente tutti i ricordi di quando andavo ad assistere il mio ragazzo durante gli allenamenti e le partite.
Probabilmente sono stata fredda e ostile, anche parecchio irrispettosa visto il mio innegabile ritardo, ma sono troppo orgogliosa perfino per ammetterlo a me stessa.
"
Devi deciderti a lasciarlo andare!" consiglio poi alla mia amica.
"Ma non voglio e nemmeno lui, ne sono sicura, altrimenti perché mi avrebbe invitata a cena?" piagnucola lei.
"Perché anche lui, come te, si attacca ai ricordi e non vuole perderti, ma Cris, abbiamo 24 anni, alla nostra età non si vive di ricordi, li si costruisce!"
So di essere stata dura, ma a un certo punto è necessario.
Non sento repliche e, senza perdere il passo, mi volto verso la mia amica che mi scruta con i suoi occhioni neri, mentre il viso tondo e olivastro è contratto in un broncio. Sa che ho ragione!
Ridacchio e torno a concentrarti sul mio corpo, sui miei muscoli che ormai si sono scaldati abbastanza, ma non prima di darle un ultimo suggerimento:
"Sorridi, Cris, pensa che fra una settimana saremo dall'altra parte del mondo. Approfitta di questo per mettere la giusta distanza fra voi. Magari un bel giapponese ti farà perdere la testa e sarai tu stessa a dimenticare Michele!"
E piano, la sento capitolare sommessamente:
"Forse hai ragione, forse mi converrebbe davvero approfittare di quest'occasione!"





Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3901020