Caffeine
«Perché un elettrocardiogramma?»
«Signor Patton, ha avuto uno svenimento. È solo un controllo
di routine» mi spiega il medico.
Sbuffo e lo lascio fare, mentre mi attacca gli elettrodi e
armeggia con il macchinario per l’ECG.
È vero, sono svenuto due volte nel giro di una settimana, ma
siamo in tour e sicuramente è per questo che il mio corpo non ha retto. Non so
perché ho lasciato che Bill chiamasse il 911, mi sono ripreso quasi subito e
invece ora sono su questa barella a farmi visitare come un terminale.
Sbuffo ancora e il medico aggrotta la fronte. «Assume dei
farmaci, signor Patton?» chiede.
Scuoto il capo. «Assolutamente no.»
«Bene. Abbiamo finito, può rimettere la camicia» mi congeda,
staccando i vari elettrodi dal petto e dalle braccia.
Mi rivesto in fretta, a disagio. Detesto queste cose, mi
stanno facendo perdere tempo: ho da comporre per i Mr. Bungle, Zorn mi ha
chiesto di lavorare su alcune tracce e poi quelli della Warner stanno già
insistendo per avere il nuovo album dei Faith No More.
Esco dalla stanza e trovo Roddy e Bill ad attendermi. Il
tastierista sembra agitato, mentre il bassista cerca di tranquillizzarlo
battendogli su una spalla.
«Non sono morto, cosa sono quelle facce?» sdrammatizzo,
passandomi una mano sul viso.
Il dottore che mi ha da poco visitato ci raggiunge, tenendo
in mano una cartelletta. «Dovrete attendere almeno venti minuti per avere il
referto. Intanto, signor Patton, ha detto che non prende farmaci.»
«Esatto, niente medicine» nego ancora.
«Vede, il fatto è che dall’ECG risulta qualcosa di strano,
come se ci fosse un problema di tachicardia, come se lei assumesse dei farmaci
stimolanti…» Poi il medico si blocca e mi fissa perplesso. «Lei beve
abitualmente caffè o tè?» mi domanda.
Sorrido. «Caffè, certo. Mi aiuta quando sono in tour, poi se
non ne prendo di mattina mi viene l’emicrania e non riesco a fare niente…»
«Ecco, lo sapevo» bofonchia Roddy.
Il dottore annuisce e mi rivolge un’occhiata dispiaciuta.
«Dovrà interromperne l’assunzione, signor Patton. Almeno finché non avrà fatto
degli accertamenti che…»
«Sta scherzando?» Scoppio a ridere di gusto. «Io non
smetterò di bere il mio meritatissimo caffè, ha capito?»
L’uomo in camice si stringe nelle spalle. «Come vuole lei,
ma così può rischiare di…»
«Non mi interessa cosa posso rischiare. So benissimo gli
effetti che la caffeina può avere, ma non me ne importa. Lei ha idea di quanto
il tour per un musicista sia stressante?»
«Esistono delle tisane rilassanti, non risolverà il suo
nervosismo con dosi eccessive di caffè.»
«Eccessive?» Questo tizio mi sta facendo perdere la
pazienza.
Bill se ne accorge e mi affianca, rivolgendo un breve
sorriso al medico. «Dottore, ci scusi. Mike è molto turbato, vedrà che metterà
in pratica i suoi suggerimenti. Aspettiamo qui il referto.»
Sto per ribattere e mandarli entrambi al diavolo, ma il
bassista mi trascina via e mi fa sedere su una sedia in ferro battuto, proprio
accanto a Roddy.
«Patton, vuoi rischiare di morire?» mi chiede senza
preamboli.
Alzo gli occhi al cielo. «Rischiare di morire? Stai
esagerando.»
«Mike, davvero…» Roddy solleva una mano e tenta di prendere
la mia, ma io mi sottraggo e scuoto il capo.
«Non sto esagerando.» Bill incrocia le braccia sul petto
ampio e mi fissa, è serissimo. «Se il tuo battito è accelerato, significa che
il tuo sistema nervoso è sovrastimolato.»
«E allora? Che cazzo me ne frega?»
«Mike!» Roddy mi afferra per il braccio sinistro e mi
strattona. «Sei rincoglionito? Ma ti ascolti quando dici certe cazzate?»
«Lasciami andare, Bottum!» sbotto, divincolandomi con forza.
Perché questi due idioti mi trattano come fossi un bambino? A me il caffè
piace, mi serve per stare bene e per cominciare bene la giornata. Mi aiuta a
placare il mal di testa, a concentrarmi quando compongo, a combattere il sonno
che cerca di sottrarre tempo prezioso alla musica.
Al mio lavoro.
Alla mia vita.
Se non riuscissi a lavorare come voglio, impazzirei. Mi
sento stimolato da miliardi di idee, devo metterle in pratica e le giornate
sono sempre troppo brevi. Il tempo è sempre troppo poco.
Senza caffè sprecherei un’infinità di ore, la mia acutezza
mentale ne risentirebbe, la mia ispirazione andrebbe a puttane.
E cosa mi rimarrebbe?
Scuoto con vigore il capo e mi metto in piedi, spostando lo
sguardo da Bill a Roddy e viceversa. «Sapete che c’è? Fatevi i cazzi vostri.
Non ho più quattro anni, neanche mia madre mi tratta in questo modo. Pensate ai
vostri problemi, alle vostre disfunzioni erettili del cazzo o a quello che vi
pare. A me penso io.»
Forse ho esagerato, per un attimo mi viene in mente che
potrei anche scusarmi. Ma no, basta, questi due mi hanno già obbligato a salire
su un’ambulanza e a venire in questo cazzo di ospedale. Sto perdendo tempo.
Mi avvio lungo il corridoio e raggiungo il distributore
automatico.
Frugo in tasca e ne estraggo alcune monete.
«Alla faccia vostra, mi prendo un bel caffè» sghignazzo,
inserendo i soldi nell’apposita fessura.
Mi sento già meglio.
Una volta tornati finalmente in albergo, recupero il mio
thermos e scendo al bar per chiedere che mi venga riempito di caffè bollente.
Arraffo alcune bustine di zucchero di canna e torno nella stanza che condivido
con Roddy e Jim.
Mi siedo nella poltroncina in tessuto verde e apro il mio
blocco per appunti, concentrandomi sul lavoro che ho da fare.
Metto a fuoco alcuni pittogrammi sulla pagina sinistra,
mentre sulla destra campeggia l’abbozzo di un testo per i Bungle.
Adocchio l’orologio appeso alla parete e mi rendo conto che è
mezzanotte e venti. Posso farcela, la notte è giovane.
Jim russa beato sul suo letto, dev’essere davvero stanco.
Roddy, invece, se ne sta seduto sul suo letto con le gambe incrociate. Non fa
che fissarmi, sta cominciando a darmi sui nervi.
Per calmarmi, sorseggio un po’ di caffè e mi concentro sul mio
lavoro. Comincio ad aggiungere delle parole, i versi prendono forma.
Poi mi sposto sul foglio con i pittogrammi e sistemo un po’
anche quelli.
È tutto perfetto, ma in un certo senso mi sento stanco. So
che non posso semplicemente andarmene a letto, devo lavorare.
Sorseggio ancora un po’ di caffè.
Sento ancora lo sguardo bruciante di Roddy su di me e a questo
punto sollevo il mio, inchiodandolo. «Che cazzo hai da guardare? Dormi e
lasciami lavorare» sibilo.
«Ne bevi troppo, Mike» mormora.
«Ti ho detto che sono affari miei. I genitori ce li ho e non
siete tu e Bill.»
Gli occhi del biondo non lasciano i miei. È palesemente
preoccupato, ma a me non interessa. Io sono più preoccupato per tutte le cose
arretrate che ho da fare.
Mi sento stranamente agitato, questa è proprio una giornata
di merda. Sbuffo e lancio il quaderno sul pavimento, sentendomi frustrato e
sotto esame.
Jim sobbalza sul suo letto, poi si rigira su un fianco e
ricomincia a russare.
«Mike, per favore. Perché non ci dai ascolto? Lo diciamo per
il tuo bene, non per romperti i coglioni» insiste Roddy, sporgendosi un poco in
avanti.
«Invece non fate che rompermeli, eccome se me li rompete.
Cristo, quanto vorrei guardarmi un bel porno…» bofonchio, passandomi
distrattamente una mano sul cavallo dei pantaloni.
Sono sicuro che mi aiuterebbe a rilassarmi, almeno quello.
Il mio cuore batte forte, è una sensazione talmente fastidiosa e strana da
farmi innervosire.
«Mike?»
Tutto accade in fretta: la mia mano sinistra si preme in
automatico sul petto, il respiro accelera e gli occhi mi si riempiono di
lacrime. Roddy, come una scheggia, si alza e mi corre accanto.
Lo sento distrattamente accarezzarmi il viso e i capelli
imperlati di sudore. Sento caldo, troppo caldo. Vorrei che smettesse di
toccarmi, ma allo stesso tempo ne sento il bisogno.
Lo sento urlare, pronuncia il nome di Jim finché il chitarrista
non si sveglia.
«Vai a prendere della camomilla, qualcosa… ti prego!» gli
ordina Roddy, sempre cercando di tranquillizzarmi. «Mike, ehi, Mike! Guardami,
non chiudere gli occhi. Respira. Su, fai quello che faccio io: inspira,
espira.»
Lo vedo prendere una lunga boccata d’aria e mi ritrovo a
imitarlo, anche quando rilascia lentamente l’aria. Il suo viso è distorto in
una smorfia di preoccupazione, so che a lui importa qualcosa di me.
Jim borbotta ed esce rumorosamente dalla stanza, sbattendo
la porta.
Mi sputerà dentro la camomilla, in fondo me lo merito.
«Mike, allora? Inspira, espira! Coraggio!» Roddy mi afferra
per le spalle e mi scuote appena, incitandomi a reagire.
Inspiro, espiro. Inspiro, espiro. Sono esercizi che faccio
spesso anche prima di cantare.
Non so cosa mi sia preso, oggi è decisamente una giornata
terribile. Non è neanche il tredici del mese, perciò arrivo alla conclusione
che Bottum e Gould hanno cospirato contro di me per far abbattere sulle mie
spalle le loro insinuazioni da uccellacci del malaugurio.
Mi scappa una risata e Roddy si rilassa visibilmente,
crollando sul bracciolo della poltroncina accanto a me. Mi prende il viso tra
le mani e mi fissa dritto negli occhi, come mai aveva fatto prima d’ora. Mi fa
quasi paura, ora non so cosa aspettarmi.
«Non farlo mai più, mi hai fatto perdere dieci anni di vita»
esala.
«Lasciami» ringhio. «Ho bisogno di… respirare.»
Roddy si alza e si allontana da me, ma non smette di tenermi
d’occhio. Appoggio le mani sui braccioli e continuo a prendere profondi
respiri.
«Hai continuato a bere quella roba anche se sei finito in
ospedale» mi rimprovera il tastierista.
«Il caffè non c’entra…» farfuglio, ma in realtà non ne sono
pienamente convinto.
«Andiamo, Mike! Puoi farmi il favore di evitare di berne almeno
finché non avrai fatto dei controlli più approfonditi? Con il cuore non si
scherza.»
Gli rido in faccia, ma chi si crede di essere? Perché mai
dovrei fare un favore a lui?
«Ti stai montando la testa, eh?» lo accuso.
«Ma cosa dici?»
«Solo perché ogni tanto ti sbatto come una puttanella, credi
di avere il diritto di farmi la paternale o di trattarmi come un poppante?»
Mike, cosa cazzo dici? Stai esagerando, chiedigli scusa!
Roddy ammutolisce e mi guarda, non so neanche come
interpretare quegli occhi sgranati e intrisi di dolore. «Sai una cosa, Patton?
Fai quel cazzo che ti pare» conclude, per poi lasciare in fretta e furia la
stanza.
«Che coglione…» mormoro.
E lo dico solo a me stesso, perché so che l’ho ferito e non
avrei dovuto neanche pensare di pronunciare quelle parole orribili.
Poco dopo Jim torna in camera con una tazza fumante.
Si guarda attorno, poi mi rivolge un’occhiata interrogativa.
«È andato via» dico soltanto.
«La camomilla?» chiede il chitarrista a disagio.
Finché c’era Roddy, era facile ignorarci e comunicare
soltanto tramite lui. Ora è tutto complicato, io e Jim non sappiamo come
comportarci.
«Dammi, ci penso io» bofonchio.
Lui si avvicina titubante, come se temesse un assalto da
parte mia. Possibile che tutti sono intimoriti dalle mie reazioni?
In genere mi diverte sapere di incutere un po’ di timore nel
prossimo, ma oggi è diverso. Mi sento quasi infastidito da me stesso, non
capisco proprio che succede.
Guardo la tazza con fare scettico, poi osservo Jim. «Non ci
hai sputato dentro, vero?» tento di scherzare.
Lo vedo chiaramente serrare la mascella, probabilmente
vorrebbe lanciarmi la tazza in faccia e lasciarmi solo come ha fatto Roddy.
Te lo meriti, testa di cazzo.
Gli sfilo l’oggetto dalle mani e gli sorrido appena.
Lui mi volta le spalle e si avvia nuovamente verso il
proprio letto.
«Ehi, Big Jim!»
Torna a guardarmi di sottecchi, in attesa che io dica
qualcosa.
«Grazie» mormoro.
Almeno con lui posso cominciare a comportarmi meglio, almeno
per stasera. Perché non è un giorno come un altro.
Sospiro e mi preparo a ingurgitare quella brodaglia. Me la
merito, mi merito quel sapore orribile e per niente fragrante.
Ho trattato di merda Roddy.
Nell’oscurità, lascio che una lacrima solitaria mi solchi la
guancia destra.
Oggi posso permettermi questa lacrima, me la merito.
Andare avanti senza caffè si sta rivelando difficile, ma non
impossibile.
L’emicrania mi dà noia, ma cerco di scacciarla pensando al
lavoro. Compenso con delle gomme da masticare, caramelle o roba simile. Mi
sento come uno di quelli che smette improvvisamente di fumare e cerca appiglio
in qualcos’altro.
Roddy mi evita, ha smesso di parlarmi e la cosa mi permette
di lavorare meglio, anche se nei momenti meno opportuni le parole che gli ho
rivolto mi bruciano nel cervello e mi fanno sentire una vera merda.
Abbiamo qualche giorno di pausa dal tour, così ne approfitto
per recarmi in ospedale per fare degli altri esami al cuore.
Mi sento agitato, ma non ho detto a nessuno dove stavo
andando. A Roddy non importa, Bill sicuramente è stufo di star dietro alle mie
stronzate. Con Jim non ci parlo, e Puffy… io e lui non siamo propriamente in
confidenza, non gli avrei mai chiesto di accompagnarmi.
Lo avrei chiesto a Trevor se fossi stato in tour con i Mr.
Bungle, ma ovviamente il mio amico ora si trova chissà dove a fare chissà cosa.
non ci sentiamo da un po’, lo andrò a trovare quando sarò nuovamente a Eureka e
avrò il tempo per passare anche dai miei genitori.
La dottoressa del reparto di cardiologia di questo ospedale
è carina, sembra avermi riconosciuto e il suo atteggiamento mi irrita. È troppo
gentile, poco professionale e piuttosto appiccicosa.
«Suonerà con la sua band stasera?» mi chiede a un certo
punto, sfoderando un sorriso a trentadue denti e mettendo in mostra il suo viso
giovane e luminoso.
«No, domani. Vuoi venire a sentirci?»
«Non ho trovato i biglietti, sono andati a ruba» ribatte,
sbattendo le ciglia. «Prego, si tolga la maglietta» aggiunge, umettandosi
appena il labbro inferiore.
Forse crede che non me ne sia accorto, forse lo ha fatto
apposta perché lo notassi. Faccio ciò che mi dice e lascio che sistemi gli
elettrodi sul mio corpo.
Noto i suoi occhi indugiare sulla mia pelle chiara e la cosa
mi infastidisce ancora di più. Per questo voglio illuderla.
«Se mi dici come ti chiami, ti metto in lista. Basta che
dici che sei con me e ti faranno passare» propongo, sapendo che non lo farò
mai.
«Dici davvero, Mike?» chiede, facendosi ancora più vicina.
Mi trattengo per non spingerla via. Inspiro, espiro.
Mi viene in mente Roddy.
«L’ECG che dice?» chiedo, cambiando argomento.
«Sei sano come un pesce» replica tranquillamente.
Sgrano gli occhi. «Che cosa? E quello?» chiedo, indicando il
referto dell’esame effettuato qualche giorno fa a Detroit.
La giovane dottoressa bionda prende in mano i fogli e li
esamina, aggrottando le sopracciglia sottili e ben curate. «Dev’esserci stato
un errore. Dall’elettrocardiogramma che ti sto facendo, risulta che è tutto a
posto. Forse quel giorno eri agitato o in ansia per qualcosa, può capitare…»
Mi strappo gli elettrodi di dosso, stento quasi a crederci.
Infilo in fretta e furia la t-shirt e mi avvicino a lei,
prendendole le mani tra le mie in un impeto di gioia incontrollabile. Sorrido
come un ebete, questa qui finirà davvero per illudersi.
«Oh, Mike… ma che…»
«Questo significa che posso bere quanto caffè voglio! Stavo
impazzendo!» Porto le sue mani alle labbra e le bacio. «Grazie, sei un angelo,
te l’hanno mai detto? E non solo perché sei bionda, eh!»
Lei sorride con fare accattivante e cerca di avvicinarsi di
più, ma subito la lascio andare.
«Corro a prendermi un caffè al distributore automatico, tu
intanto stampami il referto! Ho fretta, puoi fare presto? Grazie!»
Lei mi fissa confusa, ma io non le do il tempo di fare altro
che subito mi catapulto fuori dalla stanza.
«Comunque mi chiamo Serena!» la sento strillare alle mie
spalle, ma le sue parole mi scivolano addosso senza suscitare alcun interesse
in me.
L’unica meta che ho ben impressa in mente è il distributore
automatico che custodisce il mio meritatissimo caffè.
Non dico niente ai ragazzi, ma fortunatamente condivido la
camera con Roddy. Voglio sistemare le cose e voglio che sappia che sto bene.
Siamo ognuno nel suo letto, come succede spesso. Non andiamo
mai a sdraiarci insieme, di solito sono io a raggiungerlo e a intrufolarmi tra le sue lenzuola.
È così che faccio anche stanotte, dopo aver finito di
comporre il brano per i Mr. Bungle e aver dato un’occhiata al materiale per la
collaborazione con John Zorn.
Mi inginocchio sul materasso e scosto le coperte,
sdraiandomi al suo fianco. Mi metto supino e respiro piano, tenendo gli occhi
chiusi e le mani intrecciate sul torace.
Roddy mi ignora e si rannicchia più vicino alla parete.
«Ho rifatto l’ECG. Non ho niente, il mio cuore è sano. Posso
bere tutto il caffè che voglio» racconto.
«Ah» è tutto ciò che si lascia sfuggire in tono laconico.
È incazzato nero, ha tutte le ragioni del mondo. Sarò pure
stronzo, ma mi accorgo di quando dico o faccio delle cazzate.
Sospiro. «Roddy… non volevo dire quelle cose.»
«Ma le hai dette. Vattene dal mio letto, Patton.»
«Ero… okay, non ho giustificazioni. Penso che dovrei scusarmi»
ammetto, sentendomi un po’ in imbarazzo ma anche più sollevato.
«Credi che io ti perdoni così facilmente? Hai usato dei
termini davvero pesanti. Non capisco perché, davvero. A volte mi ripudi, ripudi
quello che succede tra noi. Se ti faccio schifo, allora perché…»
Mi volto nella sua direzione e mi spingo accanto a lui,
chiudendogli la bocca con un bacio. Non voglio sentirlo parlare così.
Lui mi spinge via e scuote il capo. «Non provarci. Non
funziona così, mi dispiace.»
Lo fisso, è veramente furioso e deluso.
Sospiro. «Ascolta, Roddy… okay, ammetto di essere un
coglione, a volte. Molte volte. Ma la verità è che… no, non mi fai
schifo, non lo devi pensare. E…» Mi passo una mano tra i capelli, cercando le
parole giuste da dire. «Se non ci fossi stato tu l’altro giorno, non so come
avrei fatto. Mi dicevi: inspira, espira, inspira, espira… mi hai
aiutato, anche se io ti ho trattato male e ho mandato al diavolo te e Bill.»
«Tutto molto commovente. Adesso te ne vai?» sputa,
mettendosi a sedere per fissarmi dall’alto in basso.
Non voglio andarmene, non voglio che sia ancora arrabbiato
con me.
Mi metto a sedere a mia volta e sollevo la mano sinistra,
sistemando una delle sue ciocche bionde dietro l’orecchio. «Ehi» mormoro.
«Mike, piantala» sussurra a sua volta.
«Ehi, dai… mi dispiace, okay? Cazzo, è stato difficile da
dire, ma è così. Ho esagerato. Non pensavo quelle cose…»
Mi guarda dubbioso, ma io subito lo prendo tra le braccia e
lo stringo a me.
Oppone resistenza, ma poi lo sento sciogliersi contro di me
e ricambiare la stretta. «Come devo fare con te?» si lascia sfuggire.
«Non farmele passare lisce, mai» replico, lasciando scorrere
le dita tra le sue ciocche morbide.
Roddy sospira e si lascia cadere sul materasso,
trascinandomi con sé. Rimaniamo abbracciati per un po’, immersi nell’oscurità e
nel silenzio.
È surreale, stare così con lui è surreale. Ogni tanto ci
penso e mi sento a disagio, ma quando poi mi ritrovo in questi momenti ogni dubbio
svanisce ed esistono solo i suoi abbracci rassicuranti e quella sua dolcezza a
cui non riesco a rinunciare.
«Non dovresti comunque esagerare con il caffè» dice lui dopo
un po’.
Mi lascio sfuggire una risata mentre lo accarezzo piano
sulla schiena. «Sai che non posso farne a meno» ammetto.
«Lo so. Non puoi fare a meno di un sacco di cose…»
«Della musica, del caffè.» Rido. «Dei film porno, di
masturbarmi…»
«Lo so a memoria, sei noioso» mi schernisce, facendo per
allontanarsi da me.
Prendo il suo viso tra le mani e lo immobilizzo, immergendo
i miei occhi nei suoi.
Ci fissiamo per un po’ e io vorrei dire qualcosa di carino, lo
vorrei davvero. Ci provo sempre, ma non ci riesco mai.
Perché in fondo non sono altro che un pezzo di merda senza
cuore, è lui stesso a dirmelo a volte.
«E di scoparti» sussurro.
Era proprio quello che non avresti dovuto dire.
Ma Roddy sorride, lui capisce cosa intendo. Lo sa anche se
lo dico nel modo sbagliato, anche se non uso parole dolci e toni delicati.
Sorride e schiude le labbra, lasciando che le palpebre si
abbassino appena.
Sghignazzo e lo faccio sdraiare supino, fissandolo con
insistenza.
«Mike…» mugola.
«Dimmi solo se ce l’hai ancora con me.»
«Un po’ sì…» Mentre pronuncia quelle parole, inarca appena
il bacino e lo fa cozzare prepotentemente contro il mio. «Perché non ti fai
perdonare?» domanda con fare suadente.
Sussulto e ringhio appena. «Lo vedi che ho ragione?»
«Su cosa?» chiede, circondandomi il collo con le braccia.
Gli strappo un bacio passionale e serro i suoi fianchi tra
le mani. «Vuoi essere sbattuto come una puttanella.»
«Può darsi…» Roddy ghigna. «L’hai detto due volte.»
Lo fisso confuso.
Lui lascia scivolare una mano tra i nostri corpi, per poi
raggiungere la mia erezione e stringerla con forza. «Dovrai farti perdonare due
volte…»
Le sue parole scivolano sulla mia pelle e la increspano.
Inspiro, espiro.
Mi impossesso delle sue labbra e so che ha capito.
Ha capito che mi dispiace davvero.
Mentre ci spogliamo, penso al fatto che con dei problemi al
cuore avrei dovuto rinunciare al caffè, ma anche a un sacco di altre cose.
Ci sarei dovuto andare piano con il sesso e non avrei più
potuto soddisfare quel biondino come gli piaceva.
Con forza, con ardore, con trasporto.
Per fortuna sono sano come un pesce, come ha detto quella
troietta bionda.
Mi fermo con le mani sull’elastico dei boxer di Roddy e lo
guardo dritto negli occhi.
«Che c’è?» ansima, immergendo le dita tra i miei capelli.
«Domani una dottoressa di nome Serena verrà a cercarmi al
concerto. Ci provava spudoratamente con me e ha fatto in modo che la invitassi
al nostro concerto. Le ho detto che l’avrei messa in lista. Beh, non credo che
lo farò.»
«E questo cosa dovrebbe significare?»
Mi stringo nelle spalle e gli strappo via l’ultimo indumento
che mi separa dal suo sesso caldo. «Niente, non so neanche il suo cognome, come
potrei segnarla nella lista dei prescelti?»
Roddy, in tutta risposta, stringe più forte i miei capelli e
mi spinge verso il basso.
È finito il tempo di scherzare, Mike, datti da fare,
sembra gridarmi.
Anche il piccolo scappellotto che mi lascia prima di
costringermi ad accogliere il suo membro tra le labbra me lo fa capire.
E mi fa capire che non ce l’ha più con me.
Mi ha capito e mi ha accettato.
Ancora.
♥ ♥
♥
Niente, ci sono cascata anche stavolta.
Non sono riuscita a scrivere questa storia senza poi
sviluppare ancora una volta la mia OTP Suprema!
E quindi ecco a voi la quarta storia della serie You’re
my flavor, le cose si fanno SEMPRE PIÙ GRAVI!!!!
L’idea è nata proprio dal fatto che mi sono chiesta: come
reagirebbe Mike se si ritrovasse a non poter più bere caffè per via di un
problema cardiaco? XD
Ovviamente io mi auguro che Mike non ne soffra, ma mi sono
divertita a pensarci e certe scenette di questa OS ammetto che sono state
esilaranti da scrivere!
Ho un paio di spiegazioni da darvi: ho nominato i Mr.
Bungle, ovvero il primo vero progetto di Mike, ancora prima che entrasse a far
parte dei Faith No More e in cui ha continuato a militare anche durante la
permanenza nei FNM; anzi, i Mr. Bungle sono esistiti anche dopo lo scioglimento
dei FNM negli anni Novanta! Trevor Dunn, nominato sempre nella storia, è
appunto un amico d’infanzia di Mike, nonché bassista dei Mr. Bungle e di un
sacco di altri progetti in collaborazione con il cantante. I due sono cresciuti
insieme a Eureka e sono veramente molto legati ^^
John Zorn, invece, è un musicista polistrumentista jazz
sperimentale che ha collaborato e continua a collaborare con Mike in un sacco
di progetti, hanno fatto davvero tante cose insieme e Zorn non si dimentica mai
di Mike quando ha in mente musica nuova!
Tornando alla storia… che ne pensate? Spero davvero che vi
sia piaciuta, per fortuna poi tutto si è risolto per il meglio!
Ho voluto anche affrontare un piccolo litigio tra Mike e
Roddy, mica il cantante può sempre passarla liscia… no? ^^
Per fortuna poi sono riusciti a fare pace e ora li aspetta
una bella e focosa riconciliazione che, ovviamente (dato che sono
stronzerrima e vi voglio torturare XD), ho deciso di non raccontarvi :D
So che mi volete uccidere, ma mica sempre posso creare
storie a rating altamente elevatissimi, dico bene? Abbiate pazienza! X’D
Grazie a tutti voi che siete arrivati fin qui, vi mando un
forte abbraccio e vi sono infinitamente grata per il continuo supporto che mi
riservate! *___*
Alla prossima ♥
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