Neppure io so
dire con certezza se e quanto questa oneshot in cui il povero, giovane
Damus si trova ad avere a che fare con i vicini di casa peggiori della
storia, sia collegata al resto. Diciamo che è a libera
interpretazione, come io ho liberamente modificato russo e altre lingue
slave il poco che serviva per adattarle al settore chiamato Kostrobna.
Il Megatron presente qui è quello di Armada (una sua
versione giovane prima di diventare un Decepticon) e
c'è, come al solito, una OC di mezzo. C'è anche
tanto disagio ma non è da prendere sul serio xD
Memorie,
capitolo [numero ancora da definirsi]: I vicini di casa
peggiori della storia
Anno XXXXX.
Quando socchiudo gli occhi la tonalità rossastra dei raggi
del sole artificiale che è stata scelta per questo settore
mi suggerisce che
sia mattino presto. Lunghe ombre dei miei pochi averi si proiettano su
di me
come artigli ma da tempo non è più una visione
che trovo inquietante.
Mi rigiro nella cuccetta godendomi la quiete. Non è facile
trovarla in questo posto se non, appunto, al mattino presto, mentre
quasi tutti
dormono o cercano di trascinarsi a dormire tra un
“blyat” e un passo sghembo
dovuto all' ubriacatura.
Per un attimo ho perfino l'illusione di poter tornare in
ricarica, ed è allora che sento il rumore della porta del
bagno
nell'appartamento dei vicini aprirsi e la mia cara quiete viene
squarciata dal
suono di un gong e una fisarmonica, al quale poco dopo si aggiunge
quello di...
un flauto? Non sono del tutto certo ma, se lo è,
è forse il peggiore che abbia
avuto la sfortuna di ascoltare.
Torno a rigirarmi, in pieno stadio di negazione,
nascondendomi nella spessa coperta ricamata. Potrebbe funzionare se non
conoscessi i miei vicini di casa abbastanza bene perché il
mio processore
riesca a immaginare la scena che sta certo avendo luogo in quel
bilocale che al
momento, oltre a ospitare tre pessimi musicisti e due gemelli,
è divenuto patria
di molteplici specie fungine tecnorganiche.
Odo passi pesanti trascinarsi sul pavimento in direzione del
bagno e la porta spalancarsi con violenza. I pessimi musicisti
protestano col
dire che sono stati loro (i gemelli, i miei amabili vicini) a rapirli,
chiuderli in bagno e intimare loro di suonare ogniqualvolta avessero
spalancato
la porta, il che è estremamente probabile; quel che ignorano
è che venire
defenestrati sia un destino divenuto altrettanto probabile, per non
dire certo,
nel momento in cui la ricarica del Kostrobnese recante il nome di
"Megatron" (non è il solo a portare una simile designazione,
derivata
nientemeno che dal nome di uno dei Tredici Prime originari)
è stata interrotta.
Crogiolo ancora nella negazione udendo il rumore dei vetri
della finestra distrutti per l'ennesima volta. L'allarme di un veicolo
di
qualche natura colpito dai musicisti in caduta libera si sostituisce al
loro
grido, una volta giunto il tonfo assieme ai frammenti di vetro
tintinnanti.
Il susseguirsi di molteplici colpi di cannone sparati verso
l'esterno mi porta a sobbalzare.
«Se io sono sveglio a quest'ora non vedo perché
gli altri
devono dormire! Blyat».
Tipico buongiorno a Kostrobna per chiunque viva
sufficientemente vicino a questo palazzo da poter essere vittima del
rispetto,
della discrezione e della sopraffina, invidiabile, assolutamente
ineccepibile
educazione del mio vicino -la cui voce decisa e vagamente graffiata
risuona
molto chiara qui, causa pareti troppo sottili; tipico buongiorno per
me.
Il mio nome è Damus.
Mi sono trasferito a Kostrobna per ragioni di svariati
generi, principalmente economiche, che in questa sede non intendo
approfondire... e anche oggi, come ieri, devo accettare il fatto di
trovarmi
ancora qui.
«Daaaamusss».
Conosco la voce femminile dal timbro scuro localizzata decisamente troppo
vicino ai miei recettori audio, eppure dopo pochi istanti di istintiva
fissità
-oh, la fissità! La prima reazione di una povera preda, pia
illusione pensare
che sia realmente utile a qualcosa!- scatto in piedi per autodifesa,
sempre in
modo istintivo, e il mio braccio è teso, il pugno
è chiuso, la coperta a terra.
La mia mano va nella direzione giusta e il bersaglio è ora
davanti alle mie
ottiche, ma un suo fluido spostamento all'indietro fa sì io
colpisca solo aria,
sbilanciandomi.
La mano aperta di Wraith, gemella del vicino di casa
peggiore della storia -e vicina di casa peggiore della storia
anch'ella,
meritevole del titolo anche solo per il fatto di trovarsi nel mio
appartamento
senza essere stata invitata a entrare- raggiunge il mio pugno. Il
debole
attrito è sufficiente a salvarmi da una caduta e in parte
dall'imbarazzo.
«Come incubo doveva fare proprio schifo».
«Prego? Guarda che ero del tutto sveglio! Il contrario era
impossibile dato che tuo fratello, non pago di aver rotto la finestra,
ha
pensato bene di mettersi a sparare cannonate».
«Quindi avevi sentito».
«Come chiunque non sia sordo!»
La vedo annuire solennemente. Solo ora riesco a far caso al
particolare del cubo di energon extra forte nella sua mano sinistra.
«Di già?»
«Fino a poco fa non avevamo cibo in casa... e comunque non
si mangia asciutto, eh! Vieni a fare colazione con noi,
vicino!»
«Non sono certo che sia-»
La porta d'ingresso del mio appartamento viene spalancata
con una spallata che non lascia dubbi sull'autore di un simile gesto,
irrispettoso a una tale quantità di livelli al punto di
rendere impossibile
quanto inutile cercare di elencarli tutti.
«Wraaaith!» sbraita Megatron
«Lo stai svegliando o lo
stai costruendo daccapo?! Datevi una mossa, è ora di
mangiare!»
«Sveglio lo era da prima che arrivassimo... come al
solito!»
«Ecco, allora poche chiacchiere».
Megatron e Wraith, i vicini di casa peggiori della storia.
Giunti qui dalla campagna di questo disgraziato settore che
è Kostrobna, si
sono impossessati del bilocale vicino al mio defenestrando quelli che
fino ad
allora erano stati i proprietari. Per essere più precisi,
Megatron li ha
scaraventati fuori dalla finestra mentre Wraith si presentava al
sottoscritto
sorridendo, augurandosi che saremmo stati buoni vicini e chiedendomi se
avevo
dell’energon extra forte.
I precedenti proprietari erano persone tutto sommato
tranquille col solo difetto di sparare musica ad alto volume tutta la
notte e
che, in confronto a ciò che vedo ora, a volte riesco perfino
a rimembrare con
affetto.
«Hai di nuovo rotto la finestra» dico a al mio
vicino, tanto
per rompere il silenzio creatosi nella brevissima camminata tra gli
ingressi
dei nostri appartamenti.
«Quello che suonava il flauto non meritava altro».
Sì, sono costretto ad ammettere a me stesso che tutto
ciò mi
ha giovato in alcune cose (il mio pugno ha mancato Wraith ma, prima
dell’inizio
quasi obbligato della frequentazione tra me, lei e il fratello, non
sarei
riuscito a cercare di darlo e tantomeno sarebbe stato tra i miei
istinti. Quale
orribile fase della mia esistenza! Trascorsa a essere poco meno
indifeso di una
protoforma!) ma il fatto di trovarmi quasi a concordare con Megatron
causa una
certa inquietudine nel mio animo al pensiero di star diventando
talmente
avvezzo a loro e a Kostrobna da iniziare non solo a sopportarlo, ma a
anche
mescolarmi.
«Era abbastanza stonato, sì».
La presenza del mio vicino risulta particolarmente imponente
nell’ambiente angusto che ci circonda, tanto nel corridoio,
quanto nel
bilocale. Ad andar di similitudini lo descriverei alto e grosso come
una torre
di guardia, più resistente di un armodrillo, forte come tre
jurassanoidi e con
un brutto carattere che, pur non avendo avuto modo di conoscere quelle
creature, immagino fosse analogo; inoltre è dotato di un
cannone, procuratosi
non oso immaginare dove e come, di due lunghe corna dai molteplici
utilizzi che
svettano fieramente sulla sua testa e di uno sguardo rosso brillante
-unica
nota di colore acceso in una corazza viola scuro, verde cupo e
più d’un grigio-
che afferma, anzi urla, “Ho voglia di spaccare la faccia a
qualcuno e posso
riuscirci facilmente”. In altre parole, Megatron è
molto somigliante al tipo di
persona che cercavo in modo disperato di evitare quando vivevo ancora a
Tarn,
purtroppo senza riuscire nei miei intenti e con conseguenze negative da
qualsiasi punto di vista fisico e mentale -argomento che in questa sede
rifiuto
di approfondire.
I raggi di luce carminio che si fanno strada nella stanza
vengono divorati dall’insolenza del cubo verde brillante che
di sera e di notte
costituisce la sola fonte d’illuminazione del bilocale,
mentre di giorno può diventare
un poggiapiedi, un poggiatesta, una sedia, uno strumento utile per lo
yoga, un
punto rialzato sul quale ballare, un’arma impropria nel caso
sia Megatron a
prenderlo in mano e infine, nel caso attuale, un tavolo… sul
quale è stato
apparecchiato il cibo che fino a poco fa, sono sicuro, era nella mia dispensa.
Megatron sbuffa scocciato. «Tutto qua?»
Invitare a fare colazione il proprio vicino di casa dopo
avergli rubato il cibo e lamentarsi perfino della quantità:
assurdità o
avanguardia pura? Questo è il dilemma. Ciò che
dilemma non è, è il mio
desiderio di prendere a schiaffi uno, l’altra o tutti e due.
«Ora che ci penso non ho guardato sotto la cuccetta, vado a
vedere» replica Wraith con tutta la nonchalance del cosmo
«Voi intanto iniziate
pure senza di me, no problem!»
«Mi raccomando, fate come se quella fosse casa vostra e non
si trattasse del mio cibo!» esclamo.
Sono conscio che il mio sarcasmo cadrà nel vuoto -non
perché
manchino di comprenderlo, quanto perché a loro non importa-
attraversando senza
colpo ferire i loro processori da una parte all’altra
esattamente nel modo in
cui Wraith in questo momento sta attraversando la parete che divide
casa mia da
casa loro.
Nel caso ve lo stiate chiedendo, no, non avete sbagliato
alcunché nella lettura. Conosciuta come alterazione di fase
o “transfase” a
voler essere marcatamente gergali nell’abbreviare,
l’abilità della quale Wraith
è portatrice le consente di attraversare pareti, oggetti,
persone e qualche
altro trucco; è comoda -ancorché limitata sia per
l’essere a tempo sia per
altri motivi- specie per una femme che è sì molto
alta ma anche abbastanza
sottile e leggera perché il suo gemello possa, se mai
volesse, stringere il suo
punto vita con una mano e spezzarla in due.
«Ora però è il nostro
cibo!» dichiara Megatron, con un ampio cenno del braccio che
include anche il
sottoscritto.
Da una radiolina inizia a risuonare l’inno di Kostrobna
mentre Wraith, recante con sé nulla di nuovo avendo
già razziato in precedenza
tutto il poco che avevo, attraversa di nuovo la parete con testa alta e
pugno
destro premuto all’altezza della Scintilla. Megatron la imita
subito dopo.
“Soy’uz neurjshimy sectorj
svobodnykh
Splotila naveki
Kostrobna Velij!...”
Il patriottismo è uno dei pochi tratti dei miei vicini
riguardo cui non mi sento di obiettare.
Nella vita è importante avere uno o più punti
fermi, un
qualcosa a cui credere ciecamente, che sia la patria, che sia una
famiglia (non
necessariamente con CNA simile) o un Dio, una filosofia, se stessi. Una
persona
senza punti fermi è una foglia tecnorganica morta sbattuta
dal vento in ogni
direzione, senza possibilità di esercitare alcun controllo
sulla propria
esistenza: un destino tra i peggiori che possano capitare, in cui si
può solo
pregare per un colpo di vento fortunato che spinga la foglia sulla
strada
giusta verso la stabilità.
Il rispetto verso l’amor di patria dei gemelli e verso
quello che, per disastrato che sia, è il settore che mi ha
temporaneamente
adottato, è quel che mi spinge a imitarli a mia volta.
Megatron e Warith non lo
farebbero con l’inno di Tarn, ammetto che io stesso non
riuscirei a mostrare
affetto per quel posto, ma cosa mi vieta di avere più
riguardi di loro, se è
quel che desidero?
«E comunque noi ti offriamo sempre da bere, quindi poche
chiacchiere» mi rimprovera Megatron finito il momento
patriottico.
«Questo perché sapete benissimo che io non bevo
affatto! Se
lo facessi non credo proprio che sareste altrettanto
generosi».
«Oooh no, al contrario» mi contraddice Wraith,
accovacciandosi accanto al cubo verde «Sarei disposta a dare
via tutto
l’energon extra forte che abbiamo pur di vederti di nuovo portare a spasso un cane da te
rapito calandolo giù dalla
finestra per poi, nell’ordine, provarci con il divano,
slinguarti il mio
cuscino e infine-»
«Tentare di palpeggiarmi una chiappa chiamandomi
“bella
signora” e finendo a terra con una testata della quale ti
darò il bis se non ci
decidiamo a mangiare» completa Megatron, guardandomi con
evidente biasimo «…che
pervertito».
[
Nota
dell’autore: censurare questa parte dell’opera in
fase di editing. È bene che
simili memorie giovanili rimangano acquattate nei più bui
meandri del mio
processore. Conto di procedere limitandomi a dire che “ero
solo un po’brillo”
senza aggiungere dettagli. ]
Mi accovaccio
accanto
al cubo verde proprio come Wraith prima e Megatron poi hanno
già fatto. Sulle
prime non faccio caso all’attenzione con cui mi stanno
osservando ma poi la
noto e, nello stesso istante, comprendo.
«Hai imparato ma a chi non è kostrobnese serve
allenamento
costante. Costante!» ribadisce Megatron, puntando un indice
contro di me.
«L’hai fatto in modo istintivo! Sono
commossa!» esclama
Wraith, con le ottiche lucide più per un vago sentore di
sbronza che per
commozione reale. Spero.
Dovete sapere che accovacciarsi mantenendo la parte
posteriore dei piedi attaccata al terreno, pavimento o superficie in
genere, è
pratica tipica delle genti nate e cresciute in questo settore e viene
chiamata
“squat”. È una posizione che a detta
loro garantisce massima stabilità, massimo
comfort e la possibilità di scattare nuovamente in piedi con
facilità qualora
la situazione lo richieda. Ogni luogo e ogni occasione sono buoni: sei
in
attesa perché arrivi il tuo turno di entrare in un qualsiasi
luogo? Squat. Ti
sei stancato di restare in piedi ma non ci sono sedie attorno? Squat.
Stai
mangiando assieme ai tuoi amici o sei in giro assieme a loro e vi siete
fermati
da qualche parte? Squat. Sei abbastanza fortunato da possedere uno
schermo
grazie al quale poter godere di film e serie? Guardali facendo squat.
State pensando che quanto ho detto finora sembra recitato a
memoria? Sappiate che è così. A detta dei miei
vicini sarebbe stato più facile
per me imparare il loro squat aggiungendo la teoria a un costante
allenamento e
al “partire avvantaggiato grazie al mio non essere una
western spy, blyat” -ove
per western spy s’intende
dire chiunque provenga da città quali Cybercity, Iacon,
eccetera e qualsivoglia
settore non si trovi nel lato est di questo pianeta.
«Se mi
sono
accovacciato in questo modo è per evitare a una maggior
porzione della
superficie del mio corpo di venire in contatto con il vostro pavimento,
il
vostro divano o qualsiasi cosa diversa dal cubo verde! Ci sono funghi
in tutti gli
angoli!» ribatto, conscio di avere un alleato se si tratta di
rimarcare cose
simili.
«Shì» annuisce Wraith, con la bocca
piena «Le montagnole di
scorze di semechki di energon a volte fanno nascere qualcosa. Mai come
in bagno
però».
«Tutta colpa di una certa DISGRAZIATA,
Wraith, che aveva il compito di pulire questo mese e invece non
ha ancora toccato uno straccio, Wraith!»
Debbo ammettere che se Megatron avesse guardato me nella
maniera in cui sta guardando la sorella mi sarei sentito abbastanza
propenso ad
alzarmi e impegnarmi nelle pulizie, tuttavia lei non è me,
purtroppo per il
loro bilocale.
«Abbiamo uno straccio?»
«Sì! Quella cosa bianca che è in
bagno!»
«Quella dove sono nati i funghi che ho barattato ieri con
l’energon extra forte facendoli passare per
allucinogeni?»
«Quella!»
Mangia, non incrociare lo sguardo di uno o dell’altra e
taci, Damus.
Mangia, non incrociare lo sguardo di uno o dell’altra e
taci.
Mangia…
«Aaah… sì beh se vuoi usalo pure, io
non me la prendo».
«No, blyat, non
esiste! Pulire tocca a te, quindi tu pulisci, perché io non
intendo muovere un
dito fino a quando toccherà a me! Chiaro?!»
Una presa di posizione che sarebbe comprensibile se solo
servisse davvero, cosa che invece non è. Sono sempre stupito
di come due
persone tutto sommato ben messe riguardo l’igiene personale
(anche se spaccare
tubature all’esterno del palazzo per fare la doccia
è peggio che discutibile)
possano riuscire a vivere in qualcosa di molto simile a stalla di
porcineacon
anche quando spetta a Megatron pulire. Nonostante la mancanza di funghi
quando
è lui a occuparsi dei lavori di casa possa essere
considerata un netto
miglioramento, resta un esempio da non imitare.
«Cercherò di inventarmi qualcosa in questi
giorni».
«L’hai detto anche una settimana fa!
Disgraziata!»
Smetto di ascoltare il battibecco, che pure continua,
decidendo di concentrare i miei pensieri sul lavoro che mi
spetterà durante la
giornata.
Non che ci sia molto su cui riflettere per un operaio
qualunque di una fabbrica qualsiasi destinato a ripetere meccanicamente
lo
stesso gesto per otto ore al giorno, cinque giorni alla settimana, il
tutto per
una paga che naturalmente è misera dato che il compito non
richiede particolari
requisiti se non riuscire a sopportare l’alienazione che il
tutto comporta.
Le cose sono migliori solo per i responsabili del reparto,
tanto che dopo milioni di considerazioni e ripensamenti ho perfino
trovato la
forza di fare domanda per quella posizione nel momento in cui si
è liberato un
posto: lo stipendio è più alto e, riuscendo ad
accumulare shanix più in fretta,
magari riuscirei ad andarmene da qui prima.
Non è andata bene.
“Ho visto come ti
muovi e come lavori, sei veloce, sei competente e sei organizzato ma,
detta in
modo molto schietto, ti mancano gli attributi per trattare con quelli
che
sarebbero i tuoi sottoposti. Sono stupito già solo del fatto
che tu abbia fatto
domanda. Cerca di imparare a essere più deciso e poi forse
ne riparliamo”.
Pensare al lavoro è stata una pessima idea.
La radiolina, che in tutto questo tempo non era stata mai
spenta e continuava a trasmettere l’inno di Kostrobna, inizia
a emettere una
serie di statiche per poi morire. Il mal di testa atroce che giunge dal
nulla subito
dopo mi fa desiderare di essere morto a mia volta, inizio a sentire
tutto in
modo ovattato, chiudo per un istante i sensori ottici e…
«… aver rotto la finestra prima non è
stato male, almeno non
devo farlo per buttare fuori il cadavere. Ehi! Di’ un
po’, vuoi darti una mossa
a svegliarti?!»
Non capisco cosa intenda Megatron, sono sveglio, ho solo
chiuso le palpebre un attimo.
Non comprendo perché mi succeda, non comprendo il motivo per
cui c’è sempre qualche oggetto che fa la fine
della radiolina poco prima che arrivi
il mal di testa. So di possedere un’abilità che mi
permette di paralizzare
parti corporee altrui e spegnere le macchine ma non la utilizzo per
più d’una
ragione (una delle quali è il mio fisico che ne subisce i
contraccolpi) e,
soprattutto, non ha alcun effetto a distanza.
«Ormai sono tre minuti... Wraith! Hai trovato o no quel coso
con la roba che prende?!»
«Ho solo due mani, gli scomparti sono tanti e non
è in
quello in cui lui lo mette di solit- semechki!
Ha dei semechki! Aveva. Eeee… eccolo! L’ho
trovato!»
«Non so se prenderlo a sberle per svegliarlo o aprigli la
bocca e sbattere dentro tutto».
«Sarebbe una perdita di tempo, gliela metto io direttamente
nel serbatoio assieme all’energon extra forte, almeno fa
effetto prima».
I discutibili approcci medici dei vicini peggiori della
storia riescono a darmi la forza di riaprire gli occhi. Il mal di testa
è
ancora pulsante ma il suono non è più ovattato e
la visuale diventa man mano
meno annebbiata, mostrandomi due paia di occhi dall’indentica
gradazione di
rosso.
«C-che… diamine…»
«Cerca di evitare di andare offline in casa mia, con tutto
il sudicio che c’è manca solo un morto e siamo a
posto. Si può sapere che ti è
preso?!» sbotta Megatron.
«Probabilmente è lo stress. Si ostina a lavorare
otto ore al
giorno, come altro deve finire?»
«Invece di perdere tempo in fabbrica potrebbe stare in giro
con noi, trovare quel che gli serve e imparare a darle quando
è in rissa invece
di bloccarsi e prenderle come quattro giorni fa!» esclama
Megatron, per poi
rivolgersi al sottoscritto «Idiota. Se ci avessi seguiti da
quando siamo
arrivati qui saresti diventato una macchina da combattimento, non come
me, ma
dignitosa».
«Sai che non apprezzo la violenza e ancor meno la violenza
inutile, in caso contrario ti avrei già preso a ceffoni, la
voglia c’è» dico,
ancora a terra, mordendomi la lingua troppo tardi.
Megatron fa un sorrisetto malevolo. «Come la volta in cui
abbiamo avuto quella breve discussione che è finita con lo
sfondamento della
parete che divide i nostri appartamenti? Per quel che mi riguarda
possiamo rifarlo
anche ora! Forza, alzati!» mi invita, facendo cenno di
avvicinarmi «Hai avuto
abbastanza coraggio con le chiacchiere, dimostrane altrettanto con i
fatti!»
Ho davvero voglia di farlo, per un attimo riesco persino a
immaginare il rumore del suo naso che si rompe contro il mio pugno e le
sue
corna a seguire, solo che poi torno bruscamente alla realtà
ricordando che la
mia inesperienza è pari alla sua abilità di
incassare. Non serve che qualche
istante per riuscire a fare due conti e capire che attaccare non
sarebbe una
grande idea.
«Perché invece di rompergli le scatole non gli
proponi di
nuovo di allenarvi a fare a botte insieme quando starà
meglio? Faresti prima»
commenta Wraith, lanciandosi in bocca quelli che erano i miei semechki.
È frustrante la mia incapacità di comprendere
dove finiscano
le azioni dettate puramente dalla natura di attaccabrighe di Megatron e
dove
inizi quello che, dal loro punto di vista, forse è perfino
una mano tesa in un
atto d’aiuto, perché pur vivendo nello squallore e
nel disagio è difficile che
qualcuno decida di rompere loro le scatole ed è ancor
più difficile che
suddetto “qualcuno” ne esca bene, dunque si sentono
più tranquilli e sicuri di
molti; sia come sia, mentre prendo il solito antidolorifico penso che
farei volentieri
a meno tanto delle provocazioni quanto dell’
“aiuto”, anche perché (come il
loro interesse verso la mia salute con tutto ciò che
implica) è più dannoso che
altro.
«Non lo faccio perché questo idiota direbbe di no
come al
solito, ecco perché» replica Megatron alla
sorella, per poi guardarmi «Riesci
ad alzarti in piedi?»
«Anche per forza, tra neanche mezz’ora devo partire
per
andare al lavoro».
«Ancora?! Warith, leghiamolo».
«Non abbiamo corde!»
«Allora lo stendo con una testata, è per il suo
bene».
«Non ci provare nemmeno!» esclamo «Mal di
testa ne ho già
abbastanza senza il tuo aiuto. Il lavoro non è faticoso, ce
la faccio, da qui
all’arrivo in fabbrica sarà passato
tutto… e domani, come dopodomani, sono
giorni liberi».
«Perché invece non vieni con noi a nord del
settore?» mi
propone Wraith, svuotando un cubo e mezzo di energon extra forte e
offrendo l’ultima
metà al fratello «C’è una
partita di Cube nel pomeriggio».
Avrei anche potuto prendere in considerazione l’idea di
accettare se fosse stata una giornata in cui non lavoro e, soprattutto,
se non
sapessi perfettamente che Megatron va allo stadio tanto per sostenere
la
squadra di Kostrobna quanto per dare inizio a risse spaventose che,
complice il
fatto che questo settore sia pieno di teste calde, di solito
coinvolgono tutta
la curva.
L’ultima volta, reo di aver accettato, sono finito mio
malgrado coinvolto nello scontro e ho paralizzato per errore la gamba
di
qualcuno che, come ho scoperto poi, stava fuggendo da Megatron; il
“Grandissimo!”
che ho ricevuto da quest’ultimo, seppur fosse un complimento,
non mi ha fatto
piacere.
«No, grazie, sarebbe molto più faticoso della
fabbrica. Vado
alla fermata…»
«Veniamo con te!» esclama Wraith.
«Il match di Cube non era nel pomeriggio? Perché
partite
ora?»
«Qualcosa da fare nell’attesa
c’è sempre. Lì poi ci sono
case un po’meglio delle nostre e ieri sera ragionavamo sul
fatto che è ora di
prenderci un televisore nuovo, blyat,
ormai è un po’ che siamo senza per…
com’è che è successo?»
«Se non erro, Megatron era ubriaco l’ha usato per
buttare
giù il vostro vicino del piano di sopra quando si
è calato qui e ha bussato
alla finestra per chiedergli se aveva una sigaretta di
energon».
Perché?
Perché eventi simili sono diventati la normalità
nelle mie cronache
ascoltate da Kostrobnesi troppo ubriachi per ricordare?
Wraith solleva le sopracciglia. «Sai che non lo ricordavo
proprio?»
«Questo perché quella stessa sera avete bevuto al
punto che
siete usciti a cercare voi stessi a vicenda, il tutto trascinandomi
dietro».
«Non ci aiuta granché, è successo un
paio di volte in queste
due settimane» sbuffa Megatron.
«Sei. È
successo sei
volte e io parlo della penultima».
«Aaaah».
[
Nota
dell’autore: con mio enorme rammarico debbo notare che
l’intermezzo tra questo
e il mio ritorno dalla fabbrica è andato perso. La mia
ipotesi è che sia andato
a finire in certi punti dei miei appartamenti dei quali io stesso
ignoro
parzialmente il contenuto. Chiedendo a Lord Megatron (quale ironia che
il mio
ex vicino di casa e Lui portino la stessa designazione pur essendo due
persone
totalmente diverse!) di darmi la forza di tuffarmi in una ricerca che
si
preannuncia ardua, per il momento continuo la prima rilettura di quanto
ho
scritto. ]
Quando giungo alla fermata la pioggia è diventata fortissima
e non resta altra luce se non quella delle insegne e quella dei pochi
lampioni
giallo sporco ancora miracolosamente sani.
Alzarmi è quasi difficile, non sono riuscito a sedermi che
cinque minuti fa dopo un viaggio fatto costantemente in piedi che oggi,
forse a
causa di quant’è accaduto stamattina, ho trovato
un po’stancante. Megatron e
Wraith forse sono ancora a nord a far danni o forse sono già
tornati, non so
dirlo (girano molto per il settore ma solitamente finiamo a incrociarci
nei
mezzi pubblici, specie di sera) quindi ho potuto dimenticarmi del posto
in
fondo che, se sono presenti anche loro, mi è riservato.
Quando salgono sui
mezzi pubblici l’espressione di Megatron fa sì che
si crei il vuoto attorno a
lui, alla sorella e a me, con conseguenti posti liberi.
La pioggia che inizia a battere sul mio corpo quando scendo
dovrebbe irritarmi o far sì che mi affretti per raggiungere
casa ma non è così.
La sensazione che provo non è di fastidio, è
quasi un massaggio che riesce a
lavar via la stanchezza e i brutti pensieri per qualche minuto, prima
che il
mio processore ponga un quesito quale “Dove saranno finiti
quei due?”
Il colpo di un cannone a neanche cento metri di distanza,
dal rumore che ormai mi è ben conosciuto, mi porta a
trasalire.
«EEEEEEEE- DYUREDE’DANJE!»
Megatron, perché di lui si tratta, canta (urla) il verso di
una tipica canzone del luogo prima di sparare un altro colpo.
«AJANI’SAM!»
Colpo di cannone numero tre.
Forse è colpa mia che, se in orari simili non sono ancora in
vista, mi chiedo ancora dove siano invece di limitarmi a essere
sollevato all’idea
di non dover assistere a simili sfoggi di kostrobnesitudine.
«SON OMKO JU VOLYM!»
Alle tre cannonate sparate in fila una dietro l’altra si
aggiunge il rumore dei colpi sparati dalle persone che a
quest’ora sono abbastanza
ubriache da mettersi a cantare a loro volta, applaudendo tra un
“blyat” e un
“cyka blyat”
(quel loro intercalare il cui significato cambia a
seconda del contesto, in questo caso d’approvazione, ma resta
sempre alquanto
volgare), alias… tutta la strada.
Questo è il posto in cui vivo al momento.
Incontro Megatron, visibilmente ubriaco, all’ingresso del
palazzo. «Quando ci sei, si sente…»
«AH! Vicino!»
esclama, dandomi una pacca sulla schiena che mi avrebbe fatto crollare
a terra
se fossi stato più esile «Dovevi venire allo
stadio, razza di ssss… zozzone! La
rissa più bella del mese! E il Kostrobna ha
vinto!»
Ciò conferma quel che temevo e quanto ho detto stamattina,
nulla
di sorprendente.
Il desiderio staccare i recettori audio, coricarmi e stare
tranquillo fino a domani mattina diventa sempre più grande
ma inizio a intuire
che non verrà soddisfatto nel momento in cui, giunti al
piano in cui si trovano
i nostri appartamenti, odo la musica tipica del posto sparata a un
volume tale
da far tremare le pareti. Inutile chiedersi da quale delle topaie qui
presenti
provenga di preciso.
«Ecco dov’era andata a finire la deesHgraziata»
commenta Megatron, fermandosi davanti all’ingresso
del suo bilocale e aprendo la porta.
«CYKA BLYAAAAT!»
Questo è il grido con cui Wraith e le oltre venti persone
presenti nello stretto bilocale ci accolgono e, fosse solo questo, non
sarebbe
nulla che non abbia già visto. A essere sconcertante
è ciò che realizzo negli
istanti che seguono.
Dalla finestra che Megatron ha rotto questa mattina entra la
pioggia ma Wraith, invece di fare un tentativo per tamponare il danno,
ha
lasciato entrare l’acqua e ha utilizzato la transfase per
mettere dei pezzi di
lamiera come barriere tra essa, la porta d’ingresso e la
stanza in cui c’è la
cuccetta sua e di suo fratello, creando dunque una piscina (ormai il
livello
dell’acqua è notevole e continua a salire); come
se ciò non fosse stato
sufficiente ha svuotato nell’acqua almeno due flaconi di
detergente profumato,
sopra il cubo verde che galleggia pigro c’è un il
televisore che lei e Megatron
devono aver rubato oggi e… sto pregando inutilmente
divinità di vario tipo che quello
che penzola dal soffitto e si tuffa parzialmente nell’acqua
non sia un grosso insieme
di serpentine arroventate prese da chissà dove per scaldare
l’acqua.
Forse è solo un
sogno. Forse è ancora mattina e io sono ancora svenuto,
perché se così non
fosse staremmo rischiando di saltare tutti in aria.
Kostrobnesi ubriachi marci, alcuni dei quali aggrovigliati
da fili di lucine, ballano, saltano, bevono, ridono e gridano. Il tuffo
che fa
Megatron nella piscina casalinga urlando “Finalmente un
po’di sapone in questo
posto” causa un’onda anomala che raggiunge la mia
faccia.
Io sono sveglio, l’acqua è effettivamente calda e
se avessi
un briciolo di autocontrollo o dignità in meno, sarei in
lacrime.
«…e tu vieni qua!»
Vengo sollevato e gettato in mezzo all’acqua saponata e alle
persone dal peggior vicino della storia.
Temo di poter dire con sicurezza che, anche questa notte,
dormirò la notte successiva.
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