leokasa
of lullabies and storms
Pioggia.
Incessante,
rumorosa, invadente.
La bella divisa
blu e argento non
sembra altro che un cumulo di stracci, la spada che tiene tra le mani
si fa di ruggine, inutilizzabile. Il palco su cui sta in piedi sembra
lentamente sprofondare: l'acqua sale, veloce e vorticosa – in
un
attimo è alle caviglie, alle ginocchia, infine ai fianchi.
Non
capisce se stiano affondando, se un'onda li abbia raggiunti:
è tutto
confuso, concitato, troppo veloce per i suoi occhi.
Fa a malapena in
tempo a voltarsi
verso i suoi compagni, trascinati via dalla tempesta.
Ma non ode urla
né pianti. Tutto
ciò che riesce a sentire, prima di venire sommerso, non
è altro che
il rumore della corona che cade in quel mare di fallimento, pesante e
perduta per sempre.
Leo si
rigira la
penna tra le dita con una certa stizza, senza mancare di schioccare
la lingua di tanto in tanto perché deve rendere in qualche
modo
tutti i presenti partecipi del suo malumore. Ha dimenticato il
quaderno su cui di solito annota idee che rischiano di sciogliersi
come neve al sole, per cui si costringe a guardarsi intorno,
resistendo così all'impulso di mettersi a scrivere sul
pavimento:
ovunque, persone che corrono da una parte all'altra dello studio, tra
le mani caffè, fogli, pennelli da trucco. Gli addetti alle
riprese
continuano a controllare le proprie fidate macchine, per poi
allungarsi appena al di sopra di esse per sbirciare la
realtà oltre
il riquadro – forse le luci, forse il timer che scorre
velocissimo
ed inesorabile, scandendo il tempo che separa quel grande formicaio
dalla messa in onda. Oltre le telecamere, uno studio non troppo
spazioso ospita un semplice ma comodo divanetto bianco, una poltrona
singola per la presentatrice e uno sfondo fatto di colori tenui,
piacevoli alla vista. Il tipico salotto televisivo.
«Ecco
i fogli che
mi ha chiesto, signor Tsukinaga!»
La
giovane
assistente della conduttrice ha sicuramente più anni di lui
(forse
una decina), ma lo sguardo illuminato di ammirazione ed entusiasmo
sembra invertire ogni rapporto di età quasi più
della formalità
con cui gli si rivolge. Leo la ringrazia con un sorriso, prende i
fogli, ma ormai è troppo bizzarramente consapevole dei suoi
dintorni
per tornare a correre dietro a quella melodia che purtroppo
è è già
fuggita lontano.
Non
avrebbe mai
pensato di poterlo dire, ma negli ultimi giorni c'è qualcosa
che lo
preoccupa decisamente di più della musica – Tsukasa
Suou.
Lo
ricorda non
appena entra nel suo campo visivo: nota ancora una volta quella
velata stanchezza dietro il suo sorriso principesco. Uno dei
truccatori sembra voler insistere su qualcosa, ma Leo non riesce a
cogliere le loro parole; vede solo il suo giovane erede fare cenno di
no con la testa, l'espressione gentile sfinita.
Incrocia
le
braccia, pensieroso. Aggrotta appena le sopracciglia ed arriccia le
labbra, poi segue attentamente i suoi movimenti, mentre il giovane si
siede sul divanetto degli ospiti, a suo agio nel completo elegante
che indossa con disinvoltura, nonostante la giovane età.
Il
timer inizia a
lampeggiare, silenziosamente, eppure ha un effetto maggiore di un
allarme bomba. La conduttrice arriva in una corsa leggera che
tradisce sia il suo lieve ritardo che la scomodità dei
tacchi che
porta e, dopo un saluto ed un inchino veloce al suo intervistato, si
siede al suo posto d'onore.
Il
chiacchiericcio
si quieta, le luci si abbassano e il timer si ferma: c'è
posto solo
per lo show, adesso.
E per
l'idea che
inizia a sussurrare alla mente di Leo.
«Sono
davvero
sorpreso che tu ti sia proposto di accompagnarmi».
Leo
alza appena lo
sguardo dal mucchio di fogli scribacchiati per lo più in
modo
disordinato (di questo, per una volta, deve incolpare il semibuio
dello studio più che la sua scrittura nervosa) quanto basta
per
cogliere un assaggio delle spalle nude di Tsukasa, prima che indossi
di nuovo la camicia chiara con cui si era presentato agli studi
–
spalle su cui si sofferma un po' troppo a lungo con lo sguardo, anche
quando ormai sono coperte dalla stoffa leggera.
Davvero,
davvero
complesso provare attrazione per qualcuno.
«Naru
aveva da
fare e Ritsu sarebbe stato meno attento di me, a quest'ora del
pomeriggio» spiega, più didascalico del solito. Ha
sentito
l'urgenza, per lui innaturale, di giustificare un'azione banale come
accompagnare il suo attuale leader ad una
trasmissione
televisiva. Sbuffa appena. Non è più abituato ad
avere a che fare
con sentimenti di questo tipo. «E tu sembri davvero stanco,
Suou».
Lo vede
fermarsi
per un attimo, forse colto nel vivo. Il suo giovane erede si chiude
in qualche secondo di silenziosa riflessione, poi le spalle si
abbassano appena e lo sente sospirare, un attimo prima di voltarsi
con un sorriso in parte arreso.
«Se
lo noti
persino tu, vuol dire che è proprio evidente»
ammette, mentre con
un gesto veloce sistema il piccolo bracciale di cuoio che indossa.
Leo sa che non intende offenderlo – tutti sono consapevoli
che l'ex
re dei Knights è una frana
nell'accorgersi di quel che accade
intorno a lui o nel percepire l'atmosfera – eppure,
l'osservazione
lo impensierisce ed irrita al tempo stesso. Quasi come se Tsukasa
avesse appena insinuato che per lui è impossibile
preoccuparsi per
qualcuno... il che, forse, potrebbe essere vero in molti casi, ma di
certo non quando si tratta di lui. Purtroppo. «Niente di
grave,
comunque. Ho solo qualche difficoltà a dormire».
Eppure,
sembra
molto più di questo. Le occhiaie, sul volto di certo meno
puerile
rispetto a quando lo ha conosciuto, non sono poi così
evidenti; ma
basta notare come non stia aggiustando il colletto, rimasto per
metà
storto ed assumendo così una brutta piega, per capire che il
perfezionista, formale ma pur sempre adolescente Tsukasa Suou ha la
testa altrove.
E non
può essere
solo a causa del sonno.
Prima
che qualche
remota parte della sua mente lo redarguisca, Leo è in piedi,
i fogli
abbandonati sulla sedia. In un attimo è di fronte al
più giovane,
quel pallido centimetro di differenza in altezza a separarli con
più
stridore del solito. Gli sorride sghembo mentre, senza dire una
parola, gli sistema il colletto e, forse resosi conto del gesto
troppo intimo per le distanze che ha sempre cercato di mantenere tra
loro (più per la sua sanità mentale che altro),
gli tira le guance
ancora paffute un attimo dopo.
«Lead--».
L'insieme di gesti coglie evidentemente il ragazzo così alla
sprovvista da farlo persino scivolare nelle vecchie abitudini;
quella, in particolare, a cui sta cercando testardamente di porre
fine.
«I
bambini devono
dormire! Altrimenti finirai col non crescere più!»
lo rimprovera
per tutta risposta Leo, imbronciato, senza dare segno di voler
smettere di tirare le gote dell'altro.
«Da...
che
pulpito...» riesce a dire il rosso, seppur biascicando
dolorosamente
a causa della dispettosa punizione dell'altro.
«Che
vorresti
dire?!»
«Che
hai due anni
più di me e sono comunque più alto io!»
«Non
mi piace
dormire quando posso comporre! Ho sacrificato i miei centimetri per
dei capolavori!»
«Come
sempre, sei
il solito incoerente ed irresponsabile!»
Per un
attimo,
tacciono. Si guardano dritti negli occhi, entrambi con le
sopracciglia appena aggrottate perché consapevoli di aver
torto e
ragione al tempo stesso. Leo lascia le guance di Tsukasa e, un attimo
dopo, eccoli che ridacchiano, diversi eppure complici come sin
dall'inizio è sempre stato. Persino quando si consideravano
nemici.
Basta
quel suono
leggero per scaldare il petto del compositore.
«Grazie»
sussurra
il ragazzo, gli occhi addolciti da quella che è vera
gratitudine.
Leo sa
che ha fatto
la scelta giusta – Tsukasa è l'unico in grado di
indossare quella
corona così pesante senza rimanerne schiacciato dal peso.
Proprio
perché Leo sa cosa significhi cercare di camminare senza
rischiare
di farla cadere continuamente, sapeva e sa bene che questi primi mesi
sarebbero stati difficili da affrontare e, proprio per questo, vuole
essere la guida e il conforto che lui non ha avuto a suo tempo.
Almeno,
si è
ripromesso di farlo.
Le
prove sono
difficili da organizzare, soprattutto da quando Izumi Sena lavora
moltissimo fuori dal Giappone. Per questo, hanno deciso che
è più
facile organizzarsi in coppia e poi decidere insieme per delle prove
generali, il tempo passato insieme sfruttato con cura. Senza sorpresa
di nessuno, dato che è Ritsu ad organizzare i turni di prove
(chi,
dove e quando), queste si svolgono quasi sempre di sera.
Leo
è in anticipo
rispetto all'orario scritto sulla tabella – assurdo,
sì. In una
visione d'insieme, c'è da dire, che ultimamente è
tutto assurdo,
per quel che lo riguarda. Basta vedere il foglio che tiene in mano
per rendersi conto che qualcosa non va.
È
Arashi il primo
ad uscire, il volto appena arrossato da un'ora e mezza di prove
sicuramente non da sottovalutare. Sgrana appena gli occhi violacei,
poi stringe appena le labbra come fa sempre quando capisce qualcosa.
«Leo,
che
sorpresa! Vieni a mangiare con noi?»
«Mi
piacerebbe,
grazie Naru. Ma in realtà--».
«...
Leo? Che ci
fai qui? Non sei in anticipo?»
Tsukasa
chiude la
porta dello studio dietro le sue spalle e, chiavi alla mano, assicura
il tutto con due mandate decise.
Leo
esita, poi si
volta verso Arashi; il ragazzo ha già colto una strana
tensione
nell'aria, sensibile com'è – basta uno sguardo del
suo vecchio Re
per comprendere che lui e Tsukasa hanno bisogno di tempo da soli, di
parlare a quattr'occhi. Non esita, dunque, nel sistemarsi il borsone
sulla spalla e poi si rivolge ad uno Tsukasa sempre più
confuso.
«Ripensandoci,
mi
sono ricordato di un impegno, proprio stasera! Ma la prossima volta
ti porto davvero a mangiare le polpette che ti ho promesso! A
domani!» inventa in un istante il biondo, prima di
incamminarsi
verso la fermata del bus. Tsukasa non fa quasi in tempo a chiedere
spiegazioni prima che Leo gli si pari davanti, ben intenzionato a non
lasciargli alcuna via di fuga.
«...
Si può
sapere che ti prende, all'improvviso?» sibila Tsukasa, gli
occhi
grandi e gentili improvvisamente ridotti a fessura, segno che
è
pronto a farsi valere; Leo lo sa, lo sa che non gli
piace
essere tenuto all'oscuro delle cose, soprattutto adesso che ricopre
una posizione di responsabilità, sì, ma anche di
potere.
“Appunto
per
questo”.
«Mi
ribello».
Tsukasa
sbatte le
palpebre, perplesso. «Come?»
«Ammutinamento!»
sbraita, agitando le braccia e la sua voce rimbomba così
tanto, in
quel vasto spazio vuoto che, seppur flebilmente, si sente un eco in
lontananza.
«Adesso
pure le
metafore piratesche?» e potrebbe sembrare la risposta di uno
sketch
comico, tanto che Leo pensa per un attimo che è davvero un
peccato
che non ci sia nessuno ad assistere. Poi Tsukasa si massaggia le
tempie, in difficoltà a tenere il suo passo senza cadere nel
solito
botta e risposta. «No, no. Piuttosto, ribellione per
cosa?»
«Perché
sei un
irresponsabile».
«Oh,
questa è
davvero bella. Da quale pulpito?»
«Da
quello di uno
che ci è passato prima di te».
Quello
che sembra
il loro classico, ennesimo battibecco improvvisamente si placa in un
silenzio che sembra amplificarsi e rimbalzare contro le pareti
lontane della struttura che li circonda. Leo sa che l'altro prova
ancora una profonda riverenza per lui e proprio su questa sta facendo
pressione, per far sì che lo ascolti.
Lo
vede, in quegli
occhi appena sbarrati, che ha toccato il nervo giusto.
Ma
adesso che ha la
sua completa attenzione, è davvero difficile cercare di
essere
sincero senza smascherarsi nel tentativo; difficile prendere in mano
una situazione su cui non ha mai neanche avuto davvero il controllo,
aspettando che sia l'altro a farlo. Ma lo sa, che non può
più
attendere che cresca, o finirà con il distruggersi.
«Suou,
non hai
bisogno di dimostrare niente. Non devi, tanto meno, dimostrarlo a me.
Tutto quello che ti serve, lo hai qui» e gli poggia una mano
sul
petto. Registra solo con un attimo di ritardo che quello che sente
battere frenetico, lì sotto, è il cuore
dell'altro, e questo gli
causa un tale rossore che è quanto di meno necessita in quel
momento. Riprende, anche per distrarsi. «Non hai bisogno di
addossarti lavori che possiamo fare anche io, Naru o Ritsu al posto
tuo. Non serve che tu faccia gli allenamenti con ognuno di noi,
possiamo gestirci anche da soli. Non è necessario che tu
accolga
tutti i nuovi arrivati sotto l'ala dei Knights e
sì, me l'ha
detto Ritsu» lo zittisce prima che il più giovane
abbia modo di
ribattere. «Non ritratto sulla mia scelta. So di avere
ragione, tu
sei nato per portare questa corona, ma...» Gli occhi viola,
pieni di
una colpevolezza che lo rendono quasi debole, per un attimo rischiano
di risucchiarlo in un gesto che poi sarebbe stato difficile da
giustificare, ma soprattutto impossibile da ritrattare. Deve
respirare a fondo, prima di continuare. «... ma non sei solo
questo.
Sei anche uno studente, un figlio, un amico. I Knights devono essere
la tua casa, non la tua prigione».
Non sa
come lo
abbia convinto a seguirlo. Quelle due ore che che avrebbero dovuto
passare ad esercitarsi si sono trasformate prima in un viaggio
silenzioso verso l'appartamento che ha preso da poco in affitto, dove
lo ha costretto a sedersi sul suo divano un poco malconcio, e poi in
un'altra altrettanto silenziosa cena, le menti di entrambi troppo
affollate di pensieri.
Ora
Tsukasa è
fermo, seduto sul suo divano, tra le mani una tazza di latte caldo e
nient'altro che lo sguardo fisso nel niente. Non ha quasi
più
proferito parola (se non per qualche mugugno di assenso o parola di
circostanza) e sembra improvvisamente dimostrare l'età che
dovrebbe
avere. La stanchezza sul volto roseo è più
evidente, forse perché
meno mascherata da un sorriso tirato, troppo adulto per essere
accettabile.
Leo
però non è
bravo a gestire queste situazioni. Che abbia esagerato? Che sia stato
troppo duro con lui? Dopotutto, non dovrebbe più essere il
re né il
tiranno che lo ha costretto a strappargli la corona dalle mani...
«Leo»
lo chiama
all'improvviso Tsukasa, sollevando lo sguardo verso di lui. Il
compositore quasi sussulta, preso alla sprovvista. Come sempre, pare
l'unico in grado di riportarlo sulla Terra. «... Mi
dispiace».
È
un sussurro
sincero e proprio, per questo, deve costargli carissimo. Leo non
perde la sequela di emozioni che si manifesta apertamente sul volto
puerile, compreso il modo in cui si morde il labbro inferiore e
stringe poi la tazza tra le mani con più forza del dovuto.
«Non
volevo farvi
preoccupare, ma... ho il terrore di fallire. In tutto.
Ho—spesso
incubi. Anzi, uno solo». Leo si siede vicino a lui, in
silenzio. Lo
vede lottare contro la sua età, la sua inesperienza, le sue
paure –
lo fa nel riflesso di quel latte che inizia a raffreddarsi, mentre
gli si confessa. È un fiume in piena, adesso. «La
situazione a
scuola è caotica, Narukami e Ritsu spesso non ci sono, io
neanche. I
nuovi arrivati sono tanti e confusi, ma io non ho neanche modo di
metterli alla prova adeguatamente. Non ho niente da offrire loro se
non un posto sicuro. E poi... non posso fare a meno di pensare che
non sono poi così diverso da questi ragazzi, ancora. Penso
che
undici mesi non possano segnare un confine così netto tra me
e loro.
Poi c'è l'agenzia, gli affari di famiglia e--».
«Tsukasa».
Il nome
gli sfugge
dalle labbra prima che possa frenarlo, ma tanto basta perché
il suo
giovane erede sollevi lo sguardo, stranito. Cerca una risposta -
“perché hai usato il mio nome?” - ma sul
volto di quello che una
volta ha ritenuto, senza poi sbagliare troppo, un despota, non trova
altro che un ragazzo di poco più grande di lui e un sorriso
dolce,
fatto di affetto e nulla più.
Si sta
esponendo –
questo Leo lo sa, avverte crescere la sensazione del rischio che
incombe. Ma sa anche cosa vuol dire sentirsi trascinare giù
da un
peso troppo grande, sa cosa vuol dire non avere il coraggio di
chiedere aiuto ma averne un disperato bisogno. Gli prende
delicatamente il volto tra le mani, accarezza quelle guance che ha
sempre dispettosamente torturato e poi poggia la propria fronte sulla
sua.
Non
sono mai stati
così vicini, almeno fisicamente.
«Ci
sono passato
anche io. Al tuo posto, però, sono scappato» gli
sussurra e chiude
gli occhi, per non rischiare di cadere in una tentazione già
troppo
forte. «Mi sentivo solo, anche se non lo ero. Per questo,
sono qui
per dirti che neanche tu lo sei e non ho intenzione di farti pensare
di esserlo».
Si
allontana
appena, quanto basta perché entrambi possano riprendere a
respirare.
Tsukasa ha il volto arrossato, i capelli leggermente scompigliati
–
eppure il suo sguardo è di nuovo luminoso e Leo riconosce,
quasi
abbagliato, colui che ha scelto come suo successore.
Non
esiterebbe a
rimettere quella corona sul suo capo una terza volta.
«...
L-Leo... ?»
ma quel che è rimasto del Re folle si limita a togliergli
solo la
tazza dalle mani, poggiarla a terra e poi, con una calma che di certo
non gli appartiene, prende Tsukasa per il polso e lo trascina con
sé
e su di sé, mentre entrambi sprofondano su quel divano
sconquassato.
Il corpo del giovane trova subito il suo spazio, come se sapesse
esattamente dove incastrarsi. In un attimo, la nuca di Tsukasa poggia
sulla sua spalla. «M-Mi pare—molto sconveniente,
questo!» Trema
quasi, nel dirlo.
«Il
tuo leader
ti compone una ninna-nanna per farti dormire e tu dici che è
sconveniente?»
«Non
è a questo
che mi riferisco...» sospira, poi si distende appena sul
corpo
dell'altro e, timidamente, trova conforto in quella vicinanza. Non si
azzarda a sollevare la testa per rimproverarlo con lo sguardo.
«E
non hai mai parlato di una ninna-nanna. Devi imparare a
spiegarti».
«Tempo
perso» gli
risponde e poi sorride sinceramente. Si schiarisce appena la voce,
gli carezza delicatamente la nuca e poi inizia ad intonare una
melodia che è poco più che un sussurro: note
lenti, dolci e calme,
che accompagnano in una danza solitaria sia le dita che le ciocche
del colore del tramonto. Una susseguirsi di tocchi e suoni
concentrici, ripetitivi, che invitano innocentemente al sonno.
L'imbarazzo
si
scioglie e, lentamente, abbandona i corpi di entrambi. Le membra di
Tsukasa sembrano farsi più leggere, come se la sua mente
instancabile fosse appena volata via. Il respiro del ragazzo si fa
appena più rilassato e, più Leo intona quel
cantilenare sempre
uguale a se stesso, più questo si fa profondo e lento,
ritmato.
Ha
scritto quella
manciata di note mentre era seduto in quello stupido studio
televisivo, con niente più di un sorriso tirato e stanco
sotto un
riflettore che gli annebbiava forse una vista già offuscata
da
troppe cose. L'ha scritta pensando al suono delle onde del mare, alla
brezza dell'inizio di primavera, del primo sole caldo che sembra
scottarti la pelle. Ha scelto solo le note con cui avrebbe voluto
cullarlo tra le sue braccia, rassicurarlo che era già
cresciuto, ma
avrebbe continuato a farlo con la calma che si meritava.
Continua
a
canticchiare anche quando Tsukasa dorme già.
Così, steso sul suo
corpo che, forse, a breve non sarà più in grado
di accoglierlo così
facilmente; così, con un rossore che scorge a fatica
sull'unica
guancia che riesce a vedere, quella che non poggia sul suo petto.
Quando
le dita si
fermano, Leo scopre che tremano. Le guarda in quel loro
impercettibile e codardo movimento, poi porta la mano in basso,
lontano dalla sua vista. Gli cinge il fianco e si gode quel contatto
che non aveva premeditato, di cui forse aveva più bisogno
lui che
l'altro.
“Solo
per
stanotte”.
Cerca
di
prometterselo, eppure, prima di chiudere gli occhi, spera di poter
infrangere quel voto il più presto possibile.
La marea si
è ritirata. Alle sue
spalle, si è lasciata solo tanta spiaggia bagnata, stoffe
umide e
scomodamente appiccicate alla pelle piena di sale finché,
pigramente, restituisce uno ad uno gli oggetti che sembrava essersi
portata via per sempre.
La corona, con le
sue cinque pietre
preziose, brilla indisturbata sulla sabbia. Sembra che quell'onda
anomala l'abbia rinvigorita, resa persino più lucente.
Quattro mani si
poggiano sulla sua
schiena, così come quattro voci chiamano il suo nome
all'unisono.
Poi una,
più forte delle altre,
esplode in una risata che sembra portarsi via ogni traccia di paura.
«Hai
visto, Suou? Nessuna tempesta
può spazzarci via, finché siamo
insieme!»
Note: Non sono
molto convinta del risultato di questa fic, ma la main story mi ha
fornito parecchio materiale su cui riflettere. Ho incontrato un Leo
nuovo, più maturo e consapevole di ciò che lo
circonda. Sapevo che, tra i Knights, i tre ad essere cresciuti di
più sono stati proprio Leo, Tsukasa e Arashi.
Ma Tsukasa affronta troppe cose e troppo in fretta; ripenso a
quell'iniziale rifiuto della corona, penso con quanto amore ha
combattuto per vincerla. Eppure, a conti fatti, per lui non
è facile affrontare una realtà che lo vuole
adulto, ma col cuore puro; lo vuole circondato da chi, a differenza
sua, tesse tele di piani e pianucoli perché vuole ottenere
qualcosa che vada oltre al buon nome della propria unit.
E' un ragazzo semplice, Tsukasa. E per chiunque, al suo posto, sarebbe
facile sprofondare nella paura del fallimento, con tante
responsabilità addosso.
Volevo che Leo lenisse, seppur di poco, questo peso. Il concetto dei
due re che regnano - uno alla luce e l'altro nell'ombra ha una forza
dirompente che tuttavia non esprime fino in fondo la
capacità che hanno di supportarsi l'un l'altro. Leo
è libero, ma si è prefisso il compito di vegliare
su Tsukasa in un percorso che, chi meglio di lui lo sa, può
condurre alla follia.
C'è giusto un accenno alla loro attrazione fisica,
perché a mio parere per entrambi è troppo presto
(e anche tardi, ma vabbè...). Volevo che ci fosse solo cura
e dedizione, quella "voto di silenzio" che si sono scambiati nel
momento del passaggio dello scettro.
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