[lips-season-need]
Ricorda
la prima
volta che ha desiderato baciarlo.
È
stata anche la
prima volta che l'ha visto tendere l'arco.
Non
erano passate
che poche settimane dalla fine del Judgement, in cui si erano
scontrati alacremente. Un conflitto di passioni, di idee, che era
esploso in una promessa – iniziare da capo.
Dopo
quel primo
momento di condivisione, Leo Tsukinaga sembrava essere però
tornato
lo stesso eccentrico Re che aveva in un primo momento frainteso, ma
che aveva desiderato così ardentemente conoscere. Nulla,
superficialmente, pareva cambiato: aveva perso il conto, in quel
breve lasso di tempo, di quante volte si fosse trovato a cercarlo tra
i corridoi della scuola, a chiamarlo a gran voce, a trascinarlo di
peso alle prove dei Knights.
Forse
non c'erano
chissà quali grandi speranze che cambiasse davvero, si era
detto.
Eppure,
neanche il
tempo di pensarlo e in quel preciso istante, mentre fuori
cominciavano a cadere le prime foglie rosse del calore estivo che
andava spegnendosi, si era innamorato di lui.
Non si
trattava più
dell'immagine idealizzata che si era fatto di lui nella sua mente
prima di incontrarlo – no: c'era solo un ragazzo reale, il
braccio
teso in un gesto elegante e dignitoso, che mai avrebbe pensato di
vedergli fare. Lo sguardo smeraldo brillava dei riflessi del sole
calante, incapace di distaccarsi dall'obiettivo con la stessa
voracità con cui un'aquila poteva puntare la propria preda.
Gli
hakama parvero agitarsi appena, come se un vento divino avesse
benedetto quel gesto con la sacrale bellezza di un miracolo e, in un
attimo, le dita snelle fecero sì che la presa sulla corda
venisse
meno.
Non
appena la
freccia spiccò il suo volo sicuro, le labbra di Leo, fino a
quel
momento lievemente tirate dallo sforzo della concentrazione, si
distesero in un attimo, si fecero più tonde, invitanti.
Tsukasa
sbarrò
appena gli occhi, un tumulto sconosciuto che gli invade le membra: se
Leo fissa con concentrazione disumana il suo obiettivo, lui non
riesce a distogliere lo sguardo da quella labbra.
In lui
nasce per la
prima volta il desiderio.
La
freccia fece
centro. Nessun rumore, se non quello del bersaglio colpito, che
vibrò
impercettibilmente per il colpo subito. Perfetta, come se fosse nata
per centrare il proprio obiettivo.
Non
c'era sangue
versato, sulla distesa d'erba verde.
Eppure,
il dolore,
lo sentiva Tsukasa all'altezza del cuore.
Ricorda
anche
quando ha finalmente trovato il coraggio di prendersi quel bacio.
Erano
le vacanze
estive del suo turbolento secondo anno. Sedeva agitato alla scrivania
di una camera che gli sembrava da qualche tempo troppo grande per una
sola persona – insopportabilmente vuota, rispetto a
ciò a cui si
era abituato prima di quanto avesse potuto immaginare. Vicino al suo
gomito, svettava una pila di fogli che esigeva la sua più
completa
attenzione: contratti di lavoro da distribuire ai suoi compagni,
esercizi per le giovani leve alla Yumenosaki e persino dei documenti
delle proprietà dei Suou da rivedere prima di essere
firmati.
«Aaaah...».
Un
mugugno esasperato gli sfuggì perché (e questa
era la cosa più
assurda) la carta che più lo preoccupava era, in
realtà, sotto la
punta della sua penna. La stessa penna che continuava a picchiettare
contro il legno pregiato del mobile che sua madre aveva insistito col
far mettere in camera sua.
Era il
terzo
foglio, quello su cui aveva iniziato a scrivere. “Esercizio,
non
gliela darò mai”, si era detto. E allora
perché, perché ogni
volta si sentiva così stupido?
Forse
non era stata
poi una così saggia idea chiedere consiglio a Narukami...
Un
veloce bussare
lo distrasse per un attimo dal suo tumultuoso pensare troppo e, in un
attimo, la porta della sua stanza personale venne aperta: ecco la
familiare immagine dell'inserviente che si inchinava appena ma,
inaspettatamente, non era lì per chiedergli se gradiva un
té ma
bensì gli annunciava un ospite.
Non
colse che un
barlume di scompigliati capelli aranciati, eppure il giovane
scattò
in piedi così velocemente che la poltrona stridette
rumorosamente
contro il pavimento.
«Suoooou!»
Leo
Tsukinaga,
niente di meno che il destinatario della lettera che stava tentando
di buttare giù con risultati a dir poco discutibili, era
sulla
soglia della porta di camera sua.
All'improvviso,
così, senza essere stato invitato da nessuno.
Tsukasa
ebbe
improvvisamente voglia di urlare. Non seppe neanche cosa lo
frenò
dal farlo.
«Che—che
ci fai
qui?» riuscì finalmente a dire, mentre Leo si
chiudeva con
eccessivo zelo (soprattutto considerando il soggetto) la porta alle
spalle.
«Naru
mi ha detto
che potevo esserti utile con le scartoffie e ultimamente mi
annoio!»
Come se questo bastasse a giustificare il fatto che si fosse
presentato a casa sua senza porsi il minimo problema, senza neanche
avere l'accortezza di avvertirlo. «Hai una casa davvero
enorme! Ma
non vi perdete, qui dentro? A me servirebbe una mappa»
chiese, un
attimo prima di sedersi con un piccolo balzo sul suo letto e quasi
rimbalzarvi sopra.
Aveva
lo stesso
decoro di un bambino e la cosa peggiore era che lo trovava carino.
Carino.
«Utile
a
distrarmi, certo» mormorò, tornando a rilassarsi
quanto bastava per
ricordarsi almeno delle buone maniere. Si massaggiò appena
le
tempie, esasperato più da se stesso che dall'ospite inatteso
e poi,
arreso ma segretamente felice di quella presenza, attraversò
la
stanza. «Vuoi del tè? Freddo, considerando la
temperatura».
«Oh,
sì! Grazie,
Suou!»
Tsukasa
non poteva
immaginare, allora, che decidere di far servire del tè per
sé e il
suo ospite (e quindi lasciare la stanza) avrebbe cambiato non solo
ogni suo piano per il futuro, ma letteralmente la sua vita. Passarono
forse un paio di minuti eppure, quando rientrò, il giovane
nuovo Re
sentì sgretolarsi il pavimento sotto i suoi piedi.
Strana
sensazione
da descrivere a parole, il panico.
Leo era
in piedi,
davanti alla sua scrivania. Teneva tra le mani un foglio di carta
spessa, da lettere, fin troppo simile a quello che, poco prima,
Tsukasa aveva abbandonato a causa della sua visita inaspettata. Dallo
sguardo concentrato sul contenuto, Tsukasa seppe immediatamente che
era troppo tardi.
«Non--»
provò a
dire, mentre tentava di aggrapparsi all'irritazione per essere stato
scoperto, dopo aver posto così tanta cura nel nascondere
quella sua
cotta adolescenziale, che – questo si era detto –
sarebbe ben
presto sfumata e che aveva tanto faticato ad accettare.
Riuscì a
muoversi, ad attraversare la stanza con passi veloci ma pesanti e
strappargli dalle mani la lettera incriminata, perfettamente
consapevole che sul suo volto doveva esserci un poco decoroso
rossore. «Non...» Ma “non” cosa?
C'erano
troppa poca
distanza a separarli, adesso. Negli ultimi mesi, Tsukasa aveva
superato ancora di qualche centimetro Leo e il più grande
adesso era
costretto a guardarlo lievemente dal basso, il che gli causava sempre
strane sensazioni. Eppure, in quei suoi occhi felini, Tsukasa non
lesse altro che avidità.
«Vuoi
dirmi che
non è come credo... ?»
Se
fosse stato più
lucido, forse Tsukasa si sarebbe chiesto come facesse ad essere certo
di aver capito quanto aveva scritto. Dopotutto, non erano che una
manciata di righe che parlavano di come gli fosse riconoscente di
essere rimasto nei Knights e di aver, seppur in modo poco consono,
contribuito alla sua crescita non solo come idol, ma come persona.
Non c'era che un accenno al calore che provava nel saperlo al suo
fianco, pronto ad intervenire quando ne aveva maggior bisogno; si
poteva solo intuire quel desiderio che provava di poterlo prendere
per mano e camminare, finalmente, al suo fianco. Non c'erano prove
dell'urgenza di agire che provava persino in quel momento, del cuore
impazzito che sembrava intimargli ad ogni furioso battito di agire.
Non
c'era niente
che esprimesse quel desiderio di baciarlo, che aveva tentato di
esorcizzare in ogni modo.
Nello
sguardo di
Leo, però, c'era una consapevolezza che di certo non poteva
provenire solo da quel pezzo di carta.
Non
aveva tempo,
però, di essere lucido – la mente sembrava
soffocarlo di pensieri:
di “se”, di “come”, di
“poi”. Tutto quello che aveva
cercato di contenere in un troppo piccolo cassetto, relegato in un
angolo della sua mente, era improvvisamente esploso.
Forse
stremato
dalla mole di voci nella sua testa, che tentavano di urlare una sopra
l'altra nel tentativo di metterlo in guardia, si spinse in avanti e
chiuse una volta per tutte quella distanza che aveva cominciato ad
accorciare poco meno di un anno prima.
Le loro
labbra si
unirono in un impacciato abbraccio di labbra e, più che
placare quel
rumoroso bisogno di scoprire che sapore avessero, quel bacio non fece
che amplificarlo: improvvisamente, tutto il suo corpo sentì
il
morboso desiderio di conoscere anche il resto del corpo dell'altro,
come se qualcuno avesse attivato una reazione chimica impossibile da
placare, una volta messa in moto.
Leo non
lo
respinse.
Anzi,
labbra meno
ritrose di quanto si sarebbe mai aspettato si mossero contro le sue,
immobili dopo quella coraggiosa avanzata.
Tsukasa
si ritrasse
non di certo per pentimento; oltre all'imbarazzo, poco celato su un
volto ormai violaceo, c'era anche il sospetto che Leo lo avesse
contagiato con quell'ingordigia di scoprire... perché
aveva
avuto paura del modo in cui quella bocca era sembrata non bastargli
più nel momento stesso in cui l'aveva assaporata.
Il
compositore lo
guardò tentare di ricomporsi, poi accennò una
risata cristallina,
quel trillo di ragazzino che Tsukasa voleva non perdesse mai.
«Non
sai da quanto
aspetto, era ora!»
Ricorda
il primo
bacio che ha avuto il sapore dell'ultimo, almeno per un po'.
«Cos'è
quella
faccia preoccupata?»
Tsukasa
si limitò
a volgere lo sguardo, portarlo altrove. Una soluzione più
facile che
rispondergli subito.
Dopotutto,
era più
che preoccupato e non solo perché il suo ragazzo era un
totale
irresponsabile, ma soprattutto perché l'idea di stare
distanti per
mesi lo rendeva inquieto. Anche se ormai la loro relazione, taciuta
ai riflettori, andava avanti da quasi un anno (con molte meno
difficoltà del previsto), non riusciva a mettere a tacere il
nodo
all'altezza dello stomaco che gli si formava di continuo, sin da
quando aveva saputo di quel lavoro all'estero che Leo aveva
accettato.
«Mi
preoccupo per
chi è sull'aereo con te. Non credo tu sia in grado di stare
seduto
composto per dodici ore di seguito». Questo non significava
che
glielo avrebbe detto, ovviamente.
Leo
alzò lo
sguardo dalla valigia che aveva quasi finito di preparare, il naso
lievemente arricciato – quasi avesse fiutato la piccola
menzogna.
Aveva i capelli raccolti con la molletta a forma di rana che Ruka gli
aveva regalato la settimana prima e che, da allora, non perdeva
occasione di sfoggiare, per quanto contribuisse a farlo sembrare un
bambino.
«E
io che pensavo
tu fossi triste perché non potremmo vedere la fioritura dei
ciliegi
insieme».
Tsukasa
si rese
conto di aver sbuffato solo una volta colta la risatina divertita del
suo ragazzo, che stava facendo una per niente credibile revisione di
quello che aveva già sistemato nel proprio bagaglio.
Era ovvio
che gli dispiacesse, ma non era neanche il tipo di persona che
metteva i suoi desideri egoistici prima del dovere – e poi,
nel
caso di Leo, non poteva neanche dire che non fosse necessario per
entrambi distanziarsi un poco, ogni tanto. L'idea che fossero circa
sei mesi, però, lo rendeva inquieto.
«I
ciliegi
fioriscono ogni anno, non è un dramma»
replicò, seppur fosse
evidente che un po' un dramma lo era. «Solo che...
è la prima volta
che parti così a lungo, da quando stiamo insieme».
Ecco,
lo aveva
detto. Adesso, lo sapeva, Leo lo avrebbe preso in giro –
sì,
perché dubitava potesse irritarsi per una simile
affermazione. Anzi,
conoscendolo, era probabile che lo stesse provocando da almeno una
settimana per strappargli quella confessione.
Ed
infatti eccola,
quella risata che avrebbe messo volentieri a tacere mettendogli una
mano sulla bocca, ma sapeva solo che ne avrebbe ottenuto un morso
sulle dita e poi chissà cos'altro. Era così, Leo:
un adulto a cui
piaceva ricordare la meraviglia di essere bambino, con tutte le
difficoltà che questo comportava.
Eppure,
per quanto
indubbiamente irritante, quella risata gli sarebbe mancata: gli
sarebbe mancato il modo in cui le labbra sottili che tanto a lungo
aveva bramato si tendevano fino a formare delle fossette ai loro
angoli, così come avrebbe pensato al suono cristallino della
sua
voce sempre troppo acuta con malinconia e che sicuramente dal
telefono sarebbe sembrata solo più distante.
«Hai
paura che
possa dimenticarti, Suou?» gli chiese, una volta placato quel
moto
di risa, asciugandosi appena gli occhi.
«Non
mi stupirei
se ti dimenticassi il mio nome dopo qualche ora di aereo».
Leo
ridacchiò di nuovo, poi lasciò definitivamente
perdere il suo
bagaglio (a cui non aveva prestato minimamente attenzione, sin
dall'inizio) per balzare prima sul proprio letto e fare delle
lenzuola un piccolo caos e finendo poi col lanciarsi tra le sue
braccia, dando per scontato che Tsukasa lo avrebbe afferrato.
E
così fu –
certo, finirono comunque con un tonfo per terra, ma riuscì
almeno ad
attutire in qualche modo la loro caduta.
«Sono
io quello
preoccupato! Se continui a crescere così, per quando
sarò tornato
sarai due metri!» protestò il rosso, prima di
approfittare della
sua posizione, ignorando il fondoschiena dolorante del suo ragazzo e
tenerlo quindi per le spalle saldamente ancorato a terra. «Un
po' di
rispetto per chi è più grande di te!»
«...
Non credo che
nessuno a vederci direbbe che tu sei l'adulto dei due».
«WAAAAH,
cattivo!
Terribile, terribile Suou!». E Tsukasa rise, a quelle
proteste
infantili.
Poi
succedeva,
all'improvviso, che l'espressione di Leo mutava e che il rosso si
ritrovava a deglutire, e non solo perché impossibilitato a
muoversi.
Il
più grande si
abbassò su di lui, i loro volti a non più di
qualche centimetro di
distanza – eppure, Tsukasa sapeva che un gesto ormai
così usuale
come un bacio, in certi momenti si tramutava in un'arma in grado di
mettere alla prova ogni suo tipo di autocontrollo. E quelle labbra,
che aveva desiderato baciare ancor prima di capire di essersi
innamorato di quel re folle e meraviglioso, diventavano solo il
preludio ad un tornado di bramosia che non aveva ancora imparato a
conoscere e che, a tratti, lo spaventava.
Non
c'era più,
però, solo quella bocca sopra di lui: c'era uno sguardo
consapevole,
di chi sapeva perfettamente cosa voleva e cosa avrebbe ottenuto.
C'era un corpo, sopra il suo, che aveva imparato ad amare in ogni suo
minimo dettaglio – dalle mani bellissime ma rovinate dalla
scrittura, alle cosce muscolose nonostante l'apparenza minuta. Non
c'era una cosa, che fosse un pregio od un difetto, che non amasse, di
Leo Tsukinaga.
«Neanche
io potrei
dimenticarmi della persona che mi ama e che amo, Suou. Non sono
ancora così irrecuperabile» e poi quella voce,
insolitamente
placida, si spense sulla sua bocca e si trasformò in un
bacio caldo,
in grado di cancellare seppur solo per qualche attimo quelle parole
appena pronunciate. Perché per Tsukasa era ancora difficile
pure
accogliere le mani dell'altro sul proprio volto senza sentirsi sul
punto di esplodere, figurarsi nell'avvertire quell'intero corpo sopra
il suo.
Aveva
scoperto,
grazie a Leo Tsukinaga, di essere nient'affatto razionale ma
più che
mai mosso da emozioni e pulsioni.
Gli ci
volle molto
ossigeno, dopo quel bacio, per ricordare quanto gli aveva detto. Per
rendersi conto che quella era la prima volta che gli diceva che lo
amava in modo così cristallino.
Il
tempo di
realizzarlo e di rendersi conto che persino l'indomabile,
imprevedibile Leo Tsukinaga aveva nascosto il volto, forse troppo
rosso per essere mostrato, contro la sua spalla.
«...
Era un—modo
per rassicurarmi?»
«Mh».
«...
Beh, ci sei
riuscito».
Ma il
bacio più
caldo di tutti?
I
Knights non erano
nuovi ad un concerto di Natale. Era la prassi, quella di partecipare
ad eventi con tante unit diverse, amici e rivali vecchi e nuovi
–
soprattutto durante le festività, quando le coppie potevano
condividere assieme un momento unico, magico.
A dirla
tutta,
Tsukasa avrebbe avuto altri piani, per quel Natale e questo bastava
per fargli capire quanto fosse cambiato, camminando al fianco di Leo
Tsukinaga. Eppure, amava il palco tanto quanto amava chi
inconsapevolmente a quel palco ce lo aveva portato, tracciando una
melodia più rossa del filo del destino.
Dopotutto,
non era
da tutti poter dire di aver passato il Natale con le persone che
amava di più e con chi amava loro più di ogni
altro. Bastava
mettere un piede su quella struttura, costruita a forma di stella per
l'occasione, con un enorme abete addobbato al centro, per sentirsi
abbracciati dalle urla e dai colori della folla.
Cantare
e ballare
era ormai qualcosa che faceva prima per gli altri e poi per se
stesso; nonostante questo, era ormai dipendente dalla sensazione di
dover essere solo Tsukasa, su quel palco e niente più: non
c'era la
famiglia Suou sulle sue spalle, i Knights erano con lui
e non
avevano intenzione di aspettare i suoi ordini. Erano un unico corpo
ed un'unica voce, eppure dai toni così complessi, colorati,
diversi
tra loro.
C'era
solo un solo
altro luogo che lo faceva sentire così amato, in pace con se
stesso
e felice: al fianco di Leo Tsukinaga.
Tsukasa
ormai non
si stupiva più della potenza che Leo sembrava emanare nel
momento in
cui ciò che aveva composto veniva intonato da una folla, una
distesa
umana che sembrava un infinito cielo arricchito di tanti astri
colorati, provando ancora una volta che la forza della musica poteva
unire gli animi più diversi.
Leo
incarnava
quella forza: bastava vederlo ballare, intonare le sue creazioni,
incitare un pubblico che sembrava già in fiamme... e se
Tsukasa si
riconosceva un merito, insieme ai loro compagni più
preziosi, era
quello di essere riuscito a non farlo rinunciare. Sapeva che quella
catena di mani intrecciate – le sue, di Narukami, di Sena e
di
Ritsu – di cui lui non era stata altro che l'ultima
estremità, era
la ragione per cui Leo poteva di nuovo respirare l'unica aria di cui
pareva capace di nutrirsi.
Splendeva,
Leo. In
modo così luminoso da offuscare tutto il resto.
Eppure,
era
cambiato: e non solo per quei capelli più corti, non
più raccolti e
di certo non nel senso di responsabilità che sembrava aver
maturato
e che ogni tanto emergeva, consentendo a Tsukasa non solo di
sbagliare con serenità, ma di riconoscere i propri errori
con nuovo
giudizio.
Paradossale,
no?
Lui, educato e cresciuto per essere un rispettabile uomo fatto
sì di
orgoglio, ma soprattutto di razionalità e
praticità, aveva prima
scoperto il suo lato emotivo, istintivo e poi lo aveva liberato a
gran voce. Leo, che aveva fatto del caos e dell'ispirazione
dell'attimo fuggente un mantra, aveva con lui imparato a riflettere,
osservare.
Ad ogni
passo, ogni
nota, questi pensieri parevano. Riflessioni di mesi, parole
accumulate in anni ora vibravano lungo la sua gola mentre eseguiva
gesti precisi, studiati e ripetuti chissà quante volte e che
ora
erano perfettamente naturali per il suo corpo; era inevitabile
distrarsi, quando nella coreografia Leo afferrava la sua mano, ma
senza alcuna esigenza di copione la stringeva e gli sorrideva
così
maledettamente provocatorio.
«Dovremmo
dare
loro un bel colpo di scena!» aveva urlato, la sera prima. Una
riunione fatta in fretta e furia, giusto per essere sicuri di essere
un unicum nello spirito. E tutti
– Narukami, Sena e
persino Ritsu, che pisolava fino ad un istante prima –
avevano
volto lo sguardo verso Tsukasa, fin troppo consapevoli di cosa Leo
intendesse.
Ebbene,
se c'era un
momento, era quello.
Un
gesto
addirittura troppo preciso, perentorio alla stregua di un ordine: Leo
stava cantando la sua strofa, quando il braccio di Tsukasa gli cinse
la vita e lo costrinse a farsi tutt'uno col suo corpo. E allora a
quel re, che più che abbandonata la propria corona, l'aveva
condivisa con il suo sciocco ed ingenuo erede, non poté fare
a meno
di sorridere e, senza aggiungere niente più, costrinse la
canzone a
rimanere senza parole, così come tutti i presenti.
Reclamò
con forza
le labbra che aveva conquistato ormai anni prima e che mai aveva
dichiarato sue davvero.
In un
attimo, aveva
trovato il modo di spiegare perché in quel loro metaforico
regno
potessero coesistere due sovrani – perché
regnavano insieme,
fianco a fianco. Mano nella mano.
«Ah,
ci mancava di
dare spettacolo, in effetti». La sottile ironia nel tono di
Sena in
realtà tradiva una felicità per loro che non
sarebbe stato
altrimenti in grado di esprimere. All'applauso, invece, avviato da
Narukami, ecco che si aggiunsero ben presto tutti i presenti: Ritsu,
i tecnici, gli altri idol che partecipavano al concerto, in attesa
dietro le quinte e il pubblico che li acclamava come alla fine di una
guerra. La liberazione, però, era solo la loro.
E
comunque,
rimaneva un suono da niente, in confronto alla risata che lo travolse
non appena abbandonate quelle labbra che per prime lo avevano
tentato, che non mancavano mai di sorprenderlo e da cui era difficile
separarsi. Leo portò le mani ricoperte della morbida seta
bianca dei
guanti sulle guance una volta paffute del suo ragazzo e lo
guardò
nell'unico modo in cui Tsukasa avrebbe voluto essere guardato per il
resto della propria vita: come se fosse l'alba di un nuovo giorno.
«Volevo
farlo
passare per quello pazzo al posto mio, una volta tanto»
esclamò
Leo, rivolgendosi a tutti i presenti.
«Se
non fossi
stato pazzo dal principio, non mi sarei neanche innamorato di te, a
dirla tutta...»
Potevano
preoccuparsi in un momento del genere dei microfoni accesi, della
musica che scorreva imperterrita, dell'esibizione interrotta?
Assolutamente no.
L'ispirazione
aveva
vinto.
Note: Quarto giorno
ed ecco la seconda fic che mi ha dato più problemi (...)
Non so bene perché, ma ci sono dei prompt molto generici che
hanno la capacità di mandarmi in panne. Ecco, l'idea mi
piaceva pure, ma non so se sono poi effettivamente riuscita ad
esprimere quel che volevo.
Tratto sempre la Leokasa un po' con i guanti, forse perché
per me è una di quelle relazione che trascende l'amore
romantico e tocca vette più alte e sincere. Mettiamoci pure
che Leo non è esattamente un protagonista facile da gestire,
in un rapporto consolidato ed ecco che puntualmente finisco con lo
scrivere del "prima" e raramente del "dopo".
Qui ci ho provato. Dei due, è Tsukasa che sicuramente
è scosso da reazioni più normali, più
facili da leggere e su cui Leo fa leva senza scrupoli. Aspetta sempre
che sia l'altro a fare il primo passo e non perché
è solo più comodo, ma perché
è insicuro.
E' a Tsukasa che ho affidato il "desiderio". Attraverso la crescita di
Tsukasa, crescono entrambi. Probabilmente perché Leo fa un
passo avanti, nella propria consapevolezza e poi lo aspetta sempre,
voltandosi indietro, prima di procedere (almeno nella loro relazione -
lo istiga e lo sprona a reagire, così che poi le conseguenze
non spettino direttamente a lui, insomma).
Spero che per quanto per me sia un po' incompleta, questa fic possa
piacervi ♥ (intanto dovrei finire di scrivere l'ultima,
ma...)
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